1
Introduzione
I responsabili politici ed economici della maggior parte delle moderne
economie sviluppate hanno da tempo abbandonato l’obiettivo di raggiungere
la piena occupazione, normalizzando la presenza di alti tassi di
disoccupazione, soprattutto giovanili. La situazione è particolarmente
preoccupante in Europa, all’interno della quale alcuni paesi, come Italia,
Grecia e Spagna, a partire dagli anni ’90 hanno dovuto sopportare tassi di
disoccupazione spesso superiori alla doppia cifra
1
. Tale quadro è in parte
imputabile al cambio di paradigma avvenuto all’interno della teoria economia
alla fine degli anni ’60, con la “fine dell’era keynesiana” (Skidelsky, 1977)
dovuta alla “controffensiva neoliberista” (Caffè, 1979). Il ritorno dei dogmi
neoclassici, e la conseguente rinnovata fiducia nei meccanismi equilibratrici
del libero mercato, hanno contribuito ad un cambio di priorità degli obiettivi
di politica economica; in particolare, seguendo il noto trade-off implicito nella
curva di Phillips e successivamente i concetti di tasso naturale di
disoccupazione e di NAIRU, i decisori politici ed economici hanno sempre
più sacrificato la lotta alla disoccupazione in favore del contrasto
all’inflazione. In questo contesto, l’alta disoccupazione che molti paesi
devono sopportare viene considerata dal mainstream
2
economico come
naturale e necessaria per garantire la stabilità dei prezzi.
In questa tesi si vuole fornire una visione alternativa, che parte dal presupposto
che non sia accettabile, né da un punto di vista economico e né da un punto di
vista morale, considerare naturale che milioni di persone non riescano a
trovare lavoro. In particolare, si propone una misura di politica economica atta
a garantire piena occupazione e stabilità dei prezzi, nota come Piano di Lavoro
Garantito (PLG). Tale programma, le cui radici possono essere fatte risalire a
1
Si noti, inoltre, che il tasso di disoccupazione per sua natura è una stima riduttiva della reale
mancanza di lavoro, non prendendo in considerazione i sottoccupati, gli inattivi per
scoraggiamento e coloro che hanno part-time involontari. Per una spiegazione più dettagliata
si rimanda al Paragrafo 3.3.2.
2
Con il termine mainstream economico si indicano le scuole di pensiero ortodosse che si
rifanno in modo più o meno esplicito ai principi neoclassici.
2
Keynes (1936) e Minsky (1965, 1973, 1986), è stato sviluppato a partire dagli
anni ’90 dalla corrente Neocartalista
3
(Wray, 1998; Mitchell e Muysken, 2008;
Mitchell et al., 2019) della teoria Post-Keynesiana.
Al fine di poter comprendere il quadro di riferimento teorico utilizzato
all’interno di questo lavoro, nel primo capitolo verrà esposta una dettagliata
analisi degli aspetti principali della scuola Post-Keynesiana, con particolare
attenzione alla teoria della moneta endogena e alla sua integrazione fornita
dalla corrente Neocartalista. Quest’analisi permette di indagare la relazione
tra governo, Banca Centrale e settore privato, così come tra politica monetaria
e fiscale, fornendo gli strumenti necessari per studiare come raggiungere
determinati obiettivi di politica economica tramite azioni coordinate di queste
istituzioni.
Nel secondo capitolo, si proseguirà approfondendo i diversi obiettivi
economici posti dalla teoria ortodossa e dalla visione eterodossa presentata
precedentemente, con particolare riferimento al trade-off tra inflazione e
disoccupazione. In primo luogo, verrà presentato l’approccio della finanza
funzionale sviluppato da Lerner (1943), mettendo in evidenza la differenza tra
obiettivi economici reali e prettamente finanziari. Dopodiché, verranno
analizzati criticamente i capisaldi della teoria ortodossa riguardanti
l’inflazione e la sua relazione con la disoccupazione, come la teoria
quantitativa della moneta, la curva di Phillips nelle sue varie evoluzioni e il
NAIRU. Infine, verrà proposta una spiegazione alternativa dell’inflazione
fornita dalla teoria Post-Keynesiana, con particolare riferimento alla teoria del
conflitto distributivo.
