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CAPITOLO II – GENETICA 
FORENSE: LA PROVA DEL DNA 
NEL PROCEDIMENTO PENALE 
 
 
2.1 Il prelievo di materiale biologico 
La legge di riforma del 2009 ha delineato una disciplina basata sul principio del 
minimo sacrificio necessario per la libertà personale e corporale del soggetto 
passivo. Inoltre, ha introdotto il principio di proporzionalità come metodo 
generale per bilanciare la tutela costituzionale dei diritti individuali con le nuove 
sfide tecnico-scientifiche. Il principio di proporzionalità
59
 viene applicato come 
criterio di bilanciamento tra gli obiettivi del procedimento penale e i diritti 
inviolabili dell'individuo. 
È importante notare che l'estensione del principio di proporzionalità dall'ambito 
originario delle misure cautelari all'area dei diritti fondamentali consente di 
mantenere una coerenza nelle questioni che, come quella dei prelievi ematici 
coattivi, sono caratterizzate da interpretazioni diverse e da un'evoluzione 
normativa lenta. 
La legge del 2009 ha anche portato all'istituzione della Banca dati del DNA ed 
ha disciplinato l'acquisizione e l'utilizzo probatorio dei profili genetici. Sin 
dall'inizio, la legge ha cercato di trovare un equilibrio tra la sfera individuale e 
l'impiego dei mezzi tecnico-scientifici nel processo.  
Dall'impianto normativo emergono chiaramente due ambiti di disciplina distinti, 
ognuno dei quali cerca di bilanciare l'esigenza di ricostruzione dei fatti storici 
con alcuni valori specifici, quali: la riservatezza (in relazione all'archiviazione 
dei profili genetici nella Banca dati nazionale del Laboratorio centrale) e la 
 
59
 Caianiello M., II principio di proporzionalità nel procedimento penale, (articolo in rivista) in 
Dir. pen. cont. 3-4, 2014, pp. 143 ss.
23 
 
libertà personale (riguardante i prelievi di materiale biologico e gli accertamenti 
medici coattivi disposti dall'autorità giudiziaria nel procedimento penale). 
In sostanza, la legge prevede l'inclusione nella Banca dati nazionale di dati 
genetici provenienti da diverse fonti, i quali, strumentali per diverse finalità, 
creano collegamenti di intensità variabile tra la Banca dati ed il procedimento 
penale. Il legislatore del 2009 ha, così, disciplinato l'acquisizione coattiva del 
campione biologico mediante differenti modelli di prelievo; al contrario, rimane 
non regolamentata l'ipotesi di prelievo di materiale biologico su consenso del 
soggetto passivo. 
Il primo modello di tutela della libertà personale si concentra principalmente 
sulla disciplina degli accertamenti relativi alla libertà personale durante il 
processo penale e le indagini preliminari. In particolare, si riferisce al prelievo 
di materiale biologico da persone identificate e viventi, come indagati, imputati, 
persone offese o terzi, che non sono privati della loro libertà personale. Questa 
attività fa parte del processo di raccolta delle prove del DNA, necessario per la 
ricostruzione dei fatti. Il prelievo può essere definito "processuale"
60
 quando 
avviene durante il dibattimento processuale o "investigativo" quando viene 
effettuato durante le indagini preliminari. È importante notare che questa 
disciplina si applica anche quando l'Italia viene richiesta da un altro Stato 
europeo di effettuare un prelievo di materiale biologico su un individuo presente 
sul territorio italiano. 
In altre parole, se si tratta di un indagato, un imputato libero o un terzo, il 
campione biologico
61
 viene acquisito nell'ambito di una perizia (articolo 224-bis 
del Codice di Procedura Penale) o di un accertamento tecnico del pubblico 
ministero (articolo 359-bis del Codice di Procedura Penale). Questo avviene 
attraverso un processo procedurale che si basa sull'alternativa tra il consenso 
della persona interessata e la coercizione che può essere applicata solo mediante 
un provvedimento giudiziario.  
 
