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trovano a dover fronteggiare la difficile sfida di organizzare una mole di
informazione sempre più imponente.
Il Web è quindi un fenomeno complesso sia rispetto alle sue funzioni, alla sua
essenza che rispetto al suo contenuto.
Al fine di poter porre le basi per affrontare l’argomento è necessario
focalizzare alcune questioni di fondo.
È sicuramente opportuno avere ben presente una delle funzioni principali dei
mezzi di comunicazione di massa, e del Web in particolare, ossia la cosiddetta
“compressione spazio-temporale” [Harvey 1993], che trasforma il senso della
distanza e quindi del tempo. In virtù di questa rivoluzione, cambia il modo in cui
facciamo esperienza del mondo e cambiano quindi le nostre coordinate di
orientamento e di pensiero. Credo che questa compressione sia una causa importante
di molti altri mutamenti, alcuni dei quali verranno esaminati in seguito.
La seconda caratteristica importante, che si può evincere anche dalle parole di
Tim Berners Lee, è data dal fatto che il Web non deve essere considerato
semplicemente come un’istituzione che svolge il compito di trasmettere e di
diffondere forme simboliche, ma piuttosto come un’istituzione che trasforma le
modalità con le quali gli individui si interrelazionano e fanno esperienza di sé e degli
altri. Trasformando radicalmente l’organizzazione spazio-temporale della vita sociale
[Thompson 1998], il Web permette la condivisione simultanea di uno stesso
ambiente, permette la creazione di uno spazio antropologico [Levy 1995].
A questo proposito può essere interessante introdurre il concetto di discorso
sociale [Semprini 1997]. Questo concetto cardine della riflessione sociosemiotica, di
cui si esamineranno gli orientamenti di fondo lungo i due capitoli conclusivi, mira ad
individuare il doppio statuto di tutte le concrete occorrenze testuali. L’analisi dei
particolari fenomeni comunicativi, che verrà svolta nel capitolo quarto, presuppone
sia il loro carattere semiotico e discorsivo, di elementi che sono parte costituente lo
scambio comunicativo, sia il loro carattere sociale, che si inserisce nelle relazioni fra
l’ambiente e gli attori sociali. Attraverso questo concetto si esplica il significato del
concetto di genere comunicativo e si vengono a determinare i meccanismi di
creazione e le stesse caratteristiche peculiari dei diversi spazi antropologici, che
possono essere intesi come dei mondi possibili [Semprini 1997]
La trattazione partirà analizzando il Web in quanto medium di
comunicazione di massa, per poi esaminare il pensiero degli esponenti della teoria
del medium e proporre un modello di influenza dei media di comunicazione sulla
società e sulla cultura, che teorizzi il Web come uno spazio antropologico creato
soggettivamente. Nell’ambito di questa visione esiste la possibilità di effettuare
un’analisi delle cerchie e dei reticoli sociali e trova spazio un approccio
multidisciplinare allo studio della complessità di interrelazione fra diversi ordini di
fenomeni. Vengono anche esplicitate le relazioni tra uno spazio antropologico e il
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tipo di conoscenza che gli è propria, le caratteristiche costitutive dell’ambiente
virtuale del Web e le possibilità che si presentano alla crescita dell’intelligenza
individuale e quindi collettiva. Al fine di analizzare in modo approfondito il Web e
alcuni suoi strumenti di ricerca e di catalogazione delle informazioni, viene poi
svolta una ricognizione sui modi in cui viene organizzata l’informazione in rete, che
si focalizzerà in particolar modo sui portali generalisti del Web italiano.
Una volta poste le basi per un’analisi, viene introdotto il concetto di genere
comunicativo e testuale, proposto come chiave di lettura delle interrelazioni fra le
varie dimensioni, che contribuiscono a determinare le produzioni testuali del Web.
Viene, poi, analizzata la prospettiva di analisi sociosemiotica, considerata idonea a
progettare un disegno di ricerca che riesca a rendere conto delle relazioni fra
cambiamenti sociali, antropologici e psicologici ed effettiva produzione testuale. Si
ritiene, infatti, che i generi, considerati come istituzioni dalla struttura duale in senso
giddensiano [Giddens 1984], possano essere l’anello di collegamento che dimostri
come diverse società, diverse comunità producano dei testi, delle forme di
comunicazione diverse, esplicando, in questo modo, la natura sociale dei fenomeni di
comunicazione.
Infine viene svolta un’indagine esplorativa e che si ferma alla sua fase
iniziale, volta a dimostrare come sia possibile riscontrare delle corrispondenze fra le
caratteristiche peculiari dell’intelligenza individuale favorita dalle pratiche di utilizzo
del Web, lo spazio antropologico che vanno a costituire, e le occorrenze testuali
analizzate attraverso l’analisi del contenuto. Viene discussa la validità di questa
metodologia, in associazione a procedimenti di tipo semiologico, e viene
effettivamente svolta un’analisi di alcune categorie di cinque cataloghi di portali
italiani.
