1
Introduzione
L’oggetto del presente studio è la vicinitas. Si tratta di un istituto giuridico precipuo del
diritto processuale amministrativo, un concetto elastico di matrice giurisprudenziale, che
non trova nel diritto positivo una sua disciplina; è da sempre particolarmente complesso
da definire e inquadrare in virtù della posizione intermedia nel generale sistema delle
condizioni dell’azione nel processo amministrativo. Fin dalla sua formazione, infatti,
dottrina e giurisprudenza hanno cercato di delineare l’ambito applicativo di questo
istituto, contribuendo così alla sua evoluzione, continua seppur non sempre lineare, che
vede il suo punto di approdo nella recente pronuncia dell’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, del 9 dicembre 2021, n. 22.
La prima parte dell’elaborato ha lo scopo di porre le basi tecnico-giuridiche per la
trattazione, in modo man mano più approfondito, del tema centrale, ovverosia, appunto,
il criterio della vicinitas nel processo amministrativo. Pertanto, nel primo capitolo sarà
esposta la disciplina riguardante le condizioni dell’azione, specificatamente della
legittimazione a ricorrere e dell’interesse a ricorrere, così come risulta dal dato normativo,
giurisprudenziale e dottrinale. Dopodiché, sarà data una lettura delle stesse
coordinatamente al tema della giurisdizione oggettiva e soggettiva del giudizio
amministrativo. Solo allora, nella seconda parte, si potrà affrontare il tema centrale della
tesi.
Lo svolgimento del secondo capitolo non potrà prescindere dall’analisi storico-
normativo-giurisprudenziale del criterio della vicinitas, con l’obbiettivo di ricostruire le
origini storiche e l’evoluzione di tal criterio di differenziazione, partendo dalla
giurisprudenza sulla c.d. legge ponte come legittimazione del chiunque e proseguendo
fino ai più recenti sviluppi in materia.
Nella parte centrale della ricerca si analizzerà la fondamentale sentenza dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato, del 9 dicembre 2021, n. 22 nei suoi punti più significativi.
A quest’ultima viene riconosciuto il merito di aver chiarito alcuni importanti punti
d’ombra che fino ad allora caratterizzavano non solo il criterio della vicinitas nel processo
amministrativo, ma anche la generale disciplina delle condizioni dell’azione, incidendo
così positivamente sulla tutela delle situazioni giuridiche soggettive dei ricorrenti fondate
sul criterio della vicinitas, rendendola maggiormente effettiva, nonché realizzabile in un
tempo ragionevole, potenzialmente in linea quindi con i principi dichiarati dal codice del
processo amministrativo. Tuttavia, la suddetta sentenza non è priva di punti critici, alla
2
luce dei quali, secondo la dottrina, persisterebbero dei nodi ancora irrisolti. Per esempio,
secondo alcuni l’Adunanza Plenaria avrebbe potuto approfondire ulteriormente il
contenuto del criterio della vicinitas, poiché fondamento giuridico, significato ed ambito
applicativo non appaiono ancora chiari e pacifici.
Nel capitolo conclusivo della tesi si passeranno in rassegna le opinioni dottrinali più
rilevanti in merito alla sopracitata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 22/2021, in
particolare verranno esposti i principali meriti, i punti critici rimasti (apparentemente)
irrisolti ed i prospetti futuri relativamente alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria.
Infine, ragionando sulla dicotomia oggettivo-soggettivo, verrà esposta l’apparente
controtendenza della tesi accolta dalla Plenaria n. 22/2021 rispetto alle iniziative
legislative degli ultimi dieci anni ed il comune modo di sentire della più recente dottrina,
l’una nella direzione di una restrizione, le altre, invece, di un ampliamento della
legittimazione all’impugnazione…
3
Capitolo I - Le condizioni dell’azione nel processo amministrativo
1. La legitimatio ad causam (legittimazione a ricorrere)
È necessario, fin da subito, rilevare che l’autonomia delle singole condizioni dell’azione
nel processo amministrativo costituisce sovente un dato pacifico per dottrina e
giurisprudenza
1
. Nondimeno, non mancano autorevoli voci che, distaccandosi
dall’impostazione appena riferita, sostengono piuttosto una visione che tende alla
convergenza della legittimazione e dell’interesse a ricorrere
2
.
