4
Introduzione
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una richiesta politica, sempre più precisa,
incisiva e puntuale, di ampliare l’ordinamento italiano a una maggiore tutela dei diritti
umani. In modo particolare, la necessità di una “nuova” legislazione è istanza data dai
singoli attivisti e/o gruppi associativi facenti parte delle soggettività della comunità
LGBTQ+. La domanda pressante riguardante il “gender equality” si amplia
esponenzialmente, non riguardando più solo l’universo femminile, ma ogni forma di
identità di genere, dichiarata e presente. Ciò che ha catturato la mia attenzione è stato il
recente dibattito avvenuto a motivo della proposta del testo di legge “Misure di
prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso,
al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità”. Infatti, di
interesse e di analisi sono state le relazioni e le parole intercorse tra i vari partiti politici
e ancor più l’evidente frammentazione della comunità queer italiana. Questa curiosità ha
portato ad una serie di ricerche e letture che mi hanno permesso di circoscrive sempre più
la tematica da indagare, oggi affrontata, come ricerca, nella tesi di laurea. Affascinata da
sempre dal dibattito inerente alla relazione donna- società e politica, è stato semplice
comprendere che l’analisi sarebbe stata indirizzata al mondo femminile omosessuale,
consapevole che sarebbe stato difficile attingere a molte fonti, visti i pochi studi e
riflessioni a riguardo. La domanda di ricerca mira ad analizzare il mondo lesbico
contemporaneo, in termini di presenza sul territorio e di relazione con gli altri gruppi,
queer e femministi, presenti, oggi, in Italia e comprendere come, le varie posizioni rispetto
ad alcune tematiche, alimentano il dibattito sociopolitico. Per far questo è stato necessario
tornare alle radici, analizzando i diversi passaggi, snodi cruciali nella storia
dell’’omosessualità femminile, studiando, inizialmente, il percorso della donna, soggetta
ad una posizione di marginalità, sia privata che pubblica, l’utilizzo del corpo come
strumento politico e di conseguenza la costruzione e de-costruzione del genere. In questo
quadro generale, ho inserito gli studi sul lesbismo, dalle sue origini ad oggi e letto le
connessioni sociali che il mondo omosessuale femminile ha intessuto con i gay e le
femministe, in modo particolare nel dibattito contemporaneo avente in esame tre casi
studio: la legge antidiscriminatoria, il concetto di identità di genere e la legge sulle unioni
civili. Mi sono avvalsa, per far ciò, di testi documentali, come i dibattiti parlamentari
5
estrapolati dal sito della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e dalle varie
pagine web delle associazioni prese in esame. A questo si aggiunge, un’analisi qualitativa,
con l’approccio del Groudend theory e l’utilizzo di interviste semi-strutturate,
somministrate a dieci donne facenti parte dell’attivismo femminista e lesbico italiano. Nel
primo capitolo, infatti, mi sono dedicata a comprende la condizione di invisibilità a cui la
donna è stata rilegata e sottoposta per secoli, de- legittimando la cultura patriarcale
fondata sul sessismo. Tutto questo è avvenuto attraverso la lettura di articoli di
neurobiologia, attingendo agli studi di antropologia femminile e rifacendomi
all’approccio culturale della concezione dicotomia di normalità- diversità, attraverso la
categoria del marchio binario di Foucault e la de-costruzione sociale del “genere” di
Butler. L’atto di consapevolezza da parte delle donne, le ha rese protagoniste del desiderio
di emersione nella scena pubblica, conducendo le singole personalità a divenire gruppo,
il riconoscimento dell’altra, ha fatto nascere il sentimento di sorellanza, la volontà di
“unire le forze” in vista di obiettivi più grandi da raggiungere. Dal concetto di identità
collettiva e volontà di associazionismo nata dalla collaborazione delle singole personalità
lesbiche, nel secondo capitolo, mi sono dedicata all’analisi dei movimenti sociali, grazie
agli studi di sociologia politica, l’analisi storiografica del lesbico e la nascita dei
movimenti omosessuali femminili. Nel terzo capitolo viene approfondita la storia di
Arcilesbica, ricostruzione che viene effettuata dall’analisi dei testi congressuali riportati
sul sito dell’associazione, dopo svariate e-mail intercorse con Cristina Gramolini, in cui
