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CAPITOLO 1 - INVECCHIAMENTO E COGNIZIONE
1.1 Che cos’è l’invecchiamento? La prospettiva Life-Span
Storicamente, i progressi derivanti dalle nuove scoperte scientifiche e gli sviluppi nel campo
medico, insieme a un miglioramento nella qualità della nutrizione e degli standard di vita, hanno
contribuito all’aumento dell’aspettativa di vita, dando luogo al fenomeno conosciuto come
“rivoluzione grigia” (De Beni, 2018). L’incremento dell’aspettativa di vita è un fenomeno globale;
secondo le previsioni dell’ONU, ci sarà un raddoppio del numero di persone di 65 anni o più entro il
2050, raggiungendo 1.6 miliardi (16% della popolazione mondiale). La percentuale di anziani è
triplicata dagli anni ‘80, passando da 260 milioni a 761 milioni nel 2021, stimando di raggiungere 1
miliardo nel 2030 (United Nations, 2022). Anche in Italia si assiste a un graduale e costante aumento
del numero di persone di entrambi i sessi che raggiungono l’età avanzata. Se in passato si utilizzava
il concetto di “piramide dell’età” (Perozzo, 1879) - una rappresentazione grafica per classificare la
popolazione in base alle fasce di età e confrontarne le distribuzioni - attualmente il volto demografico
del nostro paese assume un aspetto più simile a quello di una trottola o di una “bell tower” (Wilmoth
et al., 2023): si caratterizza per un progressivo restringimento della base della piramide e una sua
estensione in altezza verso il vertice, evidenziando una significativa concentrazione di individui
compresi tra i 40 e gli 80 anni rispetto alle altre fasce d’età (dati ISTAT 2023).
Il processo dell’invecchiamento, definito un fenomeno multidimensionale e multidirezionale,
è caratterizzato da molteplici cambiamenti che riguardano diverse dimensioni e seguono andamenti
differenziati (De Beni & Borella, 2015). La Psicologia dell’Invecchiamento, adottando la teoria dello
sviluppo lungo l’arco di vita (Baltes & Baltes, 1980), analizza le stabilità e i cambiamenti psicologici
dell’individuo che invecchia. Questa prospettiva interpreta l’invecchiamento come un processo
complesso ed eterogeneo che abbraccia l’intera durata della vita, considerando lo sviluppo come un
continuo e costante ri-equilibrio tra perdite e guadagni. Baltes (1987) infatti, afferma che ciascuna
fase dello sviluppo è caratterizzata da momenti di crescita e di declino, sotto l’influenza di fattori
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interni, familiari, ambientali ed esperienziali. L’interazione tra le condizioni di vita e le esperienze
personali contribuisce a modellare il processo di sviluppo in modo unico per ciascun individuo.
Inoltre, si enfatizza il significativo ruolo giocato dalla capacità di adattamento al proprio contesto
socioculturale e di gestione delle sfide della vita. Lo sviluppo dell’individuo e il processo di
invecchiamento sono plasmati non solo da fattori connessi all’età (maturazione biologica e fisica), e
al contesto storico-culturale (eventi che caratterizzano una specifica generazione e cultura), ma sono
altresì influenzati da fattori definiti “non normativi”, cioè aspetti personali e individuali che non
coinvolgono tutti e non sono universali, tra cui famiglia, lavoro, salute ed esperienze di vita (Baltes
& Reese, 1986). Pertanto, l’invecchiamento si configura come un processo più complesso di quanto
generalmente si pensi, differenziandosi da persona a persona. Non si presenta come un fenomeno
omogeneo né all’interno della vita di una singola persona, né tra individui della stessa età, anche
quando appartenenti allo stesso contesto sociale.
