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INTRODUZIONE
Il presente lavoro, che conclude il Corso di Laurea Magistrale in Psicologia del
Lavoro e delle Organizzazioni, è nato dalla necessità di fare il punto della
situazione sull’attuale condizione lavorativa delle donne, con l’intento di
continuare a tenere desta l’attenzione sugli effetti devastanti che può provocare il
mobbing sul lavoratore e sull’organizzazione in cui opera, con un occhio di
riguardo alle condizioni di vita delle donne nel mondo del lavoro, soprattutto in
Italia, ponendo in evidenza alcuni strumenti di prevenzione e prospettive di
intervento.
Il primo capitolo prende in esame la situazione attuale del lavoro femminile,
evidenziando disuguaglianze e disagi, discriminazioni di genere, dalla selezione
occupazionale che, indirettamente impedisce di ricoprire ruoli apicali alle
differenze di trattamento salariale e previdenziale a parità di mansioni e
competenze con gli uomini, fino al fenomeno del mobbing sul lavoro, per
sottolineare come nella generalità dei lavoratori siano le donne le più vulnerabili e
le più colpite.
Con riferimento alla letteratura nazionale e internazionale il secondo capitolo si
incentra sul fenomeno del mobbing in generale, dalle sue origini alle varie forme
e tipologie, quali il mobbing verticale, il mobbing orizzontale, il mobbing
strategico, il c.d. “doppio mobbing”.
Successivamente, sono presi in esame i soggetti del processo del mobbing, valutati
i comportamenti mobbizzanti, operando una distinzione fra le azioni vessatorie,
intimidatorie riferibili alle relazioni interpersonali all’interno dell’ambiente di
lavoro e le condotte ascrivibili alla c.d. “costrittività organizzativa”, connessa alla
struttura e alla gestione aziendale.
Per quanto riguarda le cause del fenomeno si riporta una classificazione che
individua quattro categorie di fattori scatenanti, spesso compresenti, quali
concause di mobbing:
• i fattori sociali e macroeconomici;
5
• i fattori legati all’organizzazione del lavoro all’interno dell’azienda
pubblica o privata;
• i fattori riferibili alla percezione dell’ambiente lavorativo da parte dei
dipendenti (c.d. clima organizzativo);
• i fattori riconducibili alla personalità dei singoli lavoratori ed alle relazioni
interpersonali sul luogo di lavoro.
Segue un’analisi delle conseguenze del fenomeno, che coinvolgono sia il
lavoratore - quali lo sviluppo di una patologia psicosomatica o di un disturbo del
comportamento fino all’instaurarsi, nei casi più gravi, di patologie organiche, dalle
malattie autoimmuni ai disturbi psichiatrici inquadrabili mediante il DSM – sia la
stessa azienda o amministrazione, la quale subisce gravi danni economici dovuti
al calo del rendimento professionale.
Il capitolo cita anche gli interventi legislativi più significativi contro il mobbing,
sebbene in Italia non vi sia un corpus omogeneo e completo di forme di tutela
contro il mobbing, ma solo contro le discriminazioni nel mondo del lavoro, per
terminare, traendo spunto dalla distinzione operata da Ege fra molestia sessuale e
mobbing sessuale, con una revisione della letteratura sul fenomeno del mobbing
in Italia dal punto di vista della differenza di genere per le caratterizzazioni e
modalità con cui si esprime.
Il terzo capitolo è dedicato alla rilevanza delle relazioni interpersonali nell’ambito
lavorativo, le cui dinamiche incidono significativamente sulla qualità della vita
degli individui al suo interno. Per comprendere i mutamenti cui vanno incontro tali
relazioni, il costrutto del contratto psicologico rappresenta un elemento chiave.
Questo concetto è stato sviluppato negli anni ’60 del secolo scorso per intendere il
complesso di credenze e aspettative che nascono nella mente dei soggetti circa gli
obblighi reciproci che costituiscono la relazione fra il lavoratore e il datore di
lavoro, dando origine ad un contratto mentale e dunque non scritto, denominato
“contratto psicologico”.
