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Introduzione
La questione del consumo di suolo mette in gioco temi di diversa
natura. Se il più comunemente riconosciuto è quello di natura ecologica e
ambientale, altri non meno rilevanti attengono al modello di sviluppo
economico e sociale e all’intensità e forme dei processi di urbanizzazione.
Il suolo – nelle sue diverse accezioni naturale, agricolo e semi
naturale – è un bene comune, una risorsa ambientale fondamentale, per
l’insieme delle funzioni vitali che espleta, e non rinnovabile, caratterizzata
da velocità di degrado e processi di formazione e rigenerazione
estremamente lenti. La progressiva espansione delle infrastrutture e
dell’urbanizzazione, in particolare nelle forme della diffusione e della
dispersione del costruito a bassa densità, causa, da un lato, un rilevante
incremento delle superfici artificiali e con esso anche la perdita di questa
risorsa, essenziale non solo per la sua funzione ma anche per i servizi
ecosistemici che può fornire, dall’altro l’aumento dei “costi nascosti”
connessi al processo di impermeabilizzazione e gravanti in primo luogo sulla
spesa pubblica e sulla collettività (Commissione Europea, 2013).
Le più colpite da erosione sono risultate le aree agricole, per lo più
quelle di elevato valore produttivo, soprattutto nel nostro paese dove la
superficie agricola, oltre ad essere diminuita di 6 milioni di ettari dal secondo
dopoguerra – per l’effetto congiunto dell’urbanizzazione e dell’abbandono –
ha anche subito un processo di forte frammentazione che ne ha in larga
parte compromesso la produttività e funzionalità ecosistemica. L’alterazione
di quest’ultima è particolarmente grave se si considera il ruolo che essa
svolge nella prevenzione e mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico
e nelle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici.
Ormai note a livello scientifico e politico – come si può evincere dagli
orientamenti della riflessione e del dibattito a livello comunitario – sono le
conseguenze ambientali, economiche e sociali che l’eccessivo consumo di
suolo continua a produrre. La limitazione di quest’ultimo, soprattutto in un
paese quale il nostro che, anche per le sue caratteristiche ambientali e
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orografiche, presenta un livello di consumo di questa risorsa tra i più elevati
in Europa, è un impegno che tutti i paesi – Italia compresa – hanno assunto,
a partire dall’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta nel
2015 (United Nations, 2015). In questa prospettiva essi hanno aderito a un
processo di monitoraggio degli obiettivi attinenti allo sviluppo sostenibile,
attraverso un sistema di indicatori tra i quali alcuni specifici sull’uso e il
consumo di suolo, sulle aree artificiali e sulla percentuale di territorio
interessato da fenomeni di degrado.
I paesi europei si sono, inoltre, impegnati a perseguire l’obiettivo
dell’azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050, come previsto
dal settimo programma di azione ambientale dell’Unione Europea (UE,
2011). Pur essendo una scadenza differita tra tre decenni, l’obiettivo rischia
di rimanere nelle formulazioni retoriche se non si opera in modo adeguato.
Ciò a partire dall’Unione Europea. È necessario infatti sottolineare che
all’obiettivo dello “zero consumo di suolo” non hanno fatto seguito, da parte
dell’istituzione comunitaria, né la formulazione di una cornice vincolante, né
la predisposizione di adeguati strumenti regolativi. Questa condizione
impedisce di sviluppare strategie efficaci e vincolanti per gli Stati membri.
Il rapporto 2017 del Centro di Ricerca sui Consumi di Suolo (CRCS)
restituisce il quadro delle minacce sui suoli europei, basato sull’analisi di
elaborazioni svolte dalla Commissione Europea, che è quello di un
continente che risulta impreparato di fronte alle sfide imposte dal
cambiamento climatico (CRCS, 2017).
Nel caso dell’Italia, con riferimento al contesto regionale veneto,
l’esame delle dinamiche di trasformazione territoriale, basato sui dati
ricavati dalla Carta Copertura del Suolo (CCS-2012) e dal SISTAR –
finalizzato alla determinazione della quantità massima di consumo di suolo
(LR n. 14/2017) – fornisce un quadro che testimonia degli elevati livelli in
cui si è mantenuto negli ultimi decenni il consumo di territorio, nonostante
la crisi economica che si è manifestata a partire dal 2008.
Il quadro fornito dall’ultimo rapporto dell’Ispra del 2018 ancor più
evidenzia come il consumo di suolo è proceduto in modo sostenuto,
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indipendentemente dalle dinamiche demografiche. Ciò significa che altri
sono i fattori che hanno agito: dai nuovi modelli produttivi, alla rete
infrastrutturale, alla scarsa regolamentazione degli insediamenti, alla
speculazione immobiliare. I dati rilevati evidenziano la persistente criticità
del consumo di suolo nelle zone periurbane e urbane a bassa densità del
costruito, unitamente alla criticità delle aree collocate nell’intorno del
sistema infrastrutturale (ISPRA, 2018).