60
 Tonini P., Informazioni genetiche e processo penale ad un anno dalla legge, Milano 2010, p. 
886. 
61
 Il campione biologico è definito dal legislatore come la "quantità di biologica prelevata sulla 
persona sottoposta a tipizzazione del profilo del DNA" (art. 6, lett. c).
24 
 
I dati genetici appartenenti a persone identificate sono utilizzati (e devono 
rimanere) all'interno del procedimento penale, dove sono strumentali alla 
ricostruzione dei fatti storici, senza la necessità di essere inseriti nella Banca dati 
nazionale del DNA per fini di conservazione. Vengono archiviati nella banca 
dati solo nel caso di una condanna penale o di un provvedimento che limita la 
libertà personale. 
Nel caso in cui l'indagato o l'imputato sia privato della libertà personale durante 
il procedimento penale o dopo una condanna definitiva, viene attivato il secondo 
modello di prelievo, chiamato "istituzionale".
62
 Questo prelievo di materiale 
biologico ha finalità extraprocessuali. In questa situazione, la disciplina si 
distingue dalla normativa codificata. Questo modello rappresenta uno dei tre 
canali attraverso i quali la Banca dati del DNA viene alimentata. La finalità non 
è la ricostruzione dei fatti storici nel procedimento penale in corso, ma piuttosto 
la tipizzazione dei profili genetici di soggetti identificati e sottoposti a 
provvedimenti che limitano la libertà personale. 
 
2.1.1 Prelievo “processuale” di materiale biologico: la 
perizia genetica coattiva 
 
La legge del 2009, che regolamenta l'utilizzo delle prove genetiche nel processo 
penale, ha implementato il requisito della motivazione da parte dell'autorità 
giudiziaria, come prescritto dall'articolo 13 della Costituzione, qualora siano 
presenti due presupposti: la gravità del reato e la necessità dell'accertamento 
genetico. 
È importante notare che il consenso, richiesto nel primo paragrafo dell'articolo 
224-bis del codice di procedura penale come condizione necessaria per 
l'applicazione della coercizione con l'emissione di un'ordinanza motivata che 
dispone una perizia coattiva, ricompare nell'ultimo paragrafo della disposizione, 
secondo il quale se la persona interessata, pur comparendo, rifiuta di sottoporsi 
agli accertamenti, il giudice può disporre l'esecuzione coattiva delle operazioni. 
In altre parole, se una persona invitata a presentarsi per la perizia non compare 
 
62
 Si tratta di un prelievo che avviene per legge ad opera di personale specializzato dalla polizia 
giudiziaria o penitenziaria. Tonini P., Manuale di procedura penale, cit., Milano 2017, p. 532.
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senza giustificato motivo, il giudice può ordinarne il suo accompagnamento 
coattivo. Tuttavia, se la persona compare ma rifiuta il consenso alle operazioni, 
il giudice, essendo la perizia considerata assolutamente indispensabile, deve 
ordinare l'esecuzione coattiva attraverso l'uso di mezzi di coercizione fisica, in 
misura proporzionata e solo per il tempo strettamente necessario per eseguire il 
prelievo.
63
  
