5
Introduzione
Con il presente lavoro si vuole portare alla luce l’esistenza del divario di
genere,presente anche nei Paesi considerati ad alto sviluppo umano. L’obiettivo è
quello di puntare ad un cambiamento culturale, che permetta ai due sessi di vivere in
armonia, godendo dello stesso trattamento in tutti gli ambiti sociali. D’altronde il
gender gap rappresenta una forte limitazione per la crescita e lo sviluppo di ogni
Paese.
Dopo aver accennato all’importanza del ruolo della donna in ogni società,
l’attenzione verrà focalizzata su alcuni indicatori demografici quali il tasso di natalità
e l’indice di fecondità determinanti per l’individuazione dell’esistenza o meno di un
elevato sviluppo di genere. Un’alta natalità, per esempio, l’assenza di qualsiasi
metodo di controllo delle nascite e la negazione di uno dei diritti che rendono una
donna libera quale il diritto d'aborto sono chiari segni di un Paese nel quale non
esiste alcuna considerazione per la donna.
Eppure qualcosa si sta muovendo da quando dal 1992 la Conferenza di Pechino ha
enunciato tra gli obiettivi da raggiungere per lo sviluppo sostenibile dell’intero
pianeta quello dell’equità sociale atto a compare i gap tra i ricchi e i poveri, tra i
paesi del nord e i paesi del sud del mondo, tra uomini e donne.
Il sesso femminile, che troppo spesso viene messo da parte o in secondo piano, con il
tempo inizia così a diventare argomento di dibattiti e pian piano si acquisisce la
consapevolezza che la società per progredire ha bisogno della collaborazione di
ambo i sessi, tanto da divenire uno degli obiettivi dell'agenda 2030.
Purtroppo però non tutti i Paesi si prodigano per il raggiungimento della parità dei
sessi, o anche di un piccolo miglioramento atto a evidenziare l’inizio di un cammino
volto alla riduzione del gender gap il capofila della discriminazione, di genere
sembra trovarsi in Arabia Saudita, dove per le donne, fantasmi senza voce, ombre dei
loro maharam non c'è posto.
Nel primo capitolo dell’elaborato si prenderà in analisi la transizione demografica e
la rispettiva densità aritmetica e fisiologica, individuando le zone con una speranza di
vita più alta e indicandole come “zone blu”. In seconda battuta si esaminerà l'indice
6
di mascolinità nelle diverse società, capendo come quest'ultimo spesso dipendi dai
flussi migratori. Successivamente in un capitolo a parte si discuterà dell'importanza
del ruolo femminile all'interno della società e di come questo influenzi l'andamento
demografico. Per questo motivo si affronteranno temi come quello della maternità e
dell'aborto, soprattutto in Paesi come l'India e la Cina, dove vige la legge del figlio
unico. Si passerà in esame la questione del gender gap e, attraverso l’indicatore del
Gender Equality Index si analizzeranno diversità nell'ambito economico, lavorativo,
del potere e della salute. A dover essere tutelate sono anche le bambine, soprattutto
in quei Paesi dove per preservare la loro “purezza” sono costrette a subire operazioni
atroci e inammissibili quali le mutilazioni genitali. Nell’ultimo capitolo si passerà
infine in rassegna l’analisi della condizione femminile in Arabia Saudita, dove in
prima battuta si analizzerà il trend demografico della sua popolazione e dello
sviluppo economico del Paese, che ha inevitabilmente portato a enormi flussi
migratori per colmare la mancante forza lavoro. Protagonista di queste pagine sarà la
donna e tutti i diritti a cui essa non ha accesso. L'analisi partirà dai dettami dell'Islam,
che rappresentano l'ordine giuridico della società. Si parlerà di come la donna si trovi
ad affrontare il mondo del lavoro, il matrimonio, il divorzio e il mantenimento della
prole. Spesso in queste realtà le donne e le bambine sono vittime di violenza e a
tutelarle sono i vari movimenti attivisti presenti nel Paese, che ogni giorno si
prodigano per ottenere una maggiore libertà del sesso femminile. In fine si prenderà
in esame gli obblighi legati al vestiario femminile, che rappresenta per le donne sia
uno strumento di libertà che di oppressione. In quest'occasione si analizzerà il testo
coranico e la sua errata lettura, spesso dovuta da mentalità retrograda e maschilista.
7
Capitolo I.
Società e popolazione
1.1 Accenni storici sulla popolazione
La crescita delle popolazioni mondiali dipende dalla relazione tra eros (amore) e
thanatos (morte), quindi tra sopravvivenza e riproduttività. Quest’ultima fino al
XVIII secolo si basava sull’equilibrio tra un’alta natalità e una mortalità altrettanto
alta). Dal XIX secolo si entra, invece, in una nuova fase caratterizzata dalla
persistenza di un’elevata natalità e da un repentino abbassamento della mortalità,
dovuto alle migliorate condizioni igienico sanitarie e a una maggiore disponibilità di
risorse. Questo è il periodo connotato dalla crescita demografica accelerata, che ha
portato la popolazione mondiale a raggiungere il suo primo miliardo all’inizio
dell’800 e al verificarsi delle migrazioni europee transoceaniche, per lo squilibrio tra
risorse e popolazione già previsto da Malthus nel suo saggio sulla popolazione del
1798
1
.
