Presentazione
Il metodo Montessori applicato alle persone con demenza ha rappresentato un vero e
proprio viaggio alla scoperta della PERSONA che è presente oltre la demenza e le difficoltà
che essa comporta.
La scelta di conoscere e approfondire la pedagogia montessoriana con lo sguardo rivolto
alle persone con cui lavoriamo tutti i giorni è nata dagli spunti colti nella lettura di un manuale
sul tema e dai quali abbiamo intuito potesse rispondere alla comune passione nel prendere
in carico globalmente la persona, nel trovare il modo di dare voce ed espressione di sé a
ciascuno e alla necessità di un filo conduttore che potesse guidare il nostro intervento.
Il nostro percorso di studio ci ha portato a molte scoperte, è stato più impegnativo e
approfondito di ciò che immaginavamo inizialmente e ha avuto (e continua ad avere)
bisogno di tempo, confronto e riflessione quotidiana su come poter utilizzare i principi
montessoriani con le persone con demenza. Ringrazio il Centro Servizi Anni Sereni nella
persona della Coordinatrice Dott.ssa Elisabetta Cazzin per averci dato l'opportunità di
seguire due corsi di formazione.
Il nostro obiettivo è quello di ridare centralità alla persona, restituendo gesti, autonomie,
passioni in modo tale che possa sperimentare benessere e rispetto nel contesto in cui vive.
Il progetto illustrato in questa tesi dalla dott.ssa Miranda Casari è frutto di un percorso di
crescita personale e professionale per entrambe e per questo a lei va un mio grande
ringraziamento per aver condiviso questo percorso intenso e sorprendente e per aver
raggiunto insieme metodo e concretezza nelle risposte ai bisogni delle persone.
Inoltre ringrazio tutti gli operatori socio sanitari che ogni giorno si prendono cura delle
persone del nucleo di via Rovigo, l'equipe di professionisti e tutti i colleghi che ci hanno
supportato in questo periodo.
Dott.ssa Monica Frioli
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INTRODUZIONE
[La vita è come] “un tessuto ricamato,
di cui ognuno può vedere il lato esterno nella prima metà della sua esistenza,
e il rovescio nella seconda: quest’ultimo non è così bello,
ma più istruttivo poiché lascia riconoscere la connessione dei fili”.
(Schopenhauer, 1999, tomo 1, p. 652)
Al giorno d’oggi il vivere a lungo è un dato di fatto soprattutto in Europa e nei paesi
occidentali dove l’aspettativa di vita delle persone risulta notevolmente allungata ed è in
continuo aumento.
Questo processo di invecchiamento è iniziato diversi decenni fa e l’Italia risulta essere al
primo posto tra i paesi europei che vanta l’età mediana più elevata. Questo incremento di
popolazione anziana è da attribuirsi a diversi fattori, come ad esempio il fatto che molte
malattie sono state debellate, l’abbassamento del tasso di fertilità, diminuzione della
mortalità infantile e il miglioramento delle condizioni di vita. L’allungamento medio della vita
ha portato però a confrontarsi con cambiamenti fisici e sensoriali, i più invalidanti sono
ipoacusie e ipovisione , con malattie croniche – come problemi cardiovascolari, osteoporosi,
ipertensione, diabete – e neurodegenerative – tra cui la demenza, il morbo di Alzheimer e il
morbo di Parkinson. Queste patologie croniche e degenerative influiscono sullo stato di
benessere portando ad una perdita graduale di autonomia e di funzionalità generale.
