3 Introduzione Il presente studio si propone di analizzare uno degli ambiti meno studiati in Italia: pone
infatti il suo focus sul fine pena, cioè il momento dell’uscita dai circuiti penali e sulle
aspettative future di coloro che sono detenuti. Sono stati intervistati tramite questionario
anonimo persone recluse in procinto di finire di scontare la detenzione e alcune persone
detenute con la pena dell’ergastolo. Nel corso dell’elaborato saranno riportate anche delle
interviste che la candidata ha potuto effettuare lavorando presso la comunità terapeutica Oasi
della Fondazione San Gaetano. Proprio grazie all’esperienza formativa svolta presso la
comunità, inizialmente come Servizio civile Universale e successivamente come educatrice
è nato l’interesse di analizzare e sviluppare tale argomento, poiché ho potuto osservare di
persona le difficoltà che chi ha passato anni all’interno del circuito penitenziario spesso
riscontra nel momento in cui si avvicina alla libertà. È evidente che purtroppo la società,
almeno per ora, fatica ad ascoltare chi ha sbagliato e ad accettare che il cambiamento possa
esserci e che se si è commesso un errore una volta, questo non deve divenire un tratto
identificativo dell’individuo. Nel primo capitolo il focus sarà posto sul reinserimento sociale. Verranno inizialmente
descritte le finalità della pena e condotta un’analisi per comprendere se il carcere oggigiorno
è più rieducativo o punitivo. Saranno poi analizzate le attuali politiche carcerarie adottate in
Italia per capire se producono maggiore o minore recidiva, verrà poi presa in considerazione
la differenza tra le misure alternative e il carcere con un’osservazione su come queste due
tipologie penali vengano vissute in maniera diversa dai detenuti e quanto influiscono sulla
commissione di nuovi reati una volta liberi. Il secondo capitolo sarà incentrato sulla ricerca vera e propria. In primis verranno spiegate
la metodologia utilizzata per ricavare i dati e le problematicità riscontate per ottenerli.
L’elaborato poi si focalizzerà sui diversi ambiti collegati al fine pena, quali l’istruzione, il
lavoro, la situazione economica, i problemi abitativi, le malattie e i problemi psicologici per
i quali verrà analizzata sia la situazione che si vive durante gli anni di reclusione sia quella
che si prospetta nel post-detenzione. L’ultimo capitolo sarà principalmente basato sulle reazioni e le aspettative di coloro che
stanno finendo di scontare la pena. Verranno analizzati i legami familiari delle persone
recluse, quali vengono mantenuti sia durante il regime detentivo che una volta tornati uomini
liberi e quanto la mancanza di socialità incida sulla vita dei ristretti. Successivamente verrà
messa in evidenza la funzione dello Stato e delle istituzioni per capire quale sostegno offrano
4 a coloro che sono in procinto di uscire dai circuiti penali, anche se è nota la scarsità
dell’intervento istituzionale dopo l’uscita. L’obiettivo finale sarà quello di conoscere le
aspettative, i bisogni, i desideri e le paure di coloro che hanno passato diversi anni in carcere
o in misura alternativa e sono pronti a tornare a vivere liberi in società. La parte finale
dell’elaborato tratterà le difficoltà e le discriminazioni che chi esce dal carcere è costretto a
subire e quanto lo stigma dell’ex-detenuto possa essere un ostacolo per il reinserimento
sociale. Con questo elaborato si vuole evidenziare un aspetto che la società odierna spesso dimentica,
cioè che tutti meritiamo una seconda possibilità e che anche chi ha sbagliato ha il diritto di
ritornare a vivere in maniera dignitosa. Bisogna considerare che la detenzione rappresenta
un evento traumatico per gli individui che ne vengono coinvolti. Francesco Ceraudo (1999),
medico penitenziario, definisce l’esperienza detentiva dicendo che “il carcere è un momento
di vertigine. Tutto si proietta lontano: le persone, i volti, le aspirazioni, i sentimenti, le
abitudini, che prima rappresentavano la vita schizzano all’improvviso da un passato che
appare subito remoto, lontanissimo, quasi estraneo”
1 . L'individuo è costretto ad abbandonare
il suo lavoro, la sua abitazione, gli affetti, ovvero tutti quegli elementi che costituivano il suo
progetto di vita. Il carcere rischia di rappresentare, per il soggetto detenuto, una seria
minaccia per la sua identità, per il suo sistema difensivo, per la sua autostima ed il suo senso
di sicurezza, una minaccia che nel tempo si concretizza in una progressiva disorganizzazione
della sua personalità
2 . “La liberazione non è libertà, si esce dal carcere ma non dalla condanna” (Victor Hugo, I miserabili, 1981)
1 F. Ceraudo, La sessualità in carcere: aspetti psicologici, comportamentali ed ambientali, in A. Sofri, F. Ceraudo, Ferri battuti,
Archimedia, Pisa, 1999. 2 http://www.adir.unifi.it/rivista/2002/bargiacchi/cap3.htm#1
5 1. Il reinserimento sociale (Re-Entry) Il fine pena è un momento delicato della vita di un detenuto, poiché dopo anni passati in
carcere o in misura alternativa si può tornare in libertà e quindi, si può finalmente rientrare
a fare parte della società. Sicuramente vi è più facilità nel rientro sociale per chi ha
l’appoggio di una famiglia solida, precedenti esperienze lavorative, un titolo di studio ed ha
del denaro a disposizione. Tuttavia, per coloro che sono poveri, senza nessun appoggio e
privi di capitale sociale, il rientro è una lotta continua
3 . In generale, il reinserimento dell'ex
detenuto nella società rappresenta una transizione delicata, piena di pericoli e possibilità
4 .