Il tema dell’autonomia delle condizioni dell’azione nel processo amministrativo ricopre
un ruolo di primaria importanza per evidenti motivi, malgrado ciò, si ritiene qui opportuno
rinviare la trattazione di siffatta tematica e rispettare l’impostazione manualistica
3
1
Vedasi, in dottrina, Villata R., Legittimazione processuale, III) Diritto Processuale Amministrativo, in
Enc. giur., XVII, Roma, 1988, p. 2 ss.; Ferrara R., Interesse e legittimazione al ricorso (ricorso
giurisdizionale amministrativo), in Dig. pubbl., 1993 (agg. 2011), passim; Mannucci G., Legittimazione e
interesse a ricorrere [dir. amm.], in www.treccani.it, 2018, passim. In giurisprudenza, ex multis, Cons.
St., Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4 che afferma che “deve essere tenuta rigorosamente ferma la netta
distinzione tra la titolarità di una posizione sostanziale differenziata che abilita un determinato soggetto
all’esercizio dell’azione (legittimazione al ricorso) e l’utilità ricavabile dall’accoglimento della domanda
di annullamento (interesse al ricorso)”; T.A.R. Puglia Bari, Sez. II, 30 marzo 2023, n. 571, per cui “Nel
processo amministrativo, l’azione di annullamento proposta innanzi al Giudice Amministrativo è
subordinata alla sussistenza…a) la titolarità di una posizione giuridica, in astratto configurabile come
interesse legittimo, inteso come posizione qualificata – di tipo oppositivo o pretensivo – che distingue il
soggetto dal “quisque de populo” in rapporto all’esercizio dell’azione amministrativa; b) l’interesse ad
agire”. L’autonomia e distinzione tra le condizioni dell’azione è spesso rinvenibile nelle pronunce sui
titoli abilitativi impugnati dal terzo, in materia urbanistico-edilizia, in particolare ove si parli di vicinitas:
cfr. ex plurimis, tra le più recenti T.A.R. Puglia Lecce, Sez. III, 20 febbraio 2023, n. 254, in cui si
sottolinea come “pur rimanendo legittimazione ad agire e interesse ad agire profili distinti (ancorché
interconnessi), la vicinitas costituisce il primario indice fattuale in base al quale apprezzare
l’ammissibilità dell’impugnativa da parte di un terzo di un titolo abilitativo (edilizio o di altro genere)”, e
T.A.R. Emilia-Romagna Parma, Sez. I, 22 novembre 2022, n. 332, in cui similmente si afferma che “La
mera c.d. vicinitas, intesa come vicinanza fisica del proprio terreno rispetto a quello oggetto
dell’intervento edilizio contestato, non basta a dimostrare l’esistenza di un concreto ed attuale interesse
a ricorrere, dovendosi affermare la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione ad agire e l’interesse
al ricorso”.
2
Affermano, per esempio, l ’assorbimento dell ’interesse a ricorrere nella legittimazione a ricorrere, e
viceversa. Pertanto, le condizioni dell’azione tenderebbero ad identificarsi: tesi, questa, sostenuta
principalmente da Guicciardi E., La giustizia amministrativa, Padova, 1954, p. 181 ss.; ovvero c’è chi
nega la possibilità di distinguere l’interesse al ricorso dall’interesse sostanziale, uno di questi è ancora
Guicciardi E., Interesse personale, diretto, attuale, in Studi di giustizia amministrativa, Torino, 1967, p.
82. Una parte della dottrina civilprocessualistica sostiene infatti che i rapporti tra legittimazione e
interesse processuale nel processo amministrativo non siano univocamente definiti; per una ricostruzione
delle tesi di quella parte della dottrina civilprocessualistica si veda Villata R., Legittimazione, cit., p. 2, n.
2.
3
Si richiama, ex plurimis, Travi A., Lezioni di giustizia amministrativa. XV ed., Torino, 2023, p. 198 ss.
4
tradizionale, secondo la quale la legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo è
cosa differente e separata dall’interesse a ricorrere.
Ora, posto che le condizioni generali per l’azione sono così definite perché il giudice, una
volta verificata la valida instaurazione del processo, deve accertare la loro sussistenza al
fine di procedere poi all ’esame nel merito della domanda, una questione che invece vale
la pena affrontare preliminarmente è quella concernente la differenza tra presupposti
processuali e condizioni dell’azione
4
.
