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1 Introduzione
Negli ultimi anni i movimenti per la giustizia climatica stanno
acquisendo sempre una maggiore rilevanza nella scena politica italiana e
mondiale. L'emergenza dei cambiamenti climatici ha spinto un vasto
movimento di giovani in tutto il mondo a mobilitarsi, per chiedere azioni
politiche concrete e maggiore attenzione a questa problematica. Di fronte
l'iniziale mancanza di ascolto, si è verificata una radicalizzazione delle
pratiche di protesta e attivismo. La tesi prende in analisi due movimenti di
recente sviluppo, Fridays For Future e Ultima Generazione, volta ad
esaminarne i percorsi, i metodi comunicativi e le strategie di azione, nonché
i rapporti con la politica e gli altri movimenti del panorama italiano.
L’obiettivo principale è quello di studiare come l’ecologismo italiano si
sia evoluto nel tempo. Questo negli anni ’80 era maggiormente
rappresentato dalla Federazione dei Verdi, che conoscerà un aumento
graduale dei consensi, fino ad arrivare a ricoprire posizioni di governo negli
anni ’90. Si tratta di una crescita in linea con i partiti Verdi europei a cui
seguirà un calo alla fine anni ’90, che li ha portati a una situazione di
marginalità nella scena politica italiana. Un contesto simile è riscontrabile
in altri Paesi del Mediterraneo in cui emersero forze politiche che hanno
saputo incarnare la crescente coscienza ecologista, meglio dei Verdi.
Il declino del partito ecologista italiano è influenzato sia dalla crisi dei
partiti tradizionali che dalla sfiducia generale nella politica alla fine della
Prima Repubblica. Questo periodo ha portato i Verdi a ripensare il loro
ruolo, cercando una posizione "terza" tra le ideologie politiche tradizionali
e tra le due sinistre, radicale e liberale. In questo modo il partito ha perso la
componente di classe che li caratterizzava. Sebbene inizialmente i Verdi
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riconoscevano le contraddizioni tra lo sviluppo illimitato e i limiti planetari,
l'avvento della Seconda Repubblica e la diminuzione dell'influenza delle
ideologie tradizionali, portarono i Verdi a divedersi sulla scelta della
sinistra con cui allearsi, scegliendo quella liberale.
Affianco la Federazione dei Verdi si pone l’ambientalismo delle grandi
associazioni, WWF, Legambiente, GreenPeace e LAV. Dopo gli anni '90,
l'ambientalismo italiano ha subito una frammentazione politica e
organizzativa, con varie fazioni che agiscono indipendentemente e spesso
in competizione tra loro. I Verdi italiani persero il sostegno delle
organizzazioni ambientaliste, il che ha contribuito ulteriormente al loro
declino elettorale. Le grandi organizzazioni ambientaliste trasformarono le
loro strategie, passando da mobilitazioni di massa a un maggiore impegno
nella pressione politica tramite azioni di advocacy e campagne di
sensibilizzazione. Questo cambio di approccio ha contribuito
l'istituzionalizzazione delle associazioni ambientaliste, portandole a cercare
forme di collaborazione con le istituzioni che precedentemente criticavano,
creando così una sfida nel mantenere la propria indipendenza e la capacità
di affrontare lo status quo. Durante questo processo le proteste
ambientaliste non si attenuavano, ma trovavano rappresentanza nei
comitati locali. Questi si distanziarono dalle associazioni ambientaliste e dai
partiti per riuscire a raggiungere un livello di mobilitazione maggiore, il
quale si verificava solo a livello locale e raramente a livello nazionale.
A seguito delle proteste antiglobalizzazione, terminate con il movimento
Occupy Wall Street, riprese la dimensione partecipativa dell’ecologismo su
scala nazionale e internazionale. Lo scioglimento di questi movimenti non
rappresentò la costituzione di un movimento con richieste generali, ma
diversi movimenti con richieste su tematiche specifiche, come quello per la
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giustizia climatica incarnato da Fridays For Future. La depoliticizzazione
della società ha portato a una mobilitazione più ampia e interclassista,
abbandonando l'identificazione con la sinistra radicale. Il movimento
antiglobalizzazione ha influenzato l'ambientalismo, promuovendo
un'azione "dal basso" e alternative alle istituzioni politiche.
