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Abstract
China’s emergence as a great power has been accompanied by the official rhetoric of the China Dream of Great
Rejuvenation (伟大复兴 weida fuxing). The construction of a community of shared future for all mankind (人类命运共
同体 renlei mingyun gongtongti) is an important part of this rhetoric and it has enriched China's foreign policy of peace
and common development, which characterizes CCP’s leaders’ discourse since 1950. It has embodied the essence of
Chinese traditional culture which attach extreme importance to the concept of harmony. This essay looks at the ways in
which this concept has originated and how it has been evolving since its first appearance in the Chinese political discourse.
While much existing literature discusses the construction of a community of shared future from a western point of view,
this essay looks more specifically at the way in which Chinese leaders and intellectuals talk about it, also taking into
account rhetoric and linguistic aspects. Moreover, it draws a general overview of the Chinese initiative launched to put in
practice the community of shared future in the International Community.
摘要
中国作为一个大国的崛起伴随"中国大复兴梦"的官方说法,构建人类命运共同体是这一官方说法的组成部分。
1950年以来,中共领导人的政治讲话突出和平与共同发展的重要,构建人类命运共同体丰富了中国关于和平与
共同发展的说法。此外,体现了以和谐为核心的中国传统文化。本篇论文研析这一概念的产生,以及它自在中
国政治讲话首次出现中以来的演变过程。一般来说,文献从西方的观点探讨构建人类命运共同体的说法,但是
本篇论文探讨怎么中国领导人和知识分子谈论这一说法,同时也考虑修辞和语言方面的问题。最后,本篇论文
还概述中国为了在国际社会中实现人类命运共同体构建的发起倡议。
Introduzione
La reputazione, il desiderio di prestigio, il “salvare la faccia” sono principi molto comuni e che hanno
la propria rilevanza in ogni cultura. Diversi studiosi fanno risalire l’emergere dei concetti appena
citati al bisogno fisiologico dell’individuo di essere riconosciuto dalla società, ovvero quella necessità
di ottenere l’approvazione del gruppo
1
. Tuttavia, l’importanza di tale riconoscimento e i mezzi
attraverso cui ottenere prestigio o avere una buona reputazione cambiano considerevolmente da una
parte del mondo all’altra. È opinione diffusa quella secondo cui l’importanza di avere una buona
reputazione sia notevolmente maggiore in Cina e negli altri stati dell’Asia Orientale. Tale opinione è
stata confermata da studi empirici nel campo dell’antropologia interculturale, della psicologia e
1
Zhang, How China Struggles for International Recognition: An Explanation from Chinese Face Culture. (Ghent,
Belgium: Ghent University, 2017), p.78
2
sociologia, i quali dimostrano che in Oriente c’è una maggiore preoccupazione in merito a come si
viene percepiti dagli altri.
Per quanto riguarda la Cina, questa attenzione verso ciò che gli altri pensano di sé è riconducibile ai
principi del Confucianesimo, il quale sottolinea la comunione tra l’individuo e la società e la necessità
per l’uomo di vivere in società seguendo determinate regole. Più recentemente rispetto a Confucio,
anche Lu Xun, uno dei più importanti scrittori della Cina dei primi del novecento, si è espresso sul
tema definendo il mianzi come “La chiave morale di tutti i cinesi. È come il codino che tutti
indossavano durante la dinastia Qing. Una volta essere stati afferrati dal proprio codino, non ci si
poteva muovere d’un solo passo, ma si era completamente sotto il controllo di un altro”
2
. Per Lu Xun,
dunque, il concetto di mianzi non era altro che un altro dei tanti aspetti tradizionali della Cina che
avevano condotto il suo paese all’umiliazione e all’arretratezza in cui versava agli inizi del novecento.
In Cina il concetto di reputazione viene veicolato da due termini differenti: 面子(mianzi) e 脸(lian).
I due termini non sono interscambiabili, il primo si riferisce alla reputazione, al prestigio ottenuti da
un individuo attraverso l’impegno personale; il secondo invece indica il rispetto di un individuo con
una reputazione morale positiva da parte del gruppo. Il lian si può perdere ma non si può acquisire in
quanto perdere lian significa aver agito immoralmente ed essere stato quindi “condannato” dal gruppo
per le proprie azioni. Al contrario, il mianzi si può acquisire, prestare, si può dare e desiderare in
quanto è un concetto costruito verso l’alto partendo da una data posizione di potere, benessere, abilità
e quant’altro. Avere o meno lian e mianzi varia a seconda delle circostanze sociali in cui l’individuo
si trova, ad esempio un ufficiale militare può avere mianzi tra le fila dell’esercito e non averlo quando
è in compagnia di un gruppo di intellettuali. Inoltre, il mianzi di una persona è diverso in base anche
allo status della propria famiglia, dei legami personali, delle proprie abilità ecc. In questa sede,
partiremo dalla riflessione sul significato di mianzi, tralasciando l’aspetto morale del concetto di
“faccia” ovvero quello esplicato dalla parola lian
3
.