Oltre a delineare l’origine, il significato e i contenuti di tale costrutto, il secondo
capitolo prende in esame la “rottura” del contratto psicologico in ambito
6
lavorativo, le cause e le sue conseguenze, quali, ad esempio, comportamenti di
ritiro o volti a danneggiare l’azienda. In questo contesto si inserisce il mobbing,
ovvero il terrore psicologico in ambito lavorativo. Questo fenomeno, infatti, si
sviluppa nella maggior parte dei casi a partire da un conflitto non risolto e può
riguardare colleghi di lavoro o anche la relazione tra un dipendente e il suo
superiore. La percezione di subire delle ingiustizie può suscitare nella persona la
sensazione che l’azienda non abbia rispettato le promesse fatte, violando in tal
modo il contratto psicologico e portarla a rivalutare gli eventi percepiti come
dannosi tramite un’operazione di sensemaking (Weick, 1995)
1
. Questo è il fulcro
del trait d’union tra il contratto psicologico e il mobbing: entrambi partono da un
insieme di congetture e credenze implicite che regolano le relazioni interpersonali
all’interno del luogo di lavoro. La percezione di una discrasia riguardo ai reciproci
obblighi tra individuo e organizzazione può comportare un cambiamento di
atteggiamento del primo nei confronti della seconda. Per queste ragioni appare
significativo comprendere come il contratto psicologico si sviluppa e le
motivazioni che ne determinano la rottura, poiché ciò può risultare uno strumento
importante per migliorare le tecniche di gestione del personale a vantaggio delle
relazioni nei luoghi di lavoro.
L’ultimo capitolo approfondisce le metodologie di misurazione del mobbing, quali
test, questionari, interviste e i Focus Group e delinea i programmi di intervento da
attuare all’interno di un’organizzazione per gestire i conflitti e prevenirli. A tal
fine, il capitolo prende in esame i metodi di prevenzione del mobbing, individuati
nella diffusione di valori condivisi all’interno delle organizzazioni, nell’affermarsi
di una leadership positiva, nell’attività di Formazione dell’Ufficio Risorse Umane
e in un’ottimale capacità comunicativa da parte delle aziende, che può essere
stimolata attraverso la realizzazione di Team building.
Infine, il quarto capitolo indica alcune strategie per supportare le vittime del
fenomeno, quali il counseling, la mediazione, il ricorso alla psicoterapia e nei casi
più gravi, il trattamento farmacologico.
1
Nell’ambito delle organizzazioni, la definizione di sensemaking viene rivisitata da parte di Weick, che definisce questo fenomeno
come un processo sociale, continuativo e retrospettivo, fondato su informazioni selezionate e sul principio della plausibilità, che miri
alla costruzione dell’identità del singolo e di ambienti dotati di senso.
7
CAPITOLO PRIMO
IL LAVORO DELLE DONNE
1.1 Nascita della norma del male breadwinner: uno sguardo al passato.
2
La storia di genere è caratterizzata da una lunga diacronia che affonda le sue radici
in un passato lontano, riconducibile alle ideologie delle società patrizie di Atene e
Roma, che esaltavano la propensione degli uomini a vivere all’aperto, affrontando
le asperità della natura e rafforzando la propria vocazione guerriera, mentre
teorizzavano la predisposizione delle donne a vivere al chiuso.
Per molti secoli, a partire dal mondo antico, le donne delle famiglie abbienti hanno
seguito norme giuridiche e morali che impedivano loro di lavorare fuori casa o per
committenti esterni, poiché la frequentazione di persone estranee alle famiglie
avrebbe costituito un disonore per gli uomini. Era scontato, invece, che le donne
povere lavorassero in casa e fuori per la sussistenza propria, dei coniugi e dei figli.
Nel Medioevo l’antica norma della separazione fra la sfera domestica, tipicamente
femminile, e quella pubblica della politica e della guerra, attribuita agli uomini, fu
integrata da una visione giuridica che obbligava gli uomini al mantenimento delle
mogli. In questa evoluzione della teoria delle sfere separate si può intravedere un
rilevante tassello della progressiva costruzione del modello del male breadwinner
(“il maschio che guadagna il pane”), definizione coniata dai sociologi Talcott
Parsons e Robert Bales
3
per le famiglie americane degli anni ’50, che ha
influenzato le successive discussioni sul lavoro delle donne.
Il Settecento fu un periodo di crescita della visibilità delle lavoratrici, con
l’aumento delle loro opportunità di accesso agli apprendistati. A fine secolo, lo
sviluppo delle idee illuministe e dei movimenti rivoluzionari indusse anche alcune
donne alla richiesta esplicita della parità dei diritti civili e politici, ma la
2
Pescarolo Alessandra, Il lavoro delle donne nell’Italia contemporanea, Roma (2019).