Il Veneto si distingue a livello nazionale, oltre che per il valore
percentuale più elevato e progressivamente crescente – dopo la Lombardia
– di consumo di suolo dal 2006 al 2017 (da circa il 9% al 12,35 %), anche
per il grado più alto di frammentazione in corrispondenza a sostenuti
processi di urbanizzazione. In un contesto di urbanizzazione diffusa, quale
quello veneto, rilevante risulta, inoltre, l’incidenza della frammentazione
amministrativa, in particolare della ridotta dimensione dei comuni, sul
processo di consumo di suolo: minore è la superficie territoriale dei comuni,
maggiore risulta essere il consumo relativo di suolo a uso non residenziale
(infrastrutturale, produttivo, commerciale).
Sempre secondo il Rapporto ISPRA del 2018, ciò che emerge con
evidenza è che il suolo si consuma anche in momenti di crisi. Considerando
che dal 2009 è in funzione il Piano Casa (L.R. 14 del 8 luglio 2009),
provvedimento normativo che, secondo le dichiarazioni ufficiali, avrebbe
dovuto anche agevolare la densificazione del costruito e ridurre il consumo
di suolo, appare evidente che l’esito raggiunto sia andato nella direzione di
un suo incremento.
Il ragionare attorno al tema del piano quale principale strumento per
il governo del territorio dovrebbe rendere consapevoli i decisori del grande
significato e della forte responsabilità, sia tecnica sia politica, che il processo
di pianificazione assume anche per la salvaguardia di una risorsa non
riproducibile quale il suolo.
L’urbanistica è una disciplina che si avvale di tecniche e metodi
scientifici, ma l’esito conseguito dall’applicazione degli strumenti di indirizzo
e regolazione delle trasformazioni territoriali alle diverse scale ha a che fare
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con l’intenzionalità politica, la cultura civica e la capacità delle istituzioni di
garantire un equilibrio tra le necessità di sviluppo e la capacità di carico di
un territorio inteso come complesso di dimensioni: ambientali, ecologiche,
sociali, economiche e culturali.
Questa disciplina si è progressivamente accresciuta di competenze e
di strumenti, adottando approcci interdisciplinari, affinando capacità
analitiche ed elaborazioni progettuali, ma per lo più perdendo di vista – per
il suo frequente asservimento agli interessi proprietari – l’obiettivo della
tutela del territorio come bene pubblico e primario, sistema complesso che
richiede un progetto responsabile al fine di perseguire finalità di interesse
generale.
Se non si possiede una cultura adeguata, in grado di interpretare il
territorio nelle sue molteplici dimensioni, e se è debole l’etica dell’interesse
generale, l’esito è inevitabilmente una concezione del territorio come mera
merce, come supporto di interessi particolari.
Quindi il tema del consumo di suolo non può non richiamare il senso
di responsabilità in primo luogo delle istituzioni, che devono essere capaci
di affermare una nuova cultura della sostenibilità ambientale delle
trasformazioni e al tempo stesso un’etica civile che si estrinseca nel governo
del territorio e nella sua pianificazione.
Diversamente i rischi di uno scollamento degli obiettivi dalle pratiche
d’uso del territorio, così come di una sostanziale perdita di significato degli
strumenti di regolazione sono inevitabili, quanto evidenti nel dissesto
ambientale.
Seppure fondamentale, la competenza tecnica, da sola non è
sufficiente. Basti richiamare il fatto che la regione Veneto, pur in presenza
di numerose generazioni di piani e di una pletora di strumenti – di indirizzo,
di regolazione e di valutazione – ha fatto registrare, come detto, un costante
incremento nel consumo di suolo.
Ciò è dovuto sostanzialmente al fatto che è prevalso il sistematico
ricorso alla logica deregolatoria – i cui effetti sul consumo “reale” di suolo
verranno evidenziati nel presente lavoro – la quale ha vanificato gli obiettivi
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dichiarati nella legge sul governo del territorio e ha mortificato il significato
della pianificazione.
In queste condizioni il governo locale, ossia l’ambito al quale è
delegato sostanzialmente il trattamento del conflitto di interessi, non pare
in grado – e non è messo nelle condizioni – di reggere le pressioni derivanti
prima dall’espansione economica, e nel periodo più recente dalla crisi e dalla
dismissione del costruito, per cui gli interessi proprietari non possono essere
delusi e le nuove urbanizzazioni non devono essere condizionate perché ciò
mortificherebbe i segnali di ripresa economica.
