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INTRODUZIONE
Il presente lavoro analizza l’importanza che la poesia esercita sugli antropologi
americani. Si è partiti da una domanda, la stessa domanda che si pose, nel 2002, Kent
Maynard.
1
La poesia, come l'antropologia, guarda all'esperienza quotidiana: fino a
che punto questo sguardo comune, basato sull'esperienza, avvicina poesia e
antropologia?
Per cercare una risposta si sono analizzate le biografie e i percorsi professionali
di una serie di autori alla cui definizione di antropologo si affianca una grande
produzione poetica. Gli autori citati sono in gran parte connessi alla storia
dell’antropologia culturale (come Franz Boas o Ruth Benedict), ma non solo. Loren
Eiseley, ad esempio, di cui si parla nel capitolo II, §§ 2-2.5, apparteneva
all’antropologia fisica, mentre Edward Sapir, di cui si parla nel capitolo I, §§ 2-2.5,
lavorava soprattutto nel campo dell’antropologia linguistica.
2
Ci si è focalizzati sul
continente Nord-Americano, sia per la quantità di fonti disponibili, sia per
sottolineare quanto la poesia, a parere di chi scrive, rivesta un ruolo particolare nella
cultura americana di oggi.
Sempre nello stesso saggio, Maynard richiama il numero speciale
“Poets/Anthropologists, Anthropologists/Poets” della rivista Dialectical
Anthropology, pubblicato nel 1986 (del quale, nel presente lavoro, si fa ampio uso e
riferimento).
3
Maynard in particolare pone l’accento su due citazioni presenti nella
rivista. La prima è una “sorprendente” dichiarazione di Franz Boas”: “I’d rather have
written a good poem than all the books I’d ever written-to say nothing of a movement
in a symphony”. La seconda è un’osservazione di Edward Sapir a Ruth Benedict: “It
1
Maynard K., An ‘Imagination of Order’: The Suspicion of Structure in Anthropology and Poetry, in “The Antioch Review”,
2002, Vol. 60, No. 2, pp. 220-243
2
Facendo riferimento all’approccio delle “quattro aree” così definite in Barnard A., Storia del pensiero antropologico,
Bologna, Società editrice il Mulino, 2002, pp. 10-11
3
Vari autori, Poets/Anthropologists, Anthropologists/Poets in “Dialectical Anthropology - Special issue”, 1986, Volume 11. In
bibliografia sono elencati singolarmente i saggi citati.
6
is no secret between us that I look upon your poems as infinitely more important than
anything, no matter how brilliant, you are fated to contribute to anthropology”.
Successivamente, Maynard sottolinea la lunga lista di antropologi dediti alla
poesia:
[…] there is a long history of anthropologists writing
poetry. A stunningly partial list includes Ruth Behar, Ruth
Benedict, Stanley Diamond, Paul Friedrich, Dell Hymes,
Michael Jackson, Michel Leiris, Edward Sapir, Nathaniel
Tarn, Dennis Tedlock and myself, with close or more distant
kin ties to Loren Eiseley, Jerome Rothenberg, Armand
Schwemer, Gary Snyder, and many others.
4
Gli autori analizzati in questo lavoro sono stati scelti tra quelli citati da Maynard.
Si è cercato di creare un parallelo tra la storia della poesia americana e gli
antropologi trattati. Perciò il lavoro è stato diviso in tre capitoli, che ripartiscono la
dissertazione in tre periodi temporali: I. dal secondo Ottocento ai primi due decenni
del secolo scorso; II. gli anni Trenta e Quaranta; III. gli anni Cinquanta e oltre, con
un focus sulla riscoperta dell’etnopoetica degli anni Sessanta/Settanta.
Il capitolo I si apre tracciando alcuni dati salienti relativi alla nascita della poesia
americana moderna, per approfondire in seguito la figura di Harriet Moore, della sua
rivista Poetry e di alcuni poeti a essa collegati, primo fra tutti Ezra Pound. La
seconda parte del capitolo (§§ 2-2.5) è dedicata al famoso antropologo e linguista
Edward Sapir, il quale diede all’argomento poetico grande importanza. La terza parte
(§§ 3-3.5) è invece dedicata a Ruth Benedict, contemporanea e grande amica di
Sapir, con il quale intrattenne una copiosa corrispondenza; l’argomento principale
delle loro lettere era proprio la poesia.