3
Ibidem
8
rivoluzione industriale inglese e francese e il movimento illuminista e liberale si
erano ormai intrecciati con la formazione di una nuova ideologia sociale,
economica e politica, destinata a ridefinire il rapporto fra genere e lavoro: la
visione liberale si incrociò con la nascita di una scienza, l’economia politica. La
concomitanza della liberalizzazione del mercato del lavoro, con l’enorme crescita
demografica sette-ottocentesca, vide l’intenso sfruttamento nelle fabbriche tessili
della forza lavoro femminile. Tuttavia, anche il pensatore più sensibile al duro
sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici nelle fabbriche capitalistiche, Karl
Marx
4
, era vicino alla visione protettiva delle élites borghesi illuminate, volta ad
escludere le donne dal lavoro nelle industrie manifatturiere.
La norma sociale del male breadwinner si affermò più compiutamente nel
momento in cui, con l’egemonia culturale borghese, l’economia divenne lo
strumento principale di gerarchizzazione sociale e di genere. Ciò che “fece la
differenza” rispetto al passato fu l’affermarsi di una visione dell’individuo
borghese che vive e si forma una famiglia grazie al reddito che percepisce con il
proprio lavoro, invece che amministrando una rendita.
Nel secondo Ottocento, un ulteriore impulso alla diffusione della norma del male
breadwinner venne dalle nuove idee scientifiche sul concepimento dei figli, che
ribaltarono le credenze pregresse, invalidando il presupposto patriarcale di una
minorità del contributo femminile a tale processo. Tali scoperte condussero
all’emanazione di leggi volte alla tutela della lavoratrice madre tra il 1902 e il
1910: per la prima volta la lavoratrice, la donna del popolo, era protetta più
dell’uomo dalla fatica del lavoro. Alle figlie dei ceti medi si aprirono nuovi spazi
nelle professioni impiegatizie fra Otto e Novecento; tuttavia, la dipendenza
economica delle mogli continuò a rappresentare un pilastro della rispettabilità
borghese.
Le due grandi guerre rappresentarono per le donne una fase di mutamento
dell’impostazione sociale e familiare che voleva l’uomo difensore della patria e la
4
Pescarolo Alessandra, op. cit.
9
donna custode del focolare domestico. La lunga permanenza degli uomini al fronte
e il bisogno crescente di manodopera costrinsero le donne a svolgere compiti che
fino ad allora erano stati appannaggio esclusivo degli uomini: manovratori,
capotreno, dipendenti di banca e della pubblica amministrazione, operai, ecc. Al
termine della guerra, la necessità per i reduci di trovare un impiego determinò la
destituzione di molte donne dalle occupazioni lavorative loro affidate, per far
ritorno ai tradizionali compiti procreativi e materni. Tuttavia, in alcuni ambiti la
presenza femminile subì un incremento, come nel settore terziario.
5
Solo con l’affermazione del movimento femminista degli anni Settanta il modello
del male breadwinner perse il suo appeal simbolico, divenendo patrimonio delle
famiglie meno dotate di risorse intellettuali e materiali. L’aumento dell’istruzione
femminile e l’espansione dei servizi e del pubblico impiego consentirono alle
donne di conquistare un luogo di emancipazione economica ed espressione di sé,
formando un vasto ceto medio femminile. I maggiori ostacoli per il lavoro
femminile divennero un basso livello di istruzione, la residenza nelle aree meno
sviluppate, soprattutto meridionali, e la carenza di servizi pubblici destinati
all’infanzia e agli anziani, lascito dell’ideologia che riteneva essenziale il ruolo
domestico della moglie-madre, tenacemente sostenuta dal mondo cattolico.
A partire dagli anni Novanta la tradizionale scarsità di servizi pubblici fu aggravata
dalla crescita del debito pubblico e le lavoratrici fecero ricorso agli aiuti privati
offerti da collaboratrici domestiche a basso costo, rinunciando in tal modo alla
condivisione con i coniugi dei compiti domestici e disattendendo quindi gli ideali
di sorellanza del primo femminismo
6
. Tuttavia, sebbene lo Stato, su impulso dei
movimenti sociali che hanno caratterizzato gli anni Settanta, abbia delegittimato il
patriarcato, sul terreno dei comportamenti concreti persistono elementi di
continuità tra gli attuali modelli femminili e le ideologie patriarcali del passato. In
primo luogo, l’aumento del lavoro part-time fra le donne meno istruite e le
differenze di genere nell’uso del tempo quotidiano evidenziano che gli impegni
5
Cristina Colombo, La posizione della donna sul lavoro e il mobbing, in “Rivista di Criminologia,
Vittimologia e Sicurezza”, Vol. IV – N. 3 (settembre-dicembre 2010), p. 95.