Per la maggior parte dei cinesi, la parola mianzi sembra essere una parte naturale della vita sociale.
Tuttavia, come ci fa notare Ho all’inizio del suo saggio intitolato proprio “On the concept of Face”,
sebbene tutti abbiano una vaga idea di cosa significhi avere mianzi, nessuno è in grado di dare una
definizione accurata del suo significato. Inoltre, l’unicità del concetto di “faccia” nella cultura cinese
sta nel fatto che l’individuo non tiene in conto solo la propria reputazione ma anche quello di ciò che
2
Ivi, p.21
3
Ho, “On the Concept of Face.” American Journal of Sociology 81, no. 4 (1976): 869
3
Wu definisce il “greater self” ovvero ciò che circonda l’individuo: la propria famiglia, gli amici, la
comunità in cui vive e persino gli antenati. Si tratta, quindi, di un aspetto centrale nella vita di un
individuo che ne influenza il comportamento e incide sulle sue scelte future
4
.
Quanto appena detto è vero non solo per gli individui, ma anche per gli stati e in particolare per la
Cina in quanto apparato di governo. Essere riconosciuti come una grande potenza o quantomeno
come uno stato rilevante sul piano internazionale è parte della strategia politica del Partito Comunista
Cinese sin da quando ha preso il controllo della Cina. Bisogna ricordare, infatti, che a partire dalla
metà del XIX secolo e fino alla metà del secolo successivo la Cina ha vissuto un periodo di continuo
turbamento politico e militare che viene tutt’oggi ricordato come il “Secolo dell’umiliazione”. Il
modo in cui la Cina in quanto Stato-Partito e i cinesi guardano a questo periodo di umiliazione subita
dalle potenze occidentali imperialiste è la chiave di volta attraverso cui leggere l’atteggiamento del
Paese a partire dal 1949. Negli anni, gli sforzi del Partito volti ad ottenere un riconoscimento a livello
internazionale dell’importanza della Cina hanno portato i loro frutti: nel 1972 il governo della
Repubblica Popolare Cinese è stato riconosciuta in seno all’ONU come rappresentante ufficiale della
Cina, nel 2001 la Cina è entrata a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e
soprattutto negli ultimi vent’anni il suo ruolo come rule-giver sul piano internazionale è diventato più
prominente. Esiste un termine specifico per racchiudere tutte le iniziative strategiche volte a
migliorare la reputazione della Cina a livello internazionale ed è 面子外交 (mianzi waijiao)
letteralmente “diplomazia della faccia”, spesso menzionata nella letteratura politica. I funzionari
cinesi e gli analisti, fin dalla metà degli anni Novanta hanno parlato di “status internazionale” (国际
地位 guoji diwei) come di un valore capace di portare potere e rispetto sul piano globale.
Un’altra interpretazione particolarmente rilevante ai fini del seguente lavoro è quella data da Qing
Yaqin, il quale spiega il concetto di mianzi attraverso quello di “potere relazionale” (relational power).
Come spiega Qing:
Guardando alla società internazionale da una prospettiva relazionale, il potere può essere derivato
dai circoli relazionali di una nazione. La dimensione dei circoli e l'importanza degli attori
all'interno sono tutti legati al mianzi o prestigio della nazione. Un attore internazionale, per
esempio, ha mianzi ed è potente se la sua iniziativa è ben accolta da altri. Altrimenti, perde la
faccia e non è considerata influente. Poiché il potere è così importante e poiché le relazioni sono
4
Zhang, How China Struggles for International Recognition: An Explanation from Chinese Face Culture. (Ghent,
Belgium: Ghent University, 2017), p.79
4
potere, è naturale per un attore internazionale cercare, mantenere ed espandere i suoi cerchi
relazionali per aumentare il suo potere”
5
.