In merito alle questioni riguardanti i presupposti processuali, come quelle concernenti la
sua definizione e le differenze che intercorrono con le condizioni dell’azione, Villata in
un significativo lavoro muove in premessa dal rilievo per cui nel processo civile si tratta
di un argomento «caratterizzato da notevolissime divergenze della dottrina, sì che
l’accordo di questa si esaurisce nell’individuarli come requisiti per la funzionalità
strumentale del processo»
5
, mentre «se si esamina la dottrina del giudizio amministrativo
sembra invece emergere…più ancora che un’uniformità di opinioni, un sostanziale
disinteresse per le questioni dibattute dai civilprocessualisti
6
in ordine al concetto in
esame»
7
. Ora, posto che quello civile continua a rappresentare l’archetipo processuale, le
suddette osservazioni sembrano richiamare l’emblematica specificità che da sempre
caratterizza il processo amministrativo, nonché giustificare le differenze sul tema tra
processo civile e amministrativo che saranno appresso riportate.
Nel processo amministrativo vi sono una serie di questioni che, seppur non investendo il
merito, condizionano la possibilità di pronunciare sull’oggetto del giudizio; infatti, non
4
Questioni che, è importante rilevare, non sono lontane, anzi richiamano il noto problema dell’azione,
ossia dei rapporti tra diritto sostanziale e processo. Sul tema si veda Travi A., Lezioni cit., p. 206 ss.
5
Si veda in merito Mandrioli C., Presupposti processuali, in Nss. D. I., XIII, Torino, 1966, p. 784 ss.
6
In estrema sintesi, partendo dalla più risalente e superata prospettiva attribuita a Chiovenda (Chiovenda
G., Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1933, p. 59 ss.), sostenuta da autori illustri come
Calamandrei (Calamandrei P., Istituzioni di diritto processuale civile, I, Padova, 1943, 179 ss.), per la
quale i presupposti processuali rappresentavano gli elementi necessari per il conseguimento di una
sentenza favorevole, dovevano essere presenti al momento della pronuncia ed erano disciplinati da norme
di diritto sostanziale, mentre le condizioni dell’azione erano necessarie per una sentenza qualsiasi,
dovevano esistere al momento della proposizione della domanda ed erano disciplinate da norme di diritto
processuale; arrivando alla meno risalente prospettiva, per la quale (sintetizzando brutalmente per quanto
qui interessa) buona parte della dottrina, allontanandosi da quella chiovendiana, identifica l ’azione come
diritto alla sentenza di merito, abbandonando la concezione che vedeva l’azione come potere alla
decisione favorevole, causa principale questa della conseguenza per cui condizioni dell’azione e
presupposti processuali vengono entrambi ad incidere sulla trattabilità del merito, sia pure con
caratteristiche diverse (così ad es. Liebman E.T., Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1957, p.
58). Per una ricostruzione più dettagliata si veda Villata R., Presupposti, cit., p. 3 ss.
7
Così Villata R., Presupposti Processuali III) Diritto processuale amministrativo, in Enc. giur. Treccani,
Roma, 1991, p. 1.
5
poche sono state negli anni le concezioni proposte da autorevole dottrina
8
con lo scopo di
specificare la qualificazione giuridica di presupposti processuali e condizioni per l’azione
nel processo amministrativo. A tal proposito, spiccavano principalmente due contrapposti
orientamenti, ai quali si possono utilmente ricondurre le tesi della restante dottrina che
sul tema si è esposta: la prima tesi
9
, in sostanza, sostiene la “partizione” tra condizioni
dell’azione, da un lato, identificate nella legittimazione, nell’interesse e nella possibilità
giuridica, e presupposti processuali dall’altro lato, consistenti nella giurisdizione e
competenza del giudice, nella capacità processuale e di essere parte, distinzione
giustificata dall’autore sulla base delle diverse conseguenze collegate alla carenza di una
o dell’altra, corrispettivamente l’inammissibilità della pretesa e l’irregolarità del rapporto
processuale; la seconda tesi
10
, più articolata, delinea sostanzialmente un “concetto
unitario”, ricomprendendo i due concetti in esame (Condizioni dell ’azione e presupposti
processuali) nella categoria più generale dei presupposti processuali, sia pure
distinguendo tra presupposti di ammissibilità (o “condizioni dell’azione”)
11
, cioè elementi
che determinano il dovere del giudice di pronunciare sul merito della domanda, e
presupposti di procedibilità e di ricevibilità (o presupposti in senso stretto)
12
.