Nel terzo capitolo dello studio, si approfondisce l'analisi di due
importanti movimenti ecologisti italiani: Fridays For Future e Ultima
Generazione. Per ottenere una comprensione dettagliata di questi
movimenti, si è scelto di adottare un approccio qualitativo attraverso
interviste condotte con rappresentanti chiave di entrambi i movimenti.
L'obiettivo principale delle interviste era quello di esplorare e verificare
le ipotesi avanzate nei capitoli precedenti riguardo al rapporto dei
movimenti con i partiti politici e le associazioni ambientaliste. Si è cercato
di comprendere se ci fosse un deterioramento delle relazioni e come i
movimenti si posizionassero nei confronti delle altre realtà politiche e
sociali. Le interviste hanno permesso di approfondire le dinamiche di
interazione tra i due movimenti stessi e con altre organizzazioni informali
presenti sul territorio. Soprattutto, hanno offerto la possibilità di esaminare
il rapporto dei movimenti con la sfera mediatica, consentendo di ottenere
una prospettiva più approfondita delle motivazioni, delle strategie e delle
sfide affrontate dai movimenti ecologisti in Italia.
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2 L'ambientalismo nel sistema politico italiano
La crescita degli anni ’80 del partito ambientalista italiano, la Federazione
dei Verdi, non è differente da quella avvenuta negli alti partiti ambientalisti
europei. A differenza dei partiti verdi europei che conosceranno una fase
espansiva, portandoli a ricoprire ruoli di governo oltre il ministero
dell’ambiente i Verdi italiani crosceranno una perdita di consensi negli
anni ’90. La marginalità politica dei Verdi italiani non corrisponderà a una
mancanza di sensibilità ecologista, ma questa viene incarnata da altre forze
politiche come Rifondazione Comunista o il Movimento 5 Stelle e dalle
grandi associazioni che non diminuiranno il loro consenso.
Ci sono più elementi da considerare per capire quali sono state le ragioni
del calo. Il primo è la mancanza di appoggio dalle forze sociali. Il periodo
di massima espansione della Federazione dei Verdi si avrà proprio quando
le associazioni ambientaliste italiane daranno il loro sostegno al partito. A
partire dagli anni ’90 le associazioni avviano un processo di
istituzionalizzazione che le allontana da un canale politico esclusivo, fin
quel momento identificato con i Verdi, e le porta a dialogare con tutte le
forze politiche, da destra a sinistra per riuscire a raggiungere dei risultai. In
questo senso analizzare gli sviluppi dell’associazionismo ambientalista
italiano da “pratica borghese” a “pratica popolare” e la sua successiva
istituzionalizzazione ci aiuterà a capire quali siano i processi che lo legano
a doppio filo con i Verdi.
A pesare sul declino del partito ecologista italiano c’è anche una
questione ideologia. I Verdi subiranno i contraccolpi del crollo dei partiti
tradizionali e della conseguente sfiducia nella politica cha avviene alla fine
della Prima Repubblica. Questo periodo corrisponde al declino delle
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ideologie tradizionali e in particolare per i Verdi significò ripensare al loro
ruolo nella vita pubblica. Cosa che, come analizzeremo in modo più
approfondito nel secondo capitolo, significa cercare una “terzietà” tra le
ideologie politiche tradizionali e tra le due sinistre, quella radicale e quella
liberale, perdendo la componente di classe che caratterizzava i Verdi italiani
alle origini.
L’ecologismo italiano nasce dalle lotte del movimento operaio e quello
studentesco tra gli anni ’60 e ’70 e intuisce le contraddizioni tra lo sviluppo
illimitato e i limiti planetari. A differenza dei movimenti europei che
pensano la questione ambientale come qualcosa di trasversale tra le classi
sociali, quello italiano rappresenta un’eccezionalità perché aveva una
lettura di classe; almeno fino alla prima metà degli anni ’90. I Verdi avevano
chiaro che l’idea di sviluppo infinito capitalista non poteva essere
compatibile con i limiti planetari. Nonostante questo, scelsero di non
allearsi con il PCI poiché questi anteponevano il conflitto capitale-lavoro a
quello capitale-natura. Quando all’inizio della Seconda Repubblica le
ideologie tradizionali perdono il loro influenza nella vita sociale, i Verdi si
spaccano tra chi era più propenso ad allearsi con le forze della sinistra
radicale e chi con quelle della sinistra liberale, scegliendo quest’ultime.