Per comprendere appieno la complessità e la diversità caratterizzanti l’invecchiamento
vengono impiegati due concetti fondamentali: la multidimensionalità e la multidirezionalità. La
multidimensionalità si riferisce al fatto che il processo di invecchiamento è influenzato da una
molteplicità di fattori (cognitivi, emotivo-motivazionali, fisico-sensoriali), con la possibilità di
interazioni reciproche tra di essi. Invece, la multidirezionalità riguarda le varie traiettorie di sviluppo
che tali fattori possono assumere nell’arco della vita, manifestando sia stabilità che cambiamento,
negativo o anche positivo. In questo percorso gli individui anziani possono esprimere una maggiore
fragilità rispetto ai giovani, ma continuano a essere detentori di risorse ed esperienze preziose (De
Beni & Borella, 2015). Infatti, nell’invecchiamento non è affatto tutto perduto: è fondamentale aiutare
gli anziani a prendersi cura non solo del proprio corpo, ma anche della propria mente per favorire un
processo di invecchiamento più positivo e per permettere lo sviluppo e il mantenimento delle abilità
funzionali (De Beni & Borella, 2015). Tale approccio considera l’invecchiamento in una prospettiva
positiva, superando la visione tradizionale dell’età anziana come una fase passiva della vita,
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caratterizzata da bisogni di assistenza e isolamento sociale (Cumming & Henry, 1961). Al contrario,
propone una visione dell’anziano come risorsa e protagonista attivo della vita sociale (Walker, 2011).
Partendo da tali considerazioni, la prospettiva Life-Span (1987) mette in luce il ruolo attivo
dell’individuo nel proprio processo di sviluppo. Sfruttando le proprie potenzialità, l’obiettivo
dell’individuo è massimizzare i guadagni e minimizzare le perdite, adottando strategie adeguate per
affrontare le sfide e promuovere cambiamenti positivi. Secondo Baltes (Baltes & Baltes, 1990; Baltes,
1997), ci sono tre componenti che influenzano la crescita personale e favoriscono un invecchiamento
di successo: Selezione, Ottimizzazione e Compensazione (Modello SOC). Il primo di questi si
riferisce al processo di “selezione”, in base al quale l’individuo delinea i propri obiettivi per
conseguire un elevato funzionamento entro i confini delle proprie risorse biologiche e ambientali. La
seconda strategia è legata all’“ottimizzazione”: l’individuo sfrutta le risorse personali e sociali a
disposizione per realizzare i propri scopi, perfezionando i comportamenti che massimizzano la qualità
della vita. La terza e ultima strategia consiste nella “compensazione”, in cui l’individuo sviluppa
programmi adeguati a colmare le perdite, facendo uso delle risorse residue a livello personale,
cognitivo, emotivo e sociale. Questo aspetto si riferisce agli sforzi compiuti per mantenere un
determinato livello di funzionalità nonostante il decadimento o la perdita delle capacità fisiche e
cognitive. Il modello SOC si configura quindi, come un modello psicologico che favorisce il
raggiungimento di un invecchiamento attivo e di successo (De Beni & Borella, 2015).
Dunque, se invecchiare rappresenta una condizione condivisa da tutti, invecchiare bene si
traduce nell’abilità di selezionare, ottimizzare e compensare, al fine di adattarsi alle molteplici
circostanze che la vita presenta. Tale possibilità di compensare le perdite si manifesta, in particolare,
nell’invecchiamento cognitivo, caratterizzato da un declino differenziato delle abilità intellettive e
dalla capacità di mantenere livelli adeguati di funzionamento cognitivo, facendo affidamento sulle
proprie risorse personali e sulle abilità meno suscettibili all’avanzare dell’età.
