5
Introduzione
Questo elaborato si concentra sul dibattito tra il genere e l’efficacia della leadership. L’assunto
di partenza è chiedersi se il genere è intrinseco ad una leadership efficace. Nonostante si
propenda verso la teoria che non considera il genere come un elemento determinante, la
relazione tra quest’ultimo e la leadership è una questione molto controversa. Per secoli le donne
non sono state tenute in conto nel processo decisionale, tanto meno in ruoli dirigenziali.
Tuttavia si possono notare nuovi sviluppi nell’integrazione delle donne. Inizialmente gli studi
sulla leadership si sono concentrati essenzialmente sul ruolo del leader e sulle peculiarità che
lo contraddistinguevano. In seguito, alcuni studiosi hanno intuito che le situazioni e dunque il
contesto in cui il leader opera è esso stesso parte della leadership. Nel periodo del dopo guerra,
l’attenzione è stata posta sulla differenza e sugli stili di leadership adottati individuando la
leadership democratica e quella autoritaria come i due principali approcci che influenzano
l’operato di chi è al potere.
A partire da alcuni studiosi tra cui Bass (1978), si inizia invece a porre l’accento sulla
differenza tra leader transazionali e trasformazionali. Solo in tempi recenti i temi della cultura
e del genere sono emersi come fattori da considerare nello studio della leadership.
Dopo aver esposto le principali teorie, analizzerò il modo in cui le donne e gli uomini
assumono il potere. Esistono indubbiamente degli stili di leadership diversi tra il genere
femminile e il genere maschile, allo stesso modo questo non ne determina l’efficacia. È però
possibile individuare alcune barriere che le donne devono affrontare per raggiungere le stesse
posizioni delle loro controparti maschili.
Una volta letto la teoria dell’incongruenza del ruolo di Eagly e Karau (2002) spiegherò
che i pregiudizi che derivano dall’incongruenza del “ruolo sociale femminile” e il “ruolo di
leader” molto spesso comportano un ostacolo per le donne e incidono sulla percezione dei
follower. A causa degli stereotipi di genere le donne sono tenute ad adottare un atteggiamento
più congruente al loro ruolo, e quando mostrano peculiarità dell’altro sesso, vengono percepite
come severe.
In realtà, con la diffusione del Covid-19, le caratteristiche femminili molto spesso
criticate, quando adottate durante la leadership, sono state viste come “carte vincenti” nella lotta
contro il virus.
Ho deciso pertanto che sarebbe stato opportuno analizzare il modo in cui una crisi
sanitaria ha “rovesciato” l’iniziale situazione di percezione negativa di alcuni tratti dei leader.
6
La mia analisi non tiene conto dei contesti sociali, economici e demografici dei Paesi
analizzati e si discosta dall’affermazione che i casi di gestione vincente sono dovuti alla
presenza di donne alla guida poiché sarebbe riduttivo e semplicistico. Quello che è possibile
invece dedurre è che determinate caratteristiche come la comunicazione, la preparazione, la
cura e l’empatia hanno contribuito ad una migliore gestione, e che queste caratteristiche sono
state maggiormente individuate in leader donna. L’efficacia dei leader può essere dunque
determinata da un insieme di comportamenti maschili e femminili poiché il genere non
determina l’efficacia, ma il leader dovrebbe adottare un portafoglio di comportamenti ampio
tale da includere anche peculiarità al di fuori del suo “ruolo sociale”.
Interessata dalla teoria dell’androginia, per cui un leader efficace per essere ritenuto tale
deve dimostrare caratteristiche di ambedue i generi, analizzerò quali sono stati i leader
femminili più validi durante l’epidemia Covid-19 per vedere in che modo gli approcci adottati
durante il periodo di crisi possono aiutarci a ripensare il processo decisionale futuro.
I leader non dovrebbero essere definiti né valutati in base al loro genere, quanto piuttosto
in base alla loro capacità di adattamento e flessibilità superando ogni stereotipo. In questo modo
anche le comunità sarebbero più educate ad una maggiore diversificazione ed inclusione.