Se da un lato si tratta di uno dei momenti più attesi per un detenuto, dall’altra parte è anche
un momento pieno di preoccupazioni, ansie e paure per svariati motivi. In primis spesso un
ex-detenuto fatica a reintegrarsi socialmente poiché, nonostante lui abbia finito di scontare
la pena e sia un uomo libero, per la società resterà sempre un ex-detenuto con tutte le
discriminazioni e le difficoltà che questo implica. LeBel (2012) afferma che “le persone che
sono state in carcere continuano ad indossare strisce invisibili anche fuori” di fatti come
molti ex detenuti testimoniano è difficile tornare a vivere una vita pienamente normale. I
pregiudicati, una volta liberi, sono consapevoli del loro status sociale e sanno che le loro
opzioni sono fortemente limitate, il che significa che devono imparare a cavarsela da soli,
senza essere aiutati
5 . Un’altra problematica riguarda il fatto che chi esce dal carcere dopo
molti anni di detenzione deve fare i conti con una società che differisce notevolmente da
quella che ha lasciato, è come se la vita all’interno del carcere si fermasse ma quando si esce
ci si rende conto che nel frattempo il mondo è andato avanti e soprattutto negli ultimi decenni
in poco tempo ci sono stati cambiamenti enormi (pensiamo all’invenzione degli smartwatch,
delle macchine elettriche e a tutte quelle innovazioni tecnologiche che di anno in anno
modificano il nostro stile di vita). Inoltre, in molti durante la detenzione dimenticano come
esprimersi e impegnarsi in una conversazione "normale", si è spesso costretti a parlare solo
con i compagni di cella, con le forze dell’ordine, nei tribunali e agli incontri con i familiari,
quindi, i discorsi sono molto limitati e prettamente legati all’ambito della detenzione.
Quando si rientra in società si è costretti a reimparare a interagire con gli estranei, a far fronte
alle emozioni sepolte e a condividere paure e ansie che negli anni di detenzione si sono
3 Keesha M. Middlemass, Ph.D, “I Ain’t Going Back” Prisoner Reentry & the “Gray Area” between Success and Failure, Trinity University, Washington, 2014, p.15. 4 Shadd Maruna, Reentry as a rite of passage, Queen’s University Belfast, UK, 2011, p. 3. 5 Keesha M. Middlemass, Ph.D, “I Ain’t Going Back” Prisoner Reentry & the “Gray Area” between Success and Failure, Trinity University, Washington, 2014, p.5.
