INTRODUZIONE
Lo studio riportato in seguito intende indagare il mondo sconosciuto dei così detti orfani
bianchi, meglio definiti children left behind o orfani sociali.
L’idea nasce dalla curiosità personale di conoscere più a fondo la tematica,
considerando che una mia cara amica, di origine peruviana, ha un trascorso da bambina
left behind. Sua madre migra verso l’Italia alla ricerca di un lavoro, quando lei ha
solamente quattro anni. La mamma migrante è costretta a lasciare, almeno per un
periodo, la sua famiglia in Perù. Fino al ricongiungimento familiare avvenuto quattro
anni più tardi.
Gli orfani bianchi sono generalmente minori che rimangono nel paese d’origine mentre
i loro genitori emigrano alla ricerca di un lavoro.
Se parliamo di orfani bianchi non possiamo tralasciare la tematica della migrazione,
oggi di grande attualità, e di come le famiglie si trasformano se si sottopongono a
questo processo.
Parliamo di famiglie transnazionali. Queste «sviluppano spazi affettivi che superano e
travalicano le frontiere e, proprio grazie a questi, pur essendo i membri del nucleo
familiare dispersi in nazioni e continenti diversi, vivono, specialmente i figli, una
condizione di minor distanza».
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L’obiettivo di questo studio è quello di fornire una delucidazione sulle migrazioni
femminili in Italia, sugli orfani bianchi e sulle famiglie transnazionali in generale,
offrendo un possibile piano d’azione attraverso progetti realizzati o realizzabili che
siano di sostegno per questi soggetti.
L’educatore sociale attraverso la pianificazione e la stesura di progetti educativi mirati
può aiutare a prevenire o comunque a ridurre i rischi, le fragilità e le difficoltà che
incontrano le famiglie transnazionali: sia i genitori migranti che i figli rimasti nel paese
d’origine.
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Tognetti Bordogna M., Arrivare non basta. Complessità e fatica della migrazione, FrancoAngeli,
Milano, 2007
Per arrivare alla stesura di un progetto, l’educatore deve effettuare una presa in carico completa
dell’utente, considerando gli aspetti psicologici e sociali. Deve accompagnarlo nel suo percorso
di cambiamento e potenziamento, sostenendolo con le competenze professionali acquisite, con
l’aiuto dei servizi e della rete sociale.
Il presente lavoro è strutturato come segue:
Nel primo capitolo viene descritto il processo di migrazione, in particolare delle donne, dirette in
Italia, a partire dagli anni Settanta fino al nuovo millennio, con attenzione alle motivazioni che
spingono queste donne a migrare e a lasciare la loro famiglia alle spalle.
Nel secondo capitolo si analizza il mondo degli orfani bianchi: chi sono, quali sono le loro
caratteristiche e perché vengono definiti in questo modo. Sono presenti cenni storici sul
fenomeno, con particolare attenzione al caso degli orfani bianchi romeni, i quali presentano una
consistenza numerica non indifferente.
Nel terzo capitolo l’attenzione è rivolta alle famiglie transnazionali: vengono descritte le diverse
forme di famiglie transnazionali esistenti e le strategie che queste mettono in atto per riuscire a
mantenere vivi i legami familiari nonostante la distanza.
Infine una parte del lavoro è dedicata ai progetti a sostegno delle famiglie transnazionali. Il
primo Te iubeste mama/La mamma ti vuole bene mira al raggiungimento di una comunicazione
efficace tra madre e figlio lontani. Il secondo Programma formativo avanzato per il sostegno
della famiglia transnazionale ha come obiettivo una formazione completa e dettagliata per tutti
quei soggetti che si trovano ad entrare in contatto con la famiglia in migrazione. Il terzo progetto,
L’abbandono tra fiaba e realtà ha l’intento di favorire nel minore left behind una rielaborazione
del vissuto di abbandono dovuto alla migrazione della madre o di entrambi i genitori.
1. LE MIGRAZIONI FEMMINILI IN ITALIA
Una delle caratteristiche principali dell’immigrazione in Italia oggi è la crescita costante della
presenza femminile.
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I dati ISTAT sulla popolazione straniera residente in Italia nel 2017,
segnalano un maggior numero di donne: 2642899, contro 2404129 uomini.
Si tratta di un fenomeno rilevante di cui si sta accertando con metodi qualitativi:
l’appartenenza/provenienza geografica e culturale; la fascia d’età; il titolo di studio; il contesto
familiare originario; le motivazioni dell’emigrazione.
Basandoci sulla documentazione, sulle fonti in proposito
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e su quanto è stato finora pubblicato
in materia, cercherò di mettere in risalto le caratteristiche dell’emigrazione femminile.
Per cominciare ritengo tuttavia necessaria una breve ma significativa disamina storica.