Nel terzo ed ultimo capitolo, si analizzerà il Piano di Lavoro Garantito come
misura in grado di combinare la piena occupazione con la stabilità dei prezzi.
Si discuteranno brevemente le origini del programma, per poi approfondire le
più recenti formulazioni del piano elaborato dai Neocartalisti (Wray, 1998,
2015; Mitchell e Muysken, 2008; Tcherneva, 2020). Verranno quindi esposti
gli elementi principali di tale misura, evidenziando come quest’ultima
3
Tale corrente è anche nota al di fuori dell’ambito accademico come Modern Money Theory
(MMT). In questa tesi si è scelto di non utilizzare questa denominazione in quanto nel dibattito
pubblico tale nome viene spesso associato a semplificazioni e banalizzazioni della teoria.
3
favorisca il controllo dell’inflazione, rappresentando allo stesso tempo uno
strumento anticiclico e di stabilizzazione macroeconomica. Infine, si valuterà
l’applicabilità del programma nell’attuale contesto europeo, proponendo un
confronto tra la capacità della Banca Centrale Europea di controllare il tasso
di interesse e il possibile controllo del salario monetario tramite il PLG.
Inoltre, si fornirà una stima dei costi e benefici di una sua introduzione in
Italia.
5
Capitolo 1. Quadro di riferimento teorico
1.1 La teoria Post-Keynesiana
La teoria Post-Keynesiana (PK) rappresenta un’ampia e diversificata scuola
di pensiero eterodossa nata dai seguaci più radicali di John Maynard Keynes.
I primi teorici, i più famosi dei quali sono Joan Robinson, Nicholas Kaldor,
Richard Kahn e Piero Sraffa, gravitavano attorno all’University of Cambridge
(UK), dove a partire dagli anni ’50 hanno rielaborato il pensiero di Keynes in
piena contrapposizione alla scuola della Sintesi Neoclassica
4
. Altri economisti
che successivamente hanno dato contributi importanti alla teoria sono Luigi
Pasinetti, Wynne Godley, Michael Kalecki, Augusto Graziani, Hyman
Minsky, Jan Kregel, Marc Lavoie e Randall Wray.
Come sottolineato da Lavoie (2022) le prime formalizzazioni della scuola si
svilupparono negli anni ’70, in particolare con la nascita, avvenuta
rispettivamente nel 1977 e nel 1978, delle due riviste principali: il Cambridge
Journal of Economics e il Journal of Post Keynesian Economics. Inoltre, nel
1975 venne pubblicato sul Journal of Economic Literature un famoso paper
di Eichner e Kregel nel quale gli autori sostennero la nascita di un nuovo
paradigma (quello Post-Keynesiano) che aveva lo scopo di “spiegare il mondo
reale come osservato empiricamente” e non quello di “dimostrare l’ottimalità
sociale che si avrebbe se il mondo reale assomigliasse al modello” (Eichner e
Kregel, 1975, p. 1309), come attribuito alla teoria neoclassica. Da queste
parole si può evincere una delle principali differenze dal punto di vista
metodologico tra le due teorie, cioè un approccio realista contrapposto a quello
strumentalista.
4
Con Sintesi Neoclassica si intende la scuola di pensiero economico che ha interiorizzato
alcune idee di Keynes inserendole nel contesto teorico neoclassico. Il modello IS-LM
sviluppato da J.R. Hicks costituisce la base di questa scuola di pensiero.
6
Un altro importante presupposto metodologico è l’approccio olistico utilizzato
dalla teoria PK, che si differenzia dall’individualismo metodologico
caratteristico dell’ortodossia dove il singolo agente economico indipendente è
il cuore della teoria. I Post-Keynesiani sottolineano infatti come l’individuo
sia un essere sociale influenzato dall’ambiente in cui vive, dalla cultura,
dall’appartenenza ad una classe sociale e dalle istituzioni. Inoltre, essendoci
una forte interdipendenza tra i comportamenti individuali, la semplice
aggregazione delle parti per spiegare il tutto può portare a fallacie di
composizione, come ad esempio il famoso paradosso del risparmio
5
. Per
queste ragioni, la teoria PK si concentra maggiormente sullo studio della
macroeconomia, sebbene sia presente anche una base microeconomica
alternativa a quella neoclassica (Lavoie, 2022).
