1. INTRODUZIONE
1.1 Il perché di questo studio
Comprendere le dinamiche nei comportamenti di acquisto di un certo target, osservarne l’evoluzione
in un’ottica di lungo periodo, carpire quali siano le nuove mutate e contestuali esigenze dei clienti è
una prerogativa inalienabile del marketing strategico.
“Marketing research is the function that links the consumer, customer, and public to the marketer
through information—information used to identify and define opportunities and problems; generate,
refine, and evaluate actions; monitor performance; and improve understanding of it as a process. It
specifies the information required to address these issues, designs the method for collecting
information, manages and implements the data collection process, analyzes the results, and
communicates the findings and their implications
1
”
~ American Marketing Association
La definizione che l’American Marketing Association (AMA) fornisce alla ricerca di mercato non è
certo comprensiva della complessità che avvolge l’intero marketing strategico, ciononostante essa
fornisce una visione essenziale su almeno tre aspetti che connaturano la disciplina.
Questi sono:
- la funzione di connessione (“function that links”), dunque l’elemento relazionale che connette
consumatori, clienti, pubblico e, in senso ampio, tutti gli stakeholder ad un certo marchio
rappresentativo di un’organizzazione (come si vedrà più avanti è proprio il marchio a fungere da
catalizzatore delle percezioni dei clienti, essendo non solo segno identificativo ma anche risorsa
valoriale);
- l’informazione come asset che viene acquisito, processato, conservato o scambiato. Il suo elemento
costitutivo è il singolo dato, dall’aggregazione di più dati si ottiene l’informazione che, analizzata ed
1
What is Marketing? — The Definition of Marketing — AMA
elaborata, può tramutarsi in conoscenza (del settore, del target e dei comportamenti di acquisto, delle
cause di efficienza o inefficienza strategica o operativa)
2
;
- il metodo, inteso come approccio programmatico volto al raggiungimento di obiettivi e alla
risoluzione di criticità.
Se la prospettiva di questo studio è dunque quella di un marketer, l’oggetto d’indagine sono le
generazioni di cui si vogliono analizzare le differenze nei comportamenti di acquisto con il fine di
determinare quali possano essere le strategie che le imprese dovranno adottare nell’imminente futuro
per adattarsi a nuovi contestuali trend, e, in’un ottica di più lungo termine, quali misure debbano
accogliere per attrarre e fidelizzare le generazioni più giovani; sarà fondamentale nei confronti di
questi adottare idonee strategie comunicative e di branding che costruiscano valore nel tempo,
ovvero, si legga in altri termini, che costruiscano Brand Equity
3
.
2
Concetto elaborato secondo il framework proposto dall’Information o Knowledge Management:
- Christensen P.H. (2003) Knowledge management: perspectives and pitfalls, Copenaghen, Business School Press DK.
- Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi, The knowledge creating company: how Japanese companies create the dynamics
of innovation, New York, Oxford University Press, 1995, p. 284, ISBN 978-0-19-509269-1.
- Ikujiro Nonaka e Georg von Krogh, Tacit Knowledge and Knowledge Convers ion: Controversy and Advancement in
Organizational Knowledge Creation Theory, in Organization Science, vol. 20, n. 3, 2009, pp. 635–652,
3
Il concetto di Brand Equity è connesso al valore della marca, esso soddisfa la domanda: qual è per un cliente il valore
che, in base alle percezioni maturate, attribuisce ad un certo marchio?
Aaker inquadra cinque componenti che definiscono il Valore della Marca: la fedeltà (Brand Loyalty) che può costruirsi
solo a partire dalla notorietà, o conoscenza, di un certo marchio (Brand Awareness) che, con una serie di asset di cui
detiene la proprietà o il controllo, soddisfi una specifica funzione (utilitaria, edonistica, ricreativa), quest’ultima deve
esser percepita come di qualità affinchè si costruiscano associazioni positive tra l’utente e il brand.
[Aaker, D.A. (1991) Managing Brand Equity. The Free Press, New York]
In uno studio successivo Keller si focalizzò maggiormente sulla dimensione psicologica della Brand Knowledge.