Mentre il quadro della pianificazione nel nostro paese evidenzia molti
limiti, primo tra i quali l’assenza di una legge nazionale sui principi
fondamentali del governo del territorio, dopo quasi due decenni dalla
riforma costituzionale (Titolo V della Costituzione) che l’aveva prevista, e di
una legge nazionale sul controllo del consumo di suolo – la legge approvata
nel 2016 dalla Camera non ha poi concluso il suo iter – in altri paesi europei,
che si distinguono per una forte tradizione di governo, la consapevolezza
del valore della risorsa suolo ha permeato provvedimenti nazionali che
attengono sia alla riforma urbanistica, sia al controllo dell’urbanizzazione.
In particolare in Francia e Germania, già a partire dagli anni ’90, si è
manifestata un’importante svolta nel governo del territorio. Valorizzazione
dell’esistente e contenimento del consumo di suolo hanno riattribuito
centralità alla pianificazione urbanistica e sono stati progressivamente
inglobati in una politica pubblica del territorio, in cui la rigenerazione, la
riqualificazione e il riuso del patrimonio edilizio esistente si sono posti come
elementi costitutivi della pianificazione.
Diversamente in Italia, la mancata riforma urbanistica e l’assenza di
una legge sul contenimento del consumo di suolo, indispensabili in un
contesto di “federalismo urbanistico” che si è andato consolidando, ha dato
luogo alla proliferazione di un mosaico di leggi regionali, alcune delle quali
hanno adottato la scomposizione del piano regolatore generale in due
strumenti, strutturale e operativo, mentre altre hanno mantenuto il piano
tradizionale.
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Solo alcune regioni – Veneto, Lombardia, Toscana, Friuli Venezia
Giulia, Emilia-Romagna – hanno adottato specifici provvedimenti per ridurre
il consumo di suolo.
Inoltre, l’introduzione, con la riforma costituzionale del 2001, di
materie concorrenti – tra le quali il governo del territorio – ha originato un
forte contenzioso giurisprudenziale, che ha rallentato e comportato in molti
casi la modifica di provvedimenti regionali.
Per quanto concerne la regione Veneto, la legge regionale n. 11/2004,
“Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”, oltre ad aver
previsto che la pianificazione urbanistica comunale si esplica in disposizioni
strutturali, contenute nel piano di assetto del territorio (PAT) e in
disposizioni operative, contenute nel piano degli interventi (PI), ha
espressamente stabilito nei contenuti e nelle finalità del provvedimento (art.
2) che l’utilizzo di nuove risorse territoriali può essere fatto solo quando non
esistano alternative alla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto
insediativo esistente.
A questa dichiarazione di intenti non ha fatto però seguito
l’inserimento nel quadro conoscitivo di informazioni concernenti il
patrimonio dismesso da riconvertire, che è diventato indistinguibile
all’interno dell’ambito “consolidato”.
Inoltre, a partire dagli Atti di indirizzo regionali concernenti il calcolo
della quantità di superficie naturale e seminaturale (SAU) che può essere
interessata da consumo di suolo, con i quali si è fin da subito reso possibile
l’incremento del 10 % della quantità massima di superficie agricola
trasformabile definita da appositi parametri, è risultato evidente come, in
assenza di norme generali di riferimento, l’interpretazione del consumo di
suolo sia fortemente discrezionale, così come quella delle aree di
urbanizzazione consolidata.
In particolare lo stretto legame istituito tra consumo di suolo e
previsione del previgente piano regolatore ha comportato l’inserimento nel
“suolo consumato” anche di suoli che nello stato di fatto tali non sono ma
lo diventano in quanto interessati da previsioni urbanistiche non realizzate.
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Risulta così evidente come nel legiferare sul consumo di suolo la regione
Veneto, e così altre regioni, ha prestato grande attenzione alle pressioni dei
vari gruppi di interesse e ha ulteriormente indebolito l’azione pianificatoria
estendendo le possibilità deregolatorie – che grandi implicazioni hanno sul
consumo di suolo – a partire dall’applicazione del Piano Casa, ormai giunto
alla sua terza edizione.
Un lavoro congiunto di monitoraggio, che restituisce periodicamente
le trasformazioni del territorio e i loro esiti sulla perdita di suolo naturale, è
oggi svolto dall’ISPRA – che utilizza le cartografie di uso e copertura del
suolo afferenti al programma Copernicus, la banca dati del Corine Land
Cover (CLC), il dato di Urban Atlas integrati con un dettaglio a scala
nazionale, regionale e comunale, del Sistema Nazionale per la Protezione
dell’Ambiente (SNPA) – insieme alle Agenzie per la protezione dell’ambiente
delle Regioni e delle Province Autonome (ARPA). Questo ruolo di
“sentinella”, richiamato dalla stessa legge 132/2016 istitutiva del SNPA, è
fondamentale soprattutto nella fase di attesa – ormai lunga – di una
normativa nazionale compiuta.