Nella prima parte del capitolo II si riprende il discorso sulla storia della poesia
americana e se ne analizzano gli aspetti peculiari durante gli anni tra le due guerre
mondiali. Si analizzano quindi tre figure chiave: Wallace Stevens, William Carlos
Williams e Marianne Monroe. La seconda parte del capitolo (§§ 2-2.5) è dedicata
all’antropologo biologico Loren Eiseley. L’analisi della sua vita e del suo lavoro
4
Maynard, op.cit.
7
rimanda a Henry Thoreau, il poeta filosofo che ancora oggi esercita grande fascino
nell’immaginario americano. La terza parte del capitolo (§§ 3-3.5) analizza la figura
di Stanley Diamond, fondatore di Dialectical Antropology, il quale giunse alla
conclusione di aver scelto l’antropologia poiché la riteneva la cosa più vicina alla
poesia.
Il capitolo III si apre con la storia dell’interesse per la letteratura dei nativi
americani da parte degli antropologi, che portò alla definizione di etnopoetica. Il
discorso si sposta quindi sul “verso proiettivo” di Charles Olson e sull’evoluzione del
panorama poetico americano, alla fine degli anni Cinquanta, nella controcultura
tipica dei poeti Beat. Si termina infine il discorso sull’etnopoetica illustrando i due
differenti approcci adottati dagli antropologi Dennis Tedlock e Dell Hymes. La
seconda e ultima parte del capitolo (§§ 2-2.5) ritrae la figura di Gary Snyder. Tra i
fondatori della controcultura Beat, Snyder si formò come antropologo per poi
dedicare la sua vita alla poesia e allo studio delle culture orientali. Analizzando
Snyder si sono trovate caratteristiche comuni anche agli altri antropologi
precedentemente trattati. Queste sono: l’importanza della “genuinità” della poesia,
argomento che stava molto a cuore a Sapir e che si ritrova anche in Benedict, una
sensibilità particolare per l’ambiente naturale e animale, tema trattato con enfasi da
Eiseley e, infine, il profondo rispetto per le culture così dette “primitive”, in
un’accezione analoga a quella di Diamond.
A tal proposito, si puntualizza che i termini “primitivo/primitivi”, “tribù”, “tribù
indiane”, “indiani”, “indiani d’America”, “selvaggio/selvaggi”, quando utilizzati nel
testo, sono da riferirsi agli autori citati. Si è cercato, dove possibile, di limitare
l’utilizzo di termini il cui significato possa risultare equivocabile.
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Capitolo I
La poesia e l’antropologia americana di inizio Novecento
1. Le origini della poesia americana
Il 21 gennaio 2021 durante la cerimonia di insediamento del 46° presidente
americano Joe Biden, Amanda Gorman (Log Angeles, 7 marzo 1998) poetessa e
attivista afroamericana, ha recitato la sua poesia The Hill We Climb, riscuotendo un
enorme successo, amplificato dall’eco multimediale. La tradizione di leggere poesie
durante la cerimonia di insediamento di un presidente americano è relativamente
recente, e non riguarda tutti i presidenti degli Stati Uniti. Sono quattro i presidenti
che hanno accolto poeti alle cerimonie del loro insediamento: John F. Kennedy nel
1961, Bill Clinton nel 1993 e 1997, Barack Obama nel 2009 e 2013 e Joe Biden nel
2021. Di tutti è noto il loro apprezzamento per la letteratura.
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A ottobre 2020 è stato assegnato il Premio Nobel per la Letteratura alla poetessa
americana di origini ungheresi, Louise Elisabeth Glück (New York, 22 aprile 1943).
