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1. Pay Tv e Piattaforme
Alla fine degli anni Novanta, contemporaneamente alla messa in onda delle prime serie
nazionali prodotte dalla tv generalista, arriva in Italia una novità: la televisione tematica.
Nascono quindi le prime piattaforme televisive a pagamento.
La differenza fondamentale con Rai e Mediaset è sicuramente quella di proporre
un’offerta molto più selettiva, basata sui gusti e sulle scelte degli spettatori e dotata di una
coerenza tematica interna. Enrico Menduni in I linguaggi della radio e della televisione.
Teorie, tecniche, formati parla di tecnologia push per quel che riguarda la tv generalista e
pull per la tv tematica. Nel primo caso indica la necessità della tv di andare incontro ad uno
spettatore «distratto» e passivo, privo di scelta. Nel secondo caso si ribalta la situazione: lo
spettatore diventa attivo ed è lui stesso a scegliere cosa vedere. Inoltre commenta così il
passaggio dal primo tipo al secondo:
Nel passaggio da push a pull si perdono quasi tutte le caratteristiche della
neotelevisione, salvo il ritmo. Poiché lo spettatore sceglie un contenuto
determinato, non c’è flusso, non c’è necessità d’inglobare ogni spettacolo
dentro un contenitore, non c’è la necessità di raggiungere in ogni momento
tutte le tipologie di spettatori […].
47
Cambia quindi il rapporto con lo spettatore, che diventa responsabile delle proprie scelte
televisive.
Già dal 1996 arriva in Italia la prima piattaforma a pagamento per televisione satellitare
che prende il nome di TELE+ Digitale. Quest’ultima, il 31 luglio 2003, fondendosi con
un’altra piattaforma a pagamento chiamata Stream TV , dà vita a Sky Italia. Dal punto di vista
della serialità televisiva, appena qualche anno dopo la nascita di Sky cominciano ad arrivare
le prime serie nazionali prodotte dalla piattaforma. La particolarità di queste serie, che le
rende differenti da quelle prodotte dalla tv generalista, è che seguono i criteri della
televisione tematica e quindi posseggono una maggiore identificabilità, data dal fatto che
ogni prodotto deve rispettare una coerenza interna riguardante la maggior parte delle scelte
di produzione. Si crea così un vero e proprio “modello Sky”, attraverso il quale si
plasmeranno le serie prodotte dalla piattaforma, che in questo modo saranno sempre
facilmente riconoscibili. Questa estrema selettività ricade ovviamente anche sulle scelte
musicali, su cui si tende nella maggior parte dei casi a prestare una maggiore attenzione, per
47
E. Menduni, I linguaggi della radio e della televisione. Teorie, tecniche, formati., Editori Laterza, Bari
2002,2006, pag. 190
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far sì che anche le musiche siano coerenti con l’immagine generale che si vuole dare del
prodotto.
La prima serie prodotta da una piattaforma a pagamento che riscontra un grandissimo
successo è Boris (2007-2022)
48
. La serie, di cui è stato fatto anche un film nel 2011, viene
prodotta per le prime tre stagioni da Wilder per Fox (canale televisivo tematico di Sky Italia),
mentre l’ultima è stata prodotta a distanza di dodici anni da The Apartment per la piattaforma
streaming Disney +. Non è un caso che sia proprio questa serie a fare da spartiacque tra una
prima ed una seconda fase della serialità italiana. Infatti, la trama di Boris verte proprio sulla
costante presa in giro dei meccanismi di produzione di una qualsiasi fiction italiana a basso
budget prodotta dalla tv generalista. Lavoratori svogliati, favoritismi e sfruttamenti stanno
alla base della serie, che narra delle peripezie legate alla messa in scena della soap opera
fittizia Gli occhi del cuore, con una potentissima carica ironica. In questo modo Boris sembra
prendere le distanze dalla “vecchia serialità”, per comunicare la volontà di approdarne ad
una nuova.