7
Capitolo 1
Leadership e genere
Sin dai tempi più antichi numerosi pensatori e filosofi si sono interrogati sul ruolo del leader
all’interno della società. Per secoli tale ruolo è stato considerato come un modello di riferimento
per la popolazione la cui sopravvivenza e sviluppo passavano dalle scelte dei propri capi. Tra
i primi autori che analizzano il ruolo del leader vi è Platone il quale sosteneva che esistono
alcuni individui che nascono con la responsabilità di guidare la comunità nel raggiungimento
di obiettivi collettivi. Nel “Repubblica” di Platone, dialogo del periodo giovanile databile
all’incirca entro il 387 a.C., viene descritta una lunga discussione tenutasi in casa di Cefalo,
padre dell’oratore Lisia, sulla teorizzazione di uno Stato ideale fondato sulla giustizia. Questo,
nelle intenzioni di Platone, deve promuovere una società collettivistica, proponendo la parità
educativa tra uomini e donne, il possesso comune delle donne e dei figli e il governo dei filosofi.
Lo Stato di Platone è strutturato a immagine dell’anima, divisa in tre parti, a seconda
della virtù che le è propria: l’una, quella concupiscibile, ha istintivamente il desiderio del
possesso, l’altra, quella irascibile possiede l’istinto aggressivo e la terza, quella razionale, ha la
vocazione al conoscere.
A questa tripartizione corrisponde, nello Stato ideale di Platone, la suddivisione della
popolazione in tre gruppi, governanti, guardiani e lavoratori, in relazione alla funzione
dell’anima che in essi predomina. La classe dei lavoratori, ovvero operai e mercanti, incarna
l’anima concupiscibile; i guardiani, i soldati, quella irascibile e i governanti, i filosofi, la parte
razionale. Basta dunque affidarsi alla natura e lo Stato tenderà ad assumere questa
configurazione perché uomini e donne con caratteristiche simili tenderanno ad associarsi in
gruppi omogenei.
La caratteristica essenziale dello Stato platonico è l’esercizio del potere da parte dei
Filosofi, gli unici in grado di garantire un governo a immagine della Giustizia. Il potere del
filosofo non è frutto di una riflessione politica, quanto di una deduzione teorica derivata dalle
considerazioni di Platone sulla teoria delle idee: come nel mondo archetipo delle idee al vertice
si trova l’idea del Bene, così avviene nello stato ideale poiché i filosofi possono “rendere
buono” lo Stato. È evidente che, partendo da questo assunto, lo Stato platonico corrisponde a
una istituzione etica dove ogni singolo cittadino deve assolvere il compito affidatogli dalla
natura e mantenere rigidamente l’ordine di subordinazione a cui è destinato.
8
La connotazione dello Stato ideale, retto da governanti filosofi, deve essere, di conseguenza,
rigida e immutabile, pena la digressione verso regimi deviati, primo fra tutti, la tirannide.
Platone si rende conto che il rischio maggiore di incrinare il delicato equilibrio delle classi
deriva dai guerrieri i quali hanno mezzi e forza per spostare gli equilibri in proprio favore. Da
qui nasce l’esigenza di stabilire una sorta di comunismo dei beni e delle donne. I guerrieri
pertanto non dovranno avere né un patrimonio personale, saranno mantenuti a spese dello Stato,
né una famiglia propria, avranno le donne in comune, poiché l’uno e l’altra sono le più rilevanti
cause di prevaricazione e di ingiustizia nell’amministrazione del bene pubblico.
Il secondo strumento utilizzato per mantenere l’equilibrio dello Stato ideale è l’istruzione. Essa
deve essere pubblica ma rigidamente diversificata a seconda che si rivolga alle classi subalterne
o a quella dei reggitori: in questo caso diventa molto più lunga e impegnativa. In questo senso
il modo di guidare la comunità descritto da Platone potrebbe configurarsi come un tipo di
comando autoritario dove lo scambio con i follower non è basato sulla motivazione e
sull’ispirazione ma su un rigido controllo sul gruppo, come affronteremo più dettagliatamente
nei paragrafi successivi.
Nell’Italia Rinascimentale invece, tra i primi autori che si interessano al tema del leader
e della sua efficacia vi è Machiavelli. Nella sua opera “Il Principe” (1513) egli rappresenta un
manuale etico per aiutare il Principe, quindi il leader, sia a gestire che a mantenere il potere. Il
libro viene dedicato a Lorenzo De’ Medici che si apprestava a divenire Signore di Firenze.
