Capitolo primo
IL QUATTROCENTO E LA RISCOPERTA DI SPARTA
1. Sparta prima del XV secolo
L’Occidente latino fu per lunghissimo tempo quasi ignaro di Sparta e della sua storia.
Diciamo “quasi” perché, oltre a rare e sparse menzioni, in particolare di Cicerone e di
Valerio Massimo
1
, circolava diffusamente l’epitome di Giustino (III-IV sec. d.C.) delle
Storie filippiche di Pompeo Trogo, storico di età augustea. L’opera era una storia univer-
sale che iniziava la narrazione a partire dagli Assiri e si concludeva con i fatti più recenti.
I libri II-VI trattavano delle vicende nelle quali Sparta fu assoluta protagonista, cioè del
periodo che occorre dalle guerre persiane fino all’egemonia tebana (non sarebbe del tutto
avventato affermare che – lato sensu – a loro volta “compendiassero” Erodoto, Tucidide
e Senofonte); in particolare il libro III si soffermava sulle origini mitiche e sul passato
arcaico della città, con una digressione sulle sue istituzioni e sulla storia di Licurgo, il suo
mitico legislatore. Nella sua epitome, destinata ad essere la fonte primaria del Medioevo
sulla Grecia preromana, almeno fino alla metà del XIII secolo, Giustino riassume succin-
tamente la costituzione spartana, con protagonista la figura di Licurgo
2
. Del suo racconto,
fece particolarmente presa sull’immaginario degli eruditi medievali l’episodio del giura-
mento contratto da questi con gli Spartani: esso imponeva che la città non avrebbe mutato
le sue leggi fino a quando egli, in procinto di partire nuovamente per consultare l’oracolo
di Delfi, non fosse tornato; una volta che l’oracolo ebbe lodato sue leggi, egli non fece
1
Per Cicerone v. soprattutto De legibus e De officiis; per quanto riguarda Valerio Massimo, v. libri III
e IV .
2
V . Giust. Epit. III, 2-3.
11 L’immagine di Sparta nel pensiero umanistico dei secoli XV e XVI
più ritorno a Sparta, lasciandosi morire lontano dalla patria, affinché i suoi concittadini
non si potessero liberare dal vincolo
3
.
Perché si potesse estendere la conoscenza delle leggi di Sparta e del più generale di-
battito costituzionale nell’antica Grecia, fu necessario attendere il 1260 ca., quando fu
tradotta la Politica di Aristotele ad opera di Guglielmo di Moerbeke. Il trattato comprende
nel II libro (II, 9 1269a-1271b) un’esposizione piuttosto critica di alcuni aspetti selezio-
nati della costituzione spartana, soffermandosi soprattutto sulla libertà della condizione
femminile, a detta del filosofo foriera di avidità e dissolutezza, sull’eforato, viatico per la
democrazia, e sulla diseguaglianza della proprietà fondiaria tra i cittadini, in violazione
dell’originaria azione riformatrice di Licurgo ma sorta proprio a causa delle leggi da que-
sti stabilite
4
. In ogni caso, fu notevole l’entusiasmo per questa traduzione e si iniziarono
a produrre diversi commenti al testo. Tra questi spicca quello di Tommaso d’Aquino, che
però non riuscì a completarlo; fu concluso da un suo allievo dopo la morte del filosofo. È
rilevante come in questo commento, e anche in alcuni passaggi della Summa theologiae,
Aquino introducesse un modello monarchico temperato e financo analizzasse lo Stato
spartano alla luce una forma di governo mista
5
. Da segnalare è anche la parafrasi con
commento della Politica da parte del teologo Alberto Magno
6
, di poco successiva alla
traduzione di Guglielmo di Moerbeke. Egli, naturalmente condizionato dall’esposizione
di Aristotele, valutava negativamente la struttura costituzionale di Sparta: riteneva, infatti,
che l’elezione degli efori da parte del popolo fosse una pratica pericolosamente
3
Cfr. Giust. Epit. III, 3, 10-12: egli dichiara che Licurgo morì a Creta, ma le fonti non sono unanimi;
per il dibattito già nell’antichità, cfr. Plut. Lyc. 31, 7. Rispetto alla dispersione a Creta dei resti del legisla-
tore, Plutarco in Lyc. 31, 10 pare concorde con Pompeo Trogo, e quindi con Giustino, asserzione che però
contraddice quanto affermato in Lyc. 31, 5, dove si dice che i suoi resti furono riportati a Sparta. In generale
per un resoconto più ampio, cfr. Plut. Lyc. 29-31. Per l’influenza di Giustino nel Medioevo e dell’exemplum
licurgheo cfr. Macgregor Morris 2012, pp. 4-16 (cfr. anche Cambiano 2000, pp. 4-15).
