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CAPITOLO I
IL DIRITTO COMUNE E L’EUROPA
1.1 Lo sviluppo dottrinale del diritto comune: ius commune e ius proprium.
Dopo la fine del mondo antico, il primo momento di discontinuità che segna il passaggio
dall’Alto al Basso Medioevo si ebbe nei decenni che vanno dall’XI al XII secolo, laddove
si ebbe una forte trasformazione radicale della società, della cultura e delle istituzioni
1
.
La fine delle invasioni e la scomparsa delle epidemie che avevano caratterizzato i secoli
precedenti crearono le condizioni per una generale ripresa della civiltà europea. Segni di
ripresa sono l’espansione demografica, la crescita dell’economia, le opere di bonifica di
terreni da mettere a coltura, la rinascita della vita urbana e la conseguente espansione
commerciale; tutti questi fattori contribuiranno in modo determinante a cambiare la
fisionomia dell’Europa occidentale. Il progressivo risveglio dell’attività commerciale,
artigianale e politica portò ad una trasformazione radicale del tessuto sociale dove, da un
lato, il commercio divenne il motore principale dell’accrescimento economico al punto
da considerarla la rivoluzione commerciale del Basso Medioevo, dall’altro favorì una
rinascita della cultura e del diritto.
In questo contesto i mercanti giocarono un ruolo fondamentale nel promuovere
l’autonomia cittadina, laddove l’insieme organizzato degli abitanti divenne invece un
interlocutore da cui nessun sovrano, vescovo o signore locale poteva prescindere
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.
La rinascita cittadina si fa sentire in modo particolare nel diritto: la nuova società dei
secoli XI-XII ne riscopre l’importanza e, per questo motivo, lo inserisce al centro del suo
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Cfr. A. Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa, Il Mulino, Bologna 2021, pag. 85.
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Cfr. G. Paradisi, Storia del diritto Medievale e Moderno, ed. Simone, Napoli 2010, pag. 75-76.
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sviluppo. Alla ricerca delle regole per la società contemporanea rispondono la riemersione
e l’interpretazione del vecchio corpus iuris giustinianeo, così come alla nuova
organizzazione il diritto della Chiesa: per la risoluzione di una controversia si tendeva a
sostituire alla vittoria nella guerra privata la sentenza dello iudex, ovviamente sempre in
base al diritto.
In questo periodo riemerge definitivamente il diritto scritto rispetto a quello
consuetudinario e come ben suggerisce Pene Vidari, “solo sui testi del primo può
appoggiarsi un ragionamento scientifico e consequenziale, impossibile invece nella
stessa incertezza e mutabilità della consuetudine”
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.
Questo senso di rinnovamento fu avvertito anche nel campo culturale e, soprattutto, in
quello giuridico. Il risveglio della vita giuridica culminò nella riscoperta del diritto
romano giustinianeo nei suoi testi originali. Il fervore degli studi seguito a tale riscoperta
ha giustificato per questi secoli, tra l’undicesimo e il dodicesimo, la definizione di
‘Rinascimento giuridico’
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.
Il diritto romano costituiva il tessuto normativo di base ma la società civile e politica
sentiva l’esigenza della novità. Dunque questo substrato veniva riutilizzato in maniera
nuova, attualizzandolo per le nuove esigenze socio-economiche. Un aspetto fondamentale
della nuova cultura giuridica è che la citazione di testi di legge e l’impiego di
argomentazioni dotte sono strumenti direttamente funzionali allo scopo di ottenere negozi
meglio garantiti e sentenze favorevoli per chi li utilizza
5
. Ovviamente la parte in grado di
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Cfr. G. S. Pene Vidari, Storia del diritto in età medievale e moderna, Giappichelli ed., Torino 2019, pag.
78- 79.
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Cfr. G. S. Pene Vidari, op. cit., pag. 79.
5
Cfr. G. Paradisi, op. cit., pag. 81.
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avvalersi di tali strumenti guadagnava sull’avversario un vantaggio spesso decisivo. Per
battersi ad armi uguali occorreva essere in grado di rispondere con argomentazioni
altrettanto efficaci, fondate anch’esse sui testi romani. Inoltre è altamente significativo il
fatto che già nel corso del secolo XII non solo le famiglie potenti ma anche, le grandi
Chiese, i ricchi monasteri nelle loro controversie abbiano fatto ricorso al diritto romano
conformato alle nuove tecniche giuridiche, così come artigiani e membri del clero minore,
comunità del contado purché ovviamente in grado di pagare i servizi di un giurista
professionale. La necessità di un impianto legislativo adeguato ai bisogni nuovi ha
dunque condotto all’adozione del corpus iuris come testo di legge di valore universale
che derivava, tra l’altro, la sua legittimazione della più alta autorità terrena nella sfera dei
rapporti civili, l'Impero. L’impiego della compilazione nella pratica negoziale e
processuale non era possibile senza adeguati strumenti di analisi ed interpretazione e
occorreva, quindi, il supporto di giuristi professionali formati su questi testi e in grado di
utilizzarli adeguatamente. All’ardua sfida di rendere il corpus iuris giustinianeo
intellegibile e utilizzabile, seppero rispondere meglio di altri alcuni giuristi, operanti a
Bologna, capostipiti della scuola di diritto che sarà detta dei Glossatori. Nasceva così
dunque, nei primi anni del dodicesimo secolo, la più antica università europea
6.
La rinascita giuridica, quindi, prese corpo intorno al 1088 con la nascita della scuola di
diritto di Bologna, fondata da Irnerio (1060 – 1130 ca). Quest’ultimo viene presentato
dalla storiografia come colui che per primo illuminò le tenebre del diritto (lucerna iuris)
e che assurgeva a vero protagonista della riscoperta e della valorizzazione degli antichi
libri legales giustinianei. Insieme ai suoi quattro discepoli, Jacopo, Ugo, Bulgaro e
Martino aveva conferito al diritto una propria definitiva autonomia nelle gerarchie del
6
Cfr. A. Padoa Schioppa, op. cit., pag. 88 – 89.
