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L ’EVOLUZIONE
STORICA
DELLE ALPI E DELLA
SOCIETÀ ALPINA
Le regioni montane alpine e il genere umano condividono da lungo
tempo una storia comune. I percorsi e i processi di sviluppo e
cambiamento della morfologia alpina e della società umana insediatasi
si intersecano in momenti molteplici e dipendono l’uno dall’altro in
maniera molto stretta. Si tratta di una storia di reciproci adattamenti e
trasformazioni l’uno nei confronti dell’altro che, attraverso i secoli, hanno
contribuito a realizzare un equilibrio adeguato ad entrambi e a farlo
perdurare fino ad oggi.
Proponendo una lettura incentrata sull’evoluzione della presenza umana
nei territori alpini, possono essere distinte alcune fasi principali che ne
riassumono l’intero corso: dalla comparsa dell’età preistorica e il
realizzarsi dei primi processi di territorializzazione mediante il
sedentarismo, passando agli sviluppi di antropizzazione propedeutica
dei fondovalle e la creazione di modelli insediativi e giurisdizionali
dell’epoca romana per giungere al periodo medievale e ai suoi notevoli
cambiamenti che contribuirono a definire un paesaggio che ha
caratterizzato l’ambiente alpino per molto tempo fino all’età moderna e
contemporanea, ultimo tassello di una storia che ci ha restituito un
contesto montano fortemente infrastrutturato e urbanizzato.
1.1 Età preistorica: la comparsa dell’uomo e il passaggio da nomadismo
a sedentarismo
L’orogenesi della catena alpina ebbe il suo inizio 130-80 milioni di anni
fa quando iniziò a verificarsi l’emersione e il sollevamento dei primi
rilievi. Dopo le ultime notevoli spinte tangenziali delle placche terrestri
risalenti a 30 milioni di anni fa, fu l’azione erosiva di vento, pioggia,
acque correnti, neve, valanghe, frane, gelo e disgelo a contribuire nel
dare la forma, e cambiarla progressivamente, alle vette come le
conosciamo e vediamo oggi. Le valli e i versanti, invece, devono la loro
modellazione alle diverse fasi glaciali e ai millenari movimenti erratici
dei ghiacciai (Camanni, 2017).
Dal momento in cui l’uomo fece la sua comparsa nell’ambiente alpino,
da sempre la frequentazione della montagna è dipesa da un fattore di
ciclicità. Il susseguirsi o l’alternarsi di stagioni più o meno favorevoli,
principalmente considerate tali in base alle specifiche condizioni
climatiche, implicava una presenza stagionale, non continuativa e in
ogni caso non stazionaria o permanente. Proprio per questo, i primi
gruppi di individui che durante il tardo Paleolitico - circa 100.000 mila
anni fa - incominciarono ad avventurarsi nei territori di alta quota erano
estremamente mobili. Passando da terreno a terreno secondo la
convenienza dovuta alla stagione climatica in cui si trovavano, questi
praticavano la tuttora conosciuta pratica della transumanza. Ciò denota
Orogenesi della
catena alpina
Comparsa dell’uomo
nell’ambiente alpino
(100.000 - 3000 a.C.)
1
come già le comunità preistoriche, nonostante il loro nomadismo,
contribuirono ad un processo di territorializzazione ante tempore
1
dell’ambiente montano e, dunque, quanto la presenza dell’uomo, già da
allora, fosse in grado di apportarne delle modificazioni.
Senza dimenticare che di queste venivano anche lasciate tracce tangibili
- come nel caso proprio del territorio sondriese di cui tratteremo e di cui
si possono rintracciare testimonianze archeologiche - in particolare dal
2
momento in cui iniziarono a prendere forma i primi nuclei insediativi,
grazie ai tentativi di primordiale addomesticamento degli animali e
delle piante da pascolo e coltivo, a partire dal XI millennio avanti Cristo
con il ritiro dei ghiacciai e poi via via sempre più consolidandosi dal
5000 a.C. in poi. Fu tuttavia il III millennio a.C. a determinare le
condizioni per un “definito adattamento socio-culturale all’ambiente
alpino” che diede i natali alle società alpine stanziali ormai capaci di
sfruttare le potenzialità agricole e pastorizie dei terreni montani
(Camanni, 2017).
