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INTRODUZIONE
Questa ricerca analizza la competizione elettorale italiana attraverso l’approccio spaziale. La Teoria
Spaziale del Voto, un sottoinsieme della Teoria delle scelte razionali che analizza i processi
decisionali con l’obiettivo di prevedere gli esiti delle scelte collettive, fornisce un impianto teorico in
grado di descrivere lo spazio politico e la competizione tra partiti. Nonostante le molteplici
applicazioni di questo tipo di modelli, la carenza principale nelle loro forme standard risulta essere
quella di prendere in considerazione esclusivamente fattori basati sulle politiche proposte dai partiti.
In questo lavoro l’analisi si concentrerà sull’evidenziare l’importanza dei fattori “non” legati alle
politiche, non-policy factors, riflettendo allo stesso tempo sulle possibili applicazioni predittive di un
modello che incorpora entrambi i tipi di fattori. I cambiamenti del sistema politico italiano dal 2008
ad oggi possono essere rappresentati al meglio attraverso uno studio dell’evoluzione e del mutamento
delle posizioni dei partiti e altri elementi insiti nello scontro politico. Le risorse dei partiti, il ruolo
dell’incumbency, il gradimento dei candidati e l’appropriazione dei temi sono quattro fattori non
legati alle politiche che impattano in diversa misura la competizione elettorale italiana. La ricerca
sarà circoscritta al caso italiano e produrrà un modello semplificato con l’obiettivo di sottolineare le
sue potenzialità per ricerche future nella stessa direzione. Il modello presentato non si pone l’obiettivo
di produrre risultati scientifici, ma piuttosto quello di evidenziare qualitativamente come analisi di
questo tipo possano produrre risultati sorprendenti. Venendo alla struttura della ricerca, il primo
capitolo passerà in rassegna la letteratura sulla competizione elettorale, italiana e internazionale,
concentrandosi in particolare sulla parte che adotta l’approccio spaziale e quella che considera i fattori
non legati alle politiche. Il secondo capitolo descriverà l’insieme degli strumenti di analisi e
rilevazione dei dati utilizzati nell’approccio spaziale, concentrandosi sul caso italiano, per poi
presentare un modello spaziale semplificato applicato alle elezioni italiane dal 2008 al 2018. Il terzo
capitolo, infine, valuterà l’impatto dei fattori non legati alle politiche sulle stesse elezioni mostrando
qualitativamente la loro tendenza generale a produrre risultati più realistici se combinati con i risultati
derivanti dai modelli spaziali. Infine, dopo un breve approfondimento sulle elezioni italiane del 2022,
verranno messe in risalto le carenze e le potenziali applicazioni di future ricerche che considerano
fattori legati alle politiche e non, in ottica predittiva.
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CAPITOLO PRIMO
LO STUDIO SCIENTIFICO DELLA COMPETIZIONE ELETTORALE
1.1 La teoria spaziale e le posizioni politiche dei partiti
La competizione elettorale è il fulcro della democrazia. Lo studio scientifico della competizione
elettorale ha una letteratura prevalentemente recente su cui l’assunzione dell’approccio razionale ha
avuto un forte impatto a partire dalla seconda metà del XX secolo (Giannetti 2005). Prima di questa
svolta, che avvicina lo studio della politica alle assunzioni e caratteristiche tipiche della scienza
economica, la sociologia e la matematica hanno dato un grande contributo a stabilire le fondamenta
di tutta la letteratura sulla competizione tra partiti all’interno del sistema democratico.