Quest’ultima, può essere concepita come la presenza nella memoria del consumatore di un nodo cognitivo (il brand) e
Figura 1-La Piramide della Conoscenza
Dai dati si giunge alla saggezza solo attraverso
un processo di filtraggio, elaborazione e
sistematizzazione della conoscenza nuova che
viene combinata con quella pregressa, in un iter
ciclico di esplicitazione ed interiorizzazione
Il marchio si conferma essere uno degli asset più importanti (se non il più importante) quantomeno
nella veicolazione di valori e comunicazioni che pur partendo dall’interno, in quanto la brand identity
è pensata e strutturata all’interno dell’impresa, così come un qualsiasi messaggio rivolto agli
stakeholder, trova significato tangibile ed esauriente soltanto all’esterno, una volta passato il vaglio
del ricevente, che sulla base delle esperienze passate, del carattere, del suo sistema etico e morale e
del contesto corrente, attribuisce un gudizio o percepisce uno stato che influenzerà le sue associazioni
nei confronti della marca.
L’etimologia del termina “marca” riporta al germanico marka, ovvero “limite, confine”, data
l’assenza di ambiguità sul significato di questo termine Ferraresi scrive: “L’etimologia è davvero
precisa nel definire quelle che, sin dal nome, paiono essere le attuali funzioni della marca moderna.
Essa è un dispositivo commerciale e comunicativo la cui funzione principale consiste nel distinguere
il prodotto che essa riveste […]. La marca delimita, confina e pone un termine, una distinzione tra
quello che appartiene al suo territorio e quello che invece è territorio di pertinenza di altre marche”
4
.
Emerge immediatamente la funzione primaria del marchio che è quella identificativa, volta cioè a
differenziare un prodotto tra i tanti prodotti simili; la stessa American Marketing Association
definisce il brand come “un nome, termine, design, simbolo o qualsiasi altra caratteristica che
identifica i beni o i servizi di un venditore come distinti da quelli di altri venditori".
di una molteplicità di associazioni ad esso collegate. Anche in tal caso la forza dell’associazione, e quindi della Brand
Equity dipende da: la consapevolezza di marca (brand awareness), che esprime la capacità della marca di essere
riconosciuta (brand recognition) e richiamata alla memoria dal consumatore (brand recall), e l’immagine di marca
(brand image), come sintesi delle percezioni e del vissuto che nelle esperienze precedenti hanno legato il consumatore
al brand.
Ancora, sono diversi i modelli avanzati per l’analisi della Brand Equity, tra i tanti si cita il contributo pure di Risitano
(2004) prima e Cherubini (2009) poi che propongono una valutazione delle performance relazionali della marca basata
su tre aree:
- area cognitiva, che coincide con la somma di brand awareness e brand image,
- area esperienziale, composta dalla somma degli atteggiamenti maturati dall’utente nei confronti della marca (brand
attitude) più l’affinità che il soggetto percepisce con la marca stessa (brand affinity, o brand fit), ovvero con il suo
universo valoriale percepito;
- area fiduciaria, legata alla valorizzazione del rapporto brand\soggetto (e viceversa) nel tempo. Essa si compone di
customer satisfaction (che può vedersi come sommatoria tra valore atteso e costo percepito di ogni singola interazione
legata ad una determinata offerta) e fedeltà alla marca (brand loyalty).
[RISITANO, M. (2004), Le determinanti del valore della marca in una prospettiva customer-based, Final Doctoral dissertation of
PhD in Business Studies -Business Management Department, University of Naples "Federico II", Naples, November.]
[Cherubini, S., Iasevoli, G. (2009). La misurazione del valore degli eventi. In S. Cherubini, E. Bonetti, G. Iasevoli, R.
Resciniti (a cura di), Il Valore degli eventi: valutare ex ante ed ex post gli effetti socio-economici,esperienziali e
territoriali (pp. 13-63). Milano : Franco Angeli Editore.]
