Introduzione
Fin da bambina sono sempre stata legata al mondo delle arti dello spettacolo: le mie prime
esperienze sul palcoscenico risalgono al periodo delle scuole elementari, proprio quando ho
iniziato ad approcciare alle discipline della danza classica e moderna. Successivamente,
nell’età dell’adolescenza, sentii dentro di me che volevo dare voce a quei bellissimi e fluidi
movimenti corporei che appartenevano al ballo. Ecco che entrò a far parte della mia vita
anche l’arte della recitazione, una pratica così nobile che mai mi sarei aspettata di
abbracciare.
Dopo aver intrapreso vari percorsi di formazione attoriale, è stato grazie alla Tecnica
Chubbuck che ho dato una svolta ai miei provini e ai miei studi. È una tecnica talmente
efficace e potente che porta qualsiasi professionista a raggiungere, attraverso dodici
strumenti, l’obiettivo prefissato nel corso di una sceneggiatura o di una scena. Questa
esperienza di vittoria rende la performance dell’attore più universale, perché è capace di
toccare i sentimenti di tutte le persone. Secondo Ivana Chubbuck, hanno talento gli attori
con una grande etica del lavoro, quelli che fanno delle scelte rischiose sia in termini di
sceneggiatura sia verso i ruoli che scelgono di recitare. Quindi, quegli attori che non vanno
sul sicuro. La coach sostiene che la sua tecnica insegni agli attori come vincere perché è
questo ciò che fa la gente nella vita reale. Le persone cercano sempre di ottenere quello che
vogliono. Le persone interessanti e dinamiche inseguono ciò che desiderano in modi
altrettanto interessanti e dinamici, generando un’intensità e un’emozione maggiori nella
realizzazione dei propri obiettivi e lo fanno in maniera inconscia. L’attore invece deve
conoscere sé stesso intimamente e avere gli strumenti per analizzare una sceneggiatura
affinché questo modo di fare interessante e dinamico appaia e sembri un processo inconscio.
Nel lavoro dell’attore, sia cinematografico sia teatrale, si è sempre alla ricerca di un’icona,
di un punto di riferimento e di un’ispirazione, perché non si finisce mai di imparare. La
motivazione principale che mi ha spinto a compiere uno studio dettagliato sul film Black
Swan-Il Cigno Nero (2010, Darren Aronofsky), è l’amore che provo verso la recitazione, ma,
soprattutto, il carisma e l’energia di una grande attrice, ovvero Natalie Portman. La sua
bellezza e il suo talento arrivano a toccare tutti i sensi, coinvolgendo totalmente chi la guarda.
È riuscita a diventare un’attrice molto versatile nel corso della sua carriera. Nel film Il Cigno
Nero interpreta magnificamente il ruolo di Nina Sayers, una ragazza che vuole a tutti i costi
raggiungere la perfezione nella disciplina della danza. In questo film l’attrice è una
grandissima fonte d’ispirazione, perché lotta contro tutto e tutti per arrivare al suo obiettivo.
È un film che mi affascina perché riesce a toccare molti temi, tra cui la femminilità,
l’inconscio e i blocchi emotivi, la corporeità, il mistero.
Nel primo capitolo introduco la figura del regista Darren Aronofsky, autore molto originale
e desideroso di sperimentare temi profondi nei suoi film, spiegando come è nato il progetto
de Il Cigno Nero e la personalità complessa del personaggio di Nina Sayers. Inoltre sono
stati trattati lo stile e la tecnica del film, evidenziando i riferimenti a Il lago dei cigni di
Cajkovskij e a Il Sosia di Dostoevskij. Infine viene trattato il concetto della metamorfosi del
personaggio.
Nel secondo capitolo mi sono soffermata sulla fisicità della ballerina che diventa per lei
ossessivamente un ostacolo. Ho elaborato una riflessione sul concetto di controllo e di come
la danza influisca molto in questo. Inoltre ho sottolineato la presenza dell’elemento dello
specchio e il suo modo di frammentare il corpo nei film thriller-psicologici. Sempre qui ho
esposto la dimensione corporea inerente al controllo nella recitazione e soprattutto
l’importanza del contatto con la pelle nel genere horror.
Nel terzo ed ultimo capitolo presento l’attrice Natalie Portman, il suo percorso di vita e il
suo approccio verso il personaggio di Nina Sayers, alla luce di ciò si evince da una serie di
interviste in cui emerge il suo modo di interpretare il ruolo. A ciò aggiungo le sue
caratteristiche e la sua personalità, ovvero quella sia di una donna angelica sia di una femme
fatale. Infine analizzo il potenziale di Natalie Portman come attrice, come donna e come
icona. Oltre ad essere una bellezza molto semplice a livello di tratti fisici, risulta anche molto
accattivante nel momento in cui va ad interpretare ruoli misteriosi e complessi. È questo ciò
che mi ha colpito di più di lei. Il suo talento emerge in maniera repentina e lo spettatore non
può far altro che rimanere ipnotizzato quando la guarda.