1.2 Epoca romana: l’antropizzazione del fondovalle e la nascita di
modelli insediativi e giurisdizionali
Il sopraggiungere della cosiddetta età antica registra invece, perlomeno
in principio, una sorta di avversione nei confronti dell’ambiente montano
alpino. Più precisamente, le Alpi non erano mai state abbandonate dalle
prime popolazioni che vi si erano insediate, tra le quali figuravano i
Liguri, i Reti e i Venetici. Ai primi, tra le altre cose, si fa risalire
l’introduzione delle attività di alpeggio (Salsa, 2019; Bartaletti, 2011).
Tuttavia, il verificarsi di una finestra climatica rigida tra il VII e il VI secolo
a.C. aveva reso inospitali e diffi cilmente accessibili le terre alte, motivo
3
per cui, nonostante la grande potenza romana fosse sorta nel 753 a.C.,
questa non colse mai l’occasione per conquistarle fino almeno al 63 a.C.
quando Augusto instaurò la dominazione imperiale (Salsa, 2019). Fino
ad allora, le Alpi erano vissute come territorio di frontiera diffi cile da
attraversare e da difendere adeguatamente dalle popolazioni ostili
oltralpe. Non è un caso che durante questo periodo vennero fondate o
4
rese di fondamentale funzione strategica alcune delle principali città
«Ciò che si denisce “territorio” […] nasce nel momento in cui l’azione umana si esercita con una qualche
1
sistematicità sugli ecosistemi, sul suolo, sulla rete dei corsi d’acqua e […] sulla crosta terrestre e sul clima. […]
Un’azione di più stabile trasformazione materiale del territorio e di una suddivisione attraverso conni, di sua
rimodellazione materiale e simbolica» (Lanzani, 2020).
Valchiavenna, Pian dei Cavalli e Grosio; ma anche e soprattutto le più famose testimonianze della Valcamonica e
2
della Valle di Susa, risalenti al VI-V millennio avanti Cristo (Salsa, 2019; Bartaletti, 2011; Camanni, 2017).
Büntgen, U., Myglan, V. S., Ljungqvist, F. C., McCormick, M., Di Cosmo, N., Sigl, M., et al. (2016). Cooling and
3
societal change during the late Antique little ice age from 536 to around 660 AD. Nature Geoscience, 9, 231–236.
https://doi.org/10.1038/ngeo2652
Non bisogna dimenticare inoltre che «il primo importante contatto con le Alpi fu nel 218 a.C.», anno che
4
coincide con un evento drammatico per i Romani, ovvero la «discesa di Annibale in Italia e delle sue prime
straordinarie vittorie» (Giorcelli, 2019).
La finestra climatica
dell’età antica, le
prime popolazioni e
la conquista romana
(3000 a.C. - V sec.
d.C.)
2
L ’evoluzione storica delle alpi e della società alpina
romane allo sbocco delle valli Alpine (Aosta, Torino, Ivrea, Como, Brescia,
Trento, Aquileia tra le altre). Giunto il 6 a.C., l’erezione del Trofeo delle
Alpi sul colle de La Turbie è riconosciuto come l’atto formale della
sottomissione delle popolazioni alpine all’Impero (Camanni, 2017). Ciò
permise ai Romani di affacciarsi all’ambiente alpino mediante una
diversa prospettiva, secondo la quale questa barriera prima invalicabile
potè diventare un insieme di corridoi di transito grazie alla realizzazione
di vie consolari, tra le quali la Via Publica verso le Gallie, la via Claudia e
la via Iulia (Giorcelli, 2019). Inoltre, sotto l’ingerenza romana si ravvidero
nei territori alpini nuove opportunità di valorizzazione delle risorse
territoriali, contribuendo a nuove modificazioni del paesaggio con
l’introduzione di attività innovative quali la viticoltura e la produzione
casearia (Salsa, 2019).
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1.3 Epoca medievale: la costruzione delle fondamenta del paesaggio
alpino
Successivamente alla caduta dell’Impero Romano, sono i popoli
cosiddetti barbari a diventare protagonisti nella catena alpina.