4
L’eforato fu spesso giudicato dagli antichi una magistratura pericolosa, perché o troppo democratica
(Arist. Pol. II, 9 1270b, 15) o di tendenze tiranniche (Senofonte, Lac. Pol. 8, 4 e lo Spartano Megillo in
Platone, Leg. IV, 712d, dove però in III, 692a l’anonimo Ateniese – Platone – l’aveva ritenuta salvifica) –
peraltro notoriamente due forme di governo per certi versi assimilabili dagli esponenti di parte aristocratica.
Solo Plutarco sembra apprezzarla per il tratto stabilizzatore (cfr. Plut. Lyc. 7). Aristotele, poi, risulta piut-
tosto isolato nella sua analisi sulla distribuzione della terra, giacché sia Plutarco (Lyc. 8, 4; Ag. 5, 2, dove
la sperequazione è attribuita al malgoverno di un eforo) sia Polibio (VI, 45, 3-4) ne elogiano la giustezza,
sicuramente seguendo un’altra tradizione (cfr. anche Plat. Leg. III, 684d).
5
In octo libros Politicorum Aristotelis expoisitio, II, 13-14 e Summa theologiae, I-II, q. 105; per un
resoconto completo, v. Blythe 1986. Cfr. anche Cambiano 2000, pp. 11-12 e Rawson 1969, p. 127.
6
Per un’indagine approfondita, v. Fioravanti 1997.
12 L’immagine di Sparta nel pensiero umanistico dei secoli XV e XVI
suscettibile alla venalità, insita nel processo elettivo democratico
7
. Inoltre attualizzava le
tensioni degli Spartani con gli iloti, ponendole in relazione ai conflitti del suo tempo fra
magnati e popolari
8
. Questi commenti inaugurarono la disputa sulle costituzioni e sui
modelli politici antichi, poiché Roma non era più l’unico assetto istituzionale conosciuto
e poteva essere posta a paragone con gli altri esempi di cui l’Europa si stava pian piano
riappropriando (in primis Atene e Sparta).
Il Trecento, nonostante questi precedenti, però non fu per la città della Laconia il se-
colo nel quale essa si sarebbe riaffermata e sono i rari i casi in cui Sparta è menzionata.
Fra questi, v’è il De regimine principum di Tommaso d’Aquino, anch’esso non terminato
e ripreso da Tolomeo da Lucca, allievo del teologo: egli tornava a descrivere Sparta atte-
nendosi fedelmente alla trattazione aristotelica, senza integrazioni degne di nota
9
. Tra le
successive sparute citazioni durante tutto l’arco del secolo, riscontriamo, in un altro testo
dal nome De regimine principum del filosofo scolastico Egidio Colonna, un primo vago
accenno del celebre detto del re Teopompo
10
. Alla moglie, che lo aveva interrogato sulla
ragione per cui avesse istituito la magistratura degli efori, limitando così il suo potere,
egli, di cui però non è fatto il nome, come neanche quello dei magistrati, rispose che lo
aveva reso più duraturo
11
. Non si rilevano poi altre particolari citazioni riguardo allo or-
dinamento lacedemone né tantomeno riflessioni dedicate al suo sistema etico-politico che
apparve quasi conoscere ancora l’oblio, rispetto invece al riaffacciarsi nel dibattito dotto
della storica rivale Atene e alla sempre ingombrante presenza di Roma
12
. Complice fu
sicuramente l’assenza di nuove traduzioni delle fonti letterarie che riguardavano Sparta.
Anche il nascente Umanesimo alla fine del secolo, con alfiere il cancelliere di Firenze
Coluccio Salutati, non mostrò inizialmente interesse per la polis peloponnesiaca; l’arrivo,
poi, presso le sponde dell’Arno di dotti bizantini come Manuele Crisolora non sembrò
7
V. supra n. 4.
8
Cfr. Cambiano 2000, pp. 10-11.
9
Su Tolomeo da Lucca, ivi, pp. 15-16 e Rawson 1969, pp. 127-128.
10
Platone vi allude nelle Leggi (III, 692a) e poi è riportato esplicitamente da Plutarco nelle Vite di
Licurgo (7, 2) e Cleomene (10, 3) e da Aristotele nella Politica (V, 11 1313a); anche Valerio Massimo lo
citò (4,1, ext. 8).
