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Il testo costituzionale francese, entrato in vigore il 5 ottobre 1958, istituisce la cd. V Repubblica francese ed è la
settima Costituzione repubblicana nella storia della Francia.
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A queste cinque forme di amministrazione vanno aggiunte le autorità locali speciali che amministrano gli enti
locali d’oltremare.
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Art. 5 Cost. italiana.
Capi tol o 1 – L ’e nte c omunal e ne gl i or di name nti
c osti tuz i onal i
Il primo capitolo si propone l’obiettivo di introdurre il Comune, partendo dal contesto più
ampio dell’organizzazione territoriale degli ordinamenti italiano e francese, e facendo, poi,
un’analisistoricadellanascitaedell’evoluzionediquestoenteinduediverseesperienze;infine,
descrivendone il ruolo e la natura giuridica attuali.
L’ordinamento giuridico italiano, secondo la Costituzione repubblicana del 1948, riconosce
ampio spazio e potere alle autonomie territoriali, basandosi su un modello di equilibrio
triangolare tra i vari livelli di governo: Stato, Regioni, enti locali (Province, Comuni e Città
metropolitane); questi enti sono dotati di potestà legislativa, regolamentare e statutaria, e per
questo resi estremamente indipendenti, vanno quindi a delineare il cosiddetto Stato re gionale .
Il nostro testo fondamentale traccia l’essenza della Repubblica italiana accentuandone il
carattere decentrato, riconoscendo l’importanza che gli enti intermedi e periferici dello Stato
rappresentano per il governo della popolazione e del territorio d’Italia.
L’ordinamento giuridico francese, disciplinato dalla Costituzione repubblicana del 1958
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,
istituisce cinque livelli di gestione territoriale: il Comune, le strutture di cooperazione locale, il
Dipartimento, la Regione e lo Stato centrale
2
. La Francia è sempre stata modello di
centralizzazione statale e la ripartizione territoriale di funzioni e competenze rende quello
francese un mero decentramento amministrativo. Esso non è un modello federale, neanche può,
però, essere accostato e paragonato al modello regionale italiano o spagnolo. Gli enti territoriali
francesi non dispongono di poteri auto-organizzativi, né di potestà legislativa o autonomia
finanziaria. Il grado di decentramento non rende la Francia uno Stato composto; giuridicamente
esso è unitario, caratterizzato da una preponderanza dei poteri centrali sulle autorità locali.
1.1 Gli enti locali nell’ordinamento italiano
La Costituzione italiana delinea una Repubblica che “riconosce e promuove”
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le autonomie
locali, che si impegna nel realizzare il più profondo decentramento amministrativo, che si
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4
A tale riguardo, A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, Il Mulino, Bologna, 2001. VIII Ed. Cap. 12, I
governi regionali e locali.
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Art. 128 Cost. abrogato con la legge costituzionale del 18 Ottobre 2001: «Le Province e i Comuni sono enti
autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni».
La norma era, in sostanza, un rinvio alla legge e si limitava a definire “enti autonomi” le Province e i Comuni.
Durante la discussione, l’on. Matteo Rescigno (Democrazia cristiana) propose di definire gli enti locali come
“autarchici territoriali”. La proposta fu bocciata e il relatore Meuccio Ruini (Gruppo Misto) dichiarò: «Lei, così,
diminuisce la forza di questi enti, poiché autarchia è meno di autonomia […]. In Italia si è sempre parlato di enti
autonomi. V’è un significato nelle leggi e nelle tradizioni che rimane fermo e al quale io non intendo derogare».
promette di fare le leggi volte a distribuire il potere sul territorio ma che rimarca l’intenzione
di essere e rimanere una
4
.
La Costituzione italiana fonda e ripartisce l’ordinamento giuridico repubblicano in Regioni,
Province e Comuni (art. 114 Cost.). Disciplina prima le Regioni (artt. 115-127 Cost.) come
“enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione” per
poi istituire i Comuni e le Province (artt. 128-133 Cost.), definiti “enti autonomi nell’ambito
dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni”. La
disciplina di questi ultimi è dunque rimandata alla legge ordinaria, mentre quella delle Regioni
risiede direttamente nel testo costituzionale e anche nella potestà statutaria (quindi ai futuri
statuti ordinari) di ciascuna Regione. La Costituzione, dunque, divide nettamente la posizione
delle Regioni da quella di Comuni e Province, poiché solo alle Regioni riserva la competenza
legislativa.