negava la possibilità di intervistarla, del lesbofemminismo e l’analisi del lesbismo
contemporaneo, arricchito da estratti di interviste effettuate durante la ricerca. Per
un’analisi più approfondita, delle relazioni in seno all’associazionismo e al dibattito
politico, nel quarto capitolo si analizzano tre casi studio, la legge antidiscriminatoria, la
legge sull’identità di genere e la legge sulle unioni civili, che hanno animato la scena
sociopolitica degli ultimi anni, mettendo in risalto come, questioni inerenti alla sfera
privata necessari di una regolamentazione pubblica, hanno creato fratture e nuove
alleanze all’interno dello stesso associazionismo italiano. Attraverso le sollecitazioni
ricevute nel corso delle interviste semi-strutturate è stato evidente, inoltre, come queste
fratture hanno mutato il panorama italiano lesbico parlandoci non più di “identità lesbica”
ma di “identità lesbiche”. Alla luce di quanto detto, si nota come la condizione di
invisibilità e la continua marginalizzazione sia state peculiari nella storia delle lesbiche
6
italiane, ritardando il percorso di emersione personale e pubblico. Così come si vedrà nel
corso della tesi, l’essere riuscite ad appropriarsi di uno spazio riconosciuto non è bastato
a mantenere stabile il desiderio di sorellanza e coesione. Infatti, il mutamento culturale,
il venir fuori di nuove esigenze, il gender fluid, le differenze ideologie emerse nei dibattiti
contemporanei hanno condotto le lesbiche a due percorsi paralleli, assistendo, da una
parte, a nuove forme di esclusione, dall’altra, alla costruzione di nuovi dialoghi con i
movimenti femministi, modificando ancora una volta, le alleanze di solidarietà sociale e
l’assetto politico italiano.
7
CAPITOLO PRIMO
Una storia di invisibilità: essere donna
Ogni volta che una donna lotta per sé stessa, lotta per tutte le donne
Maya Angelou
L’invisibilità della donna è stata e continua ad essere, sotto determinati aspetti, un
marchio che la donna sembra non riesca a scrollarsi di dosso. La sua figura, condizionata
e voluta inferiore dall’ideologia patriarcale, occidentale, l’ha vista protagonista di
battaglie, lunghe ed intense. Battaglie che si sono susseguite tra vittorie, sconfitte ed
attese. Stereotipica-mente parlando, la donna porta su di sé l’ombra, per definizione, del
“sesso debole”, dell’”attitude” di caregiver, di angelo del focolaio domestico.
Caratteristiche che comunemente vengono individuate come luoghi comuni facenti parte
dell’universo femminile. È proprio sul naturale che si articola oggi il dibattito. Tante
teorie e ideologie rese note nel tempo hanno classificato “naturale” l’inferiorità della
donna rispetto all’uomo, rendendola, di conseguenza invisibile; le ricerche e gli studi
odierni decostruiscono queste teorie, mettendo in discussione ciò, che fino ad oggi, è stato
ritenuto facente parte del “normale”. L’inferiorità e l’invisibilità della donna non nascono
nella figura del suo, ma in quanto “essere in relazione”. La domanda da porsi è infatti:
inferiore rispetto a chi? Invisibile rispetto a chi e a cosa? Il metro con cui la donna si è
sempre confrontata è l’uomo. Per molti anni, studi di medicina legale, sono stati effettuati
per comprendere il funzionamento del cervello maschile e femminile. Studi che spesso
sono stati funzionali a teorie misogine e maschiliste che hanno creato, però, una cultura
dominante, che ha influito sul ruolo della donna, sia nella vita privata che sociale.
Catherine Vidal
1
, riprendendo proprio gli studi effettuati sui cadaveri, per confutare
l’inferiorità della donna rispetto all’uomo, ha provato come questi sia fuorvianti e non
completi. Gli studi effettuati, infatti, si basavano sulla dimostrazione che il cervello
dell’uomo fosse più pesante e voluminoso rispetto a quello della donna, sintomo di
maggiore intelligenza. E fu così, che scienziati declassarono la donna ad essere meno
1
C. VIDAL, Il sesso nel cervello, Bari, 2020, edizione Dedalo
8
intelligente rispetto al suo pari uomo. A dimostrazione di quanto detto, in uno studio del
1992, Rushton credeva esistesse una correlazione tra QI e il volume del cranio. Nel suo
articolo inoltre applicò questa opinione non soltanto a dimostrazione della superiorità
dell’uomo sulla donna ma anche alle discriminazioni di razza e di lavoro, sostenendo che
i bianchi erano più intelligenti dei neri, così come gli ufficiali lo fossero rispetto ai soldati
semplici.
