CRAXI AL GOVERNO: DAGLI
EUROMISSILI ALLA COMMISSIONE
BOZZI
La nascita del primo governo Craxi
Il secondo governo Spadolini cadde nel novembre del 1982. Il segretario
repubblicano aveva nominato Umberto Colombo alla direzione dell’ENI
estromettendo Di Donna, che era legato al PSI il quale reagì energicamente.
Del resto, le lacerazioni c’erano già state: dopo la nomina di De Mita a
segretario della DC, poi, i rapporti di forza tra i due partiti portarono ad una
convivenza sempre più difficile.
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Alle elezioni anticipate del giugno 1983 si
giunse quindi ad una resa dei conti. La DC subì una forte sconfitta,
precipitando dal 38,3 % del ’79 al 32,9: vi erano varie motivazioni, ma quella
più forte era lo scoppio improvviso della crisi di regime, a cui il partito era più
esposto di altri. Il PSI, invece, non ottenne quegli obiettivi che si era posto ed
avanzò solo dell’uno e mezzo per cento: uscì dunque dalla battaglia e venne
superato in dinamismo dai repubblicani. Secondo i socialisti stesse un duro
colpo il partito lo aveva ricevuto con gli scandali di Torino e di Savona: nel
primo caso il vicesindaco socialista era stato accusato di aver riscosso tangenti,
nel secondo l’ex presidente della Regione Liguria veniva arrestato per
associazione mafiosa, corruzione e concussione. Non è sicuro quanto ciò abbia
realmente pesato nelle elezioni, ciò che è sicuro è che il PSI non raccolse
quanto sperato nel triangolo industriale.
Nonostante ciò, le previsioni indicavano Craxi come possibile presidente
incaricato: De Mita doveva tenere conto dell’opposizione interna alla DC che
non gli avrebbe perdonato una rottura con i socialisti e il fallimento dell’unica
formula di governo priva dei comunisti. Anche i repubblicani dichiararono di
essere pronti ad “assolvere a tutti i compiti indicati dall’elettorato anche
nell’alleanza che stava per nascere, a condizione che si fosse mossa sulla via di
un risanamento dell’Italia che fosse stato insieme istituzionale, morale ed
economico”.
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Il governo venne formato da un gruppo misto di esponenti della
coalizione, tra cui i segretari dei partiti membri, mentre venne costituito allo
stesso tempo un consiglio di gabinetto formato da Forlani (vicepresidente),
Andreotti (Esteri), Scalfaro (Interno), Goria (Tesoro), Longo (Bilancio),
Spadolini (Difesa), Altissimo (Industria) e De Michelis (Lavoro). Questo
89
Si veda il diario di Giuseppe Sangiorgi, Piazza del Gesù. La Democrazia Cristiana negli anni
Ottanta: un diario politico, Milano, Mondadori, 2005.
90
Antonio Padellaro, Pertini comincia oggi le consultazioni, in Corriere della Sera, 20 luglio
1983.
consiglio sarebbe stato un gruppo informale di consultazione di Craxi. Scrisse
Scalfari: “l’indicazione del corpo elettorale era, nettamente, per un governo che
riconquistasse autonomia e responsabilità nei confronti dei partiti e del
Parlamento. Da questo punto di vista la volontà degli elettori non è stata
compiutamente rispettata. È nato il ministero più partitocratico che mai si fosse
visto”.
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Sempre secondo Scalfari, il governo nasceva dalla “saldatura ferrea tra
Craxi ed Andreotti”, che lui rappresentava come un giovane leone ed una
falsissima volpe, il cui tandem era considerato dal giornalista sia elemento di
forza che di preoccupazione, perché ad esso si sarebbero potuti coagulare
gruppi che avessero considerato le istituzioni come rampe di lancio per
interessi e manovre. Quando Craxi presentò il suo governo alle Camere, pose al
centro del programma cinque questioni essenziali: gli obiettivi e le iniziative
dell’Italia nella politica internazionale, il risanamento dell’economia, i principi
ed i criteri delle politiche sociali, la lotta alla criminalità organizzata e i
problemi della giustizia, la riforma e la modernizzazione delle istituzioni.
