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INTRODUZIONE
La tesi di ricerca è intitolata “Adulti a 360°. L’educazione alla sessualità e
all’affettività nell’ambito del “Durante e Dopo di Noi” in quanto si concentra sulle
tematiche della sessualità e dell’affettività delle persone adulte con disabilità grave,
ovvero i destinatari della Legge n. 112 del 2016, contestualizzandole nell’ambito delle
soluzioni alloggiative/residenziali dedicate ai percorsi di accompagnamento
all’autonomia.
L’interesse per queste due tematiche e la scelta di collegarle tra loro nasce a partire da
un’esperienza di tirocinio svolto presso la Cooperativa Cascina Biblioteca e, in modo
particolare, all’interno dei servizi alloggiativi/residenziali adibiti alla Legge n.
112/2016 “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità
grave prive del sostegno familiare” e ai percorsi di accompagnamento all’autonomia,
i quali si configurano come case all’interno delle quali i destinatari, ovvero le persone
adulte con disabilità grave, possono sperimentare temporaneamente situazioni di vita
quotidiana e autonoma al di fuori del contesto familiare d’origine; ciò con l’obiettivo
di una futura emancipazione da quest’ultimo.
Durante l’esperienza di tirocinio, infatti, è stato possibile constatare che, nonostante
l’obiettivo principale sia l’autonomia abitativa e residenziale e l’emancipazione dal
contesto d’origine, i soggiorni all’interno dei servizi residenziali per la
sperimentazione, seppur temporanei, rappresentavano delle occasioni e delle
possibilità di socializzazione e di instaurazione di relazioni, alcune delle quali
riuscivano anche ad evolvere in rapporti affettivi, sentimentali, amorosi e anche di
natura sessuale e fisica. Tali dinamiche incentivavano, pertanto, anche l’espressione o
l’emersione di sfere della vita che fino a quel momento erano rimaste tacite o represse
con la conseguenza della nascita di curiosità verso il proprio e altrui corpo.
Da ciò che è emerso, pertanto, è stato possibile prendere coscienza del fatto che
effettivamente gli aspetti affettivi e sessuali possono interessare, chi più chi meno, tutti
gli esseri umani, quindi anche le persone adulte portatrici di una disabilità grave,
ovvero persone che tutt’oggi continuano ad essere discriminate e soggette a pregiudizi
e tabù, tra i quali il fatto di non poter essere capaci di provare e di esprimere pulsioni
sessuali e bisogni affettivi.
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Per comprendere meglio i due ambiti indagati, dal punto di vista, sia politico-sociale,
sia educativo e formativo, i primi due capitoli si concentreranno rispettivamente sulla
descrizione della Legge del Dopo di noi e sulla percezione generale delle sfere sessuali
e affettive dei disabili nella società.
In particolare, nel primo capitolo ci si dedicherà, innanzitutto, su una breve panoramica
storica introduttiva, all’interno della quale si tratteranno: il Modello Medico, il
Modello Sociale e il Modello Biopsicosociale, per comprendere come si è evoluta la
visione che la società ha del disabile fino ai giorni nostri; poi verrà presentata la
normativa, i dieci articoli che la costituiscono e le modalità con cui vengono applicate
le disposizioni della legge, le quali avvengono mediante percorsi, interventi,
programmi e, come detto prima, soluzioni alloggiative e residenziali dedicate alla
sperimentazione che vengono implementati da parte degli enti del Terzo Settore.
Il secondo capitolo, invece, che come detto poc’anzi tratterà della percezione generale
delle sfere sessuali e affettive dei disabili nella società e i suoi sviluppi lungo il tempo,
andrà ad analizzare: i tabù che hanno caratterizzato e che ancora sono presenti
nell’ambito della sessualità del disabile e in che modo quest’ultima è presente e
riconosciuta all’interno del contesto politico-sociale; la pratica dell’assistenza sessuale
in Europa e in Italia; e infine, i vissuti e i ruoli della famiglia, delle figure professionali
e delle persone con disabilità, per comprendere come le sfere sessuali e affettive sono
affrontate e vissute da soggetti differenti ma che in egual modo sono quotidianamente
a stretto contatto con la disabilità.