Dal punto di vista musicale in Boris ciò che risalta è, come nelle serie generaliste,
prevalentemente la sigla. Il brano Gli occhi del cuore (Elio e le Storie Tese, Hukapan Spa,
2011) prende appunto il nome dalla soap opera a cui i protagonisti della serie lavorano e si
mostra in perfetta sintonia tematica con il resto del prodotto. Infatti, ciò che colpisce
maggiormente è il registro umoristico e parodico della canzone, riflettente l’essenza stessa
della serie, che non è altro che una parodia del mondo della televisione italiana. Sin dalla
scelta dell’autore della sigla è evidente l’intento parodistico. Infatti, il brano è affidato ad un
noto gruppo musicale italiano che della comicità e stravaganza fa i propri capi saldi: gli Elio
e Le Storie Tese, capitanati da Stefano “Elio” Belisari. Allo stesso gruppo sarà affidato un
secondo brano, per il film, intitolato Pensiero Stupesce (Elio e Le Storie Tese, Hukapan Spa,
2011), che nel gioco di parole del titolo e nel giro di accordi del ritornello si rivela una
parodia alla lontana della famosa Pensiero Stupendo (Patty Pravo, RCA Records, 1978) di
Patty Pravo. Con l’uscita del film verrà poi pubblicato un album intitolato Boris (Hukapan,
2011), che raccoglierà tutti i brani composti per la serie ed il film, compresa Gli occhi del
cuore.
Tornando alla sigla, il brano è composto da un testo cantato da Elio, in cui, in uno stile
canoro e melodico che sembra fare il verso alla tipica sigla da soap, elenca una serie di frasi
48
D. Cardini, G. Sibilla, La canzone nelle serie tv. Forme narrative e modelli produttivi, Pàtron Editore,
Bologna 2021, pag. 138
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che diventeranno poi tormentoni della serie. Sono frasi iconiche per tutti gli spettatori che,
sentendole ripetere in continuazione, le fanno proprie, inserendole nel linguaggio
quotidiano.
A inizio di ogni episodio su questo brano scorrono le presentazioni dei personaggi, in una
maniera del tutto singolare. Infatti troviamo questi ultimi che si rivolgono direttamente verso
lo spettatore (attraverso lo sguardo in macchina) mentre con le labbra imitano le parole della
canzone, facendo proprio un lip sync
49
. Inoltre, nei titoli non vengono presentati col nome
dell’attore che li interpreta, ma col nome del personaggio ed il sottotitolo che ne delinea la
mansione all’interno della produzione della soap Gli occhi del cuore. Avremo quindi Stanis
La Rochelle al posto di Pietro Sermonti, Renè Ferretti al posto di Francesco Pannofino, ecc...
È allora esaustiva la definizione che ne danno Daniela Cardini e Gianni Sibilla che parlano
de Gli occhi del cuore come di una «meta-sigla
50
». Infatti, attraverso questi espedienti
elencati in precedenza
51
, sembra che la sigla voglia introdurre ad un mondo “a parte”, che
esiste e si fonde con la realtà dello spettatore, ma dotato contemporaneamente di una propria
autonomia. Viene inoltre completamente riscritto il testo in occasione della quarta stagione,
in cui la sigla diventa Gli occhi del cuore - Una storia nuova (Elio e le Storie Tese, 2022),
mantenendo comunque la melodia e lo stile di scrittura originali. Viene esplicitata quindi
l’intenzione di narrare una storia nuova, ma viene fatto sempre attraverso l’utilizzo di parole
o frasi chiave già presenti in sceneggiatura, che costantemente vengono ripetute nel corso
degli episodi
52
. In questo modo lo spettatore si sente totalmente proiettato all’interno della
storia, abolendo confini tra realtà e finzione.
Per quanto riguarda le scene, la musica è pressoché inesistente se non nelle sequenze in
cui si gira la soap e vengono inseriti archi drammatici in sottofondo, volti ad enfatizzare
maggiormente il tratto caricaturale della situazione narrativa. Nella quarta stagione si trova
però un caso molto interessante di sequenza musicale, che si allinea perfettamente al registro
narrativo della serie. Nell’ultimo episodio (Gli Occhi del Cuore Sacro di Gesù) infatti
troviamo il regista Renè Ferretti alle prese con alcune pratiche illegali da lui effettuate per
mettere in circolo una “serie parallela” a cui ha lavorato. Il regista, trovandosi al cospetto di
un gruppo di legali aventi l’obiettivo d’intentargli causa, in un momento di disperazione
49
Ovvero la totale sincronizzazione tra i movimen� delle labbra e una voce che canta in sotofondo.
50
D. Cardini, G. Sibilla, La canzone nelle serie tv. Forme narrative e modelli produttivi, Pàtron Editore,
Bologna 2021, pag. 152.
51
Quindi i costan� rife rimen� nel testo a parole chiave presen� in sceneggiatura e l ’assenza nei �toli di
testa dei veri nomi degli interpre� .
52
Ad esempio è presente nel testo un riferimento a «Non lo famo, ma lo dimo», frase diventata
tormentone della quarta stagione.