Sfruttando l’instabilità politica sopravvenuta, questi compierono invasioni
e devastazioni che obbligarono le preesistenti popolazioni alpine ad
abbandonare conoidi di deiezione e fondovalle solatii da loro a lungo
occupati (Bartaletti, 2011). L’insediamento di popolazioni germaniche e
slave verificatosi dal VI secolo fece scaturire almeno due principali
conseguenze: un diverso uso del territorio montano - sia dal punto di
vista culturale grazie ad una maggior capacità di adattamento rispetto a
quella dimostrata dai Romani, sia da quello produttivo-economico dove
primeggiavano l’allevamento bovino e l’insediamento sparso a “maso
chiuso” fondato sull’economia del legno (Bartaletti, 2011) - e una
diversità/divisione linguistica dell’arco alpino (Camanni, 2017). Questi
due tratti, assieme, definirono una vera e propria distinzione che perdura
fino ad oggi tra Alpi Occidentali e Orientali.
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Tuttavia, è con l’arrivo dell’anno Mille, carico di molteplici significati, che
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avvenne una vera e propria colonizzazione rurale dell’arco alpino, anche
grazie al sopravvenire di un periodo di optimum climatico. Grazie al ritiro
dei ghiacciai, divenne possibile innalzare la quota delle coltivazioni, delle
In ogni caso, durante l’epoca romana lo sviluppo del paesaggio alpino difcilmente superò le basse quote dei
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fondovalle e dei corridoi vallivi, rimanendo al di sotto dei 1000 metri. Basti pensare che l’iconico colle de La
Turbie, simbolo della sottomissione dei popoli alpini, si trova ad un’altitudine di 480 m s.l.m. (Salsa, 2019).
Questa differenza si riette tutt’oggi, oltre che nei metodi costruttivi (nuclei compatti in pietra nelle alpi romanze
6
occidentali, case sparse in legno in quelle germaniche orientali), nella suddivisione e trasmissione ereditaria dei
terreni: agricoltura intensiva e progressiva parcellizzazione dell’appezzamento tra diversi eredi in un caso,
allevamento estensivo negli alpeggi e maggiorascato con trasmissione della proprietà al solo primogenito nell’altro
(Bartaletti, 2011).
sia per un notevole aumento demograco registrato, sia per il mito mistico-religioso dell’Apocalisse universale
7
ad esso legato (Salsa, 2019).
L’insediamento delle
popolazioni barbare
germaniche e slave e
la nascita di un nuovo
contesto territoriale-
culturale della
montagna
(VI-XI sec.)
L’optimum climatico
medievale,
l’innalzamento della
quota delle abitazioni
permanenti e il
periodo delle Alpi
aperte
(XII-XV sec.)
3
abitazioni permanenti oltre ai 1000 metri e degli alpeggi stagionali al di
sopra dei 2000 metri (Camanni, 2017; Salsa, 2019). Ciò fu sospinto
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anche da decisioni politico-amministrative che favorivano
economicamente le famiglie decise ad assumere la conduzione di
attività e l’insediamento nelle terre alte, andando ad occupare anche
territori vergini e disabitati: perciò si parla di questo periodo anche come
età dei dissodatori, dove grandi operazioni di decespugliamento,
spietramento e terrazzamento mutarono ulteriormente l’aspetto
paesistico delle Alpi (Salsa, 2019).
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In questo senso, fu la speciale libertà di cui godevano questi nuclei
sociali che permise di dare inizio al cosiddetto periodo delle Alpi
“aperte”. Vennero dunque a crearsi autonomie delle regioni alpine di
antico insediamento (Bätzing, 2005) dove uomini liberi svincolati dalle
pesanti coercizioni imposte attraverso la servitù della gleba, che invece
imperava in altri contesti rurali, potevano disporre liberamente dei
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fondi assegnati e addirittura trasmetterli in linea ereditaria (Salsa, 2019).