Nel terzo capitolo, quindi, si entrerà nel dettaglio del progetto di ricerca.
Verranno inseriti, sia un’introduzione generale al progetto e delle motivazioni per il
quale è stato definito; sia la descrizione del disegno di ricerca, ovvero quali domande
hanno guidato il percorso di ricerca e quali sono state le metodologie, le tecniche e gli
strumenti scelti ed utilizzati per la raccolta dei dati e l’analisi dei dati; ed infine, i
risultati a cui si è pervenuti.
Le domande che hanno guidato e sostenuto il percorso di ricerca sono state le seguenti:
“come sono vissuti, gestiti ed affrontati gli aspetti di natura sessuale e affettiva che
emergono lungo i percorsi di sperimentazione abitativa e di accompagnamento verso
l’autonomia svolti all’interno dei servizi e/o delle soluzioni alloggiative per la Legge
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n. 112/2016 da parte delle figure professionali di primo livello (educatori e operatori),
delle figure professionali di secondo livello (coordinatori), delle famiglie e degli stessi
utenti/destinatari della normativa in questione?”, “In che modo sono strutturati, se sono
presenti, eventuali percorsi di educazione-formazione alla sessualità e all’affettività?”.
Per tentare di rispondere a tali domande di ricerca si è scelto di utilizzare una
metodologia di ricerca qualitativa, le tecniche dell’osservazione partecipante e
dell’intervista semi-strutturata, ed infine, un approccio induttivo all’analisi dei dati per
l’individuazione delle macro-tematiche o macro-categorie entro le quali era possibile
raggruppare le varie voci dei soggetti intervistati, i quali sono stati suddivisi per
categorie: figure professionali di secondo livello, figure professionali di primo livello,
familiari e persone adulte con disabilità grave. La suddivisione in categorie e il fatto
di riproporre domande simili a individui di categorie diverse, infatti, ha consentito di
comprendere, analizzare e individuare differenze e similitudini tra le loro opinioni
rispetto a una determinata tematica.
Per concludere, successivamente all’analisi dei dati e all’individuazione di
macrocategorie attorno alle quali le voci delle persone intervistate si incontravano e/o
si scontravano, è stato possibile presentare i risultati di ricerca e le macrocategorie
principali, ovvero: il concetto di Autonomia, la percezione dei bisogni e l’autonomia
come gestione degli aspetti affettivi e sessuali.
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CAPITOLO 1 – LA LEGGE DEL “DOPO DI NOI”
Il mondo della disabilità nel corso dei secoli ha affrontato numerosi ostacoli e sfide,
alcuni dei quali, sono stati superati grazie alla determinazione delle stesse persone con
disabilità e di coloro che hanno da sempre cercato di far in modo che i diritti dei propri
familiari, amici e/o parenti venissero rispettati e tutelati; mentre altri attendono ancora
di essere individuati e risolti.
La storia della disabilità e le sue origini sono, infatti, molto antiche; basti pensare a
quante accezioni del termine “disabilità” sono state sviluppate: menomazione, deficit,
limitazione, minorazione, handicap, malattia, problema, ecc.
L’enorme quantità di accezioni del termine, più o meno rispettose della persona, si
affianca ai numerosi pensieri e modelli che hanno caratterizzato la nostra società come,
ad esempio, il pensiero “eugenetico”, il modello “medico”, il modello “psichiatrico”,
il modello “sociale” e il modello “biopsicosociale”. Il pensiero o il modello di un
determinato periodo storico ha influito sull’idea che la società aveva nei confronti delle
persone con disabilità e di conseguenza, ha spinto spesso verso un atteggiamento o un
altro. Non è difficile, infatti, rinvenire nei giorni nostri pregiudizi riguardanti il mondo
della disabilità caratterizzanti un determinato periodo storico e/o un determinato
pensiero.