2
Gli studi sui cervelli di cadaveri non potevano dimostrare la funzionalità
dell’organo in quanto morto. Ed è proprio per questo motivo che gli unici valori che
potevano essere presi in esame erano il peso e il volume. Con l’avvento delle nuove
tecnologie, quindi attraverso la risonanza magnetica (RMI), si è visto il funzionamento
del cervello in vivo. È stato dimostrato come, prima di tutto, la differenza di peso e volume
è riconducibile alla struttura corporea dell’essere umano, indipendentemente dal sesso.
Successivamente è stato dimostrato come esiste una diversità tra il funzionamento del
cervello femminile e maschile, in modo particolare sotto due aspetti: l’orientamento
spaziale e il linguaggio. Il primo più sviluppato nell’uomo, il secondo nella donna. Vidal
a tal proposito sostiene che un cervello di per sé non ha sesso e che le differenze di
funzionamento di alcune aree rispetto ad altre, sono il risultato dell’educazione culturale
e sociale. Gli uomini riescono ad orientarsi efficacemente dello spazio perché indotti a
giochi di gruppo e di movimento, vedi il calcio, mentre le donne sviluppano diversamente
dagli uomini il linguaggio, in quanto, essendo femmine, rilegate al gioco contenuto di
cura e di dialogo verso le bambole o le amiche. La diversità di funzionamento, infatti non
sta nel possedere o meno una data capacità ma in come il nostro cervello agisce. È stato
dimostrato che gli uomini hanno più sinapsi intra-emisferiche, mentre le donne
interemisferiche. A conferma di ciò, Michela Mattioli ne “Il nostro cervello ha un sesso”
3
,
riporta, uno studio pubblicato nel 2014, condotto dall’università della Pennsylvania
condotto su 949 persone in età compresa tra 8-22 anni, è stato effettuato attraverso la
tecnica del Diffusion Tensor Imaging (DTI). L’idea dei due cervelli, nonostante le
svariate dimostrazioni, però, ha trovato diverse difficoltà data dalla teoria sul
condizionamento culturale nello sviluppo della funzionalità celebrale. Secondo il David
Geary
4
, nella preistoria, ogni ruolo era ben definito: gli uomini andavano a caccia mentre
le donne si occupavano dei bambini e del raccogliere il cibo vicino all’abitazione (per tale
2
C. VIDAL, Il sesso del cervello, Bari, 2020, edizione Dedalo, pp. 20
3
M. MATTIOLI, il nostro cervello ha un sesso, 100 donne_Mattioli.pdf (cnr.it)
4
D. GEARY, Male, female: The evolution of human sex differences, www.apa.org
9
ragione si suppone che siano state le donne ad inventare l’agricoltura). Nella quotidianità
delle azioni svolte dal compito sociale affidato, le aree del cervello funzionali alle attività
svolte possono essere state affinate per consentire, a ciascuno, di svolgere nel miglior
modo possibile, in maniera efficacie il proprio ruolo, esercitando nella specie umana una
peculiarità incredibile come l’adattamento. A questi studi si contrappongono studi con
esiti differenti. Lewis Binford
5
ha sostenuto che gli uomini non era cacciatori, ma fossero
“mangiatori di carogne”, abituati a mangiare bestie morte, infatti, quando si cacciava gli
obiettivi erano prede piccole. Insieme agli uomini c’erano anche le donne, che non solo
affiancavo gli uomini ma costruivano anche le armi con cui uccidere le prede. A sostegno
di questa teoria, nel 1997 in Kazakistan è stato trovato il corpo di una donna (homo
sapiens sapiens) vicino a delle armi in pietra. Si potrebbe così azzardare, che la disparità
di genere non è sempre esistita e che sicuramente non ha basi biologiche e scientifiche su
cui poggiarsi. È innegabile, come ancora ci dice Vidal, che una differenza tra uomo e
donna esiste e consta nella riproduttività della specie, peculiarità solo della donna. Per
molto tempo si è creduto che il ciclo mestruale della donna, e il periodo della gravidanza
rappresentassero momenti di forte debolezza fisica per le donne stesse, dal mutamento
corporale agli sbalzi umorali. Ed è proprio sul concetto di riproduttività che si introducono
giochi di dominazione e potere. Nelle strutture psico- sociali attraversate dalle narrazioni
di storie mitologiche, che pongono radici nella differenza di genere, si formano e
riproducono disuguaglianze: “i sistemi di parentela e le norme gerarchiche hanno lo scopo
di legittimare il potere degli uomini sulle donne”.