La seconda scelta degli euromissili e le prime posizioni di politica estera
Nei primi tre mesi Craxi si dedicò con “intensità particolare”, secondo le parole
di Scalfari,
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alla politica estera. Infatti, non appena si era insediato a Palazzo
Chigi si era ritrovato sul tavolo la delicata questione degli euromissili. Al
Congresso nazionale del PCI di qualche mese prima aveva promesso che si
sarebbe trattato “per tutto il tempo necessario”: l’ambasciatore italiano a
Washington subito contattò Lagorio per dirgli di non toccare i missili, perché
“tutto quel che l’Italia è diventata andrebbe a rotoli”. L’allora ministro del
Turismo raccontò in seguito che Craxi si era sfogato con lui in questi termini:
“non prendiamo ordini da nessuno! È bene che gli americani sappiano e
capiscano. Se i reazionari strillano noi ci incaponiamo”. Alla fine, tuttavia, si
limitò a chiedere di trovare un buon canale di comunicazione per trovare una
soluzione che tenesse conto della complessa posizione italiana.
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Le trattative
avviate dal presidente Reagan nel 1981 si erano incagliate per via
dell’insistenza sovietica nel chiedere d’includere nel negoziato anche le forze
nucleari inglesi e francesi. Nel frattempo, in Italia, come in tutta l’Europa
occidentale, era partita un’ondata senza precedenti di manifestazioni pacifiste
che nel nostro paese erano state supportate dal PCI, forse nella speranza di
recuperare l’elettorato perduto: quindi il governo doveva muoversi con estrema
cautela.
A differenza del governo della Germania Ovest, che aveva scelto di specificare
che i missili sarebbero stati gestiti esclusivamente dalle forze armate
americane, il governo italiano insistette per ottenere un controllo molto
maggiore. Lagorio raccontò di essersi adoperato a più riprese per gestire i
missili congiuntamente secondo il meccanismo della doppia chiave, come
91
Eugenio Scalfari, La volpe ed il leone si misero d’accordo, in La Repubblica, 5 agosto 1983.
92
Scalfari, Governo Craxi bilancio di tre mesi, in La Repubblica, 7 novembre 1983.
93
Lagorio, L’ultima sfida, cit., pag. 130.
avvenuto con i missili Jupiter schierati in Puglia tra il 1960 ed il 1963: gli
americani mostrarono sia una certa flessibilità nell’accettare la richiesta che
una notevole resistenza, fino alla netta ostilità mostrata da Reagan nella lettera
inviata al presidente del Consiglio Fanfani nel 1983.
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Lagorio ritenne che alla
fine la richiesta non venne approvata e la disponibilità italiana a supportare il
negoziato di Reagan non fu sufficiente, considerati gli eventi che si
succedettero in quel periodo (l’abbattimento di un volo civile sudcoreano, gli
attentati di Beirut e l’invasione statunitense di Grenada). Subito dopo
l’elezione a presidente del Consiglio, Craxi visitò le principali capitali europee
e allo stesso tempo si trovò a corrispondere con Reagan e con Andropov: il
segretario sovietico cercò di giocare d’anticipo rispetto agli americani e
rilanciò la sua proposta già avanzata a Ginevra di aggiungere all’accordo le
forze nucleari inglesi e francesi in cambio della riduzione delle proprie forze di
media gittata, aggiunse inoltre che “finché non li avrete messi [i missili] a
Comiso, l’intesa è possibile. Dopo, non più”.
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Reagan, invece, espresse il suo
apprezzamento per l’appoggio “tempestivo” alla politica del doppio binario e,
criticando le proposte di Andropov, suggerì un ultimo sforzo per presentare a
Ginevra una posizione nuova che mettesse gli Stati Uniti “in una posizione tale
da aver chiarito che [loro], di concerto con i propri alleati, han compiuto uno
sforzo globale per raggiungere un accordo prima dell’inizio dello
spiegamento”.
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La risposta di Craxi ad Andropov fu molto ferma, anche se non mancava di
lasciare spiragli per un proseguimento dei negoziati: in sostanza, al segretario
del PCUS veniva risposto che non si poteva accettare uno status quo che
legittimasse “la superiorità globale dell’URSS”. Allo stesso tempo invitava
Reagan ad avanzare nuove proposte e a continuare il negoziato anche dopo
l’installazione dei missili. In Parlamento, Craxi difese la politica condotta dal
1979 in avanti ed aggiunse: “Noi non formuliamo minacce ed intimidazioni e
non desideriamo riceverne. Desideriamo contribuire ad organizzare la pace in
Europa”.
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Berlinguer chiese di non installare i missili Pershing e Cruise fino a
quando non fosse terminato il negoziato, ricevendo molta attenzione da parte di
Craxi che colse la sua richiesta come oggetto di un’esplorazione da condurre.
Tuttavia, la mozione comunista venne respinta con 356 voti contro 218.
Andropov scrisse un’ultima lettera al presidente del Consiglio sulla questione,
94
Lagorio, L’ultima sfida, cit., pp. 84-91. Nelle sue memorie, il segretario alla Difesa
Weinberger non fornisce nessuna indicazione in merito al negoziato con l’Italia: Caspar
Weinberger, Fighting for Peace. Seven critical years at the Pentagon, London, M. Joseph,
1990. Sui Jupiter cfr. Leopoldo Nuti, “Dall’operazione Deep Rock all’operazione Pot Pie: una
storia documentata dei missili SM 78 Jupiter in Italia”, in Storia delle Relazioni Internazionali,
vol. 11/12, n. 1 1996/1997 e vol. 2 1996/1997, pp. 95-138 e 105-149.
95
Lagorio, op. cit., pag. 148.
96
Leopoldo Nuti, L’Italia e lo schieramento dei missili da crociera BGM-109 G “Gryphon”, in Di
Nolfo, op. cit., pag. 71.
97
AP, Camera dei Deputati, IX legislatura, discussioni, seduta del 14 novembre 1983, pag.
3294.
suggerendo che l’Italia avesse preferito una via che portasse all’innalzamento
del livello del confronto nucleare; Craxi rimase fermo nella risposta a questa
lettera, ricordando al segretario sovietico che “non si possono confondere le
buone intenzioni di amicizia con l’acquiescenza verso ogni forma
d’intimidazione”.
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Se si guarda ai giudizi su quest’operazione di Craxi, le opinioni sono tante e
variano dalla moderazione al fanatismo ideologico. De Michelis, ad esempio,
sostiene che con questa decisione Craxi abbia delineato le condizioni che dieci
anni più tardi avrebbero portato al crollo del blocco sovietico. Lagorio invece
non esagera e preferisce far notare il cambio deciso imposto alla politica estera
italiana, fino a quel momento di basso profilo; un cambio possibile grazie al
passaggio dal “compromesso storico” alla “democrazia conflittuale” che aveva
permesso ai socialisti di andare al governo. In questo modo l’Italia si guadagna
il rispetto sul piano internazionale e sfrutta la sua importanza strategica per
ampliare le sue politiche non solo nei riguardi dell’Europa orientale, ma anche
del Sud America e del Medio Oriente. Quando Craxi risponde ad Andropov,
scrive Lagorio, lo fa in quei termini perché ha acquisito un rapporto diverso
con gli Stati Uniti: sicuramente più forte rispetto a quello con gli altri Stati
europei, ma con un’autonomia più marcata.
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Giuseppe Mammarella, poi, fa
notare che la vicenda degli euromissili ha contribuito ad anticipare l’avvio dei
negoziati che porteranno agli accordi sulla limitazione degli armamenti.
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Scoppola, al contrario, si dirige in tutt’altra direzione: è sicuramente concorde
con gli altri autori citati che questa decisione ha cambiato gli eventi europei e
ha portato alla ribalta internazionale, insieme a lui, tutta la nazione. Ma ritiene
anche che a questo punto Craxi iniziò a perdere il piglio decisionista e risoluto
del passato.
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Le politiche ampliate da Craxi, del resto, verterono su più fronti. Innanzitutto il
presidente del consiglio operò numerosi sforzi per arrestare l’influenza
sovietica nell’Europa orientale e fece visita ai leader più importanti dell’area
(Kadar, Jaruzelski, Honecker): tramite il dialogo e la collaborazione con i loro
governi, sperava di poter aiutare i movimenti di opposizione nei loro paesi e
allo stesso tempo riuscire a tutelare i diritti umani; come descrive Petracchi:
“era implicito un riconoscimento dello status quo, ma anche dell’autonomia dei
singoli interlocutori che apriva nuovi spazi di manovra”.