6
Barbara Ehrenreich, Hochschild Arlie R., Donne globali. Tate, colf e badanti, Feltrinelli, Milano (2004).
10
familiari, pur essendosi ridotti, si basano su accordi innovativi tra i partner solo in
parte e nello strato sociale più giovane e istruito.
La realtà dei primi anni duemila appare multiforme e ambivalente, con i suoi
correlati di flessibilità contrattuale e di incertezza del futuro, disoccupazione e
precarietà. Dopo la crisi del 2008 l’occupazione femminile ha ripreso un percorso
ascendente, sebbene stentato, grazie alla relativa resilienza alla crisi del mondo dei
servizi, dove sono più presenti le donne, mentre l’occupazione nell’industria, in
prevalenza maschile, è diminuita. Per quanto riguarda l’Italia, l’occupazione
femminile continua ad essere molto più bassa di quella degli uomini, che pure negli
anni recenti ha subito una grave contrazione
7
.
Lo sviluppo della società in forma moderna è stato caratterizzato dallo sviluppo di
una posizione occupazionale standard propria delle grandi industrie, ove la figura
emblematica di tale formula, foriera di opportunità e garanzie per tutta la comunità,
è quella dell’uomo lavoratore e capofamiglia. Nell’ambito di questo sistema
uomini e donne hanno ricoperto ruoli diversi sia rispetto al ramo della produzione
di riferimento (si parla in questo caso di “segregazione orizzontale”) sia rispetto
alla posizione professionale (ovvero “segregazione verticale). Pertanto, mentre la
donna riveste un ruolo di minore rilievo nel mondo del lavoro, restando ancorata
ad una dimensione identitaria prettamente riproduttiva, l’uomo diviene la chiave
di volta del progresso della società moderna attraverso il lavoro. Questo svantaggio
determinato da uno squilibrio strutturale e culturale fra i due sessi viene posto in
evidenza in prima istanza dal sociologo George Simmel
8
, che anticipa in qualche
misura la “prospettiva di genere”
9
.
7
Claudia Santoni, Le donne nei luoghi di lavoro. Racconti di pratiche di resistenza e la sfida del lavoro
ben fatto, in Elisa Bellè, Barbara Poggio e Giulia Selmi (a cura di), Districare il nodo genere-potere:
sguardi interdisciplinari su politica, lavoro, sessualità e cultura, Atti del III convegno nazionale del Centro
di Studi Interdisciplinari di Genere dell’Università degli studi di Trento (21 e 22 febbraio 2014), pp. 108-
128. Link: https://aisberg.unibg.it/bitstream/10446/89207/4/Atti%20convegno%20CSG_Ottaviano.pdf;
ultimo accesso: 12/10/2023.
8
Adele Bianco, Mutamento e disparità sociali nel pensiero di Georg Simmel, FrancoAngeli, Milano (2022).
9
Il termine gender venne usato per la prima volta nel 1975 da G. Rubin. “Si differenzia dal concetto di
condizione femminile in quanto è un termine binario, che sposta il centro dell’attenzione dalla donna al
rapporto tra i due sessi, un rapporto dialettico, di scambio continuo ed in continua evoluzione” (Lia
Lombardi, Società, culture e differenze di genere, FrancoAngeli, Milano, reperibile al link:
scienzepolitiche.unical.it).
11
Nel Novecento abbiamo assistito a cambiamenti rilevanti nel ruolo lavorativo delle
donne; difatti attraverso la normativa di protezione sociale è stato intrapreso un
percorso mirato alla conciliazione tra lavoro e famiglia e all’inserimento delle
donne in nuovi settori produttivi. Tuttavia, la realtà occupazionale femminile
presenta diverse criticità: i posti di lavoro creati negli anni ’90 hanno interessato
soprattutto le aree centrali e settentrionali dell’Italia, nonostante il conseguimento
di un livello d’istruzione più elevato da parte delle donne e il conseguente
cambiamento della coscienza femminile.