La Costituzione, per quanto concerne la disciplina di Comuni e Province, rinvia a leggi
generali della Repubblica, con le quali si esplica l’intento del costituente di porre gli enti
territoriali sullo stesso piano. Oltre a questo aspetto, si evince come la finalità del testo
fondamentale sia quella di svincolare la normativa di questi enti dalla legge regionale,
agganciandola direttamente alla dipendenza di quella statale e lasciando al legislatore regionale
la sola disciplina delle funzioni degli enti locali; quest’ultima è messa in relazione a materie di
competenza legislativa regionale.
ComunieProvincefuronoappellaticomeentiautonomienonautarchici,discostandosiquindi
dall’eredità fascista di questo concetto, poiché “autarchia è meno di autonomia”
5
. Per veder
attutati i precetti istitutivi costituzionali, per quanto riguardava l’assetto territoriale italiano, si
dovette aspettare più di vent’anni per l’istituzione delle Regioni ordinarie (1970) e quarantadue
anni per l’approvazione del nuovo ordinamento degli enti locali (1990). Negli anni novanta,
l’ambito delle autonomie territoriali fu fortemente rivisto dal legislatore e il testo costituzionale
fu modificato e riscritto in più riprese.
Di seguito si elencano alcuni passaggi fondamentali:
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· La riforma sull’ordinamento delle autonomie locali (l. 8 giugno 1990, n. 142): per la
prima volta durante la Repubblica si disciplinano gli enti locali; Comuni e Province
poterono dotarsi di propri statuti e venne formulata la riforma elettorale, comunale e
provinciale (l. 25 marzo 1993, n. 81), che cambiò il modo di eleggere il Sindaco e il
Presidente di Provincia tramite elezione diretta. Infine si arrivò all’approvazione del
Testo Unico sugli Enti Locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267), sostituendo
definitivamente il precedente testo unico del 1934;
· Le leggi sul conferimento di funzioni statali a Regioni, Province e Comuni: fondate sul
principio che la generalità delle funzioni amministrative fosse attribuita agli enti locali
con la sola eccezione dell’ente Regione;
· La legge costituzionale che modificò alcuni articoli del Titolo V della Costituzione
riguardante la forma di governo delle Regioni ordinarie, stabilendo l’elezione diretta
del Presidente della Regione (l. cost. 22 novembre 1999, n. 1);
· La legge costituzionale che modificò il Titolo V della Costituzione per quanto concerne
le competenze ripartite tra Stato, Regioni ed enti locali (l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3);
· Per ultimo, il complesso sforzo legislativo volto al riordino territoriale e organizzativo
degli enti locali, iniziato nel 2010, ancora in atto e spinto dalle ombre economiche della
precedente crisi finanziaria, che vuole razionalizzare l’uso delle risorse e contenere le
spese pubbliche. Punta di quest’iceberg normativo è la l. 7 aprile 2014, n. 56 (legge
Delrio) sul riordino delle Province e l’istituzione delle Città metropolitane, oltre che
sulle unioni e fusioni di Comuni.
L’assetto regionale che si viene ad esplicare con il testo del Titolo V della Costituzione,
innovato dalla l. cost. 1/1999 e dalla l. cost. 3/2001, non solo divide, com’era già
precedentemente, le Regioni a statuto speciale da quelle a statuto ordinario, ma anche quelle
ordinarie fra loro. Questo avviene perché la particolare potestà statutaria delle singole Regioni
ordinarie le rende un ordinamento a sé, con un alto livello di differenziazione. Le Regioni,
insieme alle Province, ai Comuni e alle Città metropolitane sono definite dall’art. 114 Cost.
“enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”,
distinguendo l’assetto regionale da quello tipicamente federale. Il testo costituzionale vuole
perciò esplicitare il fatto che ci troviamo di fronte ad enti derivati e non originari (e quindi
sovrani), in quanto l’unico ordinamento sovrano è quello che esprime la Costituzione.
Con la riforma del Titolo V, gli enti locali hanno ottenuto una garanzia diretta nella
Costituzione. Con il testo originario del 1948 si garantiva loro l’esistenza, ma la disciplina su
cui si fondavano si esauriva nella legge dello Stato; con la riforma del 2001, però, Comuni,
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«La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni
secondo i princìpi fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento».