Questa procedura è stata considerata positiva poiché, prevedendo due richieste 
esplicite all'interessato (prima di ordinare il prelievo coattivo e poi di eseguirlo), 
limita l'uso della costrizione come extrema ratio, in linea con il principio della 
minima offensività. Tale principio costituisce un'applicazione del principio di 
proporzionalità, fornendo una misura della legittimità della restrizione dei diritti 
fondamentali. 
Per poter procedere all'accertamento genetico coatto nel processo penale, sono 
necessari alcuni presupposti. Innanzitutto, il reato deve essere doloso o 
preterintenzionale, sia consumato che tentato, e punito con l'ergastolo o con una 
reclusione massima superiore a tre anni, come stabilito dagli articoli 589-bis e 
590-bis del codice penale, nonché in altri casi previsti dalla legge. Inoltre, 
l'esecuzione della perizia deve richiedere atti che incidono sulla libertà 
personale, come il prelievo di materiale biologico o accertamenti medici, e il 
soggetto passivo deve rifiutarsi di collaborare. 
In questo contesto, il giudice ordina l'esecuzione coattiva delle attività probatorie 
solo se la perizia risulta assolutamente indispensabile per provare i fatti. Si è 
osservato che una rigorosa interpretazione di questo presupposto implica che il 
prelievo forzoso sia lecito solo quando non ci siano alternative disponibili per 
l'autorità giudiziaria per acquisire il materiale biologico, purché queste 
alternative non violino i diritti fondamentali dell'individuo. 
Questa interpretazione elimina ogni dubbio sulla correttezza dell'orientamento 
giurisprudenziale precedente all'entrata in vigore della legge n. 85 del 2009, che 
era stato adottato per affrontare eventuali situazioni in cui il soggetto interessato 
si rifiutasse di fornire il proprio materiale biologico. Secondo tale orientamento, 
 
63
 Grevi V., Prove, in Conso G., Grevi V. E Bargis M. (a cura di), Compendio di procedura 
penale, Padova 2014, p. 366.
26 
 
era lecito raccogliere materiale biologico staccatosi dal corpo della persona 
tramite il sequestro di oggetti trovati all'insaputa dell'interessato, anche 
casualmente, su cui potessero essere rinvenute tracce organiche (ad esempio, 
bicchieri contenenti saliva o indumenti con liquidi biologici di varia natura), così 
come tramite perquisizioni domiciliari finalizzate al sequestro di oggetti in uso 
all'indagato. 
È possibile effettuare la perizia coattiva non solo durante il processo, ma anche 
durante un incidente probatorio. Infatti, è stata introdotta un'ulteriore ipotesi di 
assunzione anticipata della prova mediante un'aggiunta all'articolo 392 del 
codice di procedura penale. L'indagato e il pubblico ministero possono 
richiedere al giudice per le indagini preliminari lo svolgimento anticipato di una 
perizia sulla base del semplice presupposto che il mezzo di prova richieda 
l'esecuzione di accertamenti o prelievi su una persona vivente, come previsto 
dall'articolo 224-bis del codice di procedura penale.
64
 
Il legislatore ha definito in modo diverso il materiale biologico prelevabile: solo 
la mucosa del cavo orale nel caso di prelievo "istituzionale" (articolo 9 della 
legge n. 85 del 2009), mucosa del cavo orale, peli o capelli nell'ipotesi di prelievo 
"processuale" e "investigativo" (articoli 224-bis e 359-bis del codice di 
procedura penale), e saliva o capelli nell'ipotesi di prelievo "identificativo" 
dell'indagato effettuato dalla polizia giudiziaria (articolo 349, comma 2-bis del 
codice di procedura penale). 
È evidente una mancanza di coordinamento che potrebbe essere facilmente 
corretta con un adeguamento del linguaggio, uniformando la tipologia del 
materiale biologico prelevabile e, prima ancora, facendo una scelta ponderata 
basata sulle indicazioni tecniche dei genetisti riguardo al materiale organico 
preferibile. 
In particolare, l'indicazione della mucosa del cavo orale
65
 solleva perplessità, 
soprattutto quando non si considerano alternative. Infatti, l'asportazione invasiva 
 
