5
INTRODUZIONE
Nell’ordinamento italiano il fenomeno dell’insolvenza è stato regolato dal 16 marzo 1942 fino
allo scorso 15 luglio 2022 mediante il R.D. n. 267 del 1942, vale a dire la legge fallimentare: una
disciplina il cui interesse principe, la soddisfazione delle ragioni dei creditori, era realizzata mediante
la spoliazione e la liquidazione atomistica del patrimonio del debitore, il quale, una volta fallito,
doveva essere espunto al più presto dal mercato onde evitare che la sua patologia contagiasse il tessuto
imprenditoriale circostante.
Soltanto a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, la moralità di cui la legge fallimentare si faceva
custode iniziò, seppur episodicamente, ad esser affiancata da una nuova esigenza: la conservazione
dell’attività di impresa nell’ottica di tutelare interessi fino ad allora ignorati, come quelli dei
lavoratori.
Il riconoscimento di tali valori avviene da un punto di vista formale nel 2005, anno in cui, il
legislatore decide di “privatizzare” il diritto fallimentare: da un lato viene ampliata l’autonomia
negoziale dei soggetti economici, debitore e creditori, e dall’altro vengono compressi i poteri di
decisione e indirizzo dell’autorità giudiziaria.
Tuttavia, le numerose «leggi tappabuchi»
1
che si susseguono, più che convergere verso un
obbiettivo comune, tendono a rincorrersi e ad essere incoerenti fra loro tanto da rendere a dir poco
magmatica la materia concorsuale.
Per questa ragione nel 2017 è conferita al Governo una delega per la riforma organica della
disciplina fallimentare: l’attuazione avviene mediante il D.Lgs. n. 14/2019, recante il nuovo
Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, frutto del lavoro della “commissione Rordorf”.
Tuttavia, la fortissima innovatività delle sue disposizioni, le influenze sovranazionali e la
pandemia da Covid-19, fanno sì che il Codice entri in vigore soltanto il 15 luglio 2022 perdipiù con
una struttura e un’ideologia a dir poco rivoluzionati.
Quale soluzione per un approccio celere alla crisi, cruciale nel perseguimento degli obiettivi
di salvaguardia dei valori aziendali, la versione finale del Codice accoglie, in luogo della
Composizione assistita e del meccanismo dell’allerta, la Composizione negoziata per la soluzione
della crisi d’impresa e le segnalazioni per l’anticipata emersione della crisi.
La composizione negoziata della crisi è un nuovo “percorso” di natura stragiudiziale, riservato
e flessibile attraverso il quale l’imprenditore commerciale o agricolo, quando si trova in stato di
pre-crisi, crisi o insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento può chiedere la
1
(GIANESINI, 2016, p. 25).
6
nomina di un professionista esperto nella ristrutturazione il cui ruolo è quello di facilitare le trattative
tra debitore, creditori ed eventuali terzi interessati al fine di individuare una soluzione idonea al
superamento delle difficoltà.
All’esperto è richiesto il possesso congiunto di competenze in materia di crisi d’impresa,
ristrutturazione aziendale, mediazione d’impresa, diritto societario, tributario, processuale e del
lavoro onde svolgere in modo proficuo la facilitazione delle trattative a lui richiesta: un compito che
sottintende una valutazione delle concrete prospettive di risanamento, un presidio costante
dell’attività gestoria dell’imprenditore al fine di evitare il compimento di determinati atti
pregiudizievoli nei confronti dei creditori, un’integrazione delle informazioni di cui il Tribunale deve
disporre per assumere le proprie decisioni e più in generale un’attività che garantisca sia la costante
presenza delle condizioni necessarie per la continuazione del risanamento sia la proporzionalità dei
sacrifici richiesti alle parti.
Inoltre, nello svolgimento del suo incarico l’esperto è tenuto ad assumere una posizione
imparziale, indipendente, riservata e professionale in modo tale da instillare nelle parti quella fiducia
necessaria affinchè il debitore decida sua sponte di denunciare le proprie difficoltà ed affidarne la
risoluzione alle potenzialità della composizione negoziata.
Lo scopo di questo elaborato è sì quello di analizzare il ruolo dell’esperto nella nuova
composizione negoziata della crisi ma non prima di aver approfondito le tappe storiche che non solo
hanno frammentato il sistema fallimentare italiano ma soprattutto hanno reso impellente l’esigenza
di una riforma organica della materia.
Nel Capitolo I si evidenzia la ratio sottostante i principali interventi legislativi dal 1942 ad
oggi: quali erano gli interessi che la disciplina fallimentare tutelava, perché e in che modo sono
diventati obsoleti, qual è stato il punto di rottura che ha reso necessaria una riforma organica della
materia. In conclusione del capitolo è presentata la nuova Composizione negoziata della crisi
d’impresa e in particolar modo sono evidenziate sia le regioni che hanno reso necessaria la sua
ideazione sia le migliorie che hanno consentito di superare le criticità pratiche dell’omonima
disciplina presente nella versione originaria del Codice.
Ai profili operativi della composizione negoziata è dedicato il Capitolo II nel quale sono
approfondite le caratteristiche strutturali, i presupposti, lo svolgimento, gli snodi fondamentali, i
possibili esiti. In chiusura del capitolo si propongono cenni sulla nuova procedura del Concordato
semplificato per la liquidazione del patrimonio.
Infine, nel Capitolo III, dedicato al ruolo dell’esperto, dopo aver illustrato i requisiti e le
competenze che ne definiscono il profilo, si esamina dettagliatamente il contributo multidimensionale
7
richiesto dal legislatore a questa nuova figura professionale del diritto della crisi. Per ultimo si
propone una disamina in merito alla responsabilità che grava in capo all’esperto.