La motivazione dell’ambìto premio recita: “per la sua inconfondibile voce poetica
che con l’austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”. Nel 2016 aveva
fatto discutere
6
l’assegnazione dello stesso premio Nobel al cantautore americano
Bob Dylan (Duluth, 24 maggio 1941), meritevole di “aver creato nuove espressioni
poetiche all’interno della grande tradizione della canzone americana”. Da questi
semplici esempi dell’America attuale, si può notare come l’importanza della poesia
negli Stati Uniti, ancor oggi, non sia affatto marginale. Come si vedrà in più
5
https://poets.org/inaugural-poems-history, consultato il 26/01/2021
6
Riassume bene la critica l’articolo di Alessandro Carrera, pubblicato su https://www.doppiozero.com/materiali/il-nobel-bob-
dylan, consultato il 26/01/2021
10
occasioni durante la presente dissertazione, vi sono diversi film, più o meno recenti,
che fanno eco a poeti della tradizione americana. Ma che origini ha la poesia in
America? E quali rapporti ha con l’antropologia?
Queste domande ci portano ad analizzare, prima di tutto, in linea generale, la
storia della poesia americana dalla seconda metà dell’Ottocento, per poi affrontare
alcuni autori che hanno affiancato, al loro importante lavoro come antropologi, una
altrettanto meritevole produzione poetica. Per parlare della storia della poesia
americana ci si avvarrà in particolar modo di due libri: La poesia in America: 1900-
1950, di Louise Bogan (1897-1970) e Storia della poesia occidentale. Lirica e
lirismo dai provenzali ai postmoderni di Nicola Gardini (Petacciato, 1965).
1.1 Whitman e Dickinson
Il padre della poesia americana è considerato Walter Whitman (1819-1892),
inventore del verso libero inglese. La sua poesia rivoluzionò i canoni dell’epoca,
riportando in auge la figura del bardo, del cantore “naturale” di un popolo e di una
nazione, che Whitman incarnò abilmente enfatizzando la sua condizione di vigoroso
outsider rispetto alla cultura ufficiale.
7
La storia della poesia americana negli ultimi cinquant’anni dell’Ottocento deve
molto alle corrispondenze con le fonti europee, rapporti che non furono facili, per il
peso di risentimento e di ridicolo che ne pregiudicarono il compimento.
8
Il
rinnovamento arrivò dall’Irlanda (con il poeta romantico William Butler Yeats,
premio Nobel nel 1923) e, soprattutto, dalla Francia, la cui innovativa teoria e prassi
poetica venne assimilata dagli americani in breve tempo. Lo sviluppo
dell’impressionismo francese in pittura si manifestò sia nella musica (con Debussy)
che nella letteratura. In poesia infatti, la stessa intenzione di purezza, interiorità e
delicatezza di sfumatura può riconoscersi nelle opere della scuola simbolista. Il
capostipite del “liberarsi” della poesia fu Mallarmé.
9
7
Gardini N., Storia della poesia occidentale. Lirica e lirismo dai provenzali ai postmoderni, Milano, Mondadori Bruno, 2002,
p. 103
8
Bogan L., La poesia in America: 1900-1950, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1954, p. 18
9
Ivi, p. 17
11
L’uomo americano ottocentesco – a differenza dell’uomo europeo come
rappresentato da Leopardi e Baudelaire – non si piegava sotto il peso della storia, non
si sentiva ancora vecchio e, nella sua ideale giovinezza e naturalezza, ipotizzava
l’immagine vera del mondo, un mondo minacciato dal progresso tecnico. Questo
spinse la poesia americana a esprimere il desiderio di celebrare la vita e la ricerca
della democrazia.
10
Per Walter Whitman l’americano, eroe della modernità, bastava a sé stesso, non
aveva nulla da invidiare né al Medioevo, né all’antichità greco-latina.
11
Whitman
voleva affermare l’importanza dell’America nella storia della civiltà, e per far ciò
ricorse all’anticlassicismo, dove l’antico simboleggia la frammentazione, la follia, la
discontinuità storica. La più conosciuta raccolta di poesie di Whitman, nonché primo
grande libro di versi della moderna poesia americana, è Foglie d’erba. Il libro uscì
nel 1855 e fu ripubblicato per nove edizioni, via via accresciute, fino all’anno della
morte del poeta.
12
Whitman si concepiva come un vate: la sua missione era
partecipare alla vita di una Democrazia tumultuosa, in divenire, in crescita.