E nonostante l’avvento della peste del 1348, l’economia montana non
conobbe crolli ma anzi si sviluppò ulteriormente mediante l’estrazione e
l’esportazione di minerali e sale e la specializzazione nell’allevamento e
nella produzione casearia che necessitavano di sempre più ampi spazi
aperti. Proprio per questo l’alpeggio e il maso divennero il segno
dell’antropizzazione duratura e capillare della montagna, ormai
considerabile luogo della civiltà come ambito abitativo e di connessione,
comunicazione e relazione. Un esempio fu la nascita dei PaßStaten, i
quali accomunavano versanti opposti separati dai crinali per trarne i
maggiori benefici dal punto di vista economico, ambientale e sociale
(Bartaletti, 2011; Salsa, 2019).
1.4 Età moderna: la conquista delle vette e l’origine del processo di
infrastrutturazione
L’avvento di una nuova, seppur piccola, età glaciale tra il ‘500 e il ‘700
determinò un cambio di passo per l’ambito montano, sia dal punto di
vista economico sia rispetto alla condizione di autonomia
amministrativa. Infatti, le pratiche colturali e di allevamento scesero di
quota e diminuirono di portata, il che contribuì in ogni caso
all’introduzione di alcune innovazioni quali la coltivazione della patata,
diffusasi con successo grazie alla sua adattabilità (Salsa, 2019; Bartaletti,
Nella provincia di Sondrio più avanti trattata, fu insediata proprio in questo periodo il villaggio di Trepalle a
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Passo d’Eira nei pressi di Livigno (Salsa, 2019).
Inne, furono fondamentali anche una successione di eventi storico-politici a larga scala, tra cui l’alleanza tra
9
mondo latino e germanico suggellata dalla nascita del Sacro Romano Impero: ciò permise di intendere le Alpi
come luogo di permeabilità e collegamento tra nord e sud Europa (Salsa, 2019).
Fu anche per questo motivo che generalmente i centri alpini poterono godere di un benessere superiore alle
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città extra-alpine, anche grazie ad un regime alimentare più variato (Bartaletti, 2011).
4
L ’evoluzione storica delle alpi e della società alpina
2011). Inoltre, si manifestò un primo fenomeno di emigrazione stagionale
verso le campagne della pianura che inevitabilmente pose in
subordinazione il contesto alpino a quello urbano; allo stesso tempo,
però, ciò permise di tessere scambi tra montagna e città sempre più vivi
e necessari da una parte e dall’altra (Salsa, 2019; Camanni, 2017).
Tuttavia, la formazione dei cosiddetti Stati nazionali fortemente
centralizzati dell’età moderna e la sottoscrizione del Trattato di Utrecht
(1713) cancellarono proprio le autonomie concesse precedentemente,
introducendo una nuova concezione di confine che spezzò la contiguità
territoriale e comunitaria delle terre montane rese non più spazio di
libera relazione ma di frontiera controllata (Camanni, 2017; Salsa, 2019).
In questo senso, si operò nel segno della frantumazione degli spazi
montani, fattore che si ritiene abbia influito sul progressivo
spopolamento, sull’insuffi ciente apporto delle risorse locali e sulla
subalternità, anche per quanto riguarda le modalità e i criteri di gestione
del territorio e del paesaggio, nei confronti del contesto culturale extra-
alpino (Salsa, 2019).
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Durante il XIX secolo si manifestò invece un duplice interessamento nei
confronti della catena alpina. Da un lato, con il Romanticismo sorse una
percezione estetica sublime della montagna, per la quale crebbe a
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dismisura la curiosità sia scientifica (geologi, cartografi, botanici) sia
artistica (pittori, scrittori, pensatori) oltre ad un nuovo spirito di
esplorazione che spinse i pionieri dell’alpinismo ad avventurarsi sui
pendii e sulle vette alpine (Camanni, 2017). Dall’altro lato, invece, la
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Rivoluzione industriale non fece altro che ampliare la marginalizzazione
e il soggiogamento delle aree montane, rese strumento di sfruttamento
e arricchimento della città secondo i suoi interessi di sviluppo e crescita
economica. La localizzazione delle industrie infatti avvenne
principalmente nei siti più favorevoli per le comunicazioni e la
disponibilità di energia, il che in montagna significava farlo solo nei
fondovalle più accessibili; l’agricoltura e l’allevamento, invece, risentirono
della mancata ottimizzazione operata nei centri della pianura e per
questo entrarono in crisi, ad eccezione delle produzioni orientate
all’esportazione. Inoltre, ciò implicò una profonda trasformazione del
paesaggio alpino riconducibile all’inaugurale processo di urbanizzazione
montana: grandi stabilimenti chimici e metallurgici, cave di carbone e
«La crisi settecentesca viene dal basso, dalle pianure dalle città. L’impoverimento e lo spopolamento delle valli
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non sono le “naturali” conseguenze del carattere severo dell’ambiente alpino […], ma sono l’effetto
dell’isolamento politico ed economico imposto da capitali lontane e indifferenti» (Camanni, 2017). Un’ingerenza
che in alcuni casi tutt’oggi si registra e che, comunque, no a poco tempo fa è rimasta immutata.