Nel primo capitolo, quindi, viene svolta un’analisi del Web in quanto
medium di massa, seguendo principalmente le indicazioni di McQuail [1986], Wolf
[1986] e Thompson [1998] e della possibile unificazione dei vari approcci sotto la
comune egida di un impianto sociologico, che possa cogliere sia le macro-dinamiche,
senza scordare l’analisi dettagliata dei fenomeni, proposta da Wolf, ma anche, meno
esplicitamente, da Meyrowitz [1995]. Una volta delineata questa caratteristica, viene
esaminato brevemente il pensiero di Innis e McLuhan, per introdurre il concetto di
psicotecnologia del loro allievo più famoso, De Kerckhove [1995], che mira a
specificare meglio i modi dell’interiorizzazione individuale della tecnologia Internet,
del suo utilizzo e della sua influenza nel contesto delle società moderne. Il capitolo
procede, poi, mettendo in guardia contro l’assolutizzazione delle affermazioni fatte
nella prima parte, evidenziando alcune critiche di J. Goody [1986] e M. Heim [1987].
Viene esaminato, di seguito e con maggior dettaglio il concetto di spazio
antropologico [Levy 1996], di conoscenza e di sapere [Martinotti 1992], con
l’intenzione di delineare le caratteristiche del Web, inteso come spazio antropologico
che crea nuove modalità di conoscenza e di intelligenza [De Kerckhove 1995/2000].
Nell’ultima parte del capitolo vengono poste le basi per una valutazione della portata
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storica dei mutamenti in atto, attraverso una comparazione delle rivoluzioni odierne
con quelle che sono state messe in relazione al passaggio dall’oralità alla scrittura
[Ong 1982]. In virtù di questa riflessione trova spazio un’analisi delle possibilità che
sono a disposizione dei singoli individui, in virtù dell’utilizzo delle nuove tecnologie.
Nel secondo capitolo, invece, viene svolta un’analisi degli strumenti presenti
oggi per l’organizzazione dell’informazione Web. Vengono presi in esame i motori
di ricerca, gli OPAC delle biblioteche, I VRD, ma soprattutto i portali e le loro
directory. L’intenzione di questo capitolo di teoria dei nuovi media vuole essere
quella di preparare il campo per un’analisi empirica dei fenomeni comunicativi del
Web e in particolare di quelli relativi ai portali generalisti italiani. Viene in
particolare evidenziato come le caratteristiche dei diversi strumenti sono in stretta
relazione con le diverse esigenze e con le diverse situazioni a cui devono fare fronte.
Nel terzo capitolo verrà presentato e approfondito il concetto di genere
comunicativo e testuale. Lo studio dei generi testuali ha accompagnato la storia degli
studi retorici e filosofici, partendo dall’antica Grecia per arrivare all’età
contemporanea. Nell’esposizione ci rifaremo ad un concetto di genere formulato in
relazione a studi della comunicazione all’interno delle organizzazioni [Yates e
Orlikowski 1992], senza però scordare l’utilità della raffinata riflessione filologica,
semiologica e retorica [Segre 1985], che verrà messa in luce e utilizzata nella
sistemazione teorica della parte di ricerca.
Il genere verrà utilizzato come concetto capace di mettere in relazione le
caratteristiche di identità di una sfera sociale con le sue effettive produzioni
comunicative, nell’ambito di una riflessione vicina agli orientamenti della
sociosemiotica.
Nel quarto e ultimo capitolo viene, invece, presentata la parte di ricerca.
Essa è da considerarsi come una ricerca esplorativa, al fine di delineare un disegno di
ricerca più ampio, che viene solamente abbozzato in queste pagine. Il disegno
complessivo della ricerca prevede l’utilizzo di varie metodologie, che siano speculari
alla multidimensionalità dei fenomeni di comunicazione Web. Nella prima parte, che
verrà sviluppata in queste pagine, la metodologia che viene utilizzata in prevalenza è
quella dell’analisi del contenuto. Questa tipo di analisi è stato ampiamente criticato
negli ultimi venti anni [Amaturo 1993] e, infatti, il nostro utilizzo tiene conto di tali
critiche e propone di affiancare l’analisi del contenuto ad uno studio di tipo semiotico
del testo/contesto nel quale si situa l’analisi del contenuto.
La ricerca è tesa a dimostrare come certi tipi di contenuti, influenzati da
determinate disposizioni mentali, trovino maggior accettazione all’interno dei generi
comunicativi delle directory dei portali e dei portali stessi, dal momento che sono
espressione di caratteristiche che si adattano bene al nuovo tipo di socialità e di
individui creati dalle pratiche di utilizzo del Web.