Capitolo 1: La figura di Darren Aronofsky
1.1 Radici, caratteristiche e stile di regia
Darren Aronofsky è un regista statunitense, nonché produttore e sceneggiatore; nasce nel
1969 a Brooklyn, figlio di insegnanti della scuola pubblica e appartenenti alla corrente
dell’Ebraismo Conservativo -forma progressivista nata nel Ventesimo secolo negli Stati
Uniti-.
In un’intervista su “The Independent” Aronofsky dichiara
1
:
Ho ricevuto un’educazione ebraica, ma non c’è niente di spirituale andando in
tempio, era qualcosa che riguardava piuttosto la cultura: celebrare le festività,
sapere da dove vieni, sapere la tua storia, avere rispetto per quello che la tua
gente ha passato;
sarà la curiosità verso la sua cultura a condurlo, durante il viaggio in Europa, a visitare Israele
frequentando una comunità di ebrei ortodossi.
Il regista coltiva fin da bambino l’interesse per il mondo dello spettacolo, grazie ai suoi
genitori che lo coinvolgevano ad assistere agli spettacoli di Broadway: saranno proprio
queste esperienze a far emergere in lui la passione per l’arte dello spettacolo e per lo show-
business; all’età di sedici anni partecipa alle gare di spettacolo americane chiamate
“Singing”, realizzate attraverso vere e proprie produzioni, con casting per gli attori e ruoli
ben definiti. In un’intervista di Kevin C. Scott, il l regista racconta
2
:
Quella è stata la mia prima esperienza di regia, non so come ho persuaso il
produttore a permettermi di dirigere quel breve musical. Sono sicuro di aver
contribuito anche alla stesura della sceneggiatura, che è stata scritta a più mani.
Alla fine abbiamo davvero realizzato un film: avrei voluto vedere la cassetta ma
non ho idea di dove sia finita.
Terminate le scuole superiori nel 1987, Aronofsky riesce ad entrare ad Harvard iscrivendosi
al corso di antropologia e dove dividerà la stanza con un aspirante disegnatore appassionato
1
Piero Oronzo, Mente, corpo e anima, Sovera Edizioni, Milano, p. 20
2
Piero Oronzo, Ivi, p. 21
di cinema d’azione che lo ispirerà nel seguire corsi sul cinema, il suo nome è Dan Schrecker
e più avanti si occuperà degli effetti speciali in gran parte dei suoi film. Nel periodo
successivo al primo anno di università, Aronofsky segue alcuni corsi di storia del cinema e
un corso di disegno alla New York University, iniziando ad affacciarsi ai grandi classici del
cinema, fra cui Toro Scatenato (Raging Bull, 1980) di Martin Scorsese. Il terzo anno si
iscrive al corso di cinema dove comincia a lavorare su veri e propri film. Dopo aver
conseguito il diploma ad Harvard scrive il cortometraggio Protozoa (2003) che darà il nome
alla sua casa di produzione ed è con quest’opera che nasce la collaborazione con Matthew
Libatique, direttore della fotografia che lavorerà in tutti i suoi film.
Nel testo Mente, corpo e anima Piero Oronzo spiega che, capire come definire il genere a
cui appartiene il suo cinema non è un compito semplice, in quanto ogni film appare come un
universo a sé stante e ognuno si differenzia dall’altro per forma e tematiche trattate; in realtà
è come se le sue opere fossero legate da un filo conduttore: basta solo riuscire a coglierlo.
Secondo l’autore, Aronofsky si presenta come un regista fondamentalmente atipico che, per
quanto abbia sempre privilegiato la pellicola, si rivela intimamente un figlio del suo tempo,
legato all’era digitale, a MTV e alla cultura di massa 2.0; egli nasce come filmmaker,
scrivendo e dirigendo la maggior parte dei film che dirige, riuscendo a creare un team di
collaboratori con cui continuerà a lavorare per la maggior parte della sua carriera. Con le sue
prime opere: π – Il teorema del delirio (π, 1998) e Requiem for a Dream (2000), si dimostra
perfetto per incarnare il cinema indipendente, quel tipo di cinema che anche se con pochi
mezzi, non vede limiti nell’innovazione del linguaggio, della forma e delle tematiche di
qualsiasi tipo. Nonostante la complessità dei concetti sviluppati nei suoi film, questi riescono
sempre a raggiungere lo spettatore e a lasciare in lui un tumulto di emozioni; infatti, il film
Il Cigno Nero (Black Swan, 2010) arriva a sfiorare le corde più impercettibili dell’animo
umano, attraversando la carne e le membra della protagonista ed entrando in totale empatia
con lei e con le sue ossessioni.
1.2 Genesi del film Il Cigno Nero
Sempre nel libro di Piero Oronzo si evince come, fra le tante idee riguardo il suo percorso
filmico, Darren Aronofsky si avvicini alla creazione di una storia ambientata nel mondo della
danza classica, nata negli anni in cui si stava diplomando alla scuola di cinema. In quel
periodo l’idea del regista si basava sullo sviluppo di una storia in cui emergeva il rapporto
conflittuale tra un lottatore e una ballerina. Negli anni successivi arriverà sulla sua scrivania
una sceneggiatura scritta da Andrés Heinz, fondata sulla storia della rivalità fra due attrici di