Ancora oggi, durante la loro vita quotidiana, le persone con disabilità combattono e
affrontano pregiudizi, tabù, discriminazioni e ostacoli che si interpongono e
condizionano il percorso che esse affrontano per vedersi riconoscere come persone con
diritti, desideri, ambizioni, bisogni ed esigenze; come persone con una propria
soggettività.
Nel corso dei secoli, con il sostegno e l’aiuto di soggetti, organizzazioni e associazioni
a diretto contatto con il mondo della disabilità, le persone sono state in grado di
raggiungere non pochi traguardi, sia dal punto di vista sociale, sia dal punto di vista
politico-culturale, riuscendo a costruire, mattone dopo mattone, una base solida sulla
quale fondare la propria emancipazione.
Una delle ultime conquiste è la Legge 22 giugno 2016, n. 112, “Disposizioni in materia
di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”,
la quale ha permesso di prendere in considerazione la persona adulta con disabilità
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grave nella sua interezza, a partire dalla necessità di sostenerla durante percorsi di
emancipazione dal nucleo familiare, di sviluppo dell’autonomia, di inclusione e
partecipazione sociale. Si configura, infatti, non solo come quadro normativo per la
costruzione dei progetti individuali di vita delle persone in vista della perdita del
sostegno familiare, ma anche come risposta e soluzione ai sentimenti che in entrambi
le parti, sia nelle persone adulte con disabilità grave, sia nei familiari, nascono per
paura del futuro come, ad esempio, solitudine, abbandono e disorientamento.
La normativa è considerata innovativa, inoltre, perché permette ai destinatari di
avviare percorsi di sperimentazione abitativa e di accompagnamento verso
l’autonomia all’interno di soluzioni alloggiative in cui vivere in maniera protetta
situazioni di vita quotidiana a contatto con persone che non fanno parte del nucleo
familiare; e in aggiunta, usufruire di agevolazioni e strumenti a sostegno delle famiglie.
All’interno di tali alloggi, come si può dedurre, è quasi inevitabile per i destinatari
interagire con le altre persone, condividere con esse la stessa esperienza e instaurare
rapporti di amicizia o di altra natura; infatti, le relazioni che essi costruiscono lungo il
percorso di sperimentazione abitativa possono acquisire sfumature che vanno oltre
quelle che caratterizzano le relazioni tra familiari o amici: possono acquisire anche
sfumature sessuali e/o affettivo-sentimentali.
Le sfere della sessualità e dell’affettività, tuttavia, per la società odierna rappresentano
ancora un tabù caratterizzato da pregiudizi, tanto più se riferite all’ambito della
disabilità.
Entrando nello specifico della Legge del Dopo di Noi, essa prende in considerazione
il concetto più ampio di “autonomia”, motivo per cui quest’ultimo, nel momento
dell’applicazione e dello svolgimento dei percorsi e dei progetti individuali delle
persone, viene lasciato alla libera interpretazione dei singoli enti del terzo settore,
facendo rientrare le sfere della sessualità e dell’affettività nelle categorie più ampie di
“maggior livello di autonomia possibile”, “consapevolezza” e “competenze per la
gestione della vita quotidiana”.
È vero che la Legge del Dopo di Noi pone l’accento su un tipo di percorso in cui le
persone possano sperimentare attimi di vita quotidiana in un contesto protetto, quali
sono le soluzioni alloggiative; ma è anche vero che all’interno di tali soluzioni
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alloggiative e, in generale, nella vita quotidiana di ogni individuo gli aspetti affettivi
e/o sessuali sorgono inevitabilmente in quanto aspetti propriamente umani.
Lungo il primo capitolo, pertanto, dopo una breve panoramica della storia della
disabilità, si proseguirà con una presentazione della Legge n. 112/2016 e dei suoi dieci
articoli, per poi concludere con una riflessione sulle tematiche della sessualità e
dell’affettività nell’ambito della disabilità.
1.1 BREVE PANORAMICA STORICA: IL MODELLO
MEDICO, IL MODELLO SOCIALE E IL MODELLO
BIOPSICOSOCIALE
La definizione di disabilità è stata a lungo oggetto di revisioni, correzioni, modifiche
e aggiornamenti, raffigurando man mano la percezione che, in un dato periodo, la
società ha avuto della persona disabile. Per secoli la disabilità è stata considerata alla
stregua della follia e della malattia; come un qualcosa da dover eliminare, allontanare,
marginalizzare, curare e normalizzare.