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CAPITOLO 1
DALLA LINEARITÀ ALLA RADIALITÀ:
UNA NUOVA INTELLIGENZA PER UN NUOVO
MEDIUM DI MASSA
1.1 Approcci allo studio delle comunicazioni di massa e del Web
Al fine di avvicinarsi all’analisi di un medium di massa nuovo e che presenta
caratteristiche fortemente innovative, sarà utile proporre una breve rassegna degli
approcci proposti per analizzare le comunicazioni di massa. Gli approcci allo studio
dell’influsso dei mass-media sul comportamento umano, l’analisi degli effetti sociali
provocati dall’introduzione di nuove tecnologie di comunicazione, lo studio del
contenuto dei fenomeni di comunicazione e, più in generale, tutti gli studi che si
propongono di analizzare il ruolo dei mezzi di comunicazione nei vari contesti in cui
esso è pertinente, presentano un alto grado di disomogeneità fra di loro e si possono
considerare diversi e concorrenti sotto vari punti di vista.
Ci sono stati approcci creditori di molte discipline, dalla psicologia,
all’antropologia, alla sociologia, alla semiotica e ad altre ancora.
In diversi manuali delle comunicazioni di massa, un genere proliferato negli
ultimi 40 anni, troviamo una ricognizione delle varie prospettive di ricerca che si
sono succedute nel corso di tutto il Novecento, in particolar modo nella seconda metà
del secolo passato.
Prima di analizzare alcuni aspetti dei diversi orientamenti teorici, è necessario
definire la natura del Web in quanto medium di massa.
A questo proposito è utile introdurre la definizione di medium di massa di
McQuail [1985:55], che propone di considerare i mezzi di comunicazione, e quindi
anche il Web, come delle istituzioni che hanno caratteristiche costanti nel tempo e
attraverso diverse culture. Secondo l’autore statunitense “I mezzi di comunicazione
di massa come istituzioni presentano effettivamente un’attività chiave che è la
produzione, la riproduzione e la distribuzione della conoscenza, concepita come serie
di simboli con un riferimento significativo nei confronti del mondo dell’esperienza”.
Tramite la fruizione dei messaggi dei media, attraverso i quali viene prodotta e
trasmessa conoscenza, gli individui attribuiscono senso alla loro esperienza e
orientano la propria azione nel mondo.
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Il ruolo dei media, quindi, come implica la parola stessa, è un ruolo di
mediazione. Il Web si caratterizza proprio per le modalità con cui attua la
mediazione fra diversi individui, riconosciuti, nell’ambito dell’interazione di rete,
come entità cognitive e non materiali. Lo studio dei media deve quindi presupporre
la loro essenza di piattaforme, di filtri, di ambienti che si frappongono fra gli oggetti
del mondo e l’esperienza personale diretta. Il Web, quindi, in quanto medium di
massa, favorisce l’interazione sociale e le conferisce degli aspetti particolari, la
orienta in una certa direzione. Come ricorda Thompson [1998: 13], una caratteristica
da tenere sempre presente nell’analisi dei mezzi di comunicazione di massa è la loro
capacità di creare nuove forme di azione e di interazione sociale, di permettere il
cambiamento delle modalità con cui gli individui si rapportano agli altri e a se stessi.
Lo studio dei mezzi di comunicazione di massa, quindi, non può essere svolto
separatamente dall’analisi della società in cui operano, in quanto i mass-media
devono essere considerati come degli strumenti tecnologici e sociali di produzione e
distribuzione della conoscenza, che hanno influenza a livello dei rapporti sociali e a
livello di organizzazione della società.
Analizzando gli studi sulle comunicazioni di massa della seconda parte del
secolo scorso, notiamo, invece, che le questioni affrontate sono state altre. Secondo
De Fleur [1995: 39-58], ad esempio, esso si è concentrato su tre questioni
fondamentali, ignorando i presupposti di uno studio dei mass media e della
tecnologia inserita in un contesto sociale di riferimento e dando, piuttosto,
attenzione:
• all’influenza dell’organizzazione della società sui mass-media,
• alla strutturazione del messaggio dei diversi media,
• agli effetti dell’esposizione ai mass-media per i soggetti fruitori.
Questa ultima questione ha attratto l’interesse della maggior parte degli
studiosi, che hanno affrontato il problema facendo ricorso agli strumenti teorici
caratteristici della psicologia e della sociologia. Nell’analisi di DeFleur, quindi,
vengono passati in rassegna sia modelli psicologici che si ispirano ai paradigmi
cognitivo e comportamentale, sia modelli socio-antropologici vicini agli orientamenti
struttural-funzionalisti, dell’evoluzionismo sociale, del conflitto sociale e dell’
interazionismo simbolico.
Le prospettive che traggono il proprio corpus teorico da discipline
psicologiche possono essere raggruppate. Un punto comune è costituito dal fatto che
si basano su un concetto di stimolo-risposta: ad uno stimolo (un messaggio veicolato
da qualsiasi medium) abbiamo un certo tipo di risposta comportamentale o cognitiva.
Appartengono a questa categoria tutte quelle prospettive di ricerca che si
concentrano sullo studio del contenuto dei media, tipiche di molti studi sui messaggi
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televisivi o radiofonici e funzionali, ad esempio, alla produzione di messaggi
pubblicitari.