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Si è reso quindi necessario suddividere questo lungo arco di vita in 3 gruppi, in quanto le
esigenze tra una persona di 65 e una di 85 e oltre può essere notevolmente differente, “in
ambito scientifico per convenzione si parla di età anziana per riferirsi all’ultima parte dell’arco
di vita” (Beni, 2013). Formalmente si è, perciò, deciso che dai 65 ai 74 vengono denominati
giovani anziani, dai 75 agli 84 anziani e oltre gli 85 grandi anziani. “Le fasce di popolazione
considerate anziani possono essere definite come “fragili” perché maggiormente esposte al
rischio di insorgenza di malattie gravi ed invalidanti che possono portare a condizioni di
disabilità e di cronicità che richiedono assistenza ed impegni mirati da parte delle strutture
sanitarie.” (Rapporto Osserva Salute, 2020)
Questo considerevole e continuo aumento della popolazione anziana “comporterà un
ulteriore consistente aumento della prevalenza dei pazienti affetti da demenza. In Italia, il
numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre un milione (di cui circa 600.000
con demenza di Alzheimer)” (ISS, 2019).
Questa è una delle patologie che maggiormente colpisce l’anziano e che, tra le patologie
neurodegenerative, risulta essere tra le più invalidanti, la demenza “colpisce dall’1 al 5%
della popolazione sopra i 65 anni di età e il 30% sopra i 75; il morbo di Alzheimer (più del
5% delle persone con oltre 60 anni ne soffre) e il morbo di Parkinson (1,6% all’età di 60-64
anni, 3,5% all’età di 85-89 anni)”
(Beni, 2013) “i casi di demenza potrebbero triplicarsi nei
prossimi 30 anni nei paesi occidentali” (ISS, 2019)
Generalmente le diverse forme di demenza generano disturbi comportamentali più o meno
accettabili o compatibili con la quotidianità e con la presenza di altre persone, siano esse
famigliari o altre persone ospiti di un servizio residenziale.
I disturbi comportamentali che subentrano con l’evolversi della demenza richiedono una
terapia farmacologica adeguata alle necessità. È dimostrato scientificamente come questi
farmaci non siano in grado di bloccare l’avanzare della malattia e neanche di ridurre i disturbi
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comportamentali se non sedando la persona rendendola, il più delle volte, incapace di
compiere gli atti quotidiani del vivere.
“Proprio per via della ridotta efficacia dei farmaci in commercio e per i loro effetti collaterali,
da tempo si guarda con maggiore attenzione alle cosiddette terapie non farmacologiche.”
(Cavanna, Borio, 2021)
Questo dato rende necessario capire come affrontare il binomio qualità di vita con demenza.
Se come abbiamo visto l’invecchiamento fa parte della vita di ogni individuo, la qualità di
questi anni vissuti non sempre è rispettata.
Il futuro, ma anche il presente, di questa popolazione anziana sarà quella di essere sempre
più inclusa nella comunità di appartenenza, sarà necessario riuscire a garantire una buona
qualità di vita anche a fronte dei nuovi studi che riguardano questa categoria di persone.
Sia che si tratti di persone autosufficienti sia di persone non autosufficienti è nostro dovere
riuscire a garantire le condizioni ideali per soddisfare il loro benessere.
Negli ultimi anni si è reso necessario formare delle équipe multidisciplinari che siano in
grado di prendersi cura dei bisogni della popolazione anziana e, tra gli anni 80 e 90, si è
vista una riorganizzazione dei servizi agli anziani suddividendoli in quattro categorie:
interventi promozionali, sevizi domiciliari, semiresidenziali e residenziali.
Se le prime tre delle quattro categorie citate possono far fronte ad una persona anziana
autosufficiente o parzialmente autosufficiente, il servizio residenziale risulta essere la
soluzione più utilizzata quando si parla di ridotta o nulla autosufficienza.
Quanto scritto fino ad ora rende necessario capire come conciliare il concetto di “sentirsi a
casa con una diagnosi di demenza”.
Innanzitutto bisogna modificare il paradigma che vede la persona anziana come persona
malata, “la malattia, acuta o cronica, rimane importante ma viene riletta e rivalutata
all’interno del contesto più globale, che comprende elementi di tipo fisico, sociale,
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psicologico e ambientale” (Beni, 2013). Solo sganciando la malattia dalla persona e
riponendo al centro la qualità di vita, la persona anziana diventa protagonista del proprio
vivere secondo i suoi valori, i suoi criteri e punti di riferimento potendo esercitare le proprie
autonomie anche se minime.