64
 Critica la progressiva implementazione legislativa dei casi di incidente probatorio nel quale 
oggi confluiscono ipotesi ispirate ad esigenze di varia natura che rendono incerta l'attuale 
fisionomia dell'istituto. F. Caprioli, Indagini preliminari e udienza preliminare, in Conso G., 
Grevi V. E Bargis M. (a cura di), Compendio di procedura penale, Padova 2014, p. 622. 
65
 La mucosa del cavo orale è la membrana che riveste la superficie interna della bocca ed è 
formata da un tessuto delicato ed elastico mantenuto umido dal secreto di ghiandole nel suo
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di tessuto epiteliale è indubbiamente più invasiva rispetto al prelievo di un 
liquido come la saliva. È possibile che il legislatore abbia menzionato la mucosa 
del cavo orale intendendo riferirsi alle particelle di desquamazione della mucosa 
orale che possono trovarsi nella saliva. Nella pratica, gli operatori non possono 
effettuare una sorta di biopsia, che sarebbe anche lesiva per l'integrità fisica, e 
pertanto si orientano verso il prelievo di saliva. È importante notare che la saliva, 
a differenza dei peli o dei capelli, che potrebbero avere un bulbo più o meno 
vitale, contiene una quantità di cellule nucleate che facilita la tipizzazione del 
DNA. Tuttavia, rimangono dubbi sulle modalità di coercizione, considerando 
che il prelievo di saliva richiede un'attivazione, anche se minima, come il 
socchiudere la bocca. In questa prospettiva, sarebbe preferibile il prelievo di una 
piccola goccia di sangue su un supporto dedicato o su un tampone sterile 
mediante l'uso di strumenti diffusi e non invasivi, come ad esempio le lancette 
per i polpastrelli utilizzate autonomamente dai diabetici per il controllo della 
glicemia.
66
 
L'attenzione nei confronti dei soggetti passivi del prelievo genetico solleva 
ulteriori considerazioni. Dall'articolo 224-bis del codice di procedura penale (il 
secondo comma si riferisce alla "persona da sottoporre all'esame", mentre il 
comma successivo menziona distintamente "l'interessato" e "l'imputato" per 
quanto riguarda la notifica dell'ordinanza del giudice) e dall'articolo 72-bis delle 
disposizioni attuative del codice di procedura penale (che disciplina il prelievo 
di campioni biologici e gli accertamenti medici su minori e persone incapaci o 
interdette), emerge che l'intervento coercitivo riguardante persone viventi può 
coinvolgere l'imputato e terze persone, anche se incapaci o minorenni. 
Questa questione merita una riflessione a fronte delle critiche che stigmatizzano 
l'uguale applicazione dei requisiti per il prelievo sul l'imputato e su una persona 
estranea al procedimento penale, nonché la conseguente violazione della privacy 
di terze persone. Inoltre, si paventa la possibilità di screening genetici di massa. 
È stato particolarmente criticato il fatto che non esista un divieto esplicito di 
 
spessore. La saliva, quale prodotto di secrezione delle ghiandole salivari, un liquido inodore, 
incolore, torbido e filante contenente sostanze sia organiche, sia inorganiche. 
66
 Garofano P., Le attività tecniche dal prelievo alla banca dati del DNA, in Scarcella A. (a cura 
di), Prelievo del DNA e banca dati nazionale, Milano 2009, p. 81.
28 
 
trasferire i profili genetici di soggetti identificati diversi dall'indagato e 
dall'imputato al database nazionale del DNA. 
Tuttavia, queste preoccupazioni sembrano eccessive. Un divieto esplicito risulta 
superfluo poiché l'articolo 7 della legge n. 85 del 2009, che disciplina 
l'alimentazione del database nazionale, fornisce una previsione tassativa dei 
canali di inserimento dei profili genetici, e tra di essi non figurano i profili 
genetici ottenuti da terze persone identificate nel contesto del procedimento 
penale. 
Inoltre, le perplessità dottrinali svaniscono se si considera l'utilità del test 
genetico sul materiale biologico di terzi e il grado di sacrificio che viene loro 
imposto. In primo luogo, riguardo all'utilizzo dell'analisi genetica nel 
procedimento penale, è importante chiedersi quando sia necessario acquisire un 
contributo biologico da parte di un terzo che non è indagato o imputato. Questo 
si applica principalmente alla vittima, che dovrebbe essere ben disposta a 
collaborare, e al terzo, che potrebbe avere un interesse diretto a fornire un 
campione biologico per escludere il suo coinvolgimento nel reato, ad esempio 
dimostrando di non essere mai stato sul luogo del crimine. Inoltre, i terzi possono 
essere coinvolti nelle cosiddette "indagini indirette", in cui il profilo del DNA 
viene ottenuto da una traccia biologica di origine sconosciuta e non si dispone 
del profilo genetico di un individuo sospetto. In queste situazioni, acquisire il 
materiale biologico dai parenti, per i quali è certa la parentela biologica, può 
essere utile.
67
  