Meyrowitz [1995: 20-21] definisce questo genere di modelli “modelli degli
effetti”, a cui ipotizza che siano seguiti i modelli degli “usi e gratificazioni”. Questi
ultimi ribaltano la prospettiva precedente, ma sono, in ogni caso, fondamentalmente
legati al contenuto del messaggio. Il contenuto del messaggio, secondo questo
approccio, che viene considerato un evoluzione del precedente, più che operare
secondo il paradigma behavioristico e quindi funzionare come stimolo che può
modificare il comportamento, si adatta ai criteri di selettività dei soggetti ricettori del
messaggio. Il messaggio, comunque, rimane il principale oggetto di studio.
Una grandissima parte degli studi sui media, in particolar modo quelli
influenzati dalla psicologia, sono accomunati dal fatto di ignorare lo studio dei media
in quanto tali. Viene studiato il contenuto dei messaggi veicolati dai media, senza
tener conto delle specificità di quel medium, senza analizzare come quel medium si
adatti al contesto sociale e quali siano le sue interazioni con esso.
Sempre secondo Meyrowitz i limiti di questi filoni di ricerca sono dati dal
fatto che non teorizzano i media come creatori di nuovi spazi e ambienti sociali, o
almeno come agenti ristrutturatori di quelli già esistenti.
Nella sua prospettiva la preferenza viene data a modelli di impianto più
sociologico, che mirano a vedere i media inseriti in un contesto sociale di
riferimento. Questi modelli “olistici”, caratterizzati da un approccio “macro” opposto
a quello “micro” della psicologia, teorizzano una qualche unità nel sistema dei media
come sistema che, globalmente o in alcune sue parti, viene influenzato dalla società
nella quale opera.
McQuail [1985] oppone questi due modelli e ipotizza che esistano degli
orientamenti intermedi, quali quelli offerti dalla semiologia e dai Cultural Studies,
che, pur concentrandosi sullo studio del contenuto dei messaggi, offrono un possibile
anello di collegamento fra discipline diverse, quali quelle sociali e quelle letterario-
umanistiche. In questo modo permettono anche di riunire due tipi diversi di “studi
culturali”, uno orientato alla valutazione estetico-qualitativa dei prodotti culturali,
l’altro orientato all’analisi oggettiva della cultura, intesa in senso antropologico
[Geertz 1987]. Concentrandosi sullo studio del contenuto, latente o manifesto, dei
messaggi dei media, questo tipo di approccio misto permette un collegamento fra
dinamiche micro di interpretazione del messaggio e dinamiche macro di analisi della
società e delle interazioni dei diversi sistemi al suo interno.
Il problema di ritrovare un percorso di ricerca che superi la tradizionale
dicotomia fra ricerca “amministrativa”, riconducibile agli studi statunitensi,
chiaramente empirica e volta all’individuazione di dinamiche interne al sistema del
medium studiato, e ricerca “critica”, europea e interessata alle relazioni generali,
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teoriche, fra società, cultura e mezzi di comunicazione di massa, è evidenziato anche
da M. Wolf [1985].
Nel suo manuale, infatti, ipotizza che l’opposizione possa essere superata
grazie all’imposizione del modello sociologico come pertinente allo studio dei media
in quanto questo prevede, al suo interno, la possibilità di un approccio
multidisciplinare. Si rende quindi auspicabile una saldatura fra la sociologia della
conoscenza europea, interessata a individuare le determinanti del pensiero e lo studio
delle comunicazioni di massa statunitense, volto allo studio dell’influenza dei
messaggi dei media, come, del resto, ha già suggerito Merton [1970].
Il progetto, e la tendenza in atto, è quello di muovere verso un approccio
multidisciplinare che riesca a rendere conto e a raggruppare in uno stesso ambito
dimensioni e fenomeni fra loro diversi e analiticamente separati, ma complementari.
L’interesse linguistico e semiologico per i modi in cui il linguaggio organizza la
nostra esperienza, per i modi in cui i processi interpretativi attribuiscono senso ai
messaggi dei media e quindi indirizzano l’azione pratica, deve essere affiancato
dall’interesse sociologico per le dinamiche collettive di costruzione del senso e per i
modi in cui la rete di relazioni operante fra strutture organizzative dei media e
istituzioni sociali influenza la struttura stessa della società.
Un segnale incoraggiante nella direzione di una convergenza fra metodologie
semiologiche e sociologiche [Volli 1994 :17 – 48] può essere visto nell’evoluzione
dei modelli della teoria dell’informazione. Tali modelli tendono a diventare modelli
della teoria comunicativa. Infatti, dal modello matematico della teoria
dell’informazione di Shannon e Weaver [1949], che programmaticamente non
considerava la dimensione della significazione, ma che è stato fatto proprio anche da
linguisti influenti quali Jakobson [Wolf 1985:121], dagli esponenti delle teorie
psicologiche e da tutti gli studiosi che intendevano studiare il contenuto manifesto
dei messaggi [Berelson 1952], si è passato al modello semiotico-testuale [Eco, Fabbri
1978], passando attraverso quello semiotico-informazionale.