I primi tentativi di studio scientifico della competizione politica risalgono al XVIII secolo attraverso
gli studi matematici di Jean-Charles de Borda e Nicolas de Condorcet nel Saggio sull'applicazione
dell'analisi alla probabilità delle decisioni prese a maggioranza di voti (1785), che segneranno
l’inizio dello studio scientifico dei fenomeni sociali. Degno di nota in questo contesto è il Paradosso
di Condorcet, che afferma come un insieme di individui con preferenze razionali non ha
necessariamente preferenze razionali quando agisce come gruppo. Questa proposizione ci dovrebbe
fin da subito far riflettere sui problemi interpretativi nei contesti di decisioni collettive ed elezioni: la
razionalità dei singoli votanti o elettori non garantisce sempre un risultato in grado di essere spiegato
razionalmente. Uno studio vero e proprio della competizione elettorale è però nato solo
congiuntamente ai suoi attori principali, ovvero i partiti, che, intesi in chiave moderna, nascono in
Inghilterra alla fine del XVII secolo (Clark 2011) per poi svilupparsi e trasformarsi nei partiti come
li conosciamo oggi nel XIX secolo con l’avvento dei partiti di massa (Ridolfi 1993). A partire da
questo momento, la letteratura sulla competizione elettorale sarà dominata fino a metà Novecento
dalla sociologia classica, con il principale esponente nella figura di Max Weber. Il sociologo tedesco
in Economy and Society: An Outline of Interpretive Sociology (Weber 1922) è uno dei primi a dare
una definizione di “partito” inteso come un’associazione che ha per obiettivo la conquista delle
cariche elettive in una democrazia rappresentativa. Già da questa prima definizione notiamo come la
“massimizzazione dei voti” per conquistare le cariche pubbliche sia, già per lo stesso Weber,
l’elemento centrale nelle dinamiche di competizione politica. Oltre all’analisi dei partiti di massa, la
sociologia classica di stampo weberiano si è concentrata anche sui rapporti tra masse e leader
carismatici e sullo sviluppo delle moderne democrazie parlamentari. Lo stesso Weber approfondisce
lo studio dei meccanismi per la selezione sistematica e la responsabilizzazione dei leader in modo
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che sia possibili disegnare e attuare politiche continue e coerenti (Mori 2014). Questa parte di
letteratura pone le basi per l’esplosione dello studio della competizione elettorale dal Secondo
Dopoguerra in avanti. Prima di ciò, è importante sottolineare il contributo sociologico di Paul
Lazarsfeld e Bernard Berelson in The People’s choice del 1944. Questo testo rappresenta il primo
tentativo sistematico di studiare il comportamento dell’elettorato rispetto alla comunicazione
mediatica adottata durante le elezioni presidenziali americane nei primi anni ’40. Attraverso una serie
di interviste ripetute nel tempo ad un campione dell’elettorato statunitense di circa tremila elettori,
Lazarsfeld e colleghi arrivano a dei risultati più accurati e rigorosi rispetto a quelli tipici della ricerca
sociale-scientifica dell’epoca limitando però l’attenzione all’influenza dei media sull’elettorato e al
passaggio dell’informazione politica in maniera informale (Berelson e al. 1944). Questo primo studio
sul comportamento elettorale è significativo perché, da una parte, è un esempio di studio che non
adotta un approccio razionale, che in buona parte monopolizzerà successivamente l’analisi del
comportamento elettorale; dall’altra, perché sottolinea in maniera formale come fattori non legati
direttamente alle politiche, in questo caso il comportamento dei media americani, influisca sull’esito
del voto.
Il moderno filone di ricerca sulla competizione elettorale comincia a prendere piede nella scienza
politica alla fine degli anni 40’ con l’adozione dell’approccio razionale, detta anche Teoria della scelta
razionale (TSR). I due grandi filoni in cui si divide la letteratura che considera questo insieme di
assunzioni sono la Teoria delle Scelte Collettive e la Teoria dei Giochi (Giannetti 2005). Dato che
una revisione di tutte le ramificazioni dello studio della competizione elettorale non è quello che
questo capitolo si pone come obiettivo, passeremo in rassegna principalmente il primo filone ed in
particolare i modelli spaziali della competizione elettorale, i quali hanno riscontrato maggiore
successo all’interno della politologia. L’approccio spaziale impiegato nello studio della competizione
elettorale deriva da quello adottato in economia, primariamente concettualizzato da Hotelling e
sviluppato all’interno della Teoria delle Scelte Collettive da Duncan Black, Kenneth Arrow e
Anthony Downs alla metà del XX secolo.