Uno studio internazionale del 2010 realizzato con una équipe di medici geriatri ha
evidenziato come le terapie non farmacologiche sembrano essere di notevole supporto, se
non complementari, nel trattamento delle forme di demenza sia come cura sia per ritardarne
il peggioramento (Olazarán J, 2010). Le terapie non farmacologiche mirano a rallentare la
progressiva perdita di memoria e a compensare la difficoltà di ricordare stimolando le
residue capacità cognitive, la memoria procedurale e le emozioni.
Anche in Italia sono stati condotti degli studi e sono stati aperti dei centri riabilitativi incentrati
sui trattamenti non farmacologici, come ad esempio a Catanzaro (Gli interventi riabilitativi
non farmacologici nelle demenze – Associazione Ra.Gi. – Catanzaro (associazioneragi.org)
e nelle Marche (Casini, 2017).
Riportando come sia importante un approccio multidisciplinare per mantenere o rallentare
gli effetti degenerativi della demenza; gli interventi devono essere mirati in funzione al
deterioramento cognitivo presente e non dovrebbero essere sospesi.
Gli studi riportano come l’utilizzo costante di terapie non farmacologiche porti dei benefici
alle persone affette da demenza, da un lato, diminuendo i sintomi tipici delle forme di
demenza come i deliri, le allucinazioni, l’ansia, la depressione, l’agitazione, i disturbi del
sonno e dell’alimentazione e i problemi comportamentali e, dall’altro, aumentando, di
conseguenza, la qualità di vita delle persone affette da demenza. (AlzheimerItalia, 2019).
Tra i diversi approcci di terapia non farmacologica, molto interessante risulta essere l’utilizzo
del metodo montessoriano associato alla retrogenesi suggerito da Barry Reisberg ed
applicato alle persone affette da demenza.
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Questi studi, che verranno illustrati più dettagliatamente in seguito nel secondo capitolo,
riportano dei benefici a queste tipologie di persone nelle diverse aree della vita quotidiana
ridando dignità, autonomia e autodeterminazione, creando un ambiente sereno, stimolante
e di interesse generale. “Aiutami a fare da solo” è l’imperativo di Maria Montessori che si
adatta sia ai bambini sia agli anziani, una semplice frase che se declinata alla vita quotidiana
di ogni anziano riporta a gesti e materiali semplici, ad ambienti ben definiti e ordinati.
Aiutami a fare da solo secondo quanto so fare e secondo il mio bisogno; questa è
l’estensione necessaria che adatta la frase alla persona anziana affetta da demenza. Tutto
nell’ambiente deve essere curato nei dettagli, adattato ai bisogni fisici e psichici della
persona, non può esserci confusione, tutto deve essere allocato ordinatamente e a
disposizione in piena libertà.
Attualmente sono molto pochi i servizi per gli anziani che hanno in atto progetti che utilizzano
il metodo montessoriano applicato alle demenze, ma è fondamentale visti i dati della
popolazione ripensare ai luoghi che attualmente accolgono le persone anziane come ad
esempio le Residenze Sanitarie Anziani (RSA) e i Centri Diurni per Anziani, i quali dovranno
“(…) evolversi e modernizzarsi, prevedendo una prevalenza di stanze singole (al fine di
tutelare privacy e sicurezza) e grandi spazi comuni di socializzazione; dovranno essere un
punto di riferimento per il territorio, offrendo servizi di prevenzione, educazione e
informazione sanitaria, contribuendo a migliorare la qualità della vita delle persone assistite”
(Babbei, 2021).
I luoghi in cui risiedono gli anziani dovranno diventare effettivamente le loro case, i loro
luoghi degli affetti, dovranno essere valorizzanti e ricreare quanto più possibile il “profumo
di casa” per accendere nelle loro menti quel dato ricordo, quella sensazione già vissuta e
non ancora dimenticata. Sarà necessario costruire una rete tra le RSA, il territorio e il
domicilio, essi dovranno comunicare in modo efficace scambiandosi tutte le informazioni