6 tenute per sé ed è difficile riacquisire fiducia negli altri e tornare a chiedere aiuto. Il rientro
comporta anche un riadattamento piscologico per apprendere a non essere sempre in “allerta
massima”, attitudine che è necessaria per sopravvivere alla detenzione, ma non è appropriata
all’esterno
6 . Avere precedenti penali comporta conseguenze devastanti. Crea barriere
all'istruzione, all'alloggio, all'assistenza pubblica, alla partecipazione civica e soprattutto
all'occupazione
7 . Altre difficoltà riguardano il riconoscimento dei titoli di studio, il riottenere
la patente di guida, trovare un mezzo di trasporto, i disturbi psichici e fisici dovuti agli anni
di detenzione, il riallacciare i rapporti con i familiari e soprattutto con i figli quando si è
entrati in carcere con loro piccoli e si esce trovandosi di fronte degli adulti, in molti devono
fare anche i conti con la tossicodipendenza o con le malattie come HIV e HCV che
potrebbero aver preso negli anni di detenzione, alcuni con la mancanza di abbigliamento
(delle volte si lascia il carcere solo con le poche cose con cui si era entrati) o di cibo e con i
problemi economici. In ambito lavorativo, per esempio, una fedina penale sporca è spesso
associata a una serie di tratti sfavorevoli attributi alla persona, tra cui problemi di salute
mentale o di tossicodipendenza, scarsa etica morale e mancanza di serietà sui luoghi del
lavoro. Di conseguenza, i datori di lavoro utilizzano spesso i precedenti penali come
meccanismo di screening sui moduli di domanda di lavoro, escludendo automaticamente le
persone con dei precedenti dai colloqui e da una possibile offerta di lavoro. Non viene quasi
mai tenuto conto, dai datori di lavoro, che i programmi di riabilitazione e di preparazione al
lavoro sono spesso forniti durante la detenzione, sebbene l'accesso possa variare a seconda
dello Stato, della struttura carceraria e del tipo di reato
8 . In ambito economico una grande
problematica è legata al fatto che molti ex-detenuti normalmente non hanno contanti e non
hanno conti in banca e al momento dell’uscita, sono spesso indebitati, o con il sistema
giudiziario o con le loro famiglie, con vecchi amici o nei casi più gravi hanno ancora conti
in sospeso con le associazioni mafiose o con altri delinquenti. Solitamente, un processo di
rientro è considerato riuscito a condizione che il detenuto rilasciato non commetta alcun
reato grave. La valutazione del rischio è diventata parte integrante del processo di
rilascio/reintegrazione del detenuto al punto da dominare la maggior parte delle altre
considerazioni
9 . In questo senso, la repressione della recidiva prevale su qualsiasi sforzo
istituzionale significativo per migliorare la stabilità socioeconomica, il benessere, la salute
6 Keesha M. Middlemass, Ph.D, “I Ain’t Going Back” Prisoner Reentry & the “Gray Area” between Success and Failure, Trinity University, Washington, 2014, p.16-17. 7 Terry- Ann Craige, Ban the Box, convictions, and pubblic employment, Economic Inquiry (ISSN 0095-2583), V ol. 58, No. 1 January 2020, p. 425. 8 Ibidem, p. 427. 9 Shadd Maruna, Reentry as a rite of passage, Queen’s University Belfast, UK, 2011, p. 20.
7 fisica e mentale e l’integrazione civica degli ex detenuti
10
. Ci si concentra sull'individuo e
sulla sua incapacità di rimanere lontano dall'attività criminale e si vede la recidiva come un
problema individuale, esplicitato in un nuovo arresto, una nuova condanna o una
reincarcerazione che denota l’incapacità di rientrare in società e di restarci vivendo nella
legalità. Solitamente una fedina penale sporca è considerata un segno di vergogna, qualcosa da
nascondere agli altri, un invito aperto per discriminazione ed esclusione sociale e si ritiene
che i detenuti debbano "pagare il proprio debito" alla società attraverso il loro tempo in
prigione. Invece si dovrebbero riconoscere gli sforzi di una persona nel reintegrarsi dopo
aver commesso un reato. Questi potrebbero includere sforzi immediati per scusarsi o fare
ammenda con le proprie vittime, un periodo di buona condotta all'esterno, sforzi per
riprendersi dalla dipendenza, trovare un lavoro produttivo, restituire qualcosa alla propria
comunità, o contribuire alle proprie responsabilità familiari. Va ricordato che anche in
prigione, molte persone fanno di tutto per offrire volontariamente il loro tempo e le loro
capacità in ambito prosociale. Bisognerebbe quindi considerare tutto il lavoro che la persona
ha fatto durante la detenzione su sé stesso e le sue intenzioni per ricostruire la sua vita e i
passi compiuti per raggiungere la libertà
11
. Il rientro è un processo continuo, ma avviene in
fasi diverse in cui gli individui si riconnettono con la famiglia, la comunità, la società e, in
molti casi, acquistano consapevolezza; tuttavia, gli studiosi continuano a concentrarsi solo
sulle variabili che predicono la probabilità individuale di commettere nuovi atti criminali e
della conseguente recidiva
12
. Un dato a conferma che il rientro in società è un periodo
altamente complesso per l’ex detenuto è quello fornito dal numero di recidive commesse ma
anche dagli alti tassi di suicidi tra gli ex detenuti recentemente rilasciati
13
. Eugene Wiesnet
(1960) racconta la storia di Hans K., morto a 19 anni, il giovane ritornato dal carcere minorile
dopo tre anni di detenzione si è visto negare dal suo villaggio di origine ogni riconciliazione.