Per quanto riguarda la teoria economica, come detto, la teoria Post-
Keynesiana è molto variegata, essendo influenzata da diverse altre teorie
eterodosse (come ad esempio quelle Marxista, Istituzionalista, Cartalista...),
ma seguendo King (2015) si può identificare il core condiviso della teoria
nelle sei proposizioni proposte da Thirlwall (1993) riassunte di seguito:
1. L’occupazione è determinata nel mercato dei beni e non in quello del
lavoro. Da questa proposizione seguono due ulteriori idee: la
disoccupazione è il maggior problema teorico e politico ed essendo un
problema macroeconomico non può essere ridotto ad un’analisi
microeconomica.
2. La disoccupazione involontaria esiste ed è causata da una carenza di
domanda effettiva. Non può essere eliminata solo attraverso
l’eliminazione delle imperfezioni del mercato del lavoro.
3. Gli investimenti guidano l’economia capitalistica e la loro relazione
con i risparmi è inversa rispetto alla visione neoclassica. Essi sono
decisi dalle imprese in base alle aspettative future sui profitti e
5
Il paradosso del risparmio (o della parsimonia), attribuito a Keynes, si basa sul fatto che
sebbene una riduzione del consumo da parte di un individuo possa aumentare il suo risparmio
(livello micro), ciò non si applica se è un’azione intrapresa da tutti (livello macro). Infatti, una
riduzione generale dei consumi porterebbe ad una riduzione del reddito aggregato, portando
probabilmente ad un risparmio aggregato minore rispetto al punto di partenza.
7
determinano il reddito aggregato, andando quindi ad influire sul
consumo e di conseguenza sul risparmio. In questo senso sono gli
investimenti che determinano il risparmio.
4. L’economia monetaria capitalistica è molto diversa da un’economia di
baratto. Poiché ciò che muove le imprese a produrre è la ricerca del
profitto
6
, ed esso è definito come una differenza tra somme di denaro
(ricavi meno costi), la moneta influenza anche le variabili reali e non
può essere definita neutrale. Inoltre, l’importanza della finanza nel
processo produttivo crea un’asimmetria sia temporale (i progetti di
investimento richiedono una spesa anticipata rispetto al flusso di
profitto atteso), sia tra creditori e debitori, il che rende imparagonabile
l’economia monetaria moderna con un’economia di baratto.
5. L’interpretazione ortodossa dell’equazione degli scambi, cioè la teoria
quantitativa della moneta
7
, non è corretta. In primo luogo, come già
riconosciuto da Keynes, la moneta non è neutrale ma anzi può
influenzare le variabili reali; quindi, la dicotomia classica non è
applicabile. In secondo luogo, nell’equazione degli scambi la causalità
dovrebbe andare dai termini a destra ( ) verso quelli a sinistra ( ),
e non viceversa; questo perché la quantità di moneta è endogena al
sistema essendo guidata dalla domanda di credito
8
e non decisa
esogeneamente.
6
La teoria PK riprende infatti l’idea di Marx secondo cui la sequenza di produzione
capitalistica sia la seguente: − − ′, dove è la moneta iniziale necessaria ad
intraprendere la produzione, C sono i beni prodotti e ′ è la moneta ricevuta dalla vendita dei
beni. Ovviamente un capitalista inizierà la produzione solo se si aspetta che ’ > , cioè un
profitto.
7
La teoria quantitativa della moneta si basa sulla seguente equazione degli scambi: ≡
, dove rappresenta la quantità di moneta, la velocità di circolazione della stessa, il
livello dei prezzi e la produzione totale reale. L’interpretazione ortodossa di questa identità
è che, ipotizzando la moneta neutrale (quindi non influenza che è determinato da fattori
reali) e costante, una variazione di si traduce direttamente in uguale variazione in .
Questa distinzione netta tra i settori reali e monetari dell’economia è nota come dicotomia
classica.
8
Si sta facendo riferimento alla Teoria della Moneta Endogena, che verrà trattata
approfonditamente nel Paragrafo 1.2.
8
6. L’economia capitalista è guidata dagli “spiriti animali” degli
investitori, cioè dalle aspettative future di profitto realizzate da agenti
con informazioni e razionalità limitate.