La transizione a modelli di impianto semiologico deve essere vista nell’ottica
dell’influenza del pensiero di alcuni pragmatisti americani, quali J.Dewey e C.S.
Peirce, per i quali la società è un sistema di significazione ed è regolato dai processi
di costruzione di senso che avvengono nell’interazione fra individui, istituzioni e
idee.
Il modello di transizione, definito semiotico-informativo [Eco e Fabbri 1965]
è caratterizzato dall’innesto del problema della significazione sul precedente schema
e dalla centralità dei concetti di codice e di decodifica, che introducono le possibilità
di “decodifica aberrante” e teorizzano lo scambio comunicativo fra un destinatore e
un destinatario come un processo di trasformazione e non più di semplice
trasmissione.
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Il modello semiotico-testuale [Eco e Fabbri 1978], invece, si caratterizza per
il fatto di superare completamente lo schema di Shannon e Weaver e di porsi come
un modello nel quale la relazione comunicativa si costruisce attorno a degli insiemi
di pratiche testuali piuttosto che grazie alla codifica, in base ad un codice, di
messaggi.
In questo modo si riesce a rispecchiare la situazione comunicativa creata dai
media di massa, caratterizzata dall’asimmetria strutturale fra emittente e ricettore, fra
destinatore e destinatario. La competenza comunicativa dei soggetti che ricevono e
interpretano un’insieme di messaggi, infatti, è data dall’esperienza che gli stessi si
sono formati nelle precedenti interazioni testuali, più che da un codice chiaramente
definibile. In questo modo abbiamo l’importante possibilità di collegare aspetti
sociologici di organizzazione dei media e aspetti comunicativi di costruzione degli
insiemi testuali. “Il modello consente di individuare il modo in cui un dato strutturale
degli apparati si trasforma in un meccanismo comunicativo e il modo in cui
attraverso questa mediazione incide sui processi di interpretazione, di acquisizione di
conoscenza, e in definitiva sugli effetti dei mass media.” [Wolf 1985:129-130]
Si è quindi giunti ad un modello comunicativo che contempla la possibilità di
dialogo fra dimensioni socio-antropologiche e linguistico-comunicative,
indispensabile al fine di una comprensione più ampia dei fenomeni legati ai media di
massa.
Partendo da presupposti teorici alquanto differenti, possiamo vedere nello
sforzo di J.Meyrowitz, un intento paragonabile a quelli precedenti: quello di
avvicinare dimensioni di analisi differenti e approcci fra loro eterogenei, al fine di
formare, sotto la comune guida della teoria sociologica, una teoria degli effetti dei
media.
Nel suo volume “Oltre il senso del luogo” [1995] lo studioso statunitense, al
fine di colmare la mancanza di un approccio soddisfacente ai media inseriti nel
contesto delle relazioni sociali, dice di voler rivolgersi a due teorie, per sviluppare
una fruttuosa interazione fra le due. Semplificando il suo ragionamento, possiamo
affermare che esse sono la “Teoria del medium” di Innis e McLuhan e il
“situazionismo” di Goffman. Il primo per spiegare gli influssi dei media come
“estensioni del sé” e ristrutturatori degli ambienti sociali, il secondo per spiegare
come le variazioni relative alla costituzione dell’ambiente sociale influiscano a
livello di definizione della situazione e quindi di comportamento individuale,
secondo la celebre metafora della rappresentazione teatrale, che sintetizza
efficacemente la teoria di Goffman della diversa rappresentazione del sé in relazione
alle varie situazioni.
Lo sforzo di Meyrowitz è stato quello di colmare il divario teorico fra queste
due teorie al fine di creare una teoria integrata dell’influenza dei media sul
comportamento sociale.
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Il tentativo di conciliare un livello macro di analisi (le variazioni culturali e
istituzionali introdotte dai nuovi media di comunicazione) ed un livello micro
(l’analisi dei comportamenti in situazioni particolari e definite e l’enfasi
sull’interazione faccia a faccia) è uno sforzo, come abbiamo già sottolineato,
invocato da molti. A tal proposito Meyrowitz ha formulato alcuni concetti volti a
questo scopo; essi sono il concetto di “campo percettivo” e di situazione intesa come
flusso informativo. Analizziamoli più da vicino.
Ciò che definisce una situazione di interazione, ciò che pone i limiti alla
nostra esperienza è il nostro livello di percezione di quella data situazione. Una
situazione sarà definita da quanto l’individuo percepisce soggettivamente di essa. Il
livello di percezione, l’ampiezza del campo percettivo è determinata sia da variabili
individuali che collettive.
Un singolo individuo può avere un determinato campo percettivo in virtù
delle tecnologie che in quel dato momento sono a sua disposizione, della sua
personale capacità di utilizzare e di interagire con le nuove tecnologie o anche,
banalmente, dal fatto di essere miope e di non avere con sé gli occhiali: queste sono
tutte variabili individuali, che sono però influenzate e determinate da variabili
collettive e sociali, quali possono essere, ad esempio, l’esistenza e l’accettazione di
una data tecnologia in una società.