Detto ciò, la suddetta questione può essere conclusa utilmente con la conferma della
distinzione presupposti processuali-condizioni dell’azione, tesi suffragata tenendo conto
dei molteplici fattori distintivi, quali, uno su tutti, l’impedimento della riproposizione del
giudizio nel solo caso di difetto di una condizione dell’azione, e non nel caso invece di
insussistenza di un presupposto processuale
13
. Inoltre, in merito alle questioni preliminari
8
Oltre a quelle che verranno esposte nel testo, si veda per esempio anche Virga P., La tutela
giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1982 e Gleijeses A., Profili
sostanziali del processo amministrativo, Napoli, 1966.
9
Caianiello V., Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, p.444 ss.
10
Sandulli A.M., Il giudizio innanzi al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1963, p. 195
ss.; Id., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, p. 1213 ss.
11
Nei quali l’autore inserisce in una prima concezione la legittimazione e l’interesse al ricorso (oltre
all’esistenza di un atto amministrativo e la mancanza di cause preclusive).
12
Dei quali è interessante il fatto che nei primi (presupposti di procedibilità) ritroviamo la legittimazione
e l’interesse al ricorso, ma alla stregua delle affermazioni contenute nel ricorso, assumendo così
quest’ultimi una duplice veste, vale a dire quella di presupposti di ammissibilità-condizioni dell ’azione
come effettivamente esistenti e quella di presupposti (in senso stretto) di ricevibilità come semplicemente
affermati dal ricorrente. Scomposizione esatta sul piano logico, ma che tuttavia, osserva l’autore, non
sembra abbia riscontro sul piano concreto processuale, poiché «il giudice non si pone due volte il
problema della legittimazione e due volte il problema dell’interesse al ricorso». Villata R., Presupposti,
cit., p.5.
13
Così Villata R., Presupposti, cit., p.5, n.3; si veda anche Virga P., La tutela giurisdizionale nei
confronti della pubblica amministrazione, IV ed., Milano, 2003, p. 113 ss., che specifica un ulteriore
conseguenza pratica della distinzione in esame: «mentre, ai fini della procedibilità del ricorso, è
sufficiente che i presupposti del ricorso sussistano fin dal momento in cui il ricorso viene proposto, invece
6
trattate, il Consiglio di Stato in una recente sentenza ha dichiarato che “In applicazione
del combinato disposto degli arti. 76, comma 4, D.Lgs. n. 104/2010, e 276, comma 2, cod.
proc. civ., l'accertamento dei presupposti del processo (nell'ordine: giurisdizione,
competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità e rimessione in termini,
contraddittorio, estinzione del giudizio) va collocato prima dell'accertamento delle
condizioni dell'azione (interesse ad agire; titolo o legittimazione al ricorso; legitimatio
ad causam)”
14
.
Pertanto, si può affermare che la distinzione fra condizioni e presupposti del ricorso,
elaborata dalla dottrina civilprocessualistica, è valida anche per il processo
amministrativo, nel quale “la legittimazione ad agire, che costituisce condizione
dell'azione, presuppone la titolarità di una posizione giuridica soggettiva differenziata e
qualificata, tutelata dall'ordinamento giuridico e lesa per effetto dell'azione
amministrativa”
15
. Difatti, venendo ora, finalmente, alla trattazione della legittimazione
16
a ricorrere nel processo amministrativo, questa è generalmente
17
ricondotta alla titolarità
di posizioni di interesse qualificato, vale a dire prevalentemente di interesse legittimo, o
anche di diritto soggettivo nei casi di giurisdizione esclusiva, in capo al soggetto che
promuova il ricorso, id est il ricorrente. Posizioni queste che talvolta sono indicate
genericamente, come per esempio nell’azione avverso il silenzio ex art. 31 del codice del
processo amministrativo, in cui al co. 1 si dice che «…chi vi ha interesse può chiedere
l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere»; in casi del genere,
infatti, è dal contesto che si può desumere che si tratta di un interesse qualificato
18
. Ma
non è certo questo l’unico tratto di complessità che contrassegna siffatta condizione
dell’azione, giacché essa è collocata in una posizione in cui è evidente l’intreccio con
ulteriori problematiche, legate in primo luogo alla definizione dell’interesse protetto, con
le condizioni dell’azione debbono sussistere anche nel momento della decisione», in caso contrario il
giudice pronuncerà l’estinzione del giudizio, ad esempio per sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere.
14
Cons. St., Sez. V, 20 marzo 2023, n. 2800.