Per quanto concerne il primo, Harold Hotelling in Stability in Competition (Hotelling 1929) partendo
da una metafora spaziale introduce il concetto di “mercato spaziale”, punto di partenza di tutta la
letteratura che utilizza l’approccio spaziale. L’autore considera due aziende A e B su un’unica
dimensione spaziale (figura 1), che devono vendere uno stesso prodotto. Questi due agenti, collocati
su due punti dello spazio unidimensionale, formeranno tre differenti porzioni di spazio: una che
dall’estrema sinistra arriva fino alla prima azienda (a), uno spazio compreso tra le due aziende, e la
terza parte (b) che dalla seconda azienda finirà all’estremo destro. Dall’analisi di Hotelling deduciamo
che l’azienda che sarà più vicina al centro, in figura 1 l’azienda B, abbia maggiori profitti in quanto
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agisca come monopolista per tutta la porzione di spazio esterna a lei più vicina (nel caso in figura 1,
b > a). Logicamente, ai clienti che risiedono nello spazio (b) non converrà arrivare fino al negozio A
per una questione relativa alla distanza e costi di trasporto. Di conseguenza, gli individui saranno
incentivati a comprare dal negozio B fino a che il prezzo del prodotto di B non sarà più alto di quello
di A più i costi di trasporto. La convergenza verso il centro inteso come punto di equilibrio date queste
condizioni sarà il risultato fondamentale ripreso dalle analisi successive. Si tratta di un ragionamento
semplice e intuitivo che dall’analisi economica mette le fondamenta per un approccio che influenzerà
fortemente una buona parte degli studi elettorali. A questo proposito, De Sio (2011) fornisce
un’analisi chiara di come la forza del risultato di Hotelling fu quello di formalizzare la convergenza
verso il centro di due agenti (se possono muoversi lungo l’asse) per massimizzare la loro utilità, anche
se solo all’interno di un ragionamento economico, e di creare le prime formulazioni teoriche per i
modelli spaziali. Negli anni successivi ad Hotelling, Black (1948) fornisce in un breve articolo una
prima riflessione sui problemi che sorgono quando si ricerca un equilibrio nelle scelte collettive
applicate al contesto sociale. L’autore formalizzò per primo il Teorema dell’Elettore Mediano che
diventerà famoso solo in un secondo momento con Anthony Downs. Contemporaneamente, Kenneth
Arrow (1951), economista e premio Nobel, propone un modello formale in cui analizza i problemi
relativi alle decisioni collettive basate sulle preferenze individuali. Al suo interno viene formulato il
celebre Teorema di Arrow, il cui principale risultato è quello di dimostrare come non esista un sistema
di voto in grado di produrre sempre un risultato coerente date le preferenze di un gruppo di individui.
Nella dimostrazione, l’autore introduce una serie di condizioni matematiche che un sistema di voto
deve soddisfare per essere considerato equo e razionale, per poi dare prova di come nessun sistema
di voto possa soddisfare contemporaneamente tutte queste condizioni.
Fonte: elaborazione dell'autore
FIGURA 1 – Lo spazio considerato da Hotelling con due aziende in competizione
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Basandosi sull’analisi della concorrenza economica di Hotelling e le implicazioni teoriche derivanti
dal lavoro di Arrow, nel 1957 il politologo statunitense Anthony Downs pubblica il libro “Teoria
Economica della Democrazia” (Downs 1957), che segnerà una svolta fondamentale nello studio della
competizione elettorale. Questa pubblicazione presenta un modello attraverso il quale, sotto precise
condizioni, la teoria economica può essere applicata ai processi decisionali della politica. Partendo
dai risultati di Hotelling, Black e Arrow, Downs cercò di conciliare in modo rigoroso il Teorema
dell’elettore mediano con un sistema politico bipartitico. La formulazione più celebre del modello
risiede proprio nella sua reinterpretazione del teorema in chiave elettorale secondo cui, date una serie
di assunzioni, in una competizione bipartitica in cui sia i partiti che gli elettori si collocano su un’unica
dimensione sinistra-destra, entrambi i partiti competeranno l’uno con l’altro per la vittoria elettorale
avvicinando le proprie posizioni politiche fino quasi a farle coincidere con quelle dell’elettore
mediano, ovvero l’elettore che alla sua sinistra e alla sua destra ha un eguale numero di elettori (De
Sio 2011). L’approccio adottato da Downs è policy-based, ovvero incentrato quasi esclusivamente
sulle politiche proposte dai partiti per descrivere il comportamento elettorale. Elettori e partiti sono
intesi come attori razionali: la logica della competizione elettorale sarà quella di votare il partito o
candidati “più vicino” nello spazio alla propria posizione. La semplice concettualizzazione dell’asse
sinistra-destra è la stessa che è presente nel senso comune italiano, in cui si usa spesso a definire un
partito di “Destra” se legato a determinati valori. Questa schematizzazione delle posizioni politiche,
che risale alla rivoluzione francese (Clark 2011), è la più semplice prova di come la logica del modello
spaziale sia sempre stata usata all’interno delle riflessioni politiche.