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Diversa fu la linea
scelta per il contingente militare inviato in Libano: il giorno del suo
insediamento Craxi dovette ammettere che esso ed il corpo multinazionale
98
Lagorio, op. cit., pp. 150-151.
99
Interventi di De Michelis e Lagorio in Di Nolfo, op. cit.
100
Giuseppe Mammarella, Il governo Craxi e l’espressione della leadership, in Gennaro
Acquaviva e Luigi Covatta (a cura di), Decisione e processo politico. La lezione del governo
Craxi (1983-1987), Marsilio, Venezia, 2014, pp. 70-71.
101
Luigi Scoppola Iacopini, Accentratore o decisionista? Craxi e la guida del PSI, ivi, pag. 108.
102
Petracchi G. in Di Nolfo E. (a cura di), La politica estera italiana negli anni Ottanta, cit., pag.
314.
“fanno solo da fragile velo rispetto ai pericoli che incombono sulle popolazioni
civili”.
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Pertanto cominciò, tra dicembre 1983 e gennaio 1984, a ritirare
gradualmente le truppe; tenuto anche conto che l’unico gruppo parlamentare a
favore del proseguimento della missione era quello repubblicano. Il rischio di
uno scontro all’interno del Pentapartito venne scongiurato dal ritiro unilaterale
delle truppe americane, che portò allo sfaldamento della missione UNIFIL.
Esso fu un’altra vittoria per Craxi, che così poté presentare all’opinione
pubblica la “vittoria morale” dell’esercito italiano
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e riuscì a mostrare ai paesi
arabi il “volto umano” dell’Italia: quest’ultimo risultato influenzerà non poco la
situazione che nascerà con il sequestro dell’Achille Lauro.
Nello stesso periodo il segretario socialista porta avanti la politica di sostegno
ai paesi del Corno d’Africa: tra i punti del programma di governo c’era, infatti,
la disponibilità italiana a risolvere i conflitti locali, anche per contrastare
“imperialismi e sub-imperialismi” che rischiavano di ampliarne la portata
(evidente che si riferisse ad attori esterni come l’Unione Sovietica).
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Craxi fu
ancora più aggressivo, invece, per quanto riguardava le relazioni nel
Sudamerica: Badini ricorda che il segretario socialista non si fece alcun
problema ad attaccare il generale cileno Augusto Pinochet nel suo discorso al
Congresso degli Stati Uniti del 6 marzo 1985, nonostante fosse a conoscenza
del sostegno di cui egli godeva presso il governo americano. Fu anche fermo
nell’insistere verso l’ala estremista del Fronte sandinista per indurla al
socialismo liberale ed intervenne varie volte con il loro leader Ortega, mentre
interveniva nel conflitto civile salvadoregno per incitare le due parti in lotta al
negoziato politico come unica opzione per un futuro di pace e di prosperità.
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L’analisi di Badini fa intendere che già prima della scelta degli euromissili
Craxi era intenzionato ad affiancare gli Stati Uniti nella politica internazionale
alla pari e non più nella posizione di sottoposto.
L’accordo di San Valentino
Dopo alcuni mesi, in cui il governo si occupò anche della situazione in Medio
Oriente (di cui si parlerà più avanti) e delle nomine del consiglio
d’amministrazione della RAI, nacque un conflitto tra il governo e la
componente comunista della CGIL, sostenuta dal PCI. Dopo lunghe trattative
sulle misure antinflazionistiche, si era giunti solo ad un accordo parziale. Lo
scontro divenne particolarmente duro sulla riduzione di tre punti della scala
mobile. Questo strumento era stato introdotto nel 1946 in seguito ad un
accordo tra Confindustria e CGIL, per assicurare un salario minimo che
fronteggiasse la forte inflazione del dopoguerra. Negli anni Settanta si era visto
103
Musella, op. cit., pag. 242.
104
Viola S., Con dignità usciamo dal disastro, in La Repubblica, 20 febbraio 1984.
105
Silvio Pons, Adriano Roccucci e Federico Romero (a cura di), L’Italia contemporanea dagli
anni Ottanta a oggi, vol. 1, Fine della guerra fredda e globalizzazione, Carocci, Roma, 2014,
pag. 361.
106
Intervento di Antonio Badini in Di Nolfo, op. cit., pp. 35-36.