4
Ferraresi M. (2008), I linguaggi della marca. Breve storia, modelli, casi, Milano, Carocci
Eppure, ridurre il marchio alla sola funzione di identificatore sarebbe riduttivo e per niente esplicativo
del reale potenziale di questo asset, come ritengono autori come Busacca, Bertoli e Ostillio (2022):
“La marca aggiunge dunque all’offerta una dimensione identificativa, [ma anche] percettiva e
fiduciaria, differenziandola da altre proposte concepite per soddisfare la stessa esigenza. Questa
differenziazione può essere razionale e tangibile – connessa cioè alle funzionalità e alle prestazioni
del prodotto – o simbolica, emotiva e intangibile - correlata a ciò che la marca evoca e rappresenta.
Per il consumatore, la marca assume un significato personale e unico, facilitandolo nell’attività
quotidiana a arricchendone l’esistenza
5
”.
Sotto questa prospettiva più olistica il brand diventa catalizzatore di interazioni e il suo potere
semantico si può arricchire (o depauperare) di volta in volta con nuove associazioni o associazioni
già consolidate. Il marchio nella concezione moderna è un simbolo condiviso la cui propietà legale
rimane strettamente nelle mani dell’azienda, ma lo stesso non può dirsi per la proprietà psicologica,
spesso condivisa con i consumatori che percepiscono il brand come estensori o emblemi della loro
personalità e di conseguenza si arrogano il diritto di stabilire i significati che lo stesso marchio può
assumere.
In tal modo i consumatori divengono consum-attori, acquisiscono ossia un atteggiamento proattivo e
cosciente nei confronti dei marchi che scelgono, talvolta spingendosi al punto di divenire loro stessi
ambasciatori del brand, dunque loro stessi diventano produttori di significato.
Il concetto dal quale si può partire per riassumere questo rapporto bidirezionale è quello coniato da
Toffler
6
nel 1980: il prosumer; questo termine deriva dalla fusione di producer e consumer e sta
proprio ad indicare il superamento della concezione tradizionale dei ruoli (secondo cui l’impresa
produceva e il cliente si limitava a consumare) e l’apertura verso una posizione più attiva e creativa
del fruitore che allo stesso tempo produce o contribuisce alla produzione.
Questo concetto viene ripreso anche da Jean Cloutier, coniatore del termine “self-media”
7
, secondo
cui l’uomo è sia ricettore che emettitore di messaggi.
Bruns e Axel (2009) poi, pur avvalorando l’intuizione di Toffler, inquadrano la necessità di un
aggiornamento del concetto di Prosumer, in quanto “it remains firmly grounded in the mass media
5
Busacca B., Bertoli G., Ostilio M.C., La marca. Costruzione, sviluppo, valutazione, 2022 Milano, Egea
[NdA. Il corsivo è un’aggiunta personale]
6
Toffler, A. (1980). The Third Wave. New York: William Morrow.
7
L’ère d’Emerec ou la communication audio-scripto-visuelle à l’heure des self-média (Presses
de l’Université de Montréal, 1973).
age: the prosumer is clearly not the self-motivated creative originator and developer of new content
which can today be observed in projects ranging from open source software through Wikipedia to
Second Life, but simply a particularly well-informed, and therefore both particularly critical and
particularly active, consumer
8
”; per comprendere a pieno le dinamiche collaborative e user-lead
odierne, affermano gli autori, è necessario superare il vecchio paradigma di producing e consuming
e spostarsi piuttosto in una dimensione di produsage, in cui la differenza sta nel livello di commitment
che gli stessi utenti sviluppano, anche grazie a pratiche collaborative e partecipative.
In un simile contesto, dove l’utente assume un peso più significativo nell’attribuzione e diffusione
del significato, quest’ultimo rafforzato anche dall’avvento dei Social e più in generale dalla
Rivoluzione Digitale
9
, i marketer saranno impegnati in nuovo sforzo di comprensione, l’oggetto di
analisi, inoltre, non potrà più interessare soltanto le dinamiche e le intenzioni di acquisto, ma dovrà
allargare il dominio di indagine all’esperienza nel complesso del fruitore, così come ai rapporti
esistenti tra gli stessi produser.