Di cui ancora oggi capita di avere anacronistica reminiscenza, spesso usata come specchietto per le allodole di
12
un attuale contesto montano non sempre così idilliaco (consumo di suolo, cambiamenti climatici, sfruttamento
delle risorse, abbandono e crisi economica) e di cui si tratterà più avanti.
Grazie a questi si deve certamente attribuire la nascita dei primi rifugi d’alta quota.
13
La curiosità
scientifica e artistica
per le Alpi, la
marginalizzazione e
l’infrastutturazione
delle aree montane
(XIX sec.)
5
minerali e centrali idroelettriche entrarono a far parte dell’immaginario
montano (Bartaletti, 2011).
Ad ogni modo, i due fenomeni correlati contribuirono ad un ulteriore e
progressivo sviluppo urbano della catena alpina grazie all’evoluzione e
all’implementazione dei collegamenti stradali, dei passaggi di valico e
delle infrastrutture di collegamento e mobilità, ma anche dei servizi di
villeggiatura e ospitalità. Da un lato, le imprese delle spedizioni
esplorative e dall’alpinismo attirarono l’interesse della borghesia
cittadina, la quale sempre più spesso decideva di spendere periodi di
viaggio e tempo libero più o meno lunghi in altitudine ; perciò
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l’industria alberghiera e del turismo trovarono terreno fertile per mettere
radici. Dall’altro lato, per raggiungere con sempre più facilità le località
alpine, anche in ottica industriale e per il trasferimento di merci e
materie prime, si realizzarono vie ferrate (tra cui la via del Fréjus) e si
prolungarono o realizzarono i vettori della viabilità che giungevano fino
ai principali valichi esistenti (Moncenisio, San Bernardo e San Gottardo,
Brennero e Sempione). Ciò comportò comprensibilmente la
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modificazione della morfologia montana tramite la realizzazione di
trafori, gallerie e viadotti (Bartaletti, 2011).
1.5 Età contemporanea: l’impatto di antropizzazione, urbanizzazione e
turismo sugli ecosistemi e il clima montani
Alle soglie del ‘900, il turismo di massa iniziò a caratterizzare in modo
sempre più convinto l’arco alpino. Nacquero le strade turistiche di
collegamento (Stelvio e Grande Strada delle Dolomiti), in diversi casi
mascherando la loro principale natura strategico-militare, e sorsero i
grandi alberghi a struttura monumentale, spesso armonicamente
incoerenti con il paesaggio e l’habitat tradizionale. Se inizialmente era il
periodo estivo quello prediletto per i soggiorni di lunga durata, con
l’avvento degli sport invernali e della relativa offerta turistica - che deve
le sue origini a Sankt Moritz in Svizzera - le montagne vennero
trasformate in luoghi di piacere a tutto tondo, dove letteralmente si
trasferirono pezzi di città - auto, motori, elettricità, funivie. Così la cultura
consumistica, insostenibile e imprevidente per un simile contesto, si
propagò fin nell’ambito montano (Bartaletti, 2011; Camanni, 2017;
16
Ferrari, 2023).
Anche il termalismo nei fondovalle, n già dal Settecento, e il climatismo medico (elioterapismo e qualità
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climatiche e ambientali banalmente identicabili nello stereotipo “aria pulita di montagna”) contribuirono ad
alimentare il fenomeno (Bartaletti, 2011).