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1.2 I cambiamenti nel funzionamento cognitivo con l’avanzare dell’età
L’interesse per le modificazioni età-correlate nelle abilità mentali è alla base della Psicologia
dell’Invecchiamento. Alla luce di quanto precedentemente discusso, anche l’invecchiamento
cognitivo viene riconosciuto come un fenomeno multidimensionale e multidirezionale, con una
variabilità sia inter- che intra-individuale, caratterizzato da un insieme di cambiamenti non
necessariamente deficitari, ma legati all’avanzare dell’età. (Blazer et al., 2015; Ramratan, 2016;
Chicherio, et al. 2012; Salthouse, 2010). In quest’ottica, l’invecchiamento quindi, come ogni altra
fase della vita di un individuo, è caratterizzato da perdite e guadagni.
In letteratura un corpo di studi, esaminando gli effetti dell’invecchiamento sul funzionamento
cognitivo, ha identificato tre differenti pattern di cambiamenti età-relati: i) life-long decline (declino
costante lungo l’intero arco di vita), ii) late-life decline (calo solo in tarda età) e iii) life-long stability
(stabile nel tempo). Questi distinti pattern di cambiamento età-relati sottolineano ulteriormente che
non tutte le funzioni cognitive sono influenzate allo stesso modo dal processo di invecchiamento
(Salthouse & Ferrer-Caja, 2003).
Si osserva infatti, un deterioramento differenziato delle abilità intellettive, che viene
analizzato nel contesto del modello bifattoriale dell’intelligenza di Cattell (Cattell, 1941; Horn e
Cattell, 1966), che distingue tra intelligenza fluida (ad esempio, memoria di lavoro, velocità di
elaborazione, ragionamento e pensiero astratto) e intelligenza cristallizzata (Cattell, 1941; Horn &
Cattell, 1966). Il modello sostiene che l’intelligenza fluida, dipendente da fattori biologici e
fisiologici, consente l’adattamento a nuove situazioni e la risoluzione di problemi, e può essere
valutata tramite test di ragionamento o basati sulla scoperta di leggi e regole. D’altra parte,
l’intelligenza cristallizzata, che ha radici culturali, si riferisce alle conoscenze acquisite attraverso
l’esperienza, e può essere misurata con test come quello del vocabolario. I due tipi di intelligenza, nel
corso della vita, seguono un andamento di sviluppo diverso (Figura 1.1): se l’intelligenza cristallizzata
tende a rimanere stabile fino all’età di 60 anni o persino migliorare in alcuni casi, l’intelligenza fluida
sembra invece, declinare dopo aver raggiunto il picco intorno ai 20-30 anni (Cacioppo & Freberg
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2012; Craik & Salthouse, 2000; Bajpai, 2022 ). Dai risultati degli studi condotti da Cattell (1963)
emerge che vi è una maggior differenza d’età tra giovani e anziani nelle prove che misurano
l’intelligenza fluida, rispetto a quelle che valutano l’intelligenza cristallizzata, con i primi che
mostrano punteggi superiori rispetto ai secondi. Alcuni cambiamenti legati all’avanzare dell’età
potrebbero tuttavia, avere una valenza adattiva ed essere il risultato di obiettivi diversi che gli anziani
si pongono rispetto ai giovani (De Beni, 2009).
Il modello bifattoriale dell’intelligenza (Cattell, 1963) è stato successivamente integrato nella
Teoria dell’arco di vita di Baltes (1987). Egli distingue tra “operazioni mentali di base” (mechanism
of cognition), strettamente legate alla dimensione biologica, e “aspetti legati alla cultura” (pragmatics
of cognition), sottolineando nuovamente che le abilità o funzioni basate sulle operazioni mentali di
base (intelligenza fluida: memoria, orientamento spaziale, ragionamento e velocità percettiva)
tendono a declinare in modo precoce e rapido. D’altro canto, le abilità o funzioni fondate sugli aspetti
legati alla cultura (intelligenza cristallizzata: abilità verbali e numeriche) rimangono stabili o
addirittura sembrano migliorare fino ai 60-70 anni, per poi iniziare a declinare solo in età avanzata.