40
inizia a replicare sulle note di What a feeling (Irene Cara, Geffen Records, 1983) la scena
finale del film musicale Flashdance (Adrian Lyne, PolyGram Pictures, 1983), in cui la
protagonista Alex (Jennifer Beals) si esibisce al cospetto dei giudici in un ambiente molto
simile a quello di Ferretti. Renè, mosso dalla voce dello sceneggiatore defunto che gli
sussurra «segui la musica», con indosso gli scaldamuscoli, fa partire il giradischi ed inizia a
ballare sulle note del brano (Fig.7). Poi sbaglia, si scusa, si ferma e ricomincia, proprio come
Alex in Flashdance. Quello che ne viene fuori è una fedele riproduzione dell’iconica
sequenza, in chiave però goffa e divertente, che nel no sense complessivo della scena
permette a Renè di convincere i legali a non fargli causa. L’inserzione del brano e della scena
all’interno dell’episodio sembra essere completamente fuori contesto, ma è proprio questo
che crea l’effetto parodistico che rende la sequenza in perfetta continuità con il registro
comunicativo della serie. In questo modo la scena, dai tratti geniali, diventa uno dei momenti
iconici della cosiddetta “stagione revival”
53
.
Fig. 7 Renè Ferretti (Francesco Pannofino) riproduce la scena finale di Flashdance.
Boris farà dunque da ponte di passaggio da una vecchia ad una nuova serialità,
rappresentata dal già citato “modello Sky” di cui si fanno capostipiti due serie in particolare,
53
Così è stata soprannominata la quarta stagione di Boris.
41
che arrivano esattamente un anno dopo: Romanzo Criminale (2008-2010) e Quo V adis Baby?
(2008). Per comprendere meglio in cosa consiste questo nuovo modo di fare serie riportiamo
quanto detto da Massimo Scaglioni e Luca Barra riguardo i tratti fondamentali della fiction
Sky:
Deve allontanarsi dalla ferialità quotidiana, deve invece in qualche modo
rappresentare un caso, un prodotto ad alta riconoscibilità e comunicabilità. I
progetti sviluppati partono da temi o da matrici di impatto immediato: marchi
mediali già affermati in altri prodotti (i bestseller, poi lungometraggi di
successo, Romanzo Criminale e Gomorra, o il personaggio di Diabolik) oppure
fenomeni e storie nazionali di grande rilevanza e notorietà non ancora oggetto
di narrazione altrove. Il tema riconoscibile deve trasformarsi in uno stile
altrettanto caratterizzato che trovi riverbero in tutti i tratti creativi e di brand
del prodotto: il look estetico visivo, il logo, il tono di voce complessivo, il cast,
la scrittura, gli strumenti di comunicazione e marketing.
54
Come già accennato in precedenza, anche dal punto di vista musicale avvengono dei
cambiamenti. Questo accade perché ogni produzione, puntando alla coerenza del progetto,
inizia a dedicare una maggiore attenzione anche sul versante sonoro. È proprio in questo
momento che la musica di repertorio inizia a fare il suo vero e proprio ingresso nelle
sequenze audiovisive. Le sequenze di Romanzo Criminale sono piene di musica già nota,
che spazia da repertori internazionali a nazionali e addirittura popolari. Naturalmente ogni
produzione è a sé e la scelta d’inserire o meno musiche note può dipendere da svariati fattori
legati ad esempio all’immagine che si vuole dare della serie, alle scelte produttive e
registiche o da questioni legali ed economiche. È però indubbio che da questo momento in
poi in Italia si fa sempre più avanti la tendenza a realizzare sequenze audiovisive anche con
musica già esistente, che permette così alla canzone di partecipare attivamente alla
costruzione di una scena o addirittura di un’intera serie.
Con l’arrivo di Netflix in Italia nel 2015 queste tendenze si consolidano definitivamente.
I criteri produttivi sono più o meno gli stessi delle piattaforme satellitari, per cui ogni
prodotto presenta una sua estetica altamente riconoscibile. Lo spettatore ha definitivamente
il pieno controllo su ciò che vede. Può decidere cosa vedere, quando vederlo e quante volte
rivederlo. Tramite un abbonamento ha accesso costante ad un catalogo specifico in continuo
54
M. Scaglioni, L. Barra, La macchina seriale. Produzione e promozione delle fiction Sky in “Tuta un’altra
fic�on. La serialità pay in Italia e nel mondo. Il modello Sky”, Carocci Editore, Roma 2013, pp. 21-22.
42
aggiornamento. Netflix Italia inizia a produrre le proprie serie dal 2017 con Suburra (2017-
2020). Nel 2016 arriva anche Prime Video e a seguire tutte le altre piattaforme note.