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«I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel
rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e
finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi
ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore
capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città
metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici
e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale
esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di
determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i
princìpi generali determinati dalla legge dello Stato».
Province e Città metropolitane vanno a costituire la Repubblica insieme allo Stato e alle
Regioni, pur non avendo la potestà legislativa che hanno le Regioni. Con l’art. 114 Cost.
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, viene
prevista la potestà degli enti locali di darsi uno statuto; si prevede inoltre la potestà
regolamentare “in ordine alla disciplina dell’organizzazione e allo svolgimento delle funzioni
loro attribuite” (art. 117 Cost., comma 6), nel rispetto sempre delle leggi statali e regionali
incidenti nelle stesse materie. Agli enti locali viene anche regolata l’autonomia impositiva e
finanziaria (art. 119 Cost.
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); essi hanno inoltre il potere di auto-organizzarsi e di amministrare,
cioè di adempiere ai compiti e alle funzioni che la Costituzione e l’ordinamento conferisce loro
(autonomia amministrativa e organizzativa). La Costituzione prevede che tutte le funzioni
amministrative spettino ai Comuni, a meno che la legge statale o regionale, al fine di mantenere
e salvaguardare l’unicità politico-esecutiva dell’ordinamento, non le assegni a un livello più
alto, che sia provinciale, regionale o statale, senza differire dalle rispettive competenze. Questa
innovativa norma si basa sul principio di sussidiarietà verticale (con la riforma costituzionale
del 2001 quest’ultimo ha sostituito il criterio del parallelismo per le funzioni legislative e
amministrative), secondo il quale le funzioni amministrative di Comuni, Province, Città
metropolitaneeRegioni(disciplinatedall’art.118Cost.)spettanoall’entepiùvicinoalcittadino
e l’intervento dell’ente superiore è successivo e sussidiario. L’art. 118 Cost. esplicita che le
funzioni amministrative “sono attribuite ai Comuni”, salvo che la legge statale o regionale (a
seconda delle competenze in materia) non le conferisca direttamente a Province, Regioni, Città
metropolitane e allo Stato stesso, per garantire esigenze di carattere unitario. Sempre nell’art.
118 Cost. vengono aggiunti i principi di adeguatezza e differenziazione. Il primo indica che il
livello di governo individuato dalla legge deve essere capace di esercitare la funzione che gli
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Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di
piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio
di bilancio.
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È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
spetta e nel caso non lo fosse, deve affidarla a un altro livello di governo più adeguato. La
differenziazione ci dice che l’attribuzione delle funzioni deve essere fatta in modo ragionevole:
lo Stato o la Regione possono distinguere l’allocazione delle funzioni amministrative
ripartendole su più enti o mantenendola in capo allo Stato (o Regione).
L’ultimo comma dell’art. 118 Cost. introduce il principio di sussidiarietà orizzontale, secondo
il quale tutti gli enti che formano la Repubblica, compreso lo Stato, devono favorire
“l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale”.
Altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi è l’autonomia finanziaria e fiscale, per quanto
riguarda Regioni ed enti locali. Essi hanno dunque autonomia finanziaria di entrata e di spesa,
dovendo sempre rispettare l’equilibrio di bilancio (art. 119 Cost. comma 1). Possono indebitarsi
utilizzando il mercato di capitali (art. 119 Cost. comma 6) con il vincolo di destinare tali spese
esclusivamente agli investimenti
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, non quindi per poter pagare il personale, e la loro credibilità
finanziaria è svincolata da quella statale
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. Le fonti delle risorse ordinarie per le Regioni e gli
enti locali hanno diversa origine: i tributi e le entrate proprie, cioè i finanziamenti autonomi,
che provengono da imposizioni fiscali dirette o da altre forme di autofinanziamento come gli
introiti per i servizi pubblici offerti alla comunità; le compartecipazioni al gettito di tributi
erariali statali che sono legate al loro territorio (per il principio secondo il quale parte dei
proventi impositivi statali devono rimanere o rientrare alle comunità che li producono).