Le prime ondate migratorie in Italia sono registrate intorno agli anni Settanta. Esse potevano
essere caratterizzate da interessi di tipo coloniale: vi erano ad esempio migranti provenienti
dall’Eritrea desiderosi di definire rapporti coloniali con l’Italia. Un’altra motivazione poteva
essere quella del culto religioso: il tentativo cioè di stabilire flussi migratori di cattolici tra l’Italia
e gli altri paesi che prevalentemente condividevano il medesimo credo. In questa fase infatti la
Chiesa Cattolica si occupava direttamente dell’accoglienza delle donne, del soddisfacimento dei
loro bisogni e di assegnare loro un posto di lavoro.
Un altro stimolo alla migrazione poteva essere di stampo politico. Esso ero particolarmente
presente per coloro che provenivano dal Nord Africa, dalla Somalia, dall’Eritrea e dal Corno
d’Africa.
Questi migranti, erano inoltre spinti verso l’Europa occidentale probabilmente perché in quegli
anni, questa regione si stava trasformando da luogo di partenza in una delle principali regioni di
destinazione per coloro che erano alla ricerca di un lavoro. Il boom economico e la carenza di
manodopera rappresentarono quindi fattori propizi alla emigrazione degli africani.
La realtà migratoria degli anni Settanta non creò alcun problema allo Stato italiano in quanto
esso non si sarebbe dovuto preoccupare né degli alloggi, garantiti dal datore di lavoro, né
dell’assegnazione di un posto lavorativo, assicurato dalla Chiesa.
Fra i migranti spicca un’attribuzione particolare assegnata alle donne, definite «donne della tripla
invisibilità»
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. Con tale denominazione si faceva riferimento al fatto che esse appartenevano a
specifiche associazioni religiose: si trattava di forme d'aggregazione che riproponevano identità
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http://www.demo.istat.it/strasa2017/index.html, ultima consultazione: 12/10/2018.
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Fonte dati: ISTAT, MIUR
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Tognetti Bordogna M., Arrivare non basta.
tradizionali su cui le donne fondavano bisogni, forme e percorsi di vita
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; al mercato del lavoro
isolato a cui prendevano parte e al fatto che esse, poiché non venivano viste vivere la città e la
strada, non erano oggetto d’interesse da parte dei mass media.
Sempre negli anni Settanta le immigrate sono anche provenienti, oltre che dai paesi già citati in
precedenza, dal Centro America, dall’America del Sud, dalle Filippine.
Ad esclusione delle rifugiate politiche, tutte queste donne svolgevano l’attività di colf,
inizialmente a tempo pieno; successivamente venivano assunte ad ore presso le famiglie. In
generale queste donne vivevano in grandi città italiane, come ad esempio Milano e Roma; le
regioni con maggior numero di donne immigrate in Italia negli anni Settanta risultavano infatti
essere la Lombardia, il Lazio e la Sicilia.
Solitamente le immigrate mantenevano un rapporto di tipo epistolare con i familiari rimasti nel
paese d’origine (verso cui facevano ritorno per periodi limitati) inviando loro sostegni di tipo
economico ma preferendo ricostruire sul suolo italiano la loro vita quotidiana.
Negli anni Ottanta alcuni paesi d’Europa introdussero politiche tese a bloccare l’immigrazione.
Per quanto riguarda l’Italia, fino al 1986 non venne approvata alcuna legge in materia ma
vengono predisposti interventi e regolamenti ad hoc. Nel 1982, si arriva al blocco totale degli
ingressi in Italia. Questo provvedimento si inserisce in un contesto di chiusura generale,
aggravato dalla crisi economica e dalla disoccupazione dilagante.
Uomini e donne asiatici e africani si diressero verso l’Inghilterra, la Francia e la Germania. Alle
motivazioni di tipo economico, si aggiunsero la volontà di crescere culturalmente, il desiderio di
libertà, la voglia di scoprire e conoscere un mondo nuovo, diverso. Questo anche perché la
cultura e la tradizione della gran parte dei paesi originari delle donne migranti erano (e, in alcuni
casi, sono tutt’ora) di tipo patriarcale, e prevedevano per loro una vita e un futuro di continua
sottomissione alla figura maschile. In questo orizzonte spesso non mancavano violenze,
attitudine appartenente soprattutto alle vedove o alle divorziate, soggette all’autorità parentale.
La migrazione rappresentava quindi una via di salvezza attraverso la quale riuscire a fuggire da
una cultura non più sentita come propria.
A differenza dell’ondata migratoria degli anni Settanta in cui le donne venivano definite invisibili,
gli anni Ottanta sono contraddistinti da un’elevata visibilità nei confronti delle immigrate dovuta
all’equilibrio tra il numero di donne e il numero di uomini provenienti da paesi stranieri.
In questa fase le donne hanno compiuto un passo avanti nel loro percorso di emancipazione.
Sono riuscite ad uscire, almeno in parte, dalla segregazione entro cui erano costrette dal mercato
del lavoro domestico. Questa conquista è stata frutto della relazione stabilita con gli autoctoni,
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http://www.juragentium.org/topics/women/it/facchi.htm, ultima consultazione 12/10/2018