I media elettronici, e il Web in particolare, ristrutturano il nostro campo
percettivo.
Attraverso il Web, per esempio, il soggetto ha accesso ad una quantità
sterminata di informazioni, ha percezione di una quantità di fattori che non ha nelle
relazioni non mediate dal computer e dalle reti di telecomunicazione. Il suo campo
percettivo sarà quindi mutato: la situazione, oltre alla dimensione fisica, è data anche,
e soprattutto, da quanto il soggetto è in grado di conoscere ed effettivamente
conosce.
Se attraverso un sistema di computer conferencing l’individuo accesso ai
comportamenti verbali e gestuali di altre persone, la situazione non sarà delimitata
dallo spazio fisico in cui si trova, ma dalle informazioni che gli arrivano grazie alla
rete.
La situazione, in particolare nelle relazioni mediate dal computer, deve essere
definita come flusso di informazioni, in quanto la dimensione cognitiva diviene
fondamentale. In un ambiente, infatti, che viene definito virtuale, le relazioni sono
per lo più di livello cognitivo, legate quindi all’elaborazione di informazione. I flussi
informativi sono, quindi, i protagonisti degli ambienti elettronici e del Web in
particolare, in quanto grazie alle reti l’informazione ha assunto un carattere di
condivisibilità e di trasferibilità senza precedenti.
Le nuove possibilità di gestione della conoscenza, sotto forma di
informazione digitalizzata condivisibile e trasferibile in tempo reale, portano al
14
mutamento dei canoni di definizione delle situazioni di interazione, in quanto danno
la possibilità di superare molte delle barriere spazio-temporali prima invalicabili.
Avremo, quindi, sia un nuovo modo di definire le situazioni (situazioni come
flussi informativi) che nuove situazioni (le situazioni create dalla comunicazione
mediata dal computer, per esempio).
Se a questo aggiungiamo che diversi gruppi sociali hanno modelli di accesso
all’informazione differenti, possiamo anche abbozzare una teoria del cambio sociale
in una società. Questo è il tipo di indagine che ha svolto, in modo assai convincente,
J. Meyrowitz nel volume già citato.
L’opera di Meyrowitz è, quindi, un’indicatore della più generale tendenza in
atto delineata e auspicata da Wolf, che individua la possibilità di un’unificazione dei
modelli della mass communication research, sotto la comune guida dei paradigmi
sociologici in quanto questi possono prevedere un approccio pluridisciplinare allo
studio dei processi di comunicazione. La convergenza fra metodologie tipiche dello
studio “amministrativo” dei messaggi veicolati dai media e aperture teoriche tipiche
delle grandi teorie “critiche” sembra essere la strada intrapresa da Meyrowitz e dagli
ambienti più reattivi agli stimoli metodologici e conoscitivi che nascono da
un’analisi attenta dei fenomeni comunicativi.
La necessità di un quadro teorico di riferimento ampio, che riesca a cogliere i
problemi delle società moderne nella loro totalità, e che non si cristallizzi in studi
meramente empirici e basati solo sull’analisi parziale di fenomeni sincronici, è ben
delineata da queste parole di Adorno [1962]: “La teoria critica è in grado di portare
avanti il rapporto tra teoria e fact-finding – un rapporto di cui si sente continuamente
l’urgenza ma che si continua a rinviare.. ”. La storica opposizione fra approcci
empirici e teoretici ha però portato i due orientamenti a irrigidirsi in posizioni
contrapposte: lo sforzo attuale è quello di coniugare la ricerca empirica con delle
solide assunzioni teoriche; di questo sforzo sono testimoni gli avanzamenti delle
teorie comunicative e l’emergere di problemi che impongono una
concettualizzazione che possa comprendere entrambe le tendenze [Wolf 1985:99].
Un approccio teorico che vede i cambiamenti e le innovazioni nel campo dei
media come le variazioni degli stili architettonici o ai cambiamenti nei modelli di
urbanizzazione o di produzione industriale, che intende il ruolo dei media come
creatori di ambienti, sembra possa apportare un significativo riferimento teorico, che
offre la possibilità di mettere in evidenza come questi inducano delle mutazioni
sociali, politiche e antropologiche e permette di studiare empiricamente i dati che ne
sono indice.
Un approccio di tal genere trova il suo nucleo nella sintesi fra modelli
appartenenti a più discipline, anche sensibilmente differenti fra di loro: il modello e
la metodologia che si sviluppano seguendo queste indicazioni, infatti, trae elementi
dall’analisi storica degli avvenimenti sociali e considera fattori e dati di ordine
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psicologico, antropologico e linguistico, che, appunto, possono avere senso in
riferimento ad un teoria di ampio raggio. Il raggiungimento di una teoria così
generale può essere ottenuto attraverso una sintesi che comporta uno sforzo notevole
ed anche una semplificazione ed una schematicità dei concetti forse eccessiva, ma il
suo valore euristico può sicuramente fare da contrappeso agli svantaggi e alle
approssimazioni.