2.1 La genesi della “questione ambientale”
La storia dei partiti ecologisti italiani è legata a doppio filo con quella dei
movimenti per la difesa dell’ambiente. Tra questi ultimi, i primi a nascere
furono il CAI (Club Alpino Italiano) nel 1863, la Società Reale per la
Protezione degli Animali nel 1871, poi rinominata ENPA (Ente Nazionale
Protezione Animali) nel 1938, la Società botanica italiana nel 1888 e il
Touring Club Italiano nel 1894.
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Si tratta di associazioni di carattere “borghese”, ovvero realtà per cui la
protezione della natura o degli animali ha lo scopo di salvaguardare gli
interessi specifici per ogni associazione, di carattere scientifico, turistico,
sportivo o naturalistico. Negli anni ’60 del 1900 nascono numerose altre
associazioni, tra queste le più famose sono la LIPU (Lega Italia Protezione
Uccelli, nata sotto il nome di Lega Nazionale Contro la Distruzione degli
Uccelli) nel 1965 e il WWF Italia nel 1966. Sebbene alcune di queste siano
state in grado di evolversi, in questa fase rimangono elitarie e
monotematiche (Grimaldi G, 2020).
Negli anni ’70 si inizia a percepire l’esistenza di una “questione
ambientale” in grado di ampliare la propria sfera di intervento nell’ambito
del sistema delle istituzioni e delle politiche pubbliche. Dall’altro lato
dell’Atlantico, grazie al successo di “Primavera Silenziosa” (Silent Spring)
di Rachel Carson, uno studio scientifico sui danni irreversibili per la salute
umana dell’uso del DDT e dei fitofarmaci pubblicato nel 1962, gli
statunitensi iniziavano prendere consapevolezza dei danni che
l’industrializzazione può portare all’ambiente e agli esseri umani. Nel 1970,
tra le iniziative di natura sociale e culturale dedicate all’ambiente, si tenne
il primo Earth Day, una celebrazione internazionale a scadenza annuale,
ogni 22 di aprile, dedicata al Pianta Terra, proposto l’anno precedente
durante in una conferenza dell’UNESCO. Nel periodo di scontro tra i due
blocchi delle Guerra Fredda, sembrava importante unire in una singola
giornata il concetto di Pace e protezione della terra. Da questa celebrazione
è nato anche il movimento Earth Day, oggi presente in 193 Paesi, che si pone
una missione prettamente pedagogizzante sull’importanza di difendere
l’ambiente.
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L’evento che ebbe maggiore impatto fu la conferenza delle Nazioni Unite
sull’Ambiente Umano di Stoccolma nel 1972. La Dichiarazione di Stoccolma
fu il primo accordo internazionale per stabilire una serie di principi e linee
per la cooperazione tra i Paesi in materia di tutela ambientale e sviluppo
sostenibile. Dalla Conferenza nacque l’UNEP (Programma delle Nazioni
Unite per l’Ambiente, dall’inglese United Nations Environment
Programme) con sede a Nairobi e un Piano di Azione sugli obiettivi dei
Paesi con lo scopo di produrre dei rapporti sullo sto dell’arte dell’ambiente.
Le proposte formulate non incoraggiavano i vari Paesi a prendere delle
azioni concrete e non si affrontarono le cause dei danni ambientali, ma ci si
concentrò sui problemi. La Conferenza produsse anche degli effetti positivi.
Per la prima volta sia avviò una collaborazione internazionale, più o meno
intensa, tra i Paesi delle Nazioni Unite. Si riconobbero il problema
ambientale come politico e non pratico, in quanto rimaneva centrale la
fiducia nella tecnologia, compreso il nucleare, la cui contestazione porterà
al radicamento delle associazioni ambientaliste, per risolvere le sfide
(Chasek P, 2020).