Dunque, il lavoro scarseggia, è poco remunerato ed è facile perderlo, soprattutto
in vista di una gravidanza. Le più penalizzate sono le giovani donne che spesso
devono abbandonare il posto di lavoro, a causa dei maggiori carichi domestici
rispetto agli uomini, soprattutto al crescere del numero dei figli. In particolare, si
è rilevato che nel Meridione, a causa di un mercato del lavoro che appare più
fragile rispetto al Settentrione, questo fenomeno ha coinvolto una donna su quattro,
soprattutto quelle con un livello di scolarizzazione più basso.
Pertanto, le disuguaglianze di genere sul lavoro persistono e vanno interpretate
come il prodotto di meccanismi inestricabilmente connessi sul piano sociale,
culturale e normativo, che sono all’origine di atteggiamenti discriminatori e che
sono diventati più serrati a causa della crisi economica.
Ulteriori conferme a tal riguardo provengono dal Gender Policies Report 2022 –
pubblicato dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp),
che annualmente fotografa le disparità legate al genere in ambito lavorativo -
presentato presso l’Auditorium Inapp il 19/12/2022 (“Gender Policies Report
2022 - Intercettare il cambiamento e investire nella parità: nuove policy, vecchie
e nuove sfide”), dal quale si evince che “l’occupazione cresce, ma non intacca il
divario di genere”
10
.
Infatti, persiste un gap di genere del 18% come si evince dai dati relativi ai tassi di
occupazione tra i due sessi. Nonostante la crescita dell’occupazione femminile,
10
AA.VV., Gender Policies Report 2022, dicembre 2022, in Monica Esposito (a cura di) reperibile al link:
https://inapp.org/it/eventi/gender-policies-report-2022-intercettare-il-cambiamento-e-investire-nella-
parit%C3%A0-nuove-policy-vecchie-e-nuove-sfide, pp. 1-14 (ultimo accesso: 06/02/2023).
12
persistono criticità che sono all’origine della scarsa presenza femminile nel mondo
del lavoro: impieghi poco remunerativi, precari e in settori marginali.
Per quanto concerne le evidenze relative alla conciliazione vita-lavoro, in Italia le
donne beneficiano di minore flessibilità rispetto agli uomini, situazione che è
presente anche in Europa, con la differenza che nel nostro Paese ciò accade
soprattutto per le donne laureate.
Il Gender Report fornisce, inoltre, esempi concreti di una tipologia di
discriminazione più recente, connessa all’uso degli algoritmi delle piattaforme
digitali, poiché questi strumenti riflettono i pregiudizi e gli stereotipi di chi li ha
creati. A tal proposito Sebastiano Fadda
11
, presidente dell’Inapp ha evidenziato
che “(…) Risulta inderogabile la necessità di approfondire il legame tra società
digitale e discriminazioni, nelle sue evidenti connotazioni di genere. Si pensi, ad
esempio, a come stereotipi e pregiudizi (…) possono essere tradotti in
discriminazioni attraverso algoritmi deputati alla selezione del personale o alla
definizione delle retribuzioni o a sistemi di valutazione delle performance”
12
.
I primi dati sull’occupazione 2021 forniti dall’ISTAT ed elaborati dalla
Fondazione Moressa rilevano che, anche se in molte regioni si registrano
importanti incrementi dell’occupazione femminile e molti riguardano il Sud,
tuttavia, vi sono regioni che evidenziano una drammatica marginalizzazione del
lavoro femminile, quali la Calabria, la Sicilia e la Campania.
Infine, si auspica la pronta implementazione della missione 5 del PNRR, che
beneficia di uno stanziamento di 10 milioni di euro: la “certificazione di parità”,
uno strumento che permetterà alle imprese che promuovono il lavoro femminile e
le pari opportunità di avere vantaggi fiscali
13
.
11
Barbara Leone, Occupazione cresce ma resta elevato il gender gap e spunta anche la discriminazione
algoritmica, in “Italia Informa”, quotidiano on line (19/12/2022), italia-informa.com/inapp-gender-gap-
discriminazione.aspx; ultimo accesso: 19/05/2023.
12
Serena Uccello, Il lavoro femminile cresce, ma è ancora troppo poco (42,2%), in “Il Sole 24 Ore” (aprile
2022). Link: https://www.ilsole24ore.com, ultimo accesso: 13/02/2023.
13
ISTAT, Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale; link:
https://www.istat.it/it/files/2019/11/Report-stereotipi-di-genere.pdf/, ultimo accesso: 01/03/2023.