8
CAPITOLO I
IL PENDOLO CHE OSCILLA FRA AUTONOMIA NEGOZIALE E ETERONOMIA
GIUDIZIALE: MORALITÀ, CONTINUITÀ E TEMPESTIVITÀ
SOMMARIO: 1 EVOLUZIONE STORICA DELLE PROCEDURE CONCORSUALI;
1.1 L’origine del fallimento e la prima forma di composizione negoziata; 1.2 Il Regio Decreto del
1942 e l’emergere delle prime esigenze di conservazione dell’impresa; 1.3 La stagione delle riforme
infinite; 1.4 La “miniriforma” del 2012 e la “controriforma” del 2015; 2 IL TITOLO II DEL CODICE
DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA; 2.1 Il Codice e il suo iter travagliato;
2.2 Il meccanismo dell’allerta; 2.3 Il D.L. n. 118/2021; 2.3.1 La composizione negoziata per la
soluzione della crisi d’impresa; 2.4 Analisi differenziale fra composizione negoziata
(D.L. n. 118/2021) e composizione assistita (secondo l’originaria versione del CCII);
2.5 Dall’allerta alle segnalazioni per la anticipata emersione della crisi; 2.6 I principi valoriali della
composizione negoziata e della nuova allerta; 2.7 Il nuovo Titolo II del Codice della crisi d’impresa
e dell’insolvenza.
1. EVOLUZIONE STORICA DELLE PROCEDURE CONCORSUALI
1.1 L’origine del fallimento e la prima forma di composizione negoziata
«Non siamo noi a creare la storia, ma è la storia a creare noi»
2
e aggiungo, le nostre istituzioni.
«Ogni istituto ha una propria individualità, risponde alle esigenze di un certo momento storico
secondo i criteri che il legislatore adotta desumendoli dalle circostanze che lo sollecitano nella
scelta»
3
.
Il fallimento, seppur per ideologia o per forme primigenie, è da attribuirsi all’epoca del diritto
romano, nel quale trovarono applicazione le prime forme di par condicio creditorum
4
, di
spossessamento
5
e di vendita coattiva
6
.
È tuttavia nell’età comunale Medievale che hanno origine i primi prototipi del moderno
fallimento
7
, concepito come soluzione diretta a tutelare le ragioni dei creditori prima e ad espellere il
2
Martin Luther King Jr.
3
(SANTANGELI, 2022, p. 22).
4
La regola prior in tempore potior in iure era la ragione del fallimento come conflitto immanente fra creditori espresso
dal brocardo bellum omnium contra omnes.
5
Il quale deriva dalla cosiddetta fictio mortis del debitore e dalla figura del curator che aveva il compito di custodire il
patrimonio del debitore a seguito della perdita della capacità di disporre dei propri beni.
6
La quale deriva dalla venditio bonorum ossia la vendita dei beni a favore dei creditori.
7
(DI MARZIO, 2018, p. 33).
9
commerciante dal mercato poi. Il mercante, antenato dell’odierno imprenditore, in caso di
inadempimento delle proprie obbligazioni subiva punizioni così dure in termini di infamia e sul piano
personale che spesso preferiva darsi alla fuga anche in ragione del fatto che l’insolvenza era sempre
e comunque equiparata ad un evento fraudolento ossia un reato
8
.
Fu solo nel XV secolo che tramite la prima forma di “composizione negoziata” della crisi
d’impresa – il concordato – nacque l’idea che il fallimento potesse verificarsi anche per il debitore
“onesto ma sfortunato” in assenza di colpa o dolo.
Al riconoscimento del valore sociale dell’azienda e quindi della sua conservazione quale
mezzo per la soddisfazione dei creditori si aggiunse l’investitura del concordato quale strumento
idoneo a raggiungere tale obbiettivo
9
.
Inoltre, osservando quanto i codici del commercio del 1865 e 1882 fossero intrisi di caratteri
liberali e privatistici
10
, è avvilente constatare una completa inversione di rotta con la riforma del
1930
11
che scelse di perseguire la risoluzione della crisi d’impresa mediante una «procedura
rapidissima e senza intralci di chicchessia – nemmeno dei creditori – che doveva portare alla
liquidazione del patrimonio»
12
.
L’affermazione del principio di governo dell’autorità giudiziaria esprime la scelta del
legislatore di ricercare dichiaratamente la tutela dell’interesse pubblico
13
, «compreso nella forbice fra
tutela dei creditori e opportunità di espellere dal mercato l’impresa insolvente»
14
.
Nel corso della storia le procedure di regolazione della crisi hanno visto modificarsi quasi la
totalità dei loro più rilevanti profili come i presupposti di accesso, oggi distinti in “oggettivi” e
“soggettivi”, le fasi procedurali, gli strumenti, le conseguenze e la terminologia utilizzata; tuttavia da
una parte le finalità sottese a tali procedure, ovvero la tutela dell’interesse pubblico prima e dei
8
L’espressione “est decoctor ergo fraudator” meglio esprime la relazione biunivoca fra fallimento e presunzione di frode.
9
(VIV ANTE, 1911, p. 476): l’Autore sosteneva come fosse troppo utile alla società che l’azienda non andasse dispersa
nel nulla delle liquidazioni e divenisse centro fecondo di una rinnovata attività economica. Inoltre «se colui che la dirige
è immune da colpe, è logico che i creditori risentano le perdite della sua gestione, come avrebbero goduto i benefici di un
lucroso impiego se l’azienda fioriva».
10
(FABIANI, 2011, p. 24): l’Autