INTRODUZIONE:
Nell’approcciarmi a questo lavoro, che ha scaturito in me grande
soddisfazione, mi sono posta come obiettivo un’analisi approfondita
dell’avvenimento storico più importante in assoluto: la scoperta
dell’America.
É pensiero comune guardare la figura di Colombo con un occhio di
ammirazione e di rispetto, vedendo in lui il “portatore di modernità”
che ha permesso l’evoluzione e la civilizzazione di popoli barbari.
Ma è proprio così?
Ecco, io mi sono proposta di andare a fondo a questa domanda, di
scoprire chi realmente fu Cristoforo Colombo e cosa fece realmente
durante la scoperta dell’America. Sono partita da ciò che lui stesso in
prima persona ha lasciato come testimonianza, il suo Diario di Bordo,
per poi analizzare il rovescio della medaglia, ovvero testi in cui il
soggetto è lo stesso Colombo e in cui i fatti accaduti sono narrati in
modo decisamente differente. Bartolomé de Las Casas, con la sua
Brevissima relazione della distruzione delle Indie, è forse la più
importante testimonianza della voce di chi venne sottomesso e
torturato per anni e anni in una lotta alla supremazia e all’ottenimento
del potere assoluto scaturiti da una sfrenata corsa alla ricerca dell’oro,
principale motivo per cui queste terre furono martoriate.
La figura del buon selvaggio introdotta dallo stesso Colombo si
contrappone alle esperienze dirette vissute da Las Casas, inviato come
evangelizzatore di questi popoli barbari e diventato poi il principale
difensore dei diritti degli stessi.
Le differenze culturali, religiose, tradizionali esistenti tra queste due
civiltà innescano la nascita di una cospicua letteratura, ispirata per lo
più da eventi realmente accaduti in cui la matrice fondamentale è
l’attaccamento alla terra e alle tradizioni delle tribù indigene.
Perciò, se nella prima parte del lavoro ho analizzato l’aspetto più cupo
e triste della Conquista, nella seconda e terza parte ho privilegiato
l’aspetto positivo di cui la letteratura indigenista si è fatta portatrice.
Cumandá e L’Arcano sono, dunque, le due opere che ho privilegiato;
esaltatrice della matrice romantica il primo e dell’attaccamento alla
terra il secondo, sono state opere che particolarmente ho amato e letto
con estremo piacere. Due opere differenti, elaborate e scritte da due
autori altrettanto differenti, ma che si legano per quello che era, ed è
ancora oggi per le tribù indigene, il valore più importante,
l’attaccamento alla terra intesa come valorizzazione di una vita umile
oltre al rispetto per le diverse culture presenti, che possono entrare in
contatto tra di loro senza per questo dover innescare lotte e soprusi.
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CAPITOLO I:
LA SCOPERTA E CONQUISTA DEL NUOVO
MONDO: DALLA VISIONE DEL “BUON
SELV AGGIO” NEI DIARI DI COLOMBO, ALL’
“OLOCAUSTO AMERICANO” NELLE OPERE
DI BARTOLOMÉ DE LAS CASAS.
Como niebla vi los blancos
En muchedumbre llegar,
Y oro y más oro queriendo,
Se aumentaban más y más
Dall’ Atahuallpa Huañuy (Elegia a la muerte de Atahualpa)
1.1. L’ambizione di Colombo nella ricerca delle “Indie” e
la sua giustificazione della stessa come “Volontà di Dio”
nella sua lettera a Luis de Santángel.
Dei viaggi di Cristoforo Colombo, determinato e coraggioso
navigatore nato nel 1451, e legato fin dall’adolescenza ad un estremo
bisogno di spingersi alla scoperta dei confini del mondo, conosciamo
pressoché tutto.
Della sua infanzia e gioventù sappiamo ben poco, così come è in
dubbio la sua origine italiana, per cui sono state messe in
contrapposizione ipotesi circa natali spagnoli o portoghesi. Ciò che
conosciamo con precisione riguarda il suo instancabile interesse per
l’ambiente marittimo, per la navigazione e per l’avventura.
In tutto questo l’ambiente genovese e la sua florida economia
marittima fecero da stimolo importante nell’accrescere il suo istinto di
navigatore, istinto maggiormente pulsante a mano a mano che la
situazione politica genovese andava via via trasformandosi in una vera
e propria instabilità. Questo, legato al suo desiderio di scoprire nuove
terre, lo spinsero già in tenerissima età ad imbarcarsi in alcuni viaggi
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che lo condussero in nuovi territori aumentando sporadicamente la sua
attitudine da scopritore. Da ricordare la forte influenza che Colombo
ricevette dalla lettura dell’opera di un altro grande navigatore, ovvero
Marco Polo. Grazie a numerose ricerche si è arrivati oggi a
comprendere che l’opera oggi nota come Il Milione sia stata
originariamente scritta in francese, da cui il titolo originale di
Devisement du Monde. Esso si presenta come un resoconto dei viaggi
1
che lo stesso Polo fece in Asia insieme al padre e allo zio paterno,
viaggi che lo condussero fino alla corte di Kublai Khan, nipote di
Gengis Khan. Grazie a questi viaggi divennero emissari del Khan, con
cui istituirono un salvacondotto che permetteva loro di muoversi
liberamente all’interno di tutti i territori sottoposti al dominio
mongolo. Rilevante, poiché fonte di grande ispirazione per Colombo
2
nella stesura dei suoi diari di bordo, è lo stile con cui esso viene steso.
La forte presenza di descrizioni con tanto di particolari fantastici
annessi inducono il lettore ad immedesimarsi in un viaggio che si
presenta come una vera e propria trasposizione da una realtà fisica ad
una immaginaria e fantastica, dove l’elemento del meraviglioso fa da
sfondo sino ai minimi particolari. Leggere questo volume fu per
Colombo un grande stimolo per il suo desiderio di raggiungere le
estremità del mondo, tanto da decidere di conservare con sé l’opera
anche durante i viaggi che fece.
Il primo di questi viaggi avvenne nel 1473 e fu diretto alla volta di
Chio in Grecia, dove rimase circa un anno e dove scoprì l’importanza
ed il valore delle spezie.
Successivamente partì alla volta del Portogallo, da dove poi raggiunse,
in un viaggio alla ricerca dei territori più reconditi del globo, dapprima
l’Inghilterra e l’Irlanda, per poi arrivare fino all’Islanda, terra a cui
era associato il “Mito di Thule”, e considerata proprio la fine del
mondo.
Fondamentale sarà il viaggio e la permanenza nella località di Porto
Santo, isola del Portogallo sulle cui coste giunsero trasportati dalle
onde vari strani reperti, tra cui canne di bambù (pianta non esistente in
Europa al tempo), legni non originari del luogo e, in alcune occasioni,
perfino cadaveri.
Questi reperti, ma soprattutto i cadaveri, fecero balenare a Colombo
Giovanni Battista BALDELLI BONI, Viaggi di Marco Polo illustrati e commentati,
1
Giuseppe Pagani Editore, Firenze, 1827.
Articolo pubblicato da «National Geographic» il 19/03/2020, Lo straordinario viaggio
2
di Marco Polo, in <https://www.storicang.it/a/straordinario-viaggio-di-marco-
polo_14697>, visitato il 18/05/2020.
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l’ipotesi che al di là delle Azzorre ci fossero altre terre sconosciute. I
dubbi vennero incrementati dall’osservazione e dallo studio di questi
cadaveri, dei quali notò particolarmente la carnagione atipica e i
connotati mai visti prima. Iniziò così a maturare l’idea di raggiungere
l’Oriente navigando da Occidente anche se, per ottenere
l’approvazione della corona spagnola, si rese conto di aver bisogno di
supporto anche a livello economico.
La prima persona a cui si rivolse fu il Re Giovanni II del Portogallo
nel 1483, per il quale iniziò a compiere alcune navigazioni con la
speranza di ottenerne il consenso e l’aiuto necessario per finanziare la
sua impresa. Ciononostante, la scarsa conoscenza della geografia,
l’approssimazione delle carte geografiche, nonché le pretese di
Colombo dettate da una spiccata arroganza, indussero il Re, nel 1484,
a rifiutare la proposta del navigatore spingendolo a cercare aiuto
presso i nemici del Portogallo, ovvero i sovrani spagnoli. Va spiegato
che Colombo ambiva sì a spingersi verso i confini del mondo, ma le
sue finalità erano anche e principalmente legate ad un tornaconto sia
economico che politico e sociale. Tra le sue richieste vi era non solo la
pretesa di ottenere navi ben rifornite sia per quanto riguarda le scorte
alimentari e di sostentamento, sia di uomini, armi e munizioni
sufficienti, ma anche l’ottenimento della nomina di cavaliere, la quale
gli avrebbe garantito l’appellativo di Don Cristoforo Colombo, con
tutti i meriti e i favoritismi che ne conferivano, a lui e a tutta la sua
discendenza. Inoltre, egli chiedeva che gli fosse conferito anche
l’appellativo di “Ammiraglio dell’Oceano”. A livello economico le
sue pretese non furono da meno: egli infatti chiedeva il
riconoscimento delle terre e dei territori da lui scoperti come di sua
proprietà. Le richieste continuavano con la pretesa che gli fossero
garantiti 1/10 dei metalli preziosi da lui rinvenuti e 1/10 dei guadagni
ricavati dal commercio tra il Portogallo e le Indie.
Queste sue esponenziali pretese, oltre ai motivi già citati circa la
scarsa conoscenza della Terra e la mancanza di carte dettagliate,
andarono ad aggiungersi all’insorgere di vere e proprie leggende
riguardanti mostri marini giganti e tutto l’insieme non fece che
procurare al navigatore rifiuti su rifiuti.
Va riconfermata tuttavia la determinazione dell’Ammiraglio, la quale
fu fondamentale nell’estenuante processo di ricerca di finanziatori per
la sua spedizione. Ottenuti i primi rifiuti, Colombo rimase comunque
fedele al suo proposito, tanto da perseverare nella ricerca di possibili
sostenitori. Lungo il cammino che lo spinse da Lisbona a Palos in
Spagna, si imbatté in uomini di grande cultura, cosmografi e studiosi
di geografia, i quali rimasero immediatamente affascinati dal suo
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