Le componenti pragmatiche svolgono un ruolo cruciale nell’invecchiamento, poiché consentono di
compensare il declino nelle operazioni mentali di base, permettendo di mantenere livelli adeguati di
funzionamento cognitivo e autonomia nella vita quotidiana. Inoltre, Baltes (1987) ipotizza che i
Figura 1.1 Andamento teorico della pragmatica cristallizzata e del meccanismo fluido. La parte a sinistra descrive
le due categorie; la parte destra mostra le traiettorie life-span (immagine tratta da Baltes, Staudinger, & Lindenberger; 1999)
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cambiamenti osservati nelle componenti fluide dell’intelligenza sarebbero il risultato di alterazioni
neurofisiologiche, mentre la stabilità dell’intelligenza cristallizzata rifletterebbe l’effetto positivo
dell’accumulo di esperienza (De Beni & Borella, 2015).
1.3 Le abilità visuo-spaziali e di orientamento nell’anziano: cosa sono e come cambiano con
l’età
Ora, dopo aver esplorato nel paragrafo precedente i cambiamenti nel funzionamento cognitivo
in relazione all’avanzare dell’età, si porrà l’attenzione su un aspetto specifico che riveste un ruolo
cruciale nella vita quotidiana degli anziani: le abilità visuo-spaziali e di orientamento. Verrà attribuita
particolare enfasi ai concetti di visualizzazione spaziale, memoria di lavoro visuospaziale (MLVS),
apprendimento di mappa, che costituiscono il fulcro dell’analisi condotta nel seguente lavoro di
ricerca, e una panoramica sull’evoluzione di tali abilità in relazione all’età.
L’analisi delle abilità di orientamento, pur rimanendo all’interno del campo di studio delle
abilità spaziali, si concentra su come tali abilità si manifestano in contesti di vita quotidiana. Infatti,
il senso dell’orientamento rappresenta l’applicazione delle abilità spaziali alla vita di tutti i giorni,
consentendo lo svolgimento di attività quotidiane, come muoversi in un ambiente, orientarsi,
localizzare oggetti e svariati altri compiti che richiedono l’analisi di informazioni spaziali (Uttal et
al., 2013). Pertanto, lo spazio e la relazione individui-oggetti nello spazio sono concetti di
fondamentale rilevanza nel funzionamento quotidiano della persona, così come dell’anziano; la
consapevolezza della propria posizione nello spazio, la capacità di percepire con precisione la
posizione di altri oggetti al fine di manipolarli fisicamente e di spostarsi attraverso percorsi ostacolati,
insieme all’abilità di creare una rappresentazione mentale dello spazio per memorizzare percorsi e
posizioni, costituiscono esempi di abilità spaziali cruciali
1
. Ad esempio, il modello cumulativo di
Siegel e White (1975) sottolinea che la formazione di una mappa cognitiva è un processo graduale:
1
Batteria VS - Batteria di valutazione delle abilità e autovalutazioni visuo-spaziali nell’arco di vita adulta - QI - Questioni e
idee in psicologia - Il magazine online di Hogrefe Editore. (n.d.-e).
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inizialmente, comporta l’acquisizione degli elementi salienti dell’ambiente, noti come landmarks
(monumenti, edifici, ecc.), seguita dalla rappresentazione dei percorsi che legano questi elementi, e
le loro relazioni spaziali sono definite dal punto di vista dell’osservatore (De Beni & Borella, 2015).
Solo acquisendo familiarità con l’ambiente, l’individuo può costruire una rappresentazione in cui gli
elementi sono in relazione tra loro indipendentemente dal proprio punto di vista. Studi condotti negli
anni ’90 hanno indicato che la capacità di apprendere un percorso in un ambiente nuovo declina con
l’invecchiamento, mentre la capacità di riconoscere i landmarks rimane conservata (De Beni &
Borella, 2015).