Ad ogni modo, almeno inizialmente le strade evitavano per quanto possibile i fondovalle e si arrestavano spesso
15
ai piedi dei valichi (Bartaletti, 2011).
P. Mantziaras ritiene che «le Alpi sono dunque trasformate in una realtà funzionale al tempo libero dell’uomo
16
moderno, sono diventate una gigantesca infrastruttura, un non-lieu» (Del Curto, 2016).
L’avvento del turismo
di massa e la nascita
dei grandi centri
turistici, l’abbandono
dei centri minori
(inizi XX sec.)
6
L ’evoluzione storica delle alpi e della società alpina
L’effetto che tutto ciò sortì gradualmente sulle Alpi e sui suoi abitanti fu
significativo: mentre in alcuni luoghi notevoli l’ambiente montano venne
in modo inedito riconosciuto come centro di svago e nuovo
prolungamento cittadino, i montanari furono costretti a cercare lavoro
proprio nei centri urbani. Al contrario, dove né il turismo né
l’industrializzazione riuscirono ad affermarsi, i paesi andarono
svuotandosi e i masi vennero abbandonati (Bätzing, 2005).
Conseguentemente, molti alpeggi tornarono a coprirsi di alberi, anche a
causa delle richieste di legna da carbone di necessità industriale,
vanificando un lungo processo di razionalizzazione e gestione degli
ecosistemi agro-silvo-pastorali (Camanni, 2017). Nel caso italiano, poi,
l’abolizione degli usi civici (1927) osò negare l’uso collettivo delle risorse
boschive e pascolative che fino ad allora e da immemorabile tempo
regolavano i rapporti tra comunità alpine; un’operazione questa, in capo
alla smania accentratrice del fascismo, che minò una delle ultime
genuine forme di autonomia gestionale delle terre alte (Bartaletti, 2011).
Il boom economico portò alle luci della ribalta una nuova classe media -
desiderosa di benessere dopo l’austerità costretta dai due conflitti
mondiali - la quale instaurò un contatto con la montagna basato sulla
stagionalità. L’accettazione dell’offerta alberghiera non era più infatti di
esclusiva prerogativa borghese, e la realizzazione di nuovi edifici
residenziali permetteva di soggiornare in appartamenti in affi tto o
acquisiti; questi si dimostrarono ancora più utili con la nascita dello
status symbol della “settimana bianca” grazie all’inarrestabile sviluppo
dello sci e la comparsa degli impianti di risalita (Davos, Cortina
d’Ampezzo, Garmisch, Sestriere, Bormio e Livigno) . In questo senso,
17
l’avallo di programmi di intervento basati sul Plan Neige (1964), di cui fu
promotore il governo francese , mise in atto una cantierizzazione a
18
vasta scala delle Alpi per la realizzazione delle cosiddette stations
intégrées, in cui piste da sci, strade, alloggi e servizi dedicati si
concentravano in un unico nucleo anche ad alta quota, anche a costo di
sfregiare l’ecosistema preesistente realizzando stazioni villaggio ex nihilo.
In aggiunta, il mercato immobiliare speculativo di appartamenti per
vacanze e seconde case si dimostrò molto attivo anche in piccole
località sulle cui recenti infrastrutture di risalita incombeva un futuro
incerto fin dall’inizio. Alcune di queste, infatti, già tra gli anni ’80 e ’90
caddero in disgrazia proprio per la sfavorevole combinazione di bassa
Ad un certo punto si potè parlare propriamente di industria dello sci e del turismo stagionale ad esso legato, che
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in molti casi soppiantò le attività industriali del fondovalle, cambiando i rapporti di forza tra questi e le terre alte
rispetto a come si erano instaurati a inizio del ‘800 (Del Curto, 2018).
Il modello fu applicato principalmente in Francia, ma fu replicato anche in altre località alpine: Viola St. Gréé,
18
in Valle Mongia sulle Alpi liguri, ma anche Sansicario, Montecampione, Marilleva (Ferrari, 2023; Bartaletti, 2011).