11
Cfr. Rawson 1969, p. 128. Anche Marsilio da Padova nel Defensor pacis la riporta con tinte più
definite (ivi, p. 129).
12
Per il quadro più ampio, cfr. Cambiano 2000, pp. 11-21.
13 L’immagine di Sparta nel pensiero umanistico dei secoli XV e XVI
dare alcuno slancio agli studi su Sparta, sebbene avesse già preso abbrivio la grande sta-
gione delle traduzioni dei classici greci.
2. Francesco Filelfo e la riemersione di Sparta
Il quadro restò sostanzialmente immutato fino a quando, tra il 1430 e il 1432 (non v’è
accordo nella critica
13
), l’umanista Francesco Filelfo non pubblicò in un blocco unico le
sue traduzioni in latino dell’Agesilao e della Costituzione degli Spartani di Senofonte, il
primo un encomio del famoso re spartano e la seconda una – parziale – descrizione delle
leggi della città, insieme alla plutarchea Vita di Licurgo (in coppia con quella Numa), una
biografia del mitico legislatore ricca di celebri aneddoti, ma che in realtà appare quasi più
un pretesto per esporre l’insieme delle leggi e dei costumi della città, la cui disamina
copre infatti la maggior parte dell’opera. Esse sono di importanza capitale per la nostra
comprensione del complesso etico-costituzionale di Sparta.
Francesco Filelfo da Tolentino (1398-1481) rappresentò la figura dell’intellettuale
umanista che girovagava di corte in città, ponendo il suo brillante acume intellettuale e la
sua vastissima erudizione al servizio del migliore offerente, accattivandosi le simpatie del
protettore di turno con il caratteristico comportamento adulatorio degli intellettuali corti-
giani; questa condotta contribuì alla cattiva reputazione che ebbe fin dopo la sua morte.
Grazie all’immensa rete di amicizie di alto livello che seppe crearsi, fu in grado di stabi-
lirsi nei più importanti centri di irradiazione dell’Umanesimo: Padova, V enezia, Bologna,
Firenze, Siena, Milano, Roma, Napoli, oltre a una lunga parentesi giovanile a Costanti-
nopoli, furono tutte sedi della sua attività, non importa se di breve o lunga durata. Sarebbe
profondamente errato, però, affermare che Filelfo si spostò lungo la penisola per la sola
ambizione di fama e onori; spesso fu costretto a continue peregrinazioni per via degli odî
che si era procurato presso gli altri umanisti e i loro potenti mecenati. Il contesto in cui
maturano le sue traduzioni delle opere succitate è appunto questo, sebbene sia dibattuto
se la scelta di queste sia un riflesso del clima politico e dei travagli personali che Filelfo
13
Per il dibattito v. Pade 2007, pp. 262-263.
14 L’immagine di Sparta nel pensiero umanistico dei secoli XV e XVI
stava attraversando
14
. Dunque, come vedremo brevemente, un’esistenza non solo dedita
ai libri, ma anche turbolenta e tormentata, che si lasciò coinvolgere nei tumulti di un
periodo nel quale parti e fazioni politiche si intrecciavano con invidie private e ostilità
personali.
Dopo un lungo soggiorno durato sette anni al servizio dell’imperatore Giovanni VIII
Paleologo, durante il quale perfezionò la sua conoscenza del greco, e un’infelice parentesi
veneziana, nel 1428 Francesco Filelfo si trasferì a Bologna per insegnare all’università.
La tranquillità della nuova sistemazione veniva rapidamente infranta dalla rivolta antipa-
pale dello stesso anno e dal conseguente assedio portato alla città da parte delle forze
pontificie. All’inizio dell’anno successivo, con il consenso delle autorità cittadine e degli
uomini di cultura (uno fra tutti Leonardo Bruni), fu assunto per insegnare nello Studio
fiorentino. In poco tempo le dispute intellettuali con gli altri umanisti si trasformarono in
reciproci rancori e invettive ad personam, per divenire odî di parte. Filelfo si allineò alla
fazione oligarchica antimedicea, probabilmente per le amicizie che lo legavano a figure
come Palla Strozzi, ma specialmente per l’acredine nei confronti di protetti dei Cosimo
de’ Medici, quali, ad esempio, Carlo Marsuppini e anche Poggio Bracciolini. Nel maggio
del 1433 subì addirittura un attentato con coltello che lo segnò sul volto a vita: il mandante
era Girolamo Broccardi, rettore dello Studio di Firenze, anch’egli legato ai Medici. Alla
fine dell’anno i Medici furono scacciati da Firenze, ma vi rientrarono nel novembre del
1434 e Filelfo, che nel frattempo ne aveva invocato l’eliminazione fisica assieme ai loro
partigiani, reputò opportuno lasciare immediatamente la città per rifugiarsi a Siena. Qui
rimase fino al 1438, anno in cui egli dovette fuggire perché si scoprì che aveva assoldato,
per rappresaglia contro un altro tentativo omicida da parte del partito mediceo, un sicario
per assassinare Broccardi, Marsuppini e Cosimo stesso. Dal 1439, eccetto alcune espe-
rienze a Roma e Napoli, si stabilì definitivamente a Milano presso la corte dei Visconti.