Si impiccò per disperazione dopo 6 mesi, nella sua lettera di addio scrive “Perché gli uomini
non perdonano mai”
14
. Per quanto una persona possa cambiare quando esce dal carcere si
porta con sé lo stigma del detenuto ovunque andrà. Verrà considerato sempre pericoloso, con
l’idea che le persone non cambiano e che potrebbe tornare facilmente a commettere gli stessi
reati. Una volta assunta l’etichetta del deviante è quasi impossibile liberarsene. È difficile
10
Alessandro De Giorgi, Back to Nothing: Prisoner Reentry and Neoliberal Neglect, Article in Social justice (San Francisco, Calif.), December 2017, p.93. 11
Shadd Maruna, Reentry as a rite of passage, Queen’s University Belfast, UK, 2011, p. 19-20. 12
Keesha M. Middlemass, Ph.D, “I Ain’t Going Back” Prisoner Reentry & the “Gray Area” between Success and Failure, Trinity University, Washington, 2014, p.4. 13
Shadd Maruna, Reentry as a rite of passage, Queen’s University Belfast, UK, 2011, p. 4. 14
Eugene Wiesnet, Pena e retribuzione: la riconciliazione tradita, Giuffrè, Milano 1987, p.12.
8 far ricredere la società e far capire il cambiamento avvenuto, come riporta anche Catello
Romano (2021) in una lettera a sua firma che invia al quotidiano “Il Dubbio”, il 25 Gennaio
2021. Egli scrive un lungo ragionamento sul tema della detenzione e di come il sistema
carcerario italiano non metta in condizioni chi esce dal carcere di farsi una vita differente da
quella che aveva quando è entrato: “Una volta finiti in carcere, nel nostro paese, od anche
solo raggiunti da un avviso di garanzia, si è finiti socialmente, ci si figuri per chi, si è
macchiato di crimini tanto gravi, e la sciagura e lo stigma si estendono a cerchi concentrici
su familiari e non”
15
. Combattere contro questo stigma è difficile e molti autori e autrici
vedono il fine pena come una lotta definendo il “reentry as a struggle” (Middlemass 2017;
Middlemass e Smiley 2019; Maruna 2020). Le indagini sul re-entry (reinserimento sociale)
e sul fenomeno della recidiva si sono interrogate sull’effettiva disponibilità e accessibilità
delle reti relazionali e delle risorse sociali a disposizione di chi esce dai circuiti detentivi.
Non solo come spesso si sente dire il carcere ti cambia, ma anche le persone cambiano negli
anni di detenzione. Da sottolineare che l’Art.3 della costituzione italiana afferma che tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge. La dignità è riconosciuta
quale caratteristica dell’essere umano in quanto tale. La dignità umana si sostanzia nel diritto
al rispetto, sintesi di riconoscimento e di pari considerazione delle persone, in cui libertà ed
eguaglianza si fondono. Si deve affermare con chiarezza un principio, intrinseco allo stesso
concetto di dignità umana: essa non si acquista per meriti e non si perde per demeriti. Di
conseguenza dignità e persona coincidono: eliminare o comprimere la dignità di un soggetto
significa togliere o attenuare la sua qualità di persona umana. Ciò non è consentito a nessuno
e per nessun motivo
16
.Il carcere per come è congegnato confligge con la dignità, con
l’appartenenza al genere umano di chi vi è sottoposto, perché esclude dalla comunità e dalle
relazioni con gli altri
17
. Questa esclusione sociale rende difficile il rientro poiché dopo anni
passati in una cella a parlare con persone che sono nella stessa situazione si torna
all’improvviso a vivere in un sistema che nel frattempo è andato avanti e integrarsi non è
facile. Come avrò modo di analizzare nel capitolo sulle relazioni, una delle paure maggiori
emerse dai questionari è quella di sentirsi esclusi e soli. In Italia, come in molti altri paesi l’atteggiamento culturale secondo il quale la pena deve
consistere nella retribuzione porta la convinzione che chi esce dal carcere non può essere
15
Catello Romano, “Cosa vorrei fare da grande…sono in cella da quando avevo 19 anni”, su “Il Dubbio”, 25 gennaio 2020, pag. 12. 16
Oscar Chander, Pierandrea V olpato, Nadia Rozestraten, Debora Mosca, Giorgia Bisterzo, Un mondo parallelo, oltre le mura del
carcere, 2018, p.10. 17
Gherardo Colombo, Il perdono responsabile. Perché il carcere non serve a nulla, Adriano Salani Editore, Milano, seconda
edizione, 2020, p.42-59.