Due grandi conflitti facevano da sfondo alla conferenza: quello dell’Ovest
vs Est e Nord vs Sud. Così come l’Earth Day, anche la conferenza delle
Nazioni Unite si poneva l’obiettivo di distendere i rapporti tra USA e URSS.
Nello stesso anno prendeva piede il concetto di “limiti”. Il Club di Roma,
un gruppo di ricerca nato appunto a Roma nel 1968, dall’imprenditore
Aurelio Pecci e lo scienziato scozzese Alexander King, pubblicò il rapporto
sui Limiti dello Sviluppo (Limits to Grow). Il Club si fondava sulla
convinzione che Est e Ovest dovessero collaborare per risolvere problemi
urgenti ed evitare catastrofi irreparabile, come la crescita demografica
esponenziale, il degrado degli ecosistemi, il rischio di esaurimento delle
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risorse e l’aumento dei disastri ambientali. Lo studio proponeva di
riconoscere l’esistenza di abbandonare le strategie di sviluppo economico e
sociale basate sulla crescita infinita e stabilire cinque limiti oggettivi: risorse
naturali non rinnovabili, produzione industriale, inquinamento, aumento
della popolazione e produzione di cibo.
La conferenza fu luogo di scontro tra i Paesi “in via di sviluppo” e quelli
“industrializzati”. Per i Paesi “in via di sviluppo” il problema ambientale è
un problema dei Paesi ricchi e loro avrebbero dovuto supportarne i costi.
India, Cina, Brasile sostenevano che le pretese della conferenza erano una
nuova frontiera coloniale per limitare il loro sviluppo e aumentare i divario
con il “Nord del Mondo”. Il discorso che riscosse maggiore successo,
soprattutto all’interno degli ambienti della Sinistra italiana, fu quella della
prima ministra indiana Indira Gandhi:
Figura 1 Il modello mostra i cinque limiti dello sviluppo: risorse non rinnovabili; produzione industriale;
inquinamento; popolazione; produzione di cibo – immagine tratta da Limits to Grow
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“Si tratta di una eccessiva semplificazione quella di attribuire tutti i problemi del
mondo all’incremento della popolazione. Paesi con una piccola frazione di popolazione
mondiale consumano la maggior parte della produzione mondiale di minerali, fonti
fossili e via discorrendo. Quindi, quando si tratta di uso di risorse naturali e
inquinamento ambientale, l’aumento di un abitante in un Paese ricco, con questi stili
di vita, corrisponde allo stesso aumento di molti asiatici, africani o latino-americani
con il loro standard di vita. Il conflitto intrinseco non è tra conservazione e sviluppo,
ma tra ambiente e sfruttamento sconsiderato dell'uomo e della terra in nome
dell'efficienza”.
La linea ufficiale della conferenza era quella di proteggere l’ambiente per
garantire lo sviluppo dell’uomo, ma ci si concentrò sul dibattito tra
l’incompatibilità della crescita demografica e della protezione ambientale.
La questione dell’inquinamento non era tecnica, ma politica. I Paesi del Sud
del Mondo accusavano quelli del Nord di comportamenti poco rispettosi
della democrazia economica tra le nazioni e di voler limitare il loro
sviluppo; quindi, anche il loro benessere.
Figura 2 Indira Gandhi durante il suo discorso alla Conferenza di Stoccolma sull'Ambiente Umano –
immagine tratta da the Hindu.com
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La conferenza delle Nazioni Unite puntò i riflettori sulla “questione
ambientale” creando dibattito sia sull’opinione pubblica sia tra i partiti. Il
PCI tramite gli inviati del suo quotidiano “l’Unità” seguì con particolare
attenzione ciò che avveniva alla conferenza. Il partito si schierò dalla parte
di Indira Gandhi dando alla conferenza una lettura prettamente
antiamericana, ma non tutta la sinistra era allineata. I dirigenti non
riconobbero la capacità del capitale di agire sia contro l’uomo, sia contro la
natura, mentre le tesi ambientaliste ebbero maggior presa su una parte
minoritaria del PCI e sulla sinistra extraparlamentare come Lotta Continua
o nei circoli dell’ARCI da cui nacquero rispettivamente i Verdi e
Legambiente. Neanche il governo guidato dalla DC diede molto peso alle
raccomandazioni della conferenza, non impegnandosi in atti concreti. La
DC dichiarava di dare particolare attenzione politica alla questione
ambientale, ma di fatto la subordinò sempre alla crescita economica,
nonostante fosse al governo e in quegli anni iniziassero a emergere studi
sullo stato della natura in Italia che mostravano una condizione disastrosa
(Lorenzi S, 2016).