Le abilità visuospaziali vengono descritte come capacità di percepire, interagire e manipolare
immagini visive astratte in base a coordinate spaziali, e consentono di calcolare le relazioni visive e
spaziali tra individui e oggetti, permettendo così l’interazione con l’ambiente circostante (Cerrato et
al., 2019). Il risultato finale è la creazione di rappresentazioni della realtà che incorporano riferimenti
spaziali costanti e accurati. Le abilità spaziali si distinguono dall’intelligenza generale e non possono
essere considerate come un unico costrutto omogeneo, poiché sono composte da diverse abilità
distinte (Hegarty & Waller, 2005); infatti, ci si riferisce a tali abilità al plurale per rimarcare che non
si sta considerando una singola e unitaria competenza, bensì un insieme di abilità interconnesse che,
nel loro complesso, permettono di elaborare le informazioni spaziali.
1.3.1. Visualizzazione percettiva
Una classificazione iniziale delle abilità visuospaziali identificava due fattori distinti: la
“visualizzazione spaziale” e l’“orientamento spaziale” (McGee, 1979). La visualizzazione spaziale si
riferisce alla capacità di creare una rappresentazione di una configurazione dinamica e di percepirne
il movimento, consentendo la manipolazione mentale dell’oggetto, compresa la capacità di
immaginare le sue rotazioni e variazioni di posizione (senza fare affidamento su un sistema di
coordinate basate sul corpo dell’osservatore). L’orientamento spaziale, al contrario, ha una natura più
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statica ed è associato alla capacità di memorizzare le relazioni spaziali tra gli oggetti e di codificare
la loro posizione rispetto al proprio corpo (McGee, 1979).
Nel 1985, Linn e Petersen proposero una seconda classificazione, identificando tre categorie
principali nelle abilità visuospaziali: i) “percezione spaziale”; ii) “rotazione mentale”; iii)
“visualizzazione spaziale”. Quest’ultima è l’abilità di manipolare informazioni spaziali. Essa è
misurabile attraverso diversi strumenti tra cui, l’Embedded Figure Test (EFT; Witkin et al., 1971),
descritto approfonditamente nel terzo capitolo, in cui viene chiesto di individuare una figura semplice
all’interno di una figura più complessa, e il Paper Folding (Ekstrom et al., 1976). Nei compiti di
visualizzazione spaziale emergono differenze individuali influenzate dalla complessità dell’attività.
Nei test più semplici, le differenze individuali emergono quando vengono imposti limiti di tempo,
riflettendo variazioni nella velocità di elaborazione cognitiva. Tuttavia, in compiti più complessi
come, ad esempio, il test del Paper Folding, alcuni individui potrebbero non essere in grado di
risolvere il compito anche in assenza di limiti di tempo; in questo caso, le differenze individuali
possono essere attribuite alla capacità intrinseca di eseguire il test (Lohman, 1979; Just & Carpenter,
1985). Inoltre, non sono state riscontrate differenze significative di genere nelle prestazioni in compiti
di visualizzazione spaziale (Maccoby & Jacklin, 1974; Linn & Petersen, 1985; Block, 1982) e ciò è
attribuibile al fatto che tali compiti possono essere affrontati attraverso una varietà di strategie
cognitive, sia analitiche che globali, insieme alla capacità di applicarle con flessibilità (Linn &
Petersen, 1985).
Attualmente, è ampiamente accettato che l’invecchiamento sia correlato a una diminuzione
delle capacità intellettive fluide e al mantenimento di quelle cristallizzate (Craik & Salthouse, 2008;
Borella et al., 2014). Le diverse componenti delle abilità visuospaziali mostrano declini legati all’età,
ma la loro entità può variare in base al tipo di abilità considerata (Aguilar Ramirez et al., 2022; Borella
et al., 2014; Meneghetti et al., 2015). Tuttavia, è importante notare che queste possano essere
preservate o addirittura potenziate attraverso l’esperienza (expertise) accumulata nel corso della vita,
contrastando così il declino dovuto all’età, specialmente nelle abilità spaziali (Meneghetti et al.,