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SINOSSI
Introduzione: il dolore è uno dei sintomi motori più frequenti e invalidanti nei pazienti
con Malattia di Parkinson (MP), tuttavia il suo riconoscimento e trattamento rimangono
una sfida. Far luce sui suoi aspetti patogenetici, non ancora del tutto compresi, ne
permetterebbe una miglior gestione. I farmaci aggiuntivi alla L-dopa, con la loro azione
multimodale, potrebbero essere degli ottimi candidati per la terapia del dolore nella MP.
Obiettivo: valutare l’effetto delle terapie aggiuntive alla L-dopa sui meccanismi di
processazione del dolore nei pazienti affetti da MP, con la finalità di aumentare le
conoscenze sulla neurofisiopatologia di questo sintomo e della sua gestione terapeutica.
Materiali e metodi: in questo studio osservazionale prospettico con follow-up a 3 e 6
mesi, dopo la selezione dei pazienti, sono state valutate le soglie tattili, nocicettive e
tolleranza al dolore con stimolazione elettrica bilaterale di tutte e quattro le estremità, in
ordine random e con metodo dei limiti. Sono state utilizzate inoltre diverse scale per
determinare la percezione del dolore e la compromissione della qualità di vita: King’s
Parkinson Disease Pain Scale, HAS (Hamilton Anxiety Scale), HDS (Hamilton
Depression Scale), FSS (Fatigue Severity Scale), PDSS2 (Parkinson Disease Sleep
Scale 2), UPDRS-MDS (Unified Parkinson Disease Rating Scale- Movement Disorder
Society), PDQ-8 (Parkinson Disease Questionnaire 8). Inoltre sono stati reclutati
volontari sani per il confronto delle soglie.
Risultati: 18 soggetti con MP e 11 controlli sani sono stati arruolati e valutati al basale.
I pazienti con MP sono stati poi esaminati nei successivi controlli a 3 e 6 mesi. Di
questi, 6 hanno assunto opicapone e 12 safinamide. Sono state riscontrate soglie e
tolleranza al dolore più bassi nei parkinsoniani rispetto ai controlli. I pazienti con MP
che assumevano safinamide avevano soglie e tolleranza al dolore (a 3 mesi) più alti
rispetto al gruppo sottoposto a opicapone; i punteggi alla scala di King erano invece più
bassi rispetto al gruppo opicapone. I pazienti con MP che esperivano dolore avevano
punteggi più alti di UPDRS IV e PDSS2. La regressione semplice ha mostrato
correlazione tra miglioramento del punteggio alla scala di King a T1 rispetto a T0 e
UPDRS III, MoCA e HDS a T0. La regressione multipla ha mostrato come predittori
multipli del miglioramento del dolore UPDRS III, HDS ed età a T0. Infine, l’analisi di
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regressione semplice tra diminuzione del punteggio alla scala di King a T2 rispetto a T0
ha mostrato correlazione solo con UPDRS III a T0.
Conclusioni: i nostri risultati, che vanno interpretati cautamente per le piccole
dimensioni del campione, mostrano soglie e tolleranza al dolore più basse nei soggetti
con MP rispetto ai controlli sani, modulazione delle soglie e riduzione del punteggio
alla scala di King nei pazienti che assumono farmaci aggiuntivi alla L-dopa (specie per
la safinamide), maggiori complicanze motorie e disturbi del sonno nei pazienti che
esperiscono dolore e, infine, correlazione tra miglioramento del dolore e sintomi motori,
quadro cognitivo, tono dell’umore ed età al basale.
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CAPITOLO 1. La malattia di Parkinson
All'inizio del XIX secolo, James Parkinson pubblicò “An Essay on the Shaking Palsy",
dove riportava la descrizione di sei pazienti affetti da un quadro clinico nominato
"paralysis agitans" caratterizzato da tremori a riposo, ridotta forza muscolare,
atteggiamento camptocormico e festinatio (Parkinson J, 2002). Fu però Jean-Marie
Charcot qualche decennio dopo a utilizzare il termine malattia di Parkinson (MP) per
descrivere questa patologia. Oltre a nominarla, Charcot corresse anche la dicitura
“ridotta forza muscolare” che Parkinson utilizzò, usando invece i termini bradicinesia e
rigidità, che risultano molto più adatti per descrivere la malattia (Obeso JA, et al.,
2017).
In questo primo capitolo verrà trattati alcuni importanti aspetti clinici della MP, mentre
quelli terapeutici e dolorifici avranno, rispettivamente, capitoli dedicati.
1.1 Definizione
La MP è la più importante di un gruppo ben più vasto di patologie (neurodegenerative e
non) accomunate da un quadro clinico comune, ovvero la sindrome parkinsoniana o
parkinsonismo (Degos B. 2017) Essa si caratterizza per la presenza di bradicinesia
(rallentamento nei movimenti e riduzione della loro ampiezza) associata ad almeno una
tra tremore a riposo e rigidità alla mobilizzazione passiva di una o più grandi
articolazioni (Postuma RB, et al., 2015). Quindi nel gruppo dei parkinsonismi troviamo
(Benamer HTs, 2007):
1. la MP idiopatica, giovanile e precoce;
2. i parkinsonismi atipici, un gruppo di patologie caratterizzate da una prognosi
peggiore, segni e sintomi diversi o diversamente frequenti e ridotta risposta alla
levodopa. Sono quattro: la demenza a corpi di Lewy (DCL), l’atrofia
multisistemica (AMS), la paralisi sopranucleare progressiva o Sindrome di
Steele-Richardson-Olszweski (PSP) e la degenerazione cortico-basale (DCB)
(Obeso JA, et al.,2017);
3. i parkinsonismi secondari, nei quali la causa è nota: iatrogena (da farmaci con
effetto anti-dopaminergico come gli antipsicotici tipici), tossici, vascolare,
tumorale, infettiva oppure traumatica (Degos B, 2017).