15
Cons. S., Sez. IV, 02 febbraio 2023, n. 1147.
16
In generale la legittimazione è considerata un requisito di validità degli atti giuridici. I criteri che la
riguardano consentono di individuare il soggetto che può compiere validamente un determinato atto; in
altre parole, l’atto, se non è compiuto dal soggetto attivamente legittimato o se non è diretto nei confronti
del soggetto passivamente legittimato, è invalido. Così Costantino G., Legittimazione ad agire, I) Diritto
Processuale civile, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, p. 1.
17
“Generalmente” perché, come sarà detto più avanti, non è sempre così, invero in alcuni casi la
legittimazione a ricorrere è costituita semplicemente da una condizione formale del ricorrente, in altri casi
è la legge che legittima determinati soggetti pubblici o privati ad impugnare alcuni provvedimenti. Cfr.
infra paragrafo terzo di questo studio.
18
Travi A., Lezioni, cit., p. 198.
7
cui per definizione è strettamente collegato
19
, e in secondo luogo ai rapporti con
l’interesse al ricorso
20
.
Invero, sottolinea autorevole dottrina, «nel processo amministrativo la ricostruzione della
legittimazione a ricorrere è stata condizionata dal particolare assetto dei rapporti tra diritto
sostanziale e processo», così come per l’omonima condizione dell’azione di natura
civilistica, «gli esiti, tuttavia, sono stati notevolmente diversi, verosimilmente a causa
delle persistenti incertezze sulla nozione di interesse legittimo»
21
.
D’altronde, anche la stessa Corte di cassazione in una recente sentenza
22
ha dimostrato di
prendere atto della suddetta divergenza affermando in un primo passaggio che “Nel
processo civile la nozione di legittimazione ad agire si ricava dall'art. 81 c.p.c.
23
, che
enuncia il principio generale della necessaria coincidenza tra la parte che agisce in
giudizio e la parte che nell'atto introduttivo risulta essere indicata come titolare della
posizione giuridica soggettiva di cui si domanda la tutela”, e dopodiché che “nel processo
amministrativo…la legittimazione ad agire…è da intendersi non come mera titolarità
della posizione qualificata, ma piuttosto come effettiva titolarità della posizione
azionata”, muovendo proprio dall’argomento per cui “nella giurisdizione amministrativa,
la situazione giuridica fatta valere dal ricorrente in sede di giudizio, collegata al potere
riconosciuto ed esercitato dall'Amministrazione ex lege, ha una consistenza
indeterminata, non appartenendo a catalogazioni legislative specifiche”
24
.
19
Cfr. tra i molti Villata R., Legittimazione, cit., p. 2 ss., Id Interesse ad agire, II) Diritto processuale
amministrativo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, p. 2-3; Ferrara R., Interesse, cit., p. 4-5; passim
Saitta F., La legittimazione a ricorrere: titolarità o affermazione?, in Riv. Diritto pubblico, 2, 2019.
20
Ancora, cfr. tra i molti Villata R., Interesse ad agire, cit., p. 2; Ferrara R., Interesse e legittimazione al
ricorso (ricorso giurisdizionale amministrativo), in Dig. Pubbl., 1993 (agg. 2011), p. 6-9; passim
Torricelli S., I confini incerti e mutevoli dell’interesse a ricorrere, in Diritto processuale amministrativo,
1, 2021.
21
Saitta F., La legittimazione, cit., p. 517.
22
Cass., sez. un., 2 agosto 2019, n. 20820.
23
La norma in esame, nello stabilire che, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può
far valere nel processo un diritto altrui, non fa altro che esprimere il concetto di legittimazione ad agire, la
quale può essere sia attiva che passiva (da www.brocardi.it). In merito Trib. Roma, 24 aprile 2023, n.
6456 specifica che “Pur mancando nel nostro ordinamento una definizione positiva del concetto di
legittimazione attiva, si ritiene che esso abbia un fondamento costituzionale nell‘art. 24 Cost., laddove è
precisato che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei “propri” diritti e interessi legittimi” e
quest’ultimo “vada letto in combinato con il divieto di sostituzione processuale previsto dall‘art. 81 del
c.p.c.”.
24
Differenza tra processo civile e amministrativo relativamente alla legittimazione ad agire evidenziata
anche ex plurimis in Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2022, n. 530; Cons. St., Sez. VI, 10 dicembre 2021,
n. 8232; T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. II, 17 gennaio 2022, n. 90.