15
Le traduzioni della Vita plutarchea e delle operette di Senofonte, di cui fece dedicatario
il cardinale bolognese Niccolò Albergati, si collocano in questo frangente. Sappiamo che
fu per poco di nuovo a Bologna nell’autunno del 1430, con l’intenzione di cercare un
14
Ibidem e v. anche De Keyser 2012 pp. XV-XXIX.
15
Questo sunto biografico è tratto soprattutto da Viti 1997.
15 L’immagine di Sparta nel pensiero umanistico dei secoli XV e XVI
impiego lontano da Firenze, ma vi tornò già dopo poche settimane. In questa occasione,
se non nel primo soggiorno bolognese, è presumibile abbia conosciuto il cardinale Alber-
gati, il quale si credeva fosse in lizza per il soglio pontificio. Le quattro lettere dedicatorie
al cardinale (una diversa per ogni testo) ostentano tutto l’interesse del Filelfo ad ingra-
ziarsi i favori di colui che avrebbe potuto essere il prossimo papa e quindi avere la facoltà
portarlo via da Firenze senza troppe difficoltà, in caso di sua ascensione al soglio ponti-
ficio. Mentre in generale sorvola sul contenuto specifico degli scritti da lui tradotti, indu-
gia di più sul ritratto del cardinale, che è oltremodo lusinghiero: il bolognese condense-
rebbe nella sua persona la saggezza del nomoteta spartano e la pietas del re romano: in-
somma, il candidato ideale al soglio di Pietro
16
.
Aldilà dell’adulazione nei confronti del cardinale, quello che conta è che da questo
momento osserviamo, precipuamente nella sua vasta raccolta di lettere, indizi di grande
entusiasmo da parte del Filelfo per la costituzione e per gli usi spartani. Egli, che nel 1454
compì anche la traduzione degli Apoftegmi spartani, contenuti nei Moralia di Plutarco
17
,
si presenta come ammiratore dei Lacedemoni: avendo già elogiato Licurgo nella lettera
prefatoria alla Costituzione degli Spartani per il fatto che con le sue leggi aveva condotto
i suoi cittadini alla virtù, trovò riscontro di questo nelle gesta del re Agesilao narrate
nell’encomio di Senofonte. Anche i re più vittoriosi ubbidivano senza esitazione alle leggi
della propria città e l’umanista portava come prova l’episodio di quando il re spartano
venne richiamato in patria dagli efori nel bel mezzo della campagna in Asia, che al so-
vrano stava procurando notevoli successi
18
. Questo exemplum di virtù civica non poteva
che essere quanto mai desiderabile in un’epoca di sregolatezze e smisurate ambizioni dei
principi della penisola. Numerose sono le lettere sparse per l’epistolario, nelle quali, per
una ragione o per l’altra, Sparta viene celebrata: la frugalità, l’educazione e la disciplina,
l’uguaglianza dei cittadini, il valore militare, l’obbedienza alle leggi e la rinuncia a nuove
conquiste e ricchezze sono tutti topoi affrontati dal Filelfo nelle sue composizioni, quali
ottimi costumi che garantirono la durevolezza e la prosperità di quella polis, rispetto ad
16
Per l’analisi delle lettere dedicatorie, v. Humble 2012, pp. 69-72 e Humble 2018, pp. 129-136.
17
Cfr. Hankins 2018, p. 85.
18
Cfr. PhE.47.1: “Itaque Rex Agesilaus, cum magna ex parte Asiam subiugasset parumque deesset quin
regem Persarum omnino submitteret, ab ephoris revocatus in patriam, non est ausus adversari, oportere
inquiens bonum principem legibus parere”.