Dunque, è opinione di chi scrive che le riflessioni di questo lavoro debbano partire da una semplice
assunto di base: nelle relazioni internazionali, l’immagine che viene proiettata sul piano
internazionale e come essa viene percepita dagli altri attori è un aspetto di importanza fondamentale,
da cui possono dipendere le strategie politiche, economiche e diplomatiche di un paese. Quanto detto
è particolarmente importante per la Cina in virtù di quanto affermato precedentemente: l’importanza
del mianzi nella cultura cinese, il secolo dell’umiliazione e la volontà di costruire un’immagine
positiva di sé sono tutti aspetti che concorrono a delineare le strategie politiche della Cina attuale.
La strategia politica volta a costruire un’immagine positiva della Cina sul piano internazionale deve
essere veicolata in qualche modo sia all’interno che all’esterno dei confini del paese. Per fare ciò,
l’élite politica cinese si è servita nel tempo di una serie di slogan, in cinese chiamati 提法 (tifa). L’uso
di tali “frasi fatte” è molto comune tra gli esponenti della leadership del Partito sin dai tempi di Mao
Zedong e mette in evidenza l’importanza che il linguaggio usato ha nel trasmettere un concetto. Così
come nel caso della reputazione, l'importanza del linguaggio per coloro che cercano di influenzare e
controllare la politica e il governo è qualcosa che trascende le culture. Gli stratagemmi retorici e i
modi in cui cercano di influenzare, manipolare e determinare gli atteggiamenti pubblici e quindi
acquisire legittimità, sono simili in tutte le lingue e in tutti i contesti. A differenza del linguaggio
comune, quello politico è un codice ristretto, in cui le opzioni rispetto alle qualità formali come
vocabolario, stile e sintassi sono molto limitate. Questo è ciò che si intende quando si parla di
“formalizzazione” del linguaggio politico ed è un aspetto comune in ogni cultura
6
. Tuttavia, nel caso
del Partito Comunista Cinese, si tratta di una vera e propria tradizione tramandata di leadership in
leadership. Franz Schurmann, nel suo studio in merito alle abitudini organizzative del Partito ha
riconosciuto che il PCC ha creato numerose nuove idee e nuovi termini che sono poi entrati a far parte
del linguaggio comune cinese sin dalla sua fondazione nel 1921, mentre studiosi come Lowell Dittmer
e Chen Ruoxi hanno tentato di costruire in una mappa delle keywords del linguaggio politico cinese
7
.
5
Qin, “A relational theory of world politics” International Studies Review 18 no.1 (2016): 10
6
Schoenhals, Doing Things with Words in Chinese Politics: Five Studies (Berkeley: University of California at Berkeley,
1992), p.1
7
Brown, “Language and Power in Contemporary China” in Contemporary Chinese Discourse and Social Practice in
China edito da Linda Tsung & Wei Wang (Amsterdam/Philadelphia: John Benjamins Publishing Company, 2015), p. 12
5
Tale linguaggio è in qualche modo un sub-dialetto sociale altamente distintivo. Ha un contesto rituale
e un contesto istituzionale e sociale che lo definiscono bene, e questa separazione dovrebbe prestarsi
a una rigorosa attenzione analitica. Quando i leader cinesi parlano, lo fanno in un contesto in cui il
loro potere è segnalato e il loro status confermato sia nei modi in cui parlano che nell'ambiente e nelle
azioni che compiono mentre parlano. In un certo senso, hanno ereditato alcune delle tradizioni del
passato quando la lingua imperiale o di corte era molto diversa da quella usata dal popolo. L’uso dei
tifa come anche di citazioni letterarie e filosofiche sono solo due dei numerosi aspetti che
caratterizzano la retorica politica cinese e che rendono tale linguaggio ben distante dalla lingua
comune.
Ogni cinque anni, le keywords o i tifa più importanti vengono menzionate nel Report al Congresso
Nazionale del Partito. Ogni Report, quindi, può essere considerato come una sorta di “glossario
generale del Partito”. Alcune di queste tifa sono il frutto di lunghe riflessioni di Partito e sono
destinate ad entrare nella storia della retorica politica cinese, altre invece potrebbero comparire in un
report per poi non ricomparire più. Ciò che caratterizza queste formulazioni è innanzitutto il loro
essere fisse, non modificabili. La manipolazione di un qualsiasi elemento della formulazione è
sufficiente a trasformarne il significato. Nel caso di una lingua isolante come il cinese, infatti, cioè
una lingua in cui le parole sono invariabili e le relazioni grammaticali sono mostrate principalmente
dall'ordine delle parole, l'aggiunta o la cancellazione di un carattere è sufficiente a trasformare il senso
di una frase. Nel contesto della politica della RPC, la semplice eliminazione di una particella genitiva
può essere sufficiente a trasformare una formulazione accettabile per la leadership del PCC in una
formulazione inaccettabile
8
.