Viene analizzato il ruolo del Principe insieme ai rischi e alle difficoltà che incontra nel dover
guidare il popolo. Egli deve soddisfare due parametri fondamentali per dimostrarsi all’altezza
del suo ruolo. Il primo è il raggiungimento del potere, mentre il secondo, complementare al
primo, è il mantenimento dello stesso. Secondo Machiavelli è impossibile mantenere un buon
governo se entrambi i parametri non vengono soddisfatti. Interessante notare come questi due
criteri siano tutt’oggi tenuti in conto nello studio sulla leadership. L’acquisizione ed il
mantenimento del potere comportano per il capo una grande responsabilità nella scelta delle
decisioni da effettuare. Per Machiavelli il Principe potrebbe trovarsi in situazioni in cui è
costretto a fare scelte moralmente ingiuste per raggiungere il suo obiettivo. Il leader/Principe
quindi, a seguito di un’analisi delle conseguenze generali che avrebbero le sue azioni, decide
di utilizzare quella più conforme al conseguimento del suo obiettivo.
Nel momento della stesura del “Principe”, più precisamente nell’Italia Rinascimentale, non
erano presenti norme generali di diritto internazionale e i diritti umani non avevano nessun
ruolo nelle scelte di governo. Pertanto, la scelta immorale è vista come un’etica di
9
compromesso, dove il Principe è giustificato a prendere determinate decisioni
1
. In questo senso,
il fine giustifica i mezzi.
Lo studio sul ruolo del leader è stato un tema affrontato dalla psicologia, in particolare
tra il diciannovesimo e ventesimo secolo. Tra gli studiosi più autorevoli che hanno esaminato
il ruolo delle masse e dei loro leader troviamo Gustave Le Bon e Sigmund Freud. Nel libro
“Psicologia delle folle” (1895) Le Bon sostiene che la folla proietta il proprio ideale dell’Io sul
leader provocando un processo di identificazione con lo stesso. In quest’opera Le Bon pone
l’accento soprattutto sul ruolo della ‘massa’, o ‘folla’, all’interno della società. Ne analizza i
comportamenti e giunge a conclusioni affascinanti. Secondo l’autore infatti nel momento in cui
l’individuo si identifica con la folla, egli perde la propria intelligenza. Il proprio intelletto si
abbassa e regredisce ad un tutt’uno con essa. La massa è allora un insieme di individui regrediti
con caratteristiche violente e fanatiche. L’Io viene deresponsabilizzato e l’individuo si sente
invincibile. Questa massa regredita e violenta è tuttavia facilmente controllabile. Le Bon pone
allora l’accento sul ruolo dei ‘capi’. Vi sono individui in grado di far leva sulle emozioni di
queste masse, di per sé facilmente suscettibili. In questo senso il leader farà affidamento su
ragionamenti che esaltano la psiche della massa e ne provocano una reazione emotiva forte,
violenta e fanatica. Quest’opera è stata fonte di ispirazione di leader quali Adolf Hitler, Joseph
Stalin e Benito Mussolini. Il concetto dell’Io correlato con la psicologia delle folle viene
ripreso, in chiave psicoanalitica da Freud nel libro “Psicologia delle masse e analisi dell’io”
(1921).
Freud condivide i ragionamenti di Le Bon sul comportamento delle masse e sulla
deresponsabilizzazione dell’Io. Nel primo capitolo della sua opera egli riassume l’intero lavoro
del sociologo francese. Lo psicoanalista austriaco aggiunge però dei fattori interessanti che
mancano nel ragionamento di Le Bon: la libido e l’Eros. Nella formulazione di Freud
l’identificazione di sé stessi con il leader deriva da un investimento libidico delle folle nei
confronti di figure amate e temute, che riconducono ad un sostituito di grande padre. È una
“identificazione narcisistica” dove una parte del proprio ideale dell’Io viene sostituto
dall’ideale dell’Io del leader. Inoltre, secondo Freud, il legame più profondo che unisce le folle
con il leader è l’amore. L’amore che la folla prova nei confronti del leader e che spera sia
1
Cosans C.E. e Reina C. S., The Leadership Ethics of Machiavelli’s Prince, Business Ethics Quarterly, Volume
28, Issue 3, Cambridge University Press, 18 settembre 2017. Disponibile a: (DOI)
https://doi.org/10.1017/beq.2017.13.
10
ricambiato. Il segreto più profondo della gestione del potere e del controllo delle masse risiede
nell’Eros.
1.1 Il concetto di leadership
La nascita del concetto di leadership è attribuita a Max Weber. Si deve al sociologo tedesco la
declinazione di tre concetti di autorità legittima: tradizionale, giuridico-razionale e carismatica.