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sapere
7.
I giuristi che operavano nella scuola di Bologna venivano chiamati Glossatori, dalla
“glossa”, che altro non era se non un metodo interpretativo, consistente in una dettagliata
lettura, corredata da brevi note, le glosse, le quali venivano apposte a margine del testo.
Questi intellettuali operavano in maniera spontanea giacché nella scuola non era
istituzionalizzato l’insegnamento, infatti, lo stesso Irnerio non era un professore, ma un
maestro definito come dominus che spontaneamente riuniva intorno a sé i discepoli,
chiamati socii, perché desiderosi di apprendere.
Il lavoro dei glossatori sottrasse il diritto giustinianeo alle manipolazioni maldestre che
si erano succedute durante l’Alto Medioevo. La prima fase di esplorazione conoscitiva
del Corpus giustinianeo fu caratterizzata quindi da lunghe ricomposizioni di pezzi tra loro
disorganici e, spesso, anche fisicamente staccati.
Essi collocavano i testi antichi in una dimensione senza tempo, tale da considerare le leggi
giustinianee alla stregua di leggi del presente.
Enorme fu il lavoro dei glossatori per adattare alla realtà presente gli antichi testi
giustinianei, attribuendo alle norme di questi una voluntas, una ratio che esse non
potevano avere avuto e realizzarono il tutto senza tener conto del periodo e della funzione
storica delle norme ma prendendo in considerazione solo l’obiettivo che il legislatore
intendeva perseguire con essa.
Nel corso del tempo il diritto giustinianeo, pur non riuscendo a scalzare del tutto gli
ordinamenti locali e il particolarismo giuridico dell’Alto Medioevo, divenne
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Cfr. G. Paradisi, op. cit., pag. 82-83.
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progressivamente modello universale di razionalità giuridica, assumendo anche una
funzione suppletiva per tutte le fattispecie che il diritto consuetudinario non prevedeva.
Il diritto romano divenne quindi lo ius commune nella cultura giuridica europea di tutta
l’epoca moderna
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.
L’attestazione del diritto romano nella scuola bolognese non comportò la scomparsa degli
altri complessi normativi che da secoli preesistevano e coesistevano in Italia e in Europa
né, tantomeno, ostacolò il proliferarsi di diritti nuovi che normavano rapporti giuridici
propri di gruppi sociali o di ceti specifici, quindi diritti particolari, secondo la definizione
di Schioppa, o che avessero validità limitata solo per alcuni territori circoscritti, quindi
diritti locali
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Il diritto romano fu recepito lentamente con tempi e modalità che differivano da luogo a
luogo ma, dal momento che in tutti i paesi venivano studiati i medesimi testi, scritti nella
medesima lingua, il latino e applicando gli stessi metodi, i tempi si dilatarono
notevolmente per avere la creazione di un sistema di diritto uniforme in Europa, basato
sul diritto comune.
Lo ius proprium, vale a dire il diritto proprio, invece proprio perché peculiare di ogni
ordinamento non costituiva oggetto di studio sia perché era frammentario ed interesse
limitato, sia perché lo scopo principale dell’insegnamento impartito non era quello della
conoscenza del diritto vigente in un luogo determinato, quanto quello dell’acquisizione
degli strumenti del linguaggio e della logica giuridica, necessari per muoversi nel mondo
del diritto complessivamente inteso. In realtà, anche il diritto locale che, nella gerarchia
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Cfr. G. Paradisi, op.cit., pag. 85-86.
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Cfr. A. Padoa Schioppa, op. cit., pag. 177.
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delle fonti aveva una posizione prioritaria privilegiata rispetto al diritto comune, veniva
letto e applicato sulla base delle categorie concettuali romanistiche apprese nelle
università
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, categorie queste che fornivano agli studenti un bagaglio nozionistico da poter
applicare nelle loro professioni di giuristi, avvocati, giudici.
Nel contesto di rifioritura degli studi giuridici promossa dalla scuola bolognese nel
dodicesimo secolo, l’idea dell’unico impero universale divenne produttiva di
conseguenza nel mondo del diritto. In un trattatello di questa scuola, le Quaestiones de
iuris subtilitabus, attribuite a Piacentino, per la prima volta fu posto in modo chiaro il
parallelismo in base al quale se unico era l’Impero, unico doveva essere il suo diritto,
mentre la presenza di diritti particolari portava necessariamente con sé la pluralità di
regni.
La realtà politica medievale era caratterizzata dalla presenza di numerosi ordinamenti
giuridici tanto all’interno quanto all’esterno dei territori imperiali, ciascuno dei quali
aspirava a forme di autonomia, anche normativa. Per superare la contraddizione fra realtà
e teoria, i giuristi della scuola bolognese diedero vita ad una poderosa creazione
concettuale che conciliasse il diritto romano e i diritti particolari. Fulcro della costruzione
logica era il concetto di ius commune, ossia l’idea del diritto romano imperiale come
diritto generale universale, alla cui razionalità e sistematicità dovevano essere ricondotti
tutti gli iura propria, cioè gli ordinamenti giuridici particolari che si sovrapponevano
all’interno dell’Impero
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Almeno fino al XIII secolo, nella visione giuridica dei giuristi bolognesi, lo ius commune
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Cfr. M. Ascheri, Introduzione storica al diritto moderno e contemporaneo, Giappichelli ed., Torino
2008, pag. 11.
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Cfr. G. Paradisi, op.cit., pag. 94.