Lo Stato controlla la diffusione di queste formulazioni tra la popolazione con diversi mezzi che vanno
dalla registrazione obbligatoria di giornali e di altri tipi di pubblicazioni alle restrizioni nell’uso di
determinati termini sui social media attraverso ban di utenti. Le agenzie burocratiche coinvolte in
questo controllo includono il Dipartimento centrale di Propaganda del PCC e la New China News
Agency (NCNA). Vietando alcune formulazioni e prescrivendone altre, si propongono di regolare ciò
che viene detto e ciò che viene scritto e, per estensione, ciò che viene fatto. La formalizzazione del
linguaggio, come forma di potere gestita e manipolata dallo Stato, ha quindi un impatto su tutti gli
8
Schoenhals, Doing Things with Words in Chinese Politics: Five Studies (Berkeley: University of California at Berkeley,
1992), p.7
6
aspetti della politica cinese e per questo il tema dell'uso e dell'abuso delle formulazioni è soggetto a
costante deliberazione strategica ai massimi livelli del PCC.
Mao Zedong ha pronunciato quella che può essere considerata come la frase che meglio rappresenta
l’importanza dell’uso di tali formulazioni nel linguaggio politico: “Una singola [corretta]
formulazione e l’intera nazione prospererà; una singola [incorretta] formulazione e l’intera nazione
cadrà in declino”
9
. Ciò significa che l’importanza dei tifa trascende la semplice comunicazione
politica ma va ad essere significativa anche per la messa in atto vera e propria degli obiettivi del
Partito. Se usate in maniera scorretta i tifa possono creare confusione ideologica tra le masse e dunque
essere un freno per le politiche dello Stato-Partito. La correttezza o meno di una formulazione è
determinata sulla base del suo significato e degli effetti che il suo utilizzo provoca nell’immediato.
Dunque il Partito approva una certa formulazione se essa è giudicata politicamente utile al
raggiungimento di un obiettivo. Quando gli obiettivi del Partito vengono modificati, anche le
formulazioni che precedentemente erano considerate “corrette” possono finire nella lista di quelle
“inappropriate”. È il caso di quanto successo alla fine della Rivoluzione Culturale (1966-1976),
quando tutte le formulazioni usate durante quel periodo come “Ribellarsi è giustificato” o “Pratica la
frugalità mentre fai la rivoluzione” sono state cancellate così come anche la maggior parte delle
“regole” che vigevano durante la Rivoluzione Culturale
10
.
Data l’importanza di tali formulazioni, certamente esse non possono essere né semplici da interpretare
né essere di uso comune. Un’altra delle caratteristiche dei tifa, quindi, è proprio la loro complessità e
stratificazione di significato. Quando un qualsiasi esponente della classe politica pronuncia un
discorso si rivolge a diverse audience: al popolo della propria nazione, ai media, agli altri esponenti
della classe politica, alla Comunità Internazionale e così via. Nel caso della leadership politica cinese,
l’uso di formulazioni e citazioni letterarie permette in un certo senso di gestire il messaggio che si
vuole lanciare. La stessa formulazione, infatti, viene recepita in maniera diversa dai diversi “target”
in quanto ciò che può apparire semplice in realtà nasconde varie sfumature di significato che solo
alcuni sono in grado di cogliere e spesso quelle persone sono proprio coloro a cui il Partito sceglie di
parlare in maniera più diretta.
È pur vero, comunque, che deve esserci una sfumatura di significato facilmente comprensibile dal
popolo affinché il messaggio veicolato attraverso i tifa possa essere compreso fino in fondo e messo
9
Ivi, p.3
10
Ivi, p.10
7
in atto. Nella scelta di linguaggio quindi, la classe politica cinese deve necessariamente utilizzare
formulazioni e parole che siano in grado di parlare e mobilitare l’intera nazione. Nel periodo di Mao
Zedong, trovare un registro di linguaggio comune era molto più semplice data la scarsa diversità
sociale di quel periodo ma già a partire dalla fine degli anni Ottanta la società cinese ha iniziato a
diversificarsi e per questo oggi trovare un linguaggio capace di “mobilitare e raggiungere i contadini
del Gansu, i pastori del Tibet e gli uomini d’affari di Shanghai è quasi impossibile”
11
. Tuttavia, ci
sono alcune questioni che hanno una forte presa sulla popolazione cinese e tra questi c’è sicuramente
il concetto di mianzi, citato in precedenza, così come la volontà di ricostruire la grandezza della
nazione cinese.