L’autonomia finanziaria di Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane deve comunque
rispettare i precetti e i vincoli costituzionali “in armonia con la Costituzione” e “secondo i
principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, ovviamente a seguito
dell’emanazione di una specifica legge statale o regionale (art. 23 Cost.: “Nessuna prestazione
personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”). L’autonomia e la
diversificazione fiscale e finanziaria deve essere comunque coordinata, nell’intenzione di
unificare i diversi sistemi tributari degli enti della Repubblica, riconducendo tutte le politiche
economiche degli enti locali al principio di coerenza. Il coordinamento finanziario statale ha
anche l’obiettivo di rispettare i limiti e i precetti del Patto di Stabilità e Crescita che provengono
dal diritto europeo (art. 119 Cost.: “Vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento
dell’Unione europea”). L’adempimento a questi vincoli viene attuato tramite controlli, obblighi
di informazione e il rispetto di specifici limiti sanciti dal Patto di Stabilità interno disciplinato
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Art. 28 comma 1: «Nel quadro del federalismo fiscale, che sarà disciplinato da apposita legge sulla base dei
princìpi contenuti nel documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 1999-2001, le Regioni,
le Province autonome, le Province, i Comuni e le comunità montane concorrono alla realizzazione degli obiettivi
di finanza pubblica che il paese ha adottato con l'adesione al patto di stabilità e crescita, impegnandosi a ridurre
progressivamente il finanziamento in disavanzo delle proprie spese e a ridurre il rapporto tra il proprio ammontare
di debito e il prodotto interno lordo. Per i fini del presente articolo, il disavanzo è calcolato quale differenza tra le
entrate finali effettivamente riscosse, inclusive dei proventi della dismissione di beni immobiliari, e le uscite finali
di parte corrente al netto degli interessi; tra le entrate non sono considerati i trasferimenti dallo Stato. Si terrà conto
altresì delle variazioni del gettito dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e delle addizionali al
gettito dei tributi erariali».
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F. Staderini, P. Caretti, P. Milazzo, Diritto degli enti locali, Cedam, Padova, 2014, Cap. II, Origine e sviluppo
storico delle autonomie locali.
dalla l. 448/1998
10
, evoluto e modificato da ogni successiva manovra finanziaria, ancor di più
in seguito alla crisi finanziaria del 2010.
1.2 I Comuni tra storia ed evoluzione giuridica
Dei minori enti locali territoriali il Comune è di gran lunga il più importante, non solo per la
sua grande profondità e ampiezza nelle funzioni politiche e amministrative, ma anche per il
ruolo che in Italia quest’istituzione ha avuto per secoli, a partire dal Medioevo
11
. Con il
passaggio tra l’Alto e il Basso Medioevo, le istituzioni, fino ad allora fondamentali e tipiche
degli ordinamenti successivi all’Impero Romano, entrano sempre più in crisi. Di conseguenza
nell’Europa Occidentale vengono, lentamente, ad irrobustirsi i governi locali delle singole città;
all’inizio si tratta di associazioni volontarie dei cittadini più influenti e facoltosi, di cui fanno
parte, a scaglioni nel tempo, gli esponenti della nascente borghesia mercantile e i piccoli
proprietari terrieri feudali. Essi riescono ad imporsi, col tempo, nel governo e
nell’amministrazione cittadina, venendo successivamente riconosciuti formalmente dalle
autorità superiori del Papato e dell’Impero. Nasce dunque la fiorente e famosa “età comunale”,
caratterizzata dalla totale autonomia delle città, pienamente libera di meglio adoperare la
propria libertà, di crearsi delle proprie leggi e statuti, di esercitare la propria giurisdizione e
politica tributaria, oltre che di intrattenere e intraprendere rapporti esterni con altre città e
ordinamenti stranieri. Nonostante ciò, però, l’età comunale riconosce la giurisdizione
universale dell’Impero e del Papato, nelle cui sfere giuridiche mantiene un ordinamento
particolare. Col tramonto del Medioevo e l’inizio dell’epoca moderna, l’istituzione del Comune
non riuscì più a mantenere la propria autonomia e indipendenza; in Europa nacquero i nuovi e
potenti Stati nazionali che sancirono definitivamente il declino delle istituzioni feudali e la crisi
del Papato e dell’Impero. Essi finirono per inglobare le entità comunali e in Italia le nuove
forme di Signoria e Principato non potevano tollerare al loro interno comunità politiche
indipendenti. Seguì inevitabilmente l’assorbimento, volontario o violento, dei liberi Comuni