Il XVIII secolo fu un secolo decisivo per la crescita demografica, grazie alle
importanti scoperte effettuate nel campo delle patologie infettive, come, per esempio,
la scoperta del bacillo di Coch. È questo il periodo della “transizione demografica”,
ossia di quella fase dello sviluppo demografico contraddistinta dal declino della
mortalità, seguito dal declino della natalità
2
.L’ipotesi sarebbe quella di un’evoluzione
1
Il Saggio sul principio di popolazione(An Essay on the Principle of Population) è un testo di
sociologiapubblicato anonimamente nel sotto il nome fittizio di J.Johnson, in seguito identificato con
il reverendoThomas Robert Malthus.
2
Massimo Livi Bacci, Pianeta stretto. Bologna: Il mulino 2015, p.17.
8
uguale per tutte le popolazioni dei paesi esistenti in questo meraviglioso ma
controverso mondo.
1.2 Transizione demografica
Se si considera la popolazione del Novecento, essa sembra essersi quadruplicata
rispetto ai dati raccolti nell’Ottocento. Questo perché nelle diverse parti del mondo i
tassi di fecondità, natalità e mortalità sembrano essere diminuiti, provocando così un
aumento della durata media della vita, accentuando l’invecchiamento della
popolazione. Tutti questi mutamenti demografici hanno inciso sulla grande storia del
pianeta, sulle sue strutture e sulle relazioni familiari. Le rapidissime trasformazioni
delineate prendo il nome di “transizione demografica”: si verifica il passaggio da un
regime demografico tradizionale, basato su alti livelli sia di natalità che di mortalità,
a un regime demografico moderno, caratterizzato da bassi livelli sia di nascite che
decessi. Prima di arrivare alla transizione demografica,è necessario attraversare due
fasi: durante la prima si verifica una forte crescita della popolazione,durante la quale
la mortalità inizia a calare prima della natalità. Nella seconda fase della transizione
demografica, la crescita della popolazione rallenta fino ad azzerarsi. La popolazione i
giunge così a due “vittorie”: la sconfitta di morti precoci ed eventuali nascite
indesiderate.
Se si considera il regime demografico tradizionale,presente fino alla metà del
Settecento in Europa e fino al Novecento nel resto del mondo, si osserva una crescita
della popolazione lenta e discontinua durante la quale ogni donna generava circa 5 6
figli, ma nemmeno la metà di essi riusciva a superare l’età infantile. Ed ecco che la
mortalità infantile diventava un enorme macigno da superare. La crescita
demografica così lenta era dovuta anche alle risorse alimentari disponibili, le quali
spesso conoscevano drammatiche fasi di calo a causa di carestie ed epidemie. La
situazione sembra cambiare nel momento in cui aumenta la natalità e diminuisce la
mortalità. Se si considera ad esempio la popolazione europea, essa aumentò molto
rapidamente tra l’Ottocento e il 1914 grazie anche alla scomparsa della peste e alle
migliori condizioni igieniche della città. A migliorare la condizione dei cittadini
furono anche la rivoluzione agricola e quella industriale, e i trasporti più efficienti
consentirono la precoce transizione delle popolazioni verso Paesi come l’Inghilterra
9
e l’Europa nord-occidentale. I progressi medico sanitari permisero di abbassare
l’asticella della mortalità, ma a causa dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione
rallentò anche la natalità. Questo, però, non accadde nelle aree rurali, dove per i
contadini i figli costituivano utili braccia per il lavoro. Il calo della natalità riguardò,
invece, le città, dove mettere al mondo più bambini significava avere più bocche da
sfamare e dovere spendere enormi quantità di denaro, a causa anche della diffusione
della scolarizzazione obbligatoria e dell’imposizione dei limiti al lavoro minorile in
fabbrica.
In Europa il calo della natalità si verificò negli anni 20 del Novecento. Un’inversione
di tendenza si ebbe solo verso gli anni ’60, con il cosiddetto baby boom,«un tasso
eccezionalmente alto che non può verificarsi a lungo nel passato e che non potrà
resistere a lungo nel futuro»
3
.
Come si pensava, questo periodo durò poco. Infatti, durante gli anni ’70 si verificò la
cosiddetta crescita zero in tutto il Nord del mondo. Per quanto concerne la crescita
della popolazione nel Sud del mondo, avvenne verso gli anni ’50 e ’70, in un periodo
tardivo, dunque,rispetto al Nord del mondo, ma in un arco temporale molto più breve
e, quindi, più intenso. Tutto ciò fu il risultato di due fenomeni che si combinarono tra
di loro. Innanzitutto l’utilizzo di antibiotici e le vaccinazioni contro le malattie
infettive fecero diminuire rapidamente i tassi di mortalità. In secondo luogo la
natalità continuò ad essere alta perché persistettero nelle menti dei cittadini i modelli
culturali tradizionali delle società agrarie, basate su una forte subalternità delle
donne, che iniziavano prestissimo a generare figli (circa tra i 14 e i 15 anni).
Bisogna attendere fino agli anni ’80 e ’90 per un rallentamento della crescita della
popolazione. Fu proprio in questo periodo che iniziò al Sud la seconda fase di
transizione demografica, realizzata nei vari Paesi con tempi diversi: la prima ad
essere influenzata da questa seconda transizione fu l’Asia orientale, seguita
dall’America Latina. Invece, per quanto concerne l’Africa e il Medio Oriente la
seconda fase di transizione iniziò solo dopo gli anni 2000.
3
Paul Erlich, The Population Bomb. United States :Sierra Club, 1968, p.