Nel prossimo paragrafo analizzerò più da vicino quella che da alcuni studiosi
è stata chiamata la prospettiva Innis – McLuhan – De Kerckhove, che ha teorizzato e
applicato questo metodo d’analisi, volto, secondo Meyrowitz [1997], all’analisi delle
caratteristiche dei media stessi, su ciò che rende ogni medium “fisicamente,
psicologicamente e socialmente diverso dagli altri media e dall’interazione faccia a
faccia, a prescindere dai particolari messaggi che sono comunicati per suo mezzo”.
Una prospettiva tale può essere proposta come un background teorico a cui
riferirsi sia in vista di avanzamenti e di integrazioni teoriche sia in vista
dell’interpretazione di dati raccolti empiricamente.
1.2 La prospettiva Innis – McLuhan – De Kerckhove
Con questo nome Bruno Sanguanini [2000], nel volume da lui curato,
“Informazione e Multimedia” definisce la metodologia d’analisi nata a Toronto con
Innis e McLuhan e sviluppata in questi anni da De Kerckhove.
Ricordiamo a proposito che il “Times Literary Supplement” ha definito, nel
giugno 1989, la Toronto di H.Innis. E. Havelock e M. McLuhan come “Per un breve
periodo il centro intellettuale del mondo”.
Harold Innis fu uno storico dell’economia delle comunicazioni e non fece
altro che applicare la stessa metodologia d’analisi che utilizzò per studiare l’impatto
delle infrastrutture di trasporto nordamericane ai mass-media. L’analogia è
giustificata dal fatto che entrambi trasportano e mettono in comunicazione punti
distanti fra loro: sono entrambi medium di comunicazione, la differenza risiede nel
tipo di entità trasportata, visto che un medium di trasporto tradizionale trasporta
persone o cose fisiche, mentre un medium di comunicazione trasporta informazione,
ormai quasi interamente digitale.
La metodologia proposta da Innis è basata sull’analisi retrospettiva, che ha lo
scopo, attraverso lo studio del passato, di portare utili elementi alla comprensione del
presente e all’elaborazione teorica.
Lo scopo è quello di capire come i processi culturali sono influenzati
dall’introduzione delle tecnologie di comunicazione, come l’introduzione e
16
l’accettazione sociale di un nuovo medium cambi il modo di vedere il mondo,
ristrutturi gli ambienti sociali, i rapporti di potere al suo interno e le dinamiche
percettive individuali.
Il concetto del più famoso esponente di questa scuola, McLuhan, che ipotizza
che i media funzionino come estensioni del sé è orientato precisamente a spiegare
l’intuizione di Innis.
Secondo McLuhan le nuove tecnologie di comunicazione vengono
interiorizzate dal soggetto in modo così completo che “Da una parte mettono in
forma l’utilizzatore. Dall’altra, però, fanno sì che quest’ultimo creda o ritenga di
essere il protagonista…Il contenuto dei modi di fare società è il modo o il complesso
dei modi di fare cultura. Di concerto, il contenuto dei modi fare cultura sono i modi
– più primitivi o più innovativi di - fare società.” [Sanguanini 2000:72] .
I media, in quanto tecnologie di comunicazione, diventano parte integrante
del linguaggio in uso presso una società, ne sono influenzati e lo influenzano. Ciò
che è particolarmente interessante è la sproporzionalità del condizionamento fra
cultura e società, entrambe influenzate dalle nuove tecnologie sia singolarmente che
nei modi del rapporto.
D’altra parte, il linguaggio offre un modo ed una struttura per elaborare la
conoscenza, per pensare: condiziona e determina, in parte, il pensiero, inserendolo in
una cornice le cui caratteristiche derivano dalle particolarità di quella determinata
tecnologia. [De Kerckhove 1993].
Abbiamo quindi un circuito di fenomeni e di istanze, i cui elementi
fondamentali sono le strutture di pensiero, i linguaggi, le dinamiche sociali e le
nuove tecnologie di comunicazione, fra cui esistono dei legami di interdipendenza e
di feed-back non proporzionali.
Analizziamo ora il concetto di psicotecnologia, che può rivelarsi uno
strumento ed un anello di collegamento utile per mettere in relazione le realtà sopra
enunciate.
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1.3 Le psicotecnologie
Una psico-tecnologia amplia o comunque influenza le funzioni sensoriali e
cognitive della mente umana.
Dall’analisi parallela dei concetti di media come estensioni del sé e dei media
come psicotecnologie, possiamo vedere come uno sia l’evoluzione dell’altro: nel
concetto di De Kerckhove di psico-tecnologie, abbiamo una visione più articolata e
ampia del concetto di McLuhan di media come estensioni del sé.
Nella definizione di De Kerckhove [1995:30] ”I sistemi di elaborazione
dell’informazione come computer e video sono estensioni di alcune delle principali
proprietà psicologiche della nostra mente. In questo senso possono essere definite
tecnologie della psiche: psicotecnologie”.