L’uso “corretto” del linguaggio e la retorica del mianzi sono alla base di questo lavoro e costituiscono
il contesto entro il quale leggere l’idea di Comunità dal futuro condiviso. Si tratta di una vera e propria
narrazione portata avanti dalla leadership di Xi Jinping che riprende le fila dei suoi predecessori e che
ha al suo interno numerose iniziative e slogan tra cui rientra anche quello della Comunità dal futuro
condiviso.
Il presente lavoro, dunque, ha come punto di partenza una serie di quesiti a cui si cercheranno di dare
una o più risposte attraverso lo studio degli aspetti culturali, storici e strategici delle parole, degli
slogan, delle frasi e dei concetti pronunciati dall’élite politica cinese e delle loro conseguenze pratiche.
In particolare, i quesiti a cui si cercherà di dare una risposta sono i seguenti: La strategia volta a
costruire un’immagine positiva di sé attraverso il discorso di comunità dal futuro condiviso ha avuto
successo fin qui oppure la Cina dovrà portare avanti strategie differenti? Il voler migliorare la propria
immagine sul piano internazionale fa parte di una più ampia narrazione che la Cina vuole portare
avanti, qual è questa narrazione? Dal punto di vista pratico, costruire una comunità dal futuro
condiviso è realmente possibile?
Per poter rispondere ai seguenti quesiti è necessario innanzitutto comprendere il vero e proprio
significato del concetto di Comunità dal futuro condiviso. Considerando l’influenza che la cultura
cinese tradizionale ha tutt’oggi nell’elaborazione delle strategie e nei discorsi politici dell’élite cinese,
approfondire alcuni aspetti centrali delle principali scuole filosofiche cinesi è di fondamentale
importanza ai fini del presente studio. La prima sezione del primo capitolo sarà dedicata nello
specifico all’analisi di tre principi che sono stati un filo conduttore della filosofia classica cinese e di
11
Brown, “Language and Power in Contemporary China” in Contemporary Chinese Discourse and Social Practice in
China edito da Linda Tsung & Wei Wang (Amsterdam/Philadelphia: John Benjamins Publishing Company, 2015), p. 14
8
cui hanno scritto la maggior parte dei filosofi, ovvero i concetti di inclusione, connessione e armonia.
L’analisi di tali principi porterà a ripercorrere la storia della filosofia cinese attraverso la lettura di
alcuni passi dei principali testi classici come I Dialoghi di Confucio oppure Il Mozi. Al termine di
questo percorso storico-filosofico, il focus si sposterà sull’analisi di due parole chiave: comunità e
destino, attingendo in questo caso non solo alla filosofia classica cinese ma anche al pensiero
filosofico marxista, altrettanto fondamentale per il Partito e per le sue teorie politiche. Nell’ultima
parte del capitolo, infine, verranno delineate quelle che sono e sono state le linee guida della politica
estera del PCC ponendo particolare attenzione verso quelle teorie politiche che hanno influenzato
l’attuale atteggiamento sul piano internazionale della Cina. È opinione di chi scrive che conoscere il
passato di un paese e ciò che ha caratterizzato la sua politica sia di estrema importanza per capire la
sua traiettoria futura, per questo motivo il punto di partenza dell’intero lavoro partirà proprio dal
passato della Cina.
Il secondo capitolo verte principalmente sul significato dell’idea di costruire una Comunità dal futuro
condiviso e di come tale concetto sia entrato gradualmente nella retorica del Partito. Come già
accennato, l’uso di un determinato linguaggio nei discorsi ufficiali dell’élite politica cinese segue uno
scopo specifico, nel caso del concetto in esame il suo utilizzo è volto al raggiungimento di obiettivi
sempre più ampi in termini spaziali. Attraverso lo studio dei discorsi ufficiali tenuti dai Segretari
Generali di Partito che si sono susseguiti nel tempo, vedremo in che modo e in quali contesti è stata
declinata l’idea di comunità dal futuro condiviso. Nella prima parte del capitolo ci occuperemo del
periodo di governo di Jiang Zemin e Hu Jintao e vedremo come l’idea di una comunità dal futuro
condiviso sia stata utilizzata a livello domestico e regionale, analizzando in particolar modo il
rapporto tra Cina e ASEAN. Nella seconda parte, procederemo ad osservare le peculiarità del periodo
di governo di Xi Jinping e analizzeremo una serie di discorsi ufficiali dell’attuale Segretario Generale
per capire come viene utilizzata l’idea di comunità dal futuro condiviso sul piano internazionale.