FIGURA 2 – Spazio unidimensionale di un sistema bipartitico con distribuzione unimodale dell’elettorato
Fonte: elaborazione dell'autore
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Riprendendo il ragionamento di Downs, risulta indispensabile per capire la sua analisi considerare le
principali condizioni che Downs usa per applicare il risultato economico alla competizione politica:
(1) si limita al caso di competizione bipartitica, (2) considera la presenza di un’unica dimensione
ideologica secondo cui i cittadini possono ordinare le proprie alternative elettorali in modo condiviso
e transitivo, (3) ogni elettore deve poter ordinare ogni politica possibile sul continuum e tutte le
preferenze devono presentare un solo massimo (single-peaked preferences), (4) i partiti devono avere
come obiettivo principale l’ottenimento delle cariche elettive trascurando la coerenza ideologica
(office-seeking parties), (5) gli elettori non guardano oltre le prossime elezioni (Grofman 2004;
Downs 1957). Assunzioni forti che hanno poco a che fare con quella che è la realtà elettorale, ma che
tuttavia riescono a produrre un modello formale da cui derivare implicazioni logiche utili a descrivere
la competizione tra partiti. Da queste assunzioni, Downs deriva tre principali risultati: (a) dimostra la
previsione di convergenza nella competizione bipartitica tra le posizioni adottate dai partiti con un
sistema elettorale di tipo maggioritario. Secondo il modello, infatti, i partiti A e B (in Figura 2)
convergeranno verso il centro avvicinando le proprie posizioni politiche; (b) formalizza un modello
di scelta elettorale in cui vengono prese in considerazione le motivazioni strumentali della
partecipazione; (c) evidenzia come le etichette ideologiche e partitiche, l’appoggio dei gruppi di
interesse e altre «scorciatoie informative» consentono all’elettore di abbassare drasticamente i costi
di informazione sulle elezioni (Giannetti 2005). In aggiunta, Downs pone anche l’accento
sull’importanza della distribuzione dell’elettorato (nel caso in figura 2 di tipo unimodale) rispetto alle
preferenze per interpretare correttamente il risultato (Downs 1957). Come asserito da Grofman
(1993), il fascino analitico del modello si fonda sulla sua “estrema parsimonia”, che dipende senza
dubbio anche da un certo numero di assunzioni forti. In contrapposizione, proprio dalle forti
assunzioni deduciamo il marcato valore teorico del modello, che tuttavia produrrà una vasta
letteratura sulle sue spalle. Come riconosciuto dallo stesso Downs, gli ambiti di applicazione da
esplorare e i possibili test di evidenza empirica creati dal modello bipartitico possono dare luogo ad
un’enorme ramificazione di modelli, teorie e ricerche basate sull’approccio spaziale applicato alla
scienza politica. Per approfondire le potenzialità di questo modello teorico, Grofman (2004) fornisce
una sintesi dei principali risultati empirici della letteratura spaziale sulla divergenza tra i partiti, in
pieno contrasto con la tesi di Downs. L’autore evidenzia come tutte queste ricerche possano essere
integrate in un quadro comune per derivare quali assunti di base del modello downsiano standard
dovrebbero essere sostituiti.
Sulla base di tutti gli studi finora menzionati nasce negli anni ’60 la Public Choice Theory, definita
come l’uso degli strumenti e metodi economici per trattare argomenti appartenenti alla scienza
politica, assumendo che politici, elettori e burocrati siano interessati principalmente all’interesse