Il concetto di “limiti” ebbe un primo riscontro nella vita pratica delle
persone l’anno successivo. La crisi petrolifera del 1973 costrinse gli Stati, in
particolare quelli Europei a fermarsi per la mancanza di carburante.
L’ecologia rimaneva in una dimensione intellettuale e non pratica, però le
teorie sui “limiti”, la necessità di rallentare i ritmi dello sviluppo, la
disuguaglianza Nord/Sud, insieme al concetto di pace universale
diventarono alla base di tutti i movimenti ecologisti e al centro del pensiero
di “decrescita”.
Il termine “decrescita” apparirà per la prima volta nel 1972 da un’idea
del filosofo André Gorz, ma si diffuse a partire dal 1979 presente nel titolo
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di una traduzione francese dell’opera “Demain, la Décroissance!” di
Georgescu-Roegen. Dopo la crisi petrolifera e l’esplosione del neoliberismo
il concetto iniziò a prendere sempre più piede. Nacquero think tank, circoli
e studi specializzati sui limiti dello sviluppo sostenibile che chiedevano un
cambio di paradigma culturale ed economico (Degrow, n.d.). Negli anni
2000 il concetto passa dalla filosofia alla prassi trasformandosi in un
movimento globale per la diffusione del concetto di “decrescita” e
sull’educazione a stili di vita e pratiche sostenibili, come il risparmio
energetico, il consumo critico o gruppi di acquisto solidale. In Italia prende
il nome di Movimento per la Decrescita Felice, nato nel 2007 conta
attualmente 20 circoli territoriali (Decrescita Felice, n.d.).
2.2 La crisi petrolifera del 1973 come crisi globale
È opportuno dedicare due parole sulla crisi del 1973 in quanto
rappresenta un punto di passaggio tra il modello liberale a quello
neoliberale. In termini economici l’aumento dei prezzi del greggio fu solo
l’apice del processo di indebolimento del sistema dei mercati petroliferi in
mano alle grandi compagnie occidentali. Questo processo ebbe inizio con
l’ingresso nel mercato dei Paesi dell’OPEC (Organization of the Petroleum
Exporting Countries, in italiano Organizzazione dei Paesi esportatori di
petrolio), nata nel 1960, e l’aumento della produzione di greggio anche
nell’URSS. Prima del 1973 il surplus di greggio, la scarsità di domanda, gli
allarmismi su una possibile fine delle riserve e una linea accomodante del
presidente americano Nixon nei confronti dei Paesi dell’OPEC, generò
confusione nei mercati e mise a rischio i profitti delle major. Ad innescare la
crisi, per motivi geopolitici, fu lo scoppio della Guerra del Kippur tra Egitto
e Siria contro Israele nel 1973. I Paesi dell’OPEC bloccarono fino al 1975 le
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esportazioni verso i Paesi Occidentali per aiutare quelli arabi in guerra. In
risposta all’embargo le major occidentali decisero di adottare posizioni
protezionistiche per il controllo dei mercati alzando di conseguenza il
prezzo del greggio per aumentare i profitti, che segnò infatti un incremento
del 150% dal 1972 al 1974 (Petrini F, 2012).
L’Europa fu la più colpita dalla mancanza di petrolio dai Paesi OPEC e
dal caroprezzi. Si iniziò a parlare di risparmio energetico, a diversificare le
fonti energetiche, in particolare il gas e nucleare, e cercare nuovi fornitori
come l’URSS. La crisi nel 1973 non riguardò solo l’energia, ma fu una
concausa di una crisi sistemica e globale più amplia che stravolse il sistema
economico, le relazioni politiche e l’opinione pubblica. (Flores, 2014).