Il boom economico e
la nascita
dell’industria turistica
legata agli sport
invernali e il mercato
immobiliare
speculativo
(anni ’60-’90)
7
altitudine, surriscaldamento climatico e conseguente diminuzione delle
precipitazioni nevose (Bartaletti, 2011; Ferrari, 2023; Franco, 2016).
Oggi, a seguito di un processo di de-industrializzazione che ha
interessato i centri urbani così come i contesti montani a partire dagli
anni ’70 e il conseguente fenomeno di dismissione degli stabilimenti
manifatturieri, la montagna alpina ha dato inizio ad un ampio processo
di ristrutturazione economica che vede trarre grandi profitti dal turismo,
sia da quello invernale - grazie ad un’offerta estesa e razionalizzata - sia
da quello estivo - il quale ha ritrovato il suo fascino dopo un periodo di
crisi. In entrambi i casi, l’offerta sta diventando sempre più eterogenea:
se le vacanze sugli sci continuano a essere un forte fattore attrattivo -
nonostante la neve sia sempre meno e si faccia sempre più ricorso ai
cannoni da innevamento artificiale dall’alto prezzo economico e
ambientale - la montagna sta tuttavia diventando luogo di molteplici
tipologie di leisure, sia per consolidare sia per rilanciare la propria
immagine. Per esempio, le economie legate alle più diverse attività
sportive e a contatto con l’ambiente naturalistico (cicloturismo ed
escursionismo in primis), la valorizzazione culturale di borghi e località,
le travel experiences, le strutture ricettive family friendly, il turismo del
wellness e del beauty, l’incontro tra gastronomia tradizionale locale e alta
cucina (soprattutto nei rifugi e negli alberghi), oltre alla promozione
paesaggistica. Per di più, sembrerebbe esserci un nuovo stimolo relativo
alla “riabitazione della montagna” anche grazie alla diffusione della
19
rete internet e a nuove opportunità di imprenditorialità, e all’emersione
di una società di “nuovi montanari” composta sia da cittadini in cerca di
un ambiente di sperimentazione per nuovi modi di abitare e produrre
sia da nativi con l’ambizione di vedere valorizzate le risorse locali del
proprio territorio (Camanni, 2020; Mercalli, Cat Berro, 2016; Alpi e
20
Turismo, 2006; Mercalli, 2020)
Tuttavia, la situazione rimane abbastanza invariata per quanto riguarda il
confronto tra centri attrattivi e aree interne, inserite in un processo di
polarizzazione del territorio alpino che comprende “l’abbandono di
territori marginali e la densificazione e lo sfruttamento intensivo di
alcune aree montane privilegiate”, per di più ulteriormente accentuate
dagli effetti della recente crisi da Covid-19 (Sega, 2016). Inoltre,
nonostante l’evidente rilevanza rappresentata dalle piccole e medie città
alpine variamente sorte (Perlik, Messerli, Bätzing, 2001), le quali
rappresentano allo stesso tempo centralità locali e punti di connessione
Buona parte è dovuta a trend emergenti relativi agli amenity/lifestyle migrations, al neo-ruralism e al residential
19
recreation.
Ovvero permettersi la possibilità di risiedere in montagna senza rinunciare, almeno completamente, alle proprie
20
attività professionali mediante il telelavoro e l’accesso alle informazioni (Mercalli, 2020).
L’eredità di un
modello di sviluppo
obsoleto,
l’evoluzione
dell’offerta turistica
e la necessità di una
nuova abitabilità e
sensibilità ambientale
per la montagna
8
L ’evoluzione storica delle alpi e della società alpina
con i sistemi metropolitani limitrofi, queste contribuiscono al perseverare
del consumo di suolo e di operazioni immobiliari speculative, oltre ai
numerosi bandi e progetti per la realizzazione o il ripristino di impianti
di collegamento intervallivi o tra domini sciabili contigui o di piccole
stazioni oramai dismesse, nonostante un persistente e immenso
patrimonio edilizio e infrastrutturale da riconvertire (Corrado, 2016;
Bartaletti, 2011).