Per l’acquisizione di una visione di insieme, accanto agli strumenti e framework tradizionali
compaiono nuove modalità di segmentazione e inquadramento di cluster, tra questi il concetto di
generazione ha acquisito sempre maggiore importanza per i marketer per almeno tre ragioni:
- differenze generazionali: ogni generazione ha le sue uniche tendenze socioculturali e di mercato;
- cambiamento nei comportamenti di acquisto, come si vedrà nel corso di questa trattazione la
diversità nelle abitudini e nello stile di vita condizionano l’esperienza d’acquisto in virtù di
aspettative differenti e di un differente meccanismo di decodifica che rende differenti, se non uniche,
le singole percezioni;
- l’influenza delle nuove generazioni, con particolare riguardo alla Gen Z per il crescente potere
d’acquisto e perché, più semplicemente, questi saranno gli adulti e i professionisti del domani.
Questo insieme di fattori rende rilevante, se non inevitabile, uno studio focalizzato sulle differenti
generazioni, sulle loro intenzioni di acquisto, le loro attitudini, i frame psicologici e culturali
8
Bruns, Axel (2009) From Prosumer to Produser: Understanding User-Led Content Creation. In Transforming
Audiences 2009, 2009-09-03 - 2009-09-04.
9
Si veda in The past, present, and future of brand research (2020): “Four topics of prime interest in understanding
marketing effects in a digital era are (1) social media and word-of-mouth; (2) opinion leaders and influencers; (3)
extracting brand meaning from online data;
and (4) integration with traditional media. Research in these areas has demonstrated how the consumer journey
leading up to purchase and consumption has shifted in profound ways in a digital era”.
Travis Tae O. & Kevin Lane Keller & Scott A. Neslin & David J. Reibstein & Donald R. Lehmann, The past, present,
and future of brand research, Springer
all’interno dei quali questi si muovono. Le informazioni poi recepite da tale analisi saranno
fondamentali per provare ad inquadrare una serie di Best Practices e processi manageriali e
comunicativi efficaci per gestire le singole generazioni o anche per rivolgersi a una clientela più
ampia, per quei brand, quasi sempre multinazionali, che riescono ad arrivare ad un bacino di utenza
frammentato e altamente particolare.
1.2 Una panoramica dei temi affrontati
Nel capitolo due si proverà a comprendere in primis il significato dei concetti di “coorti” e
“generazioni”, si partirà dal loro iniziale impiego nell’analisi prima demografica, poi artistico-
culturale e infine sociologica ed economica. Le “coorti generazionali” sono infatti un tema
multidisciplinare il cui primo contributo per le scienze sociali si deve probabilmente a K. Mannheim
che nel 1928 ha visto pubblicato “Il problema delle generazioni”; nell’articolo Mannheim ha
sostenuto che ogni generazione ha le sue uniche tendenze socioculturali e di mercato, e queste
differenze influenzano il comportamento dei consumatori. Ha anche sottolineato l’importanza della
trasmissione del patrimonio culturale tra le generazioni, e ha suggerito che l’analisi di nuove fonti,
come la fotografia e il cinema, potrebbe aiutare a capire come avviene questa trasmissione
10
. Da
questi essenziali spunti è nata l’analisi sociologica sul tema in questione che ha portato altri autori ad
allargare il dominio di indagine fino a giungere alle possibili applicazioni pratiche, nel marketing per
esempio.
Ciononostante sono diversi gli autori che hanno parlato e inquadrato il problema delle generazioni,
ciascuno dei quali, a suo modo ha portato un significato o un punto di vista proprio. Si conoscerà il
contributo dei positivisti nel Settecento, che per esempio inquadravano le generazioni come una
dimensione oggettiva, esterna e misurabile, così come si vedranno i Romantici con la loro dimensione
interiore del tempo e delle generazioni che possono essere esperite solo in termini qualitativi.
Si affronterà la prospettiva delle due ipotesi divergenti: la pulse-rate hypotesis e la imprinting
hypotesis, che scandiscono due modalità di interpretare le generazioni, dalle quali deriva tutta
l’ambiguità nel trattare un argomento al contempo trasversale e mai perfettamente ben definito.
Dunque, si procederà con un cammino temporale in avanti, verso i nostri giorni e verso contributi
10
Mannheim K., The sociological problem of generations,