L’autorità tradizionale è confermata dalla consuetudine, l’autorità giuridico-razionale è dedotta
dalle regole impersonali e l’autorità carismatica dalle straordinarie qualità del leader. Secondo
Weber la legittimazione è una relazione sociale tra i governanti e i loro sottoposti, intesi come
tribunali e burocrazie. Nell’analizzare il comportamento di alcuni leader egli si focalizza sulla
loro componente carismatica. Il carisma viene definito da Weber come: “l’attribuzione a una
persona, da parte di una collettività, di qualità ritenute eccezionali per realizzare una missione
collettiva di grande importanza”. In questa concezione il carisma è uno dei “tipi ideali
universali” necessari per analizzare le relazioni sociali in qualsiasi contesto storico
2
. È
opportuno quindi, per comprendere il carisma così delineato, fare riferimento alla teoria del
tipo ideale o idealtipo. Questa teoria è stata formulata da Weber nell’opera “Il metodo delle
scienze storico-sociali” (1922). Per idealtipo Weber intende un paradigma metodologico
utilizzato per classificare i dati della ricerca. Delineando l’idealtipo è possibile creare un quadro
di riferimento ideale con cui in seguito confrontare ed esaminare la realtà
3
.
Il concetto di leadership è tutt’oggi difficile da delimitare in quanto non ne esiste una
definizione univoca. Secondo Astin e Leland (1991) è possibile definirla come “un’attività volta
a portare un cambiamento in un’organizzazione o in un sistema sociale per migliorare la vita
delle persone”. Un’ulteriore definizione è fornita da McWhinney (1997) il quale attribuisce a
tale nozione un processo mediante il quale i responsabili del cambiamento influenzano una
popolazione
4
.
L’influenza è un elemento essenziale dei leader pubblici e, servendosi di essa, si
affrontano i problemi della comunità mediante lo spostamento di attenzione e risorse per
obiettivi specifici.
2
Breuilly J., Max Weber, charisma and nationalist leadership, Nations and Nationalism, Volume 17, Issue 3,
Wiley Online Library, 17 maggio 2011. Disponibile a: (DOI) https://doi.org/10.1111/j.1469-8129.2011.00487.x.
3
Cortesi L., Weber: La Teoria Dell’idealtipo: Un Paradigma Metodologico, Philosophica, 9 Maggio 2017.
Disponibile a: https://blogphilosophica.wordpress.com/2017/05/09/weber-la-teoria-dellidealtipo/.
4
Aldoory L. & Toth E., Leadership and Gender in Public Relations: Perceived Effectiveness of
Transformational and Transactional Leadership Styles, Journal of Public Relations Research 16 (2), Taylor &
Francis Online, aprile 2004. Disponibile a: (DOI) 10.1207/s1532754xjprr1602_2.
11
La definizione di leadership potrebbe quindi essere “il processo di influenzare le persone a
pensare o ad agire diversamente sui temi pubblici rispetto a quanto avrebbero fatto.” Tuttavia,
non esistendo una definizione arbitraria di leadership è solo possibile individuare una sintesi
delle definizioni.
1.2 Le principali teorie sulla leadership
Gli studiosi che hanno analizzato il ruolo della leadership nelle forme di governo monarchiche
si sono focalizzati più sulla figura del Re in persona e sulle sue peculiari capacità che non alla
qualità del suo governo. Durante i conflitti era infatti il Re ad emergere e questo ha portato gli
analisti del tempo a porsi il quesito: “cosa deve fare il leader?”
5
. In seguito gli studi si sono
concentrati su quali fossero le caratteristiche dei leader ed in che modo si potesse fare una
distinzione tra i soggetti efficaci e quelli inefficaci. Negli studi più recenti il focus si è invece
spostato sulle cause delle azioni del leader in un quadro nettamente più ampio rispetto agli studi
iniziali. Un’analisi approfondita delle principali teorie sulla leadership è indispensabile per
capire come la cultura ed il genere sono stati presi in considerazione negli studi più recenti.
Dopo aver delineato quindi le principali teorie della leadership, ne saranno analizzati i diversi
stili per comprendere quale sia il più efficace.
In un mondo globalizzato dove il ruolo del leader è chiamato a rispondere velocemente
a cambiamenti della scena politica, sociale ed economica, egli, per risultare efficace, dovrà
comprendere e adattarsi alle esigenze del momento.