13
Molta
parte della carriera del poeta (eccetto un’esperienza da insegnante) fu al servizio
della nuova musa veramente democratica, quella del giornalismo. Tutto in lui era
partecipazione e solidarietà: la sua voce era sì individuale, ma insieme unanime, in
grado di comprendere e accogliere lo spirito di un’intera nazione.
14
In Foglie d’erba
si trovano fiducia nelle parole e nell’azione personale, solidarietà negli individui,
ottimismo; “whitmaniane” sono inoltre la sensualità e il culto della virilità.
15
La pace
democratica e la guerra, il prolifico amore familiare e il cameratismo omosessuale, la
carnalità e lo spirito, fanno tutti parte del canto del poeta, un canto intonato non per
protestare, infrangere o dubitare, ma per tenere unite le entità e le costruzioni sociali,
psicologiche e affettive, per “aggregare le cellule di un organismo dal grandioso e
complesso funzionamento”.
16
10
Gardini, op. cit., p. 140
11
Ivi, p. 134
12
Ivi, p. 142
13
Piccini D., Prefazione, in “O capitano! Mio capitano / Whitman W.”, Milano, BUR, 2007, pp. 5-10
14
Ibidem
15
Gardini, op. cit., p. 144
16
Piccini, op. cit.
12
Alla fine della prova regina a cui fu sottoposta la democrazia americana, la
guerra di secessione tra il Sud schiavista e il Nord industriale e abolizionista, cadde
assassinato il presidente Abraham Lincoln (1809-1865). Whitman scrisse per lui O
Captain! My Chaptain!, poesia inusualmente breve per il poeta, dalla struttura
serrata, formalmente acuminata, che divenne celebre anche al di là della volontà
dell’autore.
17
L’eco di Whitman nella cultura americana riecheggia oggi nelle battute
pronunciate in diversi film hollywoodiani. Il più famoso è Dead Poets Society, di
Peter Weir (Attimo fuggente), del 1986. O capitano, mio capitano! è infatti il filo
conduttore del film.
L’altra voce della poesia americana del secondo Ottocento è Emily Dickinson
(1830-1886). Quando morì aveva solo 56 anni e, oltre ai pochi familiari e amici,
nessuno la conosceva. Emily era stata in apparenza una delle solite zitelle del New
England, del tipo classico, con molte delle sue peculiari stramberie. Lasciò mille e
settecento poesie, scritte come una sorta di diario personale in versi, persino sul retro
di buste di carta da lettere già usata, o sulla nota di un negoziante, senza alcun
progetto editoriale.
18
La sua raccolta postuma, Poems, fu edita nel 1890 a cura dei
suoi amici Thomas Wentworth Higginson e Mabel Todd Lewis: un volumetto che
portava sulla copertina, “stampata in oro, la pipa indiana favorita dalla poetessa”.
19
I versi della Dickinson esprimono il desiderio di ricerca di un ideale di
fratellanza tra tutte le forme viventi. L’individualismo della poetessa prende l’aspetto
di un attaccamento esclusivo al territorio del New England, dove trascorse l’intera
vita, senza disdegnare uno sguardo sui fenomeni della mente.
20
A forgiare il modo
poetico della Dickinson furono soprattutto il linguaggio della traduzione biblica
circolante in quei decenni e le espressioni usate dalla popolazione della Nuova
Inghilterra. Una società rigida e severa si esprimeva anche in famiglia in modo
essenziale, laconico; caratteristica questa che portò a caricare il più possibile il
17
Piccini, op. cit.
18
Buffoni F., Introduzione, in “Poesie / Emily Dickinson”, Firenze, Giunti, 2012, pp. 7-21
19
Bogan, op. cit., pp. 24-25
20
Buffoni, op. cit.
13
linguaggio, facendone un tramite di comunicazione essenziale, usando il minor
numero possibile di parole, ma con il loro colore più intenso, più espressivo.
21
Ne risulta che, tanto è lungo e discorsivo il verso di Whitman, tanto è stringato
ed ellittico quello della Dickinson. L’io “dickinsoniano” è ossessivamente impegnato
nella riflessione e nella elaborazione di alcuni temi fondamentali: la vita, la morte,
l’amore, la poesia, Dio, la casa, la terra.