Da queste brevi assunzioni si evince come, in primo luogo, gli economisti
Post-Keynesiani si concentrino sul concetto di domanda effettiva, sostenendo
che la produzione aggregata e l’occupazione siano trainate dalla domanda e
non dall’offerta, anche nel lungo periodo. Quest’idea è strettamente collegata
con il rifiuto Post-Keynesiano della nozione di scarsità nella definizione
neoclassica di economia, al quale sostituiscono il concetto di riproducibilità,
concentrandosi sulla creazione delle risorse in continuità con la tradizione
degli economisti classici
9
.
Il concetto di domanda effettiva è in piena contrapposizione con la Legge di
Say, che infatti viene totalmente rifiutata riprendendo la critica di Keynes
secondo il quale la decisione di risparmiare, non generando automaticamente
una decisione di consumo futuro a causa della preferenza per la liquidità, crea
un gap di domanda. (Mitchell et al., 2019)
Un secondo aspetto di estrema importanza per la teoria PK è il tempo storico,
che differentemente dal tempo logico viene considerato irreversibile. Infatti,
nel caso del tempo logico il movimento da una posizione di equilibrio a
un’altra avviene quasi istantaneamente, senza interesse su come la transizione
avvenga, mentre nel caso del tempo storico il tempo è irreversibile, cioè ogni
azione intrapresa durante il percorso di transizione influenza il nuovo
equilibrio. Come sostenuto da Kalecki (1971, p. 165): “la tendenza di lungo
periodo non è altro che una componente lentamente mutevole di una catena di
situazioni di breve periodo; non ha un’entità indipendente”. Per questo motivo
la teoria PK sottolinea la necessità di utilizzare modelli dinamici al fine di
spiegare l’evoluzione nel tempo degli stock e dei flussi di attività reali e
finanziarie.
9
Si noti che con il termine economisti classici si intendono autori quali Smith, Ricardo,
Malthus ecc… da non confondere con la scuola neoclassica (o più propriamente scuola
marginalista).
9
Come si è brevemente visto, i presupposti metodologici e teorici della teoria
PK si differenziano in maniera considerevole da quelli della teoria
neoclassica, portando quindi anche a prescrizioni di politica economica
diverse. Infatti, i Post-Keynesiani non credono nell’ottimalità, nell’efficienza
e nell’equità del sistema di mercato, il quale “ha forze destabilizzanti interne.
La fragilità finanziaria, che è un prerequisito per l'instabilità finanziaria, è
fondamentalmente il risultato dei processi del mercato interno.” (Minsky,
1986, p. 280) Questo porta all’idea che lo Stato debba intervenire da una parte
per regolamentare l’instabilità intrinseca del sistema di mercato capitalistico
e dall’altra per controllare la domanda aggregata tramite interventi di politica
fiscale.
Come detto, all’interno della teoria Post-Keynesiana sono presenti diverse
correnti che, sebbene condividano il quadro sopra descritto, si differenziano
sia per i temi trattati sia per diverse posizioni teoriche e relative misure di
politica economica. In questo elaborato si è scelto di approfondire e seguire
principalmente la corrente istituzionalista/neocartalista, in particolare la
scuola nota come Modern Money Theory o Modern Monetary Theory, in
quanto gli economisti che ne fanno parte sono coloro che negli ultimi
vent’anni hanno sviluppato in maniera più interessante l’idea di un Piano di
Lavoro Garantito, rendendolo la misura principale dell’approccio prescrittivo
della teoria.
1.2 La teoria della moneta endogena
La teoria della moneta endogena rappresenta uno degli aspetti cruciali
dell’analisi degli economisti Post-Keynesiani sul funzionamento
dell’economia. Come si è detto, infatti, la teoria PK sottolinea come il
processo produttivo in un’economia capitalistica parta dalla moneta, che
quindi non può essere considerata neutrale ma anzi deve essere posta al centro
dell’analisi economica.