La crisi venne subita soprattutto dal ceto medio che fino ad allora fu
avvantaggiato dal boom economico. “Appare avere chiaro che in Italia l’energia
abbondante e a basso costo è tramontata”, dichiarava il premier Mariano Rumor,
annunciando il decreto sull’austerity al telegiornale il 23 novembre 1973.
Presero il via le “domeniche a piedi” per la mancanza di petrolio, si limitò
l’uso dei consumi elettrici negli edifici pubblici, arrivando addirittura a
sospendere i programmi televisivi dalle 23 (Silvuni A, 2013). Tra il 1973 e il
Figura 3 Prima pagina del Corriere della Sera durante la crisi
energetica del 1973
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1975 in Italia, come in altre parti del Mondo, avviene un fenomeno nuovo,
la “stagflazione”: ovvero l’aumento dell’inflazione, che raggiungerà il
record del 24,96% nel quarto trimestre del 1974, insieme alla decrescita del
PIL (Openpolis, 2023).
Parliamo di un fenomeno nuovo in quanto la “stagflazione” rappresentò
il fallimento del paradigma economico keynesiano. La teoria keynesiana
supporta la necessità di investimento pubblico a sostegno della domanda,
in particolar modo durante i periodi di crisi per evitare un eccessivo
aumento della disoccupazione. Incentivando la domanda si avrà un
aumento dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione, quindi una
nuova crescita economica. Secondo questo modello la “stagflazione”
doveva essere impossibile, perché non potevano coesistere aumento della
disoccupazione e dell’inflazione.
Questo agevolò la diffusione del modello economico neoliberale.
Secondo la nuova teoria non dovevano essere più controllati i beni, ma il
denaro come nuovo parametro di ricchezza e bisognava rifiutare
l’ingerenza dello Stato nel mercato. Il nuovo modello economico era stato
Figura 4 La stagflazione in Italia tra il 1973 e il 1975 – immagine tratta da Openpolis.it
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elaborato da Friedrich von Hayek e Milton Friedman, vincitori del premio
Nobel per l’economia rispettivamente nel 1974 e 1976. Fu adottato
inizialmente dal presidente statunitense democratico Jimmy Carter e poi
negli anni ’80 dal repubblicano Ronald Regan e nel Regno Unito da
Margaret Thatcher, per poi diffondersi e diventare l’ideologia dominante in
Occidente.
Con la crisi economica si aprirono nuove tensioni geopolitiche.
Approfittando della debolezza degli USA, che uscivano dallo scandalo
Watergate e le dimissioni del Presidente Richard Nixon nel 1974, e la fine
della guerra in Vietnam nel 1975, l’URSS invase l’Afghanistan nel 1979 per
cercare di cambiare i rapporti di forza tra le due superpotenze. Tuttavia,
l’offensiva militare fu un fallimento e questo segnò l’inizio della
disgregazione dell’URSS. Oltre alle tensioni tra i due blocchi della guerra
fredda scoppiarono crisi politiche in diverse parti del mondo: Bangladesh,
Cile, Libano, Irlanda, Etiopia, Vietnam, Cambogia, Argentina, Iran,
Afghanistan e altre, mentre in Europa terminarono gli ultimi regimi
dittatoriali in Grecia, Portogallo (1974) e Spagna (1975) e si avviava la
decolonizzazione dell’Africa e Sud America.
A livello culturale aborto, razzismo e il contrasto alla droga e alla
criminalità iniziano a diventare temi sempre più sentiti nell’opinione
pubblica. In particolare, in Italia abbiamo l’approvazione della legge sul
divorzio nel 1970 e quella sull’aborto nel 1978. Negli USA era molto sentito
il tema del razzismo e soprattutto quello della “guerra alla droga” lanciato
dall’amministrazione Nixon. Il cambiamento del paradigma economico
culturale portò a nuove forme di mobilitazione per i movimenti ambientali.