22
L’importanza e la bellezza della Dickinson
stanno nella capacità di collegamento tra queste diverse dimensioni; ciò che è piccolo
diventa grande, scompare la differenza tra vita e morte, tra uomini e animali.
L’individuo si sente Dio. Simili scambi di ruolo e le continue contaminazioni sono
possibili poiché il presupposto di questa poesia è una sostanziale e a volte delirante
equivalenza di tutte le forme del creato.
23
Una cosa, per la Dickinson, vale solo in
quanto capace di stabilire relazioni con l’altro. In questo relativismo, estetico e
gnoseologico a un tempo, si esprime la profonda democraticità della poetessa,
incessantemente puntata contro i conformismi del puritanesimo e della provincia.
Nella sua poesia la storia non entra se non nella dimensione della vita privata o del
ciclo naturale o dell’assurdo. Le immagini della Dickinson scaturiscono dalla
contraddizione dei suoi elementi primi, dall’ossimoro (“Good morning, midnight”),
dall’animazione dell’animato, dall’illogico esposto secondo le regole della logica
comune. Osserva Gardini come talora non si sappia neppure di che cosa parli una
lirica della Dickinson, ma ciò non ha importanza: la precisione del tono ha valore e
senso in sé.
24
1.2 La stasi della poesia americana
Nell’anno 1900, la breve eccitazione destata a cominciare dal 1890 dalle poesie
e dalle lettere di Emily Dickinson s’era già esaurita.
25
Si aveva l’impressione che la
poesia, in America, si fosse spenta; i versi che si scrivevano erano imitativi,
sentimentaleggianti, preziosi. Non c’erano che rapporti superficiali fra la produzione
poetica e i molti vigorosi elementi della cultura americana. E s’erano indeboliti i
21
Buffoni, op. cit.
22
Gardini, op. cit., p. 146
23
Ibidem
24
Ivi, p. 148
25
Bogan, op. cit., p. 11
14
vincoli tradizionali fra i nuovi scrittori e i forti ingegni poetici che erano da poco
scomparsi.
26
La poesia inglese e quella americana, all’inizio del Novecento, avevano
il comune problema di ritrovare la verità dei sentimenti, dei pensieri e dei fatti, per
combattere l’abbruttimento del materialismo e la grettezza di un modo provinciale di
pensare e sentire. L’Inghilterra era preda della mentalità vittoriana, e l’America di
riflesso.
27
Durante i primi anni del Novecento, lo spirito inventivo degli americani
cominciò ad avere saldo dominio di quelle macchine che avrebbero mutato la vita in
ogni aspetto: l’automobile, la cinepresa, l’aeroplano. Fu il periodo in cui il realismo
si manifestò decisamente nel romanzo e nella pittura. Fu allora che si cominciarono
ad analizzare con spirito critico gli elementi della civiltà americana: da una parte le
lettere e le arti, dall’altra gli abusi nel campo amministrativo e affaristico.
28
Nell’età aurea del Metropolitan Opera House di New York e del rinnovamento
dell’arte del teatro, i primi dieci anni del Novecento furono invero povere dal punto
di vista letterario: il lettore medio americano leggeva sempre le stesse solite cose
mediocri.
29
I direttori delle più autorevoli riviste mensili decidevano quale tipo di
corrente far scorrere nelle loro colonne; dall’abitudine di servirsi della poesia come
riempitivo tipografico venne l’espressione “magazine verse”, poesia da rivista.
30
1.3 La nuova poesia americana
Il 1912 è l’anno in cui, generalmente, si fissa l’inizio della nuova poesia
americana come movimento organico. La poesia rinacque nel continente americano
anche grazie a una donna, e alla sua rivista di Chicago. È proprio nella sua città
natale infatti che Harriet Monroe (1860-1936), poeta e saggista, iniziò la
pubblicazione di Poetry, A Magazine of Verse.
31
Il suo intento era quello di dar voce
alla poesia, a suo dire l’arte più bistrattata dei tempi moderni, come spiega bene nella
26
Bogan, op. cit., p. 11
27
Ivi, p. 15
28
Ivi, p. 35
29
Ivi, p. 37
30
Ibidem
31
Ivi, p. 43