Le restituzioni analitiche che si basano su fotointerpretazione,
applicata su base satellitare o foto aeree, risultano valide e adeguate per
rappresentare lo stato del consumo di suolo in un determinato momento
storico. Tuttavia questa informazione non può essere in grado di
considerare e quindi distinguere gli usi delle superfici analizzate rispetto alla
programmazione urbanistica, tantomeno può considerare gli effetti di un
sistema normativo derogatorio che incide sull’edificabilità dei suoli se non
dopo che la trasformazione è già avvenuta, con l’effettiva compromissione
delle aree interessate dall’intervento.
Più che svolgere una funzione di “sentinella”, le istituzioni che
effettuano il monitoraggio del consumo di suolo sono costrette a
denunciarne ogni anno il continuo aumento, registrando l’esito degli effetti
perversi delle pratiche di trasformazione del territorio incentivate dall’ampio
sistema derogatorio.
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Entro questo quadro, nel quale le strategie conformative del territorio
attraverso gli strumenti di regolazione urbanistica non appaiono svincolate
da quelle conformative della proprietà, emerge la necessità di riconoscere
l’effettivo consumo di suolo e assume particolare importanza il suo
monitoraggio. Ciò al fine di realizzare un quadro conoscitivo affidabile e
facilmente aggiornabile dei processi di trasformazione del territorio.
Il rilevamento del fenomeno e l’analisi dei dati costituiscono, oltre che
un riferimento fondamentale per monitorare gli effetti delle politiche e degli
strumenti di pianificazione che dovrebbero essere finalizzati alla tutela e al
governo del territorio, anche un riferimento a scala comunale per verificare
la coerenza tra le previsioni di nuova edificazione contenute negli strumenti
urbanistici e il contenimento del consumo di suolo.
Parimenti importante è la creazione di un "Osservatorio del consumo
di suolo", cui andrebbe affiancato un "Osservatorio della qualità̀ dei suoli",
focalizzato sulle loro proprietà̀, funzioni e servizi ecosistemici, in forma
coerente e armonizzata a livello nazionale e regionale. Così come la
definizione del ruolo degli strumenti di piano dovrebbe essere finalmente
precisata a livello nazionale, chiarendo definitivamente il ruolo delle diverse
forme della pianificazione.
A partire da queste premesse, il lavoro di tesi affronta la questione
del monitoraggio del consumo di suolo attraverso la costruzione di un
Sistema Informativo Geografico applicato ad uno specifico contesto
territoriale, quello del comune di Maserà di Padova. La scelta del comune,
oltre che dalla conoscenza specifica del luogo, discende dai particolari
processi di trasformazione territoriale che l’hanno interessato e che sono
caratteristici degli ambiti periurbani.
Monitorare il consumo di suolo a livello locale, con un approccio
diretto e dinamico della situazione in tempo reale, può permette di
riconoscere le compromissioni di suolo naturale determinate da ogni singolo
intervento edilizio e urbanistico.
Da questa esigenza è maturata l’idea di utilizzare le banche dati
comunali, in particolare quella delle pratiche edilizie, unitamente alla banca
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dati catastale. Grazie all’elaborazione dei dati catastali, opportunamente
georeferenziati con l’ausilio del programma distribuito dalla Regione Veneto
(ConVe) - che utilizza per l’elaborazione coordinate di punti di riferimento
dell’Istituto Geografico Militare (IGM) - è stato possibile sovrapporre gli
strati informativi catastali con la cartografia su cui si basa il Piano
Regolatore Comunale (Carta Tecnica Regionale – CTR), e
conseguentemente, con i dati del Quadro conoscitivo. Considerato che una
particella catastale classificata come “ente urbano” è di fatto associabile a
un utilizzo sicuramente diverso da quello agricolo, questa informazione è
stata correlata con il database alfanumerico dell’Agenzia delle Entrate e ha
reso possibile una prima quantificazione di tali superfici.
La cartografia catastale georeferenziata ha permesso inoltre un’altra
importante verifica: quella relativa alle pratiche edilizie relative al Piano
Casa depositate a partire dal 2009.
Queste sono state opportunamente intersecate con gli ambiti di
edificazione consolidata, sia urbani sia diffusi, tenendo in considerazione
unicamente le pratiche incidenti in zona agricola. Dalla quantificazione sono
stati esclusi gli interventi ricadenti all’interno delle aree urbane e degli
ambiti consolidati, che spesso sono costituiti da recuperi di sottotetti,
chiusure di porticati, ampliamenti all’interno di aree cortilizie o pertinenziali,
che già risultano parti del territorio urbanizzato.
Il metodo proposto potrebbe consentire di creare un ulteriore strato
o livello informativo del quadro conoscitivo del PAT e del PI che,
agevolmente aggiornato dall’Ente locale, potrebbe effettivamente
contribuire a mantenere l’effettivo controllo sul consumo di suolo.