Infine, anche a causa del significativo sviluppo antropico e delle
emissioni impattanti generate dalle attività umane, al giorno d’oggi il
contesto alpino si trova costretto ad affrontare un ulteriore scenario
riguardante gli effetti del cambiamento climatico. Seppur in corso
nell’intero pianeta, questi sortiscono delle implicazioni maggiormente
evidenti nelle regioni di montagna, particolarmente sensibili in quanto
riuniscono in un’area ristretta ambienti differenti per quota, esposizione
e influenza delle circolazioni atmosferiche; per questo motivo, le fasce
alpine possono essere considerate delle vere e proprie hot spots ad alto
rischio climatico (IPCC, 2014). Infatti, variazioni poco percepibili nelle
zone di pianura vengono amplificate nelle aree montane rispetto, per
esempio, all’aumento della temperatura media e all’incremento
dell’instabilità e del rischio idrogeologico e della conseguente
vulnerabilità dei contesti antropici e urbanizzati, oltre a questioni
specifiche del contesto quali la riduzione dei ghiacciai e della durata del
manto nevoso alle diverse altitudini.
Per quanto riguarda la caratterizzazione termica degli ambienti di
montagna, si è difatti registrato un incremento sostanziale nel corso
degli ultimi due secoli, quasi doppio rispetto alla media mondiale,
rendendoli meritevoli di attenta osservazione. Alcune cause potrebbero
essere rappresentate dall’effetto di riduzione di neve e ghiacci che
incidono fortemente sull’albedo, aumentando il riscaldamento della
superficie terrestre per la minore quantità di superficie riflettente i raggi
solari che incidono su di essa. Ciò è dovuto anche ad una ridotta
capacità di mantenimento della temperatura atmosferica invernale a
livelli adeguati che implica maggiori precipitazioni di carattere pluviale
piuttosto che nevoso anche a quote elevate, al netto di periodi asciutti
maggiormente prolungati. Questo si riflette sull’alterazione del regime
delle piogge e una conseguente intensità maggiore durante gli eventi
piovosi che, se in grado di compiere notevoli danni in pianura, non
risparmierebbero nemmeno i contesti montani e i loro abitanti per via
della vulnerabilità legata ad una sostanziosa occupazione del territorio,
in particolare nei fondovalle dove giungono i deflussi di piena e le
mobilizzazioni di detriti erosi dai depositi morenici. Per questo motivo,
Lo scenario della crisi
climatica e gli effetti
sulla montagna alpina
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l’instabilità idrogeologica della montagna diventa ancora più evidente
per via di periodi sempre più anomali e discontinui per quanto riguarda
i regimi di deflusso dei corsi d’acqua a valle con il rischio di finestre
temporali di portata ridotta e siccità anticipate e prolungate rispetto ai
consuetudinari riferimenti stagionali, apportando elementi di criticità
per l’approvvigionamento idropotabile, la produzione idroelettrica e
l’agricoltura ma anche rispetto ai rischi legati alle dinamiche glaciali, le
quali prevedono la scomparsa di circoli e calotte oltre ad improvvisi
svuotamenti di nuovi laghi e crolli di seracchi, eventi notevoli sempre più
numerosi e che hanno visto il loro culmine nell’eclatante distacco di una
parte del ghiacciaio della Marmolada nell’estate del 2022.
Una tale minaccia climatica non si limita esclusivamente agli effetti sugli
ambienti umani altresì sugli ecosistemi e la biodiversità animale e
vegetale. Infatti, se già l’espansione della presenza umana ha contribuito
alla frammentazione di habitat e di corridoi ecologici intaccando la
capacità di adattamento, migrazione e sopravvivenza delle specie viventi
ospitate negli ambienti montani, i cambiamenti climatici potrebbero
aumentare ed accelerare l’evoluzione di questo fenomeno indebolendo
la ricchezza in termini di biodiversità e la rilevanza per quanto riguarda
l’attitudine al sequestro e all’assorbimento di carbonio e sostanze
climalteranti: lo stress fisiologico dovuto alla siccità, la predisposizione
all’attacco di parassiti come il bostrico e l’aumento degli eventi
incendiari di boschi e sottoboschi sono solo alcuni degli effetti che già
interessano il contesto montano alpino e che costituiscono uno scenario
presente e futuro da affrontare con emergenza (Mercalli, Cat Berro,
2016).
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L ’evoluzione storica delle alpi e della società alpina