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Molto importante è la diagnosi differenziale tra queste condizioni patologiche, perché si
correla a prognosi e terapia, come verrà trattato in seguito.
1.2 Epidemiologia
Così come tante altre malattie neurologiche anche la MP ha visto crescere la sua
incidenza negli ultimi anni, specie nei paesi economicamente più sviluppati. Il motivo è
legato principalmente all’aumento dell’aspettativa di vita e alla maggiore informazione
della popolazione sulla malattia che porta al precoce arrivo del paziente all’attenzione
medica (Benito-León J, et al., 2011; Benito-León J, 2018).
La MP è la seconda patologia neurodegenerativa più diffusa (www.iss.it), con oltre 6
milioni di persone affette nel mondo (GBD 2016 Parkinson's Disease Collaborators).
Essendo la diagnosi di MP clinica, le differenze nei metodi di valutazione di
quest’ultima rendono estremamente eterogenei i dati epidemiologici disponibili nei vari
studi (Riccó M, et al., 2020). Si stima che, nei Paesi industrializzati, la MP raggiunga
una prevalenza di 0,3-1% (a seconda delle casistiche) negli individui sopra i 60 anni,
mentre negli over 80 il valore sale al 3%; i tassi di incidenza nella popolazione generale
variano tra 8-18 ogni 100000 abitanti/anno (Benito-León J, et al., 1998; Lee A e Gilbert
RM, 2016). Anche in Italia è presente un’estrema eterogeneità nei dati: una recente
review sistematica ha preso in considerazione 16 studi epidemiologici svolti da varie
regioni italiane, riportando differenze enormi tra ognuna, ad esempio tra Sardegna
(60,2/100000 abitanti) e Umbria (617,2/100000 abitanti) (Rosati G, et al., 1980; Eusebi
P, et al., 2019). Nel complesso, la prevalenza rilevata è stata di 193,7 su 100000 abitanti
(Riccó M, et al., 2020).
Esistono notevoli differenze tra i vari Paesi: per esempio, uno studio comparativo tra la
popolazione nigeriana e quella dello stato del Mississippi ha mostrato un’incidenza
nettamente superiore nel secondo (67 vs 341/100000). Il motivo di questa discrepanza
potrebbe essere dovuto sia a fattori genetici e ambientali non noti, che, come detto in
precedenza, alla diversa aspettativa di vita e disponibilità diagnostica tra i due Paesi
(Schoenberg BS, et al., 1988).
Considerando invece le fasce di età nelle quali si distribuisce la MP, notiamo come vi
sia una bassa prevalenza prima dei 64 anni di età, pari a 37,8/100000 (95% intervallo di
confidenza (IC) 25,2-56,5); mentre nelle fasce d’età successive i casi aumentano
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esponenzialmente, raggiungendo i 578,7/100000 (95% IC 373,5-895,5), e addirittura
arrivando a 1235,7/100000 (95% IC 806.9-1888.1) negli individui sopra i 75 anni
(Riccó M, et al., 2020). L’età media d’insorgenza si colloca intorno alla sesta decade nel
mondo occidentale (Samii A, et al., 2004). Possiamo dunque affermare che la MP
‘idiopatica’ riguarda principalmente la popolazione anziana; ciò trova concordanze con
quanto è attualmente noto nella patogenesi, in quanto i tipici segni e sintomi della
malattia insorgono dopo una deplezione notevole di neuroni dopaminergici e dopamina
(DA), fenomeno che richiede svariati anni (Bellucci A, et al., 2016).
Più rare sono invece le forme di MP giovanile (età d’insorgenza <20 anni) e precoce
(<40) che fanno pensare piuttosto a un’origine genetica (Degos B. 2017).
L’associazione tra MP e sesso è tuttora controversa: molti studi riferiscono una
prevalenza più elevata nel sesso maschile, indicando un possibile ruolo protettivo degli
estrogeni nella neurodegenerazione (De Lau LML e Breteler MMB, 2006) oppure una
maggior esposizione a fattori di rischio in occupazioni prevalentemente maschili, come
quelle agricole (Kab S, et al., 2017). Quest’ultima ipotesi sarebbe la più logica perché
l’associazione tra MP e genere maschile è stata riportata maggiormente nelle fasce di
età più elevate (>64 anni) (Riccò M, et al., 2020). Tuttavia, alcuni studi smentiscono
questa relazione, dimostrando addirittura una prevalenza maggiore nelle femmine in
aree dove i lavori agricoli rappresentano una quota preponderante nell’economia della
zona, come la Provincia Autonoma di Trento (Malaguti MC, et al., 2015).
Riguardo la mortalità, la MP ha causato, nel 2016, 211296 decessi nel mondo (95% IC
167771–265160). Parlando invece di disabilità, il GBD (Global Burden of Disease)
utilizza come indicatore il DALYs (Disability Adjusted Life Years), ovvero l’attesa di
vita corretta per la disabilità, che rappresenta la somma degli anni di vita persi per
mortalità prematura e degli anni di vita vissuti in condizioni di salute non ottimale o di
disabilità. Nel 2016 il valore dei DALYs è stato di circa 3,2 milioni. Confrontando i dati
rispetto al 1990, si vede un incremento notevole del numero di morti e dei DALYs (2,6
e 2,5 volte rispettivamente): il motivo di tale incremento non si può spiegare
esclusivamente con l’aumento dei malati di MP. Inoltre, confrontando i Paesi tra di loro,
si nota come il fenomeno interessi soprattutto i Paesi in via di sviluppo rispetto a quelli
industrializzati (GBD 2016 Parkinson's Disease Collaborators).