6
Nonostante il dibattito sia acceso,
l’idea del cervello sessuato è stata superata, e allora su cosa continuano ad appoggiarsi
queste differenze? La risposta è esattamente ciò che Vidal affermava imputando le
componenti differenziali all’educazione e alla cultura, nonostante le differenze biologiche
dei caratteri primari e secondari, tra uomo e donna, restano: «ragazzi e ragazze sono
innegabilmente diversi, biologicamente, ma la socializzazione esagera le differenze, e
allora diventa un circolo che si alimenta da solo»
7
. Ovviamente, non è possibile ridurre la
disparità di genere, intesa tra maschile e femminile, solo agli studi biologici che
sicuramente hanno creato un’egemonia culturale. Nonostante come abbiamo visto da
alcune ricerche, la possibilità che l’uomo cacciatore e la donna, custode del focolaio
5
Ibidem, pp. 66
6
Ibidem, pp.71
7
Ibidem, pp. 41
10
domestico, siano solo stereotipi tramandati, questi sono diventati parte di una cultura che
ha sviluppato la superiorità dell’uomo rispetto alla donna, sia nel privato in relazione alla
famiglia, sia che in pubblico, dove la donna per molto tempo è stata invisibile. La cultura
patriarcale del padre- padrone vedeva l’uomo dominare in ogni aspetto della vita, e
avendo relegato la donna ad oggetto, anche la donna era “cosa” da dominare; «la sovranità
e l’imposizione maschile sul corpo femminile è il tratto distintivo del patriarcato, che
rivela l’origine fortemente sessuata di quel dominio»
8
. L’idea di potere ha origine delle
società primitive. Esso non era dato da chi eri all’interno del contesto sociale o della
famiglia di appartenenza; questo era solo una conseguenza. Il potere era invece affidato
e legittimano dagli iniziati, cioè coloro che riuscivano a tramandare la tradizione e tra
questi non erano ammesse le donne. La posizione della donna in famiglia, non era ancora
correlata alla sua posizione in società, proprio perché non esisteva. L’unico accesso per
la donna ad una forma di potere era dato dal diritto materno.
9
Nella cultura occidentale,
la sovranità maschile, in famiglia e in società, è stata data dall’interpretazione che se n’è
fatto del cristianesimo e della Bibbia. In realtà, quando il cristianesimo arrivò in
occidente, venne amalgamato alla cultura già esistente, che poneva le sue radici nella
tradizione greca- romana, dove l’uomo era l’intellettuale e il guerriero mentre alle donne
erano riservate altre attività, non di notevole importanza. La relazione tra donna e ruolo
che essa assume è dettata, evidentemente, dalla costruzione culturale di un determinato
posto e anche da come questa viene letta ed interpretata. Tornando alla donna gestante e
madre, nella cultura occidentale, questo ruolo è stato relegato ad una concezione
famigliare di dominio maschile, in modo particolare dato dal fatto che la donna veniva
vista in quanto moglie, e quindi in relazione all’essere- altro, uomo. Nelle culture africane,
in particolare in Nigeria, la donna non viene rappresentata in quanto moglie, ma in quanto
madre. Apparentemente potrebbe sembrare una piccolezza, ma collocare, anche con il
linguaggio, la figura della donna a due ruoli distinti li posiziona in maniera differente
nella relazione con l’uomo che all’interno della società. Per comprendere meglio come il
dominio maschile giochi un ruolo, dato anche dal linguaggio utilizzato, di sovranità, si
analizza il termine mothering. In occidente, si guarda alla maternità nel “cosa una madre
deve fare”, come un’azione, un atto lavorativo; nelle culture africane, prese in esame
8
E. DEIANA, Post patriarcato e patriarcalismi della transizione, Rivista di Scienze Sociali, n. 4, 2012
9
https://www.studocu.com/it/document/universita-degli-studi-di-firenze/antropologia-di-
genere/antropologia-di-genere-condizione-femminile/15868340
11
precedentemente, il termine si pone su chi la madre è, nella sua essenza e persona,
conferendogli un potere diverso nella gestione relazione e sociale.
10
«Questa tendenza a “genderizzare” ‒ la maternità, è una diretta conseguenza della
centralità della famiglia nucleare, che, in occidente, si presenta come una struttura
intrinsecamente genderizzata, formata da un maschio dominate, da una moglie
subordinata e i loro figli»
11
.