L’arrivo delle piattaforme streaming in Italia e nel Mondo segna anche un incremento
degli spettatori di serie televisive. Questo avviene perché, avendo piena libertà nella
fruizione dei prodotti, gli spettatori non sono costretti ai ritmi vincolanti della televisione.
Inoltre, con la pubblicazione di intere stagioni in un’unica soluzione, è garantita ed
incrementata anche la pratica del bingewatching
55
. Questo farà diventare alcune serie
prodotte da piattaforme dei veri e propri fenomeni di culto, come nel caso de La Casa di
Carta (2017-2021). Allo stesso modo contribuirà al grande fenomeno della riscoperta di
alcuni classici, come nel caso di Friends.
Oggi in Italia ci troviamo quindi di fronte ad un panorama produttivo piuttosto variegato.
Da un lato la prolifica produzione generalista Rai e Mediaset, dall’altro l’altrettanto
consistente offerta delle piattaforme. Non sempre le due cose viaggiano in binari separati,
anzi sempre più spesso vengono instaurate delle collaborazioni tra Rai Fiction e alcune
piattaforme come Netflix o Prime Video. In generale nel corso del tempo questi diversi
modelli produttivi si sono influenzati a vicenda, prendendo un po' gli uni dagli altri, ma
mantenendo sempre la propria riconoscibilità. Questo avviene anche nella gestione delle
colonne sonore, a cui ormai viene dato in genere un grande peso, ma che comunque può
assumere aspetti diversi a seconda della produzione. Ciò ci permetterà nei paragrafi
successivi di analizzare alcuni esempi musicali molto interessanti, per mostrare i vari modi
in cui la musica viene utilizzata nelle sigle e nelle sequenze oggi in Italia.
2. La sigla e le sue forme
Nel capitolo e nel paragrafo precedente si è parlato più volte di sigle e abbiamo dimostrato
come sin dalle origini della televisione queste abbiano rappresentato nella maggior parte dei
casi l’elemento musicale di spicco di una serie, a volte contribuendo a definirne il successo.
Molti studiosi concordano nell’attribuire alla sigla la funzione di paratesto ed in particolar
modo quella di “soglia”, che «segna un limite indeciso fra l’interno (il testo) e l’esterno (i
discorsi sociali sul testo).
56
», seguendo l’analisi dei paratesti letterari di Gérard Genette
57
.
Effettivamente lo spazio in cui si muove la sigla sembra essere una sorta di limbo, in cui si
55
Pra�ca che consiste nel guardare un massiccio numero di episodi e stagioni di una serie in un breve arco
di tempo.
56
D. Cardini, G. Sibilla, Play it Again. Forme e modelli narrativi della canzone pop nelle serie in F. Vittorini
(ed.), “Nuove narrazioni mediali. Musica, immagine, racconto” , Pàtron Editore, Bologna 2019, pag. 3.
57
G. Genete, Soglie. I dintorni del testo, Einaudi, Torino 1989.
43
scontrano da un lato l’intenzione del regista di offrire al pubblico il proprio punto di vista
sul contenuto e dall’altro la tendenza dello spettatore a farne comunque un’interpretazione
propria. Nel tempo la sigla in Italia e nel Mondo ha assunto forme diverse: da brevi jingle a
temi strumentali fino a vere e proprie canzoni dotate di testo. Ancora oggi il panorama di
sigle risulta piuttosto variegato e se ne possono delineare alcune tipologie ben precise. È
sicuramente vero però che una prima differenza sostanziale la fa la presenza di un testo
cantato. L’aggiunta di un testo cantato infatti contribuisce sicuramente ad indirizzare lo
spettatore verso interpretazioni più specifiche, ma anche qui dipende dalla tipologia di testo
e dalla sua relazione con le immagini. Allo stesso tempo, poiché la presenza del testo rende
l’ascolto più impegnativo, può anche succedere che, ripetendosi ad ogni visione, lo spettatore
si stufi di riascoltare costantemente il brano. La ripetizione è infatti, come già detto più volte,
un elemento fondamentale della serialità televisiva. Non esiste serialità senza ripetizione: di
modelli, di storie e di tanti altri elementi. Dal punto di vista della sigla risulta fondamentale
per creare un senso di familiarità nello spettatore sin dall’introduzione, anche a distanza di
numerose puntate o addirittura stagioni. Dall’altro lato il rischio è però appunto quello di
saturarsi e rendere l’ascolto noioso. Allora, «la sigla seriale, […], deve lasciare “zone grigie”
capaci di sollecitare la visione ripetuta senza esaurirsi né depotenziarsi».