Nell’ultimo capitolo di questo lavoro, l’analisi avrà come obiettivo quello di cercare le tracce del
concetto di comunità dal futuro condiviso nelle iniziative pratiche portate avanti dalla Cina. Sebbene
il linguaggio e la retorica abbiano un ruolo determinante per permettere alla Cina di raggiungere i
suoi scopi, nessun progetto può essere portato avanti senza avere ben chiare in mente delle iniziative
che proiettino sul piano concreto un’ideale. Nel caso del concetto in esame in questo studio, è stato
scelto di categorizzare le misure messe in atto dalla Cina in cinque sezioni: iniziative economiche,
culturali, ecologiche e securitarie. Nel capitolo verranno toccati argomenti come la Belt and Road
Initiative, il soft power e le attività militari e paramilitari della Cina, argomenti che necessiterebbero
9
di una trattazione ben più lunga e complessa di quella fornita nel presente studio. Per questo motivo
è necessario chiarire che l’obiettivo del capitolo non è trattare tali argomenti in maniera completa ed
esaustiva bensì dare un quadro generale delle mosse della Cina su diversi fronti di modo da capire
cosa significa praticamente costruire una comunità dal futuro condiviso e quali sono gli strumenti
attraverso cui la Cina lo sta facendo.
Il progetto di scrittura descritto fin qui è guidato in primis da un semplice principio: tentare di
comprendere dall’interno i progetti della Cina abbandonando la visione eurocentrica che accomuna
molti degli studiosi occidentali. I tentativi di leggere le mosse della Cina partendo da un punto di vista
eurocentrico oppure di incanalare la politica cinese entro gli standard di quella occidentale non
potranno mai portare ad una vera comprensione di quanto accade dall’altra parte del mondo. Per
questo motivo è stato scelto di non utilizzare solo fonti secondarie ma anche fonti primarie come
discorsi ufficiali, report ai Congressi Nazionali del Partito e articoli in lingua originale.
Inoltre, particolare importanza verrà data all’aspetto linguistico-traduttologico. Comprendere appieno
un concetto senza conoscerne l’esatta traduzione o quantomeno quella più adeguata sarebbe
impossibile, per questo motivo prima di poter avviare il presente studio, ci soffermeremo sull’analisi
linguistica del concetto e su come essa viene tradotta nei testi ufficiali cinesi. In virtù di quanto appena
detto, inoltre, chi scrive ha ritenuto opportuno inserire nello studio parti di testo in lingua originale
(cinese) seguiti da traduzioni in italiano realizzate dalla stessa autrice. Ciò è stato fatto per permettere
a coloro che conoscono il cinese di rifarsi alla versione in lingua originale laddove un concetto o
un’espressione non risultino chiare nella traduzione. È opinione di chi scrive, inoltre, che le traduzioni
a volte rischiano di erodere il significato e la bellezza di alcune espressioni tipiche di una lingua
pertanto questa scelta non è dovuta solo ad un aspetto “funzionale” e quindi di comprensione ma
anche puramente “estetico”.
Come già accennato in precedenza, il presente studio parte da una prospettiva storico-filosofica per
poi giungere a riflessioni politiche. Inoltre, nell’ultima sezione verranno trattate tematiche
economiche, culturali, ambientali e di sicurezza nazionale e internazionale. In questo percorso, poi,
l’attenzione al linguaggio e all’uso della retorica da parte dei politici cinesi sarà sempre presente.
Tutto ciò per dire che tale studio è fondamentalmente uno studio multidisciplinare, che attinge
informazioni da più discipline e che le mette insieme per arrivare ad un risultato comune. Tale
approccio è stato in parte scelto deliberatamente e in parte è il frutto della scrittura in sé e dello
sviluppo del tema trattato. È impossibile, infatti, rimanere in unico campo disciplinare quando si vuole
indagare un concetto politico così complesso e stratificato come quello in esame.
10
Tuttavia, ritengo proprio che l’approccio multidisciplinare di questo studio sia anche il suo limite.
Concedere una trattazione esaustiva ad ogni argomento citato sarebbe stato dispersivo e
controproducente, pertanto sono stati approfonditi solo gli aspetti e i temi strettamente collegati al
fine di questo studio.