Il corpo gravido della donna e la capacità femminile procreare, possiedono in sé, da
sempre, una forza sconvolgente, ricca di mistero, un potere femminile che ha indotto
timore e messo sotto scacco gli uomini, a cui ha corrisposto la costruzione di un ordine
sociale e una rappresentazione simbolica orientata all’autorità maschile.
12
Questa
condizione femminile caratterizzava sia il privato che il pubblico della vita femminile.
Questa limitazione non ha solo caratterizzato la relazione dialogica tra uomo e donna e le
dinamiche sessuali, ma hanno rappresentato, e tutt’oggi rappresentano una relazione di
potere e di regolazione sociale. Del resto «il potere riproduttivo esercitato dalle donne
viene però sistematicamente subordinato a un’istanza superiore, quella della riproduzione
sociale»
13
. In realtà, l’invisibilità non riguarda il “non essere vista, non- visibile”, ma le
possibilità di agency. Essendo parte di una relazione, la partecipazione femminile è molto
presente, è lo è soprattutto nella formazione di categorie sociali e di status di dominazione
maschile, che, senza questa presenza femminile, non esisterebbero, almeno in questi
termini. L’invisibilità della donna è visibilità di giochi di potere, dove, fino a tempi
recenti, l’uomo indossava la sua maschera sul palco mentre le donne giostrano i fili dello
spettacolo da dietro le quinte.
10
R. Di Silvio, From Mother to Mothering. Ideologie, Discorsi e pratiche attorno al femminile nello
sguardo dell’antropologia culturale, 2010
11
Ibidem
12
E. DEIANA, Post patriarcato e patriarcalismi della transizione, Rivista di Scienze Sociali, N. 4 2012
13
C. Pennacini, Antropologia, genere, riproduzione,2006, Carrocci editore, pp. 19
12
1.1 Il corpo della donna come strumento di manipolazione politica
Il controllo sociale si fonda sulla sessualità femminile
Graziella Priulla
Ed è proprio dall’istruzione patriarcale che inizieremo il nostro viaggio all’insegna del
ruolo della donna nelle varie culture ed epoche e come l’essere femminile, la sessualità
citando Foucault, produce e riproduce potere.
14
L’enciclopedia Treccani definisce il
patriarcato come «tipo di sistema sociale in cui vige il “diritto paterno», ossia «il controllo
esclusivo dell'autorità domestica, pubblica e politica da parte dei maschi più anziani del
gruppo»
15
. Il patriarcato era “un ordine che dava certezza di sé al genere maschile”
16
come anche Nietzsche in così parlo Zarathustra scriveva: «la felicità dell’uomo si chiama
io voglio, la felicità della donna si chiama egli vuole». Il patriarcato e la differenza di
ruoli che vede la superiorità dell’uomo sulla donna è diventato cultura. Infatti, quando
parliamo di cultura ci si riferisce a tutte quelle credenze messe in azione, riprodotte e che
riproducendosi creano per l’appunto cultura. La cultura diventa così pensiero introiettato,
conoscenza, che muove le azioni e classifica in ruoli dando ordine in società, infatti, «ogni
trasmissione di significati istituzionali implica ovviamente procedimenti di controllo e di
legittimazione»
17
. I procedimenti di controllo e di legittimazione sono stabili grazie al
ruolo funzionale che l’uomo e la donna assumono nella gerarchia sociale. La disparità tra
questi due generi e le dinamiche relazioni che ne scaturiscono creano ruoli sociali e giochi
di potere, conferendo “ad ogni individuo il suo posto; ed in ogni posto il suo individuo”.
18
Foucault, nell’opera Sorvegliare e Punire, parlando di segregazione e marginalità, di
marchio binario e strategia di esclusione che l’autore chiama “assegnazione coercitiva o
ripartizione differenziale”.
19
Il marchio binario applicato al nostro discorso, richiama la
dualità dicotomica tra il maschile e il femminile. Per Foucault, il marchio binario prende
14
M. Foucault, Storia della sessualità, 1976
15
Treccani.it
16
E. DEIANA, Post patriarcato e patriarcalismi della transizione, Rivista di Scienze Sociali, 2012
17
P.L. BERGER, T. LUCKMANN, La realtà come costruzione sociale, Bologna, 1969, Il Mulino, pp. 104
18
M. FOUCAULT, Sorvegliare e Punire, Torino, 1993, Einaudi, pp. 155
19
Ibidem, pp. 217