58
Questo è il suo
compito principale e può farlo seguendo modelli diversi, alcuni più funzionali, altri meno.
Gianni Sibilla e Daniela Cardini quando parlano di sigle propongono una prima distinzione
di base tra theme song e modello HBO
59
.
Il modello della theme song è quello che in America è prevalso per tutti gli anni Ottanta
e consiste nel proporre dei brani originali da pochi secondi, spesso simili a brani più noti
(logica del soundalike
60
), aventi come obiettivo primario quello di introdurre lo spettatore
alla serie, spesso con un testo ed immagini che riprendono gli attori stessi che guardano verso
lo spettatore o interagiscono tra di loro. Le canzoni sono quindi inedite ma spesso riescono
a diventare delle vere e proprie hit.
Il modello HBO invece arriva negli anni Novanta e stravolge la concezione di sigla. Infatti
HBO, per garantire una maggiore coerenza tematica nei suoi prodotti, tende ad investire
molto sulla realizzazione delle sigle. Con canzoni originali o adattate riesce a creare dei veri
e propri short movie ovvero sigle dalla lunghezza insolita di circa 90 secondi, dove non c’è
58
D. Cardini, G. Sibilla, La canzone nelle serie tv. Forme narrative e modelli produttivi, Pàtron Editore ,
Bologna 2021, pag.65.
59
D. Cardini, G. Sibilla, La canzone nelle serie tv. Forme narrative e modelli produttivi, Pàtron Editore,
Bologna 2021
60
Consiste nel creare dei brani con carateris�che simili a hit di successo non disponibili per l’inserzione in
scene audiovisive.
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mai la classica presentazione dei personaggi. Infatti, spesso vengono creati dei veri e propri
filmati che richiamano l’estetica del videoclip e che prevedono associazioni con la storia da
raccontare sia tramite il testo della canzone sia tramite ciò che viene mostrato in scena.
Possiamo quindi trovare attori che interpretano i protagonisti che guidano o si muovono
proprio come si muove il loro personaggio all’interno delle puntate. In alternativa al
cortometraggio il modello HBO propone anche associazioni suono/immagine tramite
sequenze d’immagini simboliche ed evocative che si susseguono sul brano.
In Italia, come abbiamo già dimostrato con gli esempi precedenti, a prevalere sino ai primi
anni Dieci del Duemila è la theme song. Con l’arrivo di Sky Italia e delle piattaforme pay,
dal 2008 in poi anche nel nostro Paese inizia a farsi strada il modello HBO. Un chiarissimo
esempio di quanto appena detto è la sigla di Quo Vadis Baby? che sembra essere un vero e
proprio videoclip. Qui la protagonista, un’investigatrice interpretata da Angela Baraldi, si
esibisce con una band su una cover di Fever (Elvis Presley, RCA Records, 1960), nella
versione di Elvis Presley. Si alternano così sequenze dell’attrice al microfono ad altre in cui
la stessa si muove per le vie della città di Bologna in un clima piuttosto cupo;
Dopo aver delineato i due modelli principali, Cardini e Sibilla aggiungono cinque sotto-
modelli che prendono piede a partire dagli anni Dieci: la sigla-didascalia, la sigla-short
movie, la sigla-sound branding, la sigla-trailer e la sigla trasparente. Sulla base di questi
seguiranno adesso una serie di esempi differenti applicati al mondo seriale italiano
contemporaneo, per scoprire quali sono le tendenze attuali nel nostro Paese in termini di
realizzazione di sigle.
La sigla-didascalia è un tipo di sigla che prevede l’inserzione ad inizio di ogni puntata di
uno spazio in cui un brano dai tratti spiccatamente descrittivi scorre su immagini a loro volta
descrittive. Esistono casi in cui la descrizione può essere più esplicita, altri meno. È
comunque in genere la tipologia maggiormente utilizzata, soprattutto fino ai primi anni Dieci
del Duemila dalla Rai, ma anche da altre piattaforme. È anche la tipologia a maggiore rischio
di saturazione. Nella maggior parte dei casi troviamo la presentazione di personaggi/attori
attraverso primi piani e sguardi in macchina oppure attraverso un montaggio che mostra
alcune scene tratte direttamente dagli episodi della serie in questione. Un chiaro esempio è
quello delle sigle di Braccialetti Rossi (2014-2016). La serie, diretta da Giacomo Campiotti
e prodotta da Rai Fiction e Palomar, ha riscosso un grandissimo successo soprattutto tra i