L'utilità di tali indagini è evidente, ad esempio nel caso di un sospetto irreperibile 
o latitante, o nella necessità di identificare una persona rapita quando sono state 
rinvenute tracce che potrebbero appartenere alla vittima, ma di cui non si ha il 
profilo genetico. Inoltre, si può pensare alla necessità di identificare un soggetto 
irreperibile (e di cui si ignora il profilo genetico) al quale sia possibile ricondurre 
una traccia biologica lasciata durante un crimine, mediante la tipizzazione del 
DNA del fratello. Tali considerazioni attenuano le perplessità sollevate dalla 
 
67
 Sotto il profilo biologico tali indagini si basano sulla constatazione della condivisione dei dati 
genetici quale caratteristica del patrimonio genetico individuale.
29 
 
dottrina, considerando l'utilità del test genetico sul materiale biologico di terzi e 
il livello di sacrificio che viene loro richiesto.
68
 
Infine, è necessario esaminare il caso dei terzi coinvolti in indagini basate su 
esami genetici condotti su un gran numero di persone, pratica utilizzata in molti 
Paesi. Nonostante le previsioni oscure evocate dalla dottrina, che concentra 
l'attenzione non sulla quantità ma sulla legittimità dei prelievi, e mette in 
secondo piano l'interesse generale nella repressione dei reati, non sembra 
necessario stabilire requisiti più rigorosi e distinti per i prelievi effettuati su terze 
persone rispetto a quelli effettuati sull'imputato. L'asportazione di peli o capelli 
rappresenta un sacrificio minimo della libertà personale, indipendentemente 
dalla qualifica di chi lo subisce. Inoltre, nella pratica, la maggior parte dei terzi, 
volendo contribuire alla scoperta del colpevole, acconsente volontariamente al 
prelievo. Inoltre, il principio di pertinenza stabilito dall'articolo 187 del codice 
di procedura penale, che la dottrina ritiene applicabile anche alla fase 
investigativa e invoca come limite all'eccesso delle indagini, non sembra essere 
violato nel caso di screening genetici condotti su una parte significativa della 
popolazione. Infatti, la pertinenza dell'atto investigativo deve essere collegata a 
una notizia di reato attuale in relazione ai presupposti dell'atto. Pertanto, nel caso 
di uno screening su un ampio numero di individui, ogni singolo prelievo può 
essere chiaramente ricondotto alla notizia di reato. In altre parole, viene 
considerata un'attività investigativa unitaria, anche se complessa: il semplice 
dato quantitativo riguardante i prelievi di materiale biologico effettuati su una 
pluralità di soggetti passivi non è sufficiente a qualificare l'indagine come lesiva 
dei diritti fondamentali. 
  
 
68
 Esemplare la vicenda della cattura del boss Bernardo Provenzano nella quale si inserisce 
l'esame del DNA su alcuni campioni di tessuto appartenenti ad un certo Gaspare Troia operato 
alla prostata nel 2002 in un ospedale di Marsiglia. In realtà si trattava di Provenzano, che fu 
smascherato confrontando il DNA dal reperto e quello tipizzato dal sangue del fratello del boss, 
conservato all'ospedale di Palermo dove l'uomo aveva subito un intervento chirurgico. La notizia 
ha avuto ampia anche sulla stampa specializzata.