Una psicotecnologia è quindi un medium o una tecnica che, per il suo stesso
modo di funzionare, richiede all’intelletto umano di utilizzare le sue capacità in
maniera diversa e, probabilmente, amplificata; se queste modalità di utilizzo
dell’intelletto si stabilizzano e si sedimentano nell’uso, avremo delle modificazioni
delle nostre capacità percettive, che potranno condizionarci anche nell’agire sociale,
oltre che nell’organizzazione interna della psiche.
È interessante notare che lo stesso processo può avvenire anche in senso
contrario, nel senso che determinate modalità di azione sociale possono condizionare
l’utilizzo delle tecnologie e l’interpretazione della loro utilità e modificare, di
conseguenza l’organizzazione interna della psiche.
Le psicotecnologie sono rappresentate, in particolare, dalle reti di
elaborazione dell’informazione; queste reti modificano il nostro modo di agire
sociale (ad esempio, non dovremo più viaggiare per partecipare alle conferenze, nel
caso di utilizzo spinto della videoconferenza), nel senso che modificano
“l’interazione fra il linguaggio e il nostro organismo o fra la mente e la macchina”
[De Kerckhove 1995:211] .
Possiamo notare, allora, che i mutamenti possono essere favoriti sia da
componenti psicologiche che da componenti sociali: ci troviamo di fronte a dei
fattori che si influenzano reciprocamente e ricorsivamente.
Allo stesso modo ed in analogia con le altre tecnologie di trasporto e quindi
comunicazione l’estensione è paragonabile a quella che l’automobile attua nei
confronti del piede o la pelle nei confronti della mano.
L’utilizzo dell’automobile ha portato, ad esempio, a dei cambiamenti
dirompenti sia a livello sociale che psicologico.
Le abilità psicologiche necessarie per guidare un’automobile sono, infatti, ben
diverse da quelle utilizzate per camminare a piedi e ciò ha portato, a livello sociale,
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alla nascita di istituzioni apposite per l’insegnamento, quali le “Scuole Guida”. La
consuetudine sociale, invece, di utilizzare l’automobile anche per tragitti minori, ha
indotto a modificare il tratto psicologico che ci suggeriva la misura dei tratti di strada
percorribili a piedi; infatti, per chi ha la consuetudine personale, sicuramente
influenzata da delle credenze collettive e sociali, di usare abitualmente l’automobile,
la stessa distanza apparirà più faticosa e “lunga” rispetto a chi non è abituato ad un
utilizzo di tal genere.
Gli esempi possibili dei cambiamenti, incrociati e retroattivi, fra dimensioni
psicologiche e sociali nell’introduzione di una nuova tecnologia sono molteplici e
probabilmente più convincenti di quelli qui abbozzati.
Il punto importante da affermare è che, nel concetto di De Kerckhove di
psicotecnologia, viene enunciato in maniera forte l’influsso delle tecnologie (della
comunicazione) sulla nostra mente, nel senso di un’estensione delle sue capacità.
L’influsso forte dei linguaggi in uso in una società sulle strutture di pensiero e
quindi di azione sociale trova in De Kerckhove un convinto assertore, che non
dimentica però che le modalità d’interazione fra ambiente psicologico, interno al
soggetto, e ambiente sociale, che trascende la dimensione individuale, sono
asimmetriche.
L’alfabetizzazione tecnologica, in senso micro, come psico-alfabetizzazione
del singolo, intrecciandosi con l’alfabetizzazione tecnologica in senso macro, come
tecno-alfabetizzazione della società, crea un ambiente intermedio, che si offre come
punto dove svolgere la mediazione sociale, dove creare i significati sia individuali
che collettivi rinnovati o favoriti dai processi di innovazione.
Lo studioso canadese porta varie evidenze empiriche a questa teoria: uno di
questi può essere quel fenomeno che, sulla scorta del concetto che McLuhan ha
evidenziato nel suo “Gli strumenti del comunicare” [1968] sotto il nome di “narcosi
di Narciso”, egli chiama “tecnofeticismo”.
Il tecnofeticismo non è altro che la conseguenza dell’interiorizzazione piena e
completa delle nuove tecnologie, della loro essenza di psicotecnologie: precisamente
è quel fenomeno che porta a cercare sempre la tecnologia più avanzata, che porta
l’automobilista a desiderare un’auto che offra delle prestazioni al di sopra dei limiti
consentiti dalle leggi stesse.
Se la natura delle psicotecnologie è effettiva, il soggetto sarà sempre tentato
di avere delle estensioni della propria persona, del proprio fisico e della propria
mente, il più efficienti possibili: se una psicotecnologia è tale, induce al
tecnofeticismo.
Questo fenomeno è caratterizzato dal fatto di essere a-razionale e inconscio,
in quanto le tecnologie vengono interiorizzate nel più profondo della nostra mente,
ne divengono un’estensione.