1.2.1 La teoria del “Grande Uomo”
La principale teoria sulla leadership che ha dominato l’Ottocento è la teoria del “Grande
Uomo”. Gli studiosi che la abbracciavano, rappresentavano i leader come degli eroi, il cui
destino era diventare capi capaci di guidare la comunità nel momento necessario. Il principale
fautore della teoria del “Grande Uomo” fu lo storico Thomas Carlyle che l’ha sviluppata nel
suo volume: “On Heroes, Hero-Worship, and the Heroic in History” (1841). Il concetto alla
base della teoria era che certi uomini fossero dotati direttamente da Dio di capacità tali da
guidare l’uomo
6
. Secondo l’autore la teoria del “Grande Uomo” implicava che solo alcune
5
Ngozi Amanchukwu R. et al. , A Review of Leadership Theories, Principles and Styles and Their Relevance to
Educational Management, Management, Vol. 5 No. 1, Scientific and Academic Publishing, 2015. Disponibile a:
(DOI) 10.5923/j.mm.20150501.02.
6
Spector B.A., Carlyle, Freud, and the Great Man Theory more fully considered, Leadership Vol. 12(2), SAGE
Journals, 17 febbraio 2015. Disponibile a: (DOI) https://doi.org/10.1177/1742715015571392.
12
persone nascevano con potenzialità tali da poter diventare leader
7
. Egli affermava che “la storia
del mondo non è che la biografia di grandi uomini": nella sua visione i leader efficaci erano
coloro forniti di una dote divina
8
. In questa prospettiva, la leadership veniva vista come una
dote innata, “un’inclinazione esclusiva per alcuni individui straordinari che attraverso le loro
decisioni modificano il corso della storia” (Carlyle,1849).
In sintesi, la teoria del “Grande Uomo” presupponeva che alcuni uomini fossero
naturalmente favoriti per diventare dei leader. La fonte dell’autorità era strettamente connessa
con la volontà di Dio. Il genere del leader era maschile e lo scambio con i follower avveniva
tramite la fedeltà, la riverenza e il rispetto. Secondo Galton (1869) le caratteristiche di una
leadership effettiva erano trasmesse di generazione in generazione. La conseguenza implicita
di questo assunto è che la qualità della leadership viene vista come statica, pertanto non è
possibile svilupparla
9
. Inoltre, la leadership a cui si fa riferimento era prettamente orientata ad
un’autorità di tipo maschile, soprattutto in termini militari
10
. Molti dei grandi leader del passato,
come Giulio Cesare e Abramo Lincoln hanno avvalorato la tesi per cui i leader efficaci nascono
con determinate doti naturali. Questo ha portato a considerare la teoria del “Grande Uomo”
come preponderante negli approcci di leadership del XIX secolo
11
. In seguito, alcuni studi
condotti da Stogdill (1948) e Mann (1959) si sono concentrati sulle caratteristiche del leader
per studiarne l’efficacia. Nasce la teoria dei tratti che inizia ad essere considerata più concreta
rispetto a quella del “Grande Uomo”.
Attualmente, nello studio della leadership, la teoria di Carlyle non è più oggetto di interesse in
quanto oltre a peccare di rigore scientifico è ritenuta debole nelle sue considerazioni di carattere
morale e politico
12
.
7
Nawaz A. et al. , Leadership Theories and Styles: A Literature Review, Journal of Resources Development and
Management Vol.16, ResearchGate, gennaio 2016. Disponibile a:
https://www.researchgate.net/publication/293885908.
8
Maloş R. , The Most Important Leadeship Theories ,Annals of Eftimie Murgu University Resita, Fascicule II,
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9
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gennaio 2007. Disponibile a: (DOI)10.1037/0003-066X.62.1.6.
10
Malaguti D., Leadership. Modelli a confronto, Da Persona a Persona. Rivista di Studi Rogersiani , ottobre
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11
Maloş R., The Most Important Leadeship Theories ,Annals of Eftimie Murgu University Resita, Fascicule II,
Études économiques, EBSCOhost, 1° gennaio 2012. Disponibile a:
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12
Spector B.A., Carlyle, Freud, and the Great Man Theory more fully considered, Leadership Vol. 12(2), SAGE
Journals, 17 febbraio 2015. Disponibile a: (DOI) https://doi.org/10.1177/1742715015571392.