Basti pensare alle migliaia di persone con disabilità, tra adulti e bambini, sterminate
durante il periodo della Germania nazista a causa di un’ideologia, ovvero il pensiero
“eugenetico” (Schianchi, 2012: 189) che a quel tempo vedeva la disabilità come un
qualcosa che rendesse gli individui “indegni di vivere” (ivi: 188); da dover eliminare
dalla società per rendere la popolazione pura e senza difetti fisici e genetici.
La concezione di disabilità prevalente a partire dall’Ottocento fino alla prima metà del
Novecento si fondava, infatti, sul cosiddetto “Modello Medico o Individuale”
(Schianchi, 2021: 51), un modello che vede la disabilità come un problema o una
“tragedia personale” (ibidem), derivante da una causa di tipo biologico e/o genetico e
che pertanto richiede un trattamento di tipo medico, sanitario, assistenziale e
riabilitativo. A causa di tale modello si diffuse l’idea secondo cui “fosse anche
necessario proteggere la società dalle persone in condizioni di disabilità” (Pantrini e
Maino, 2017: 259) e ciò funse anche da spinta per la nascita e la fondazione delle
“istituzioni totali” (ibidem), ovvero strutture residenziali in cui i pazienti venivano
controllati, rinchiusi, ricoverati e riabilitati per lunghi periodi di tempo, tramite metodi
poco rispettosi della dignità umana e basati su un sistema di tipo psichiatrico.
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È, infatti, solo a partire dal secondo dopoguerra che la disabilità comincia ad acquisire
importanza e rilievo in numerosi ambiti, a partire da quello politico con la nascita del
concetto di “Welfare State”, anche denominato “Stato del Benessere” o “Stato
sociale”. Il Welfare State o Stato sociale è “l’insieme delle politiche pubbliche e dei
servizi fondamentali (istruzione, sanità, ecc.) per migliorare le condizioni di vita dei
cittadini. Si basa, […], sulla solidarietà politica, economica e sociale per rimuovere gli
squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona”
(Schianchi, 2021: 75).
Attraverso lo Stato sociale si comincia a garantire l’uguaglianza di tutti i soggetti e “la
disabilità si configura sempre di più come un fenomeno trasversale a tutti i ceti sociali”
(Schianchi, 2012: 207).
L’insieme delle politiche pubbliche derivanti dalla nascita del Welfare State segna un
punto di svolta per la storia della disabilità; dalla seconda metà del Novecento in poi,
infatti, si sussegue una serie di cambiamenti e di sviluppi, sia in ambito culturale e
scientifico che in quello politico-sociale, con la finalità di cambiare e migliorare la
prospettiva che la società aveva nei confronti delle persone con disabilità, e di tutelarle
andando incontro alle loro esigenze e assicurando la loro partecipazione e inclusione.
Non a caso, infatti, il modello medico-sanitario entra in crisi e comincia a perdere il
titolo di modello predominante.
In questo periodo si registrano rivendicazioni, un maggiore sviluppo dei movimenti
associazionistici derivanti dal sempre più crescente coinvolgimento delle persone con
disabilità e dei loro familiari e un aumento progressivo della rilevanza delle scienze
sociali, tra cui il campo della pedagogia speciale.
La disabilità comincia ad essere vista, non più come un “problema individuale”, bensì
come un “problema sociale” (Schianchi, 2012: 207), come una condizione causata,
non dalla patologia e dalle menomazioni della persona, bensì dal rapporto che lega
quest’ultima con l’ambiente circostante.
Il modello che rappresenta tale concezione di disabilità e che lentamente ha acquisito
importanza contrapponendosi al modello medico è il cosiddetto “Modello Sociale”
(ibidem), i cui principali sostenitori e teorizzatori sono Oliver, Barnes, Mercer,
Shakespeare.