Il punto chiave della teoria della moneta endogena è che l’offerta di moneta
sia una variabile endogena, guidata dalla domanda di credito bancario del
settore privato, e quindi non possa essere controllata dalla Banca Centrale
10
(BC), la quale però ha il potere di fissare il tasso di interesse. In questa visione
le banche commerciali non agiscono semplicemente come intermediari tra
risparmiatori e investitori, ma hanno il potere di creare depositi (quindi mezzi
di pagamento) tramite l’erogazione di prestiti, senza la necessità di avere
risparmi o riserve precedentemente accumulate. Questa teoria è quindi in netto
contrasto con la visione monetarista e la relativa teoria del moltiplicatore
monetario, che prevede che la Banca Centrale possa controllare l’offerta di
moneta e che l’attività di prestito delle banche centrali sia vincolato da un
requisito di riserva obbligatoria. Lavoie (2022) sottolinea infatti che, sebbene
nella maggior parte dei manuali di macroeconomia venga ancora sostenuta la
validità della teoria del moltiplicatore monetario, a partire dagli anni ’90 le
argomentazioni a favore della moneta endogena si sono fatte sempre più forti.
Uno dei motivi principali è che le banche centrali hanno adottato politiche
monetarie più trasparenti, rendendo esplicite le proprie misure di targeting del
tasso di interesse. Questo cambiamento è stato recepito anche dall’economia
ortodossa, in particolare dal cosiddetto “New Consensus model”, sebbene con
alcune differenze rispetto alla teoria della moneta endogena.
A riprova di quanto detto sopra si può citare tra le tante fonti istituzionali che
hanno ripreso questi concetti la Bank of England, che sottolinea come vi siano
due grandi incomprensioni su come la moneta viene creata in un’economia
moderna:
Un'idea comune sbagliata è che le banche agiscano semplicemente
come intermediari, prestando i depositi che i risparmiatori depositano
presso di loro. […] in realtà, nell'economia moderna, le banche
commerciali creano i depositi. […] Un'altra idea comune sbagliata è
che la banca centrale determini la quantità di prestiti e depositi
nell'economia controllando la quantità di moneta della banca centrale
- il cosiddetto approccio del “moltiplicatore monetario”. […] Invece di
controllare la quantità di riserve, oggi le banche centrali attuano la
politica monetaria fissando il prezzo delle riserve, ossia i tassi di
interesse. […] Come nel caso della relazione tra depositi e prestiti, la
11
relazione tra riserve e prestiti funziona in genere in modo inverso a
quello descritto in alcuni libri di testo di economia. (McLeay et al.,
2014, p. 15)
Vista l’importanza della moneta in questa visione, e la possibile ambiguità
nella sua definizione, è necessario nel prossimo paragrafo analizzare il punto
di vista su di essa della corrente Cartalista dei Post-Keynesiani, per poi
approfondire la teoria della moneta endogena analizzando la relazione tra
Banca Centrale e banche commerciali e come la BC possa controllare il tasso
di interesse.
1.2.1 La natura e la gerarchia della moneta
Un aspetto fondamentale per capire cosa sia la moneta è comprendere quale
sia la sua natura e da cosa derivi il suo valore. Una risposta può essere data
dalla teoria Cartalista, che affonda le sue radici nel lavoro di Knapp (1924) il
quale nel suo libro The State Theory of Money espone una teoria sulla natura
della moneta contrapponendola alla teoria dominante allora (e in un certo
modo ancora oggi), cioè quella Metallista. A partire dal nome del suo libro si
può capire come per Knapp lo Stato abbia un ruolo fondamentale nello
sviluppo e nella determinazione della moneta. Infatti, egli sostiene che: “La
moneta di Stato non è ciò che è obbligatoriamente accettato da tutti, ma è ciò
che viene accettato dagli uffici di pagamento pubblici.” (Knapp, 1924, pag.
vii). In questa visione quindi la moneta non ha un valore intrinseco reale,
dovuto a una corrispondenza con metalli preziosi, ma ha un valore nominale
determinato dall’imposizione da parte dello Stato di un obbligo fiscale che
deve essere necessariamente pagato con tale moneta, creandone quindi una
domanda. Le intuizioni di Knapp possono essere riscontrate anche in Keynes
(1930) e Minsky (1986), il quale scrive che il valore della moneta è dato da:
“[…]la necessità di pagare le tasse e ciò significa che le persone lavorino e
producano per ottenere ciò in cui le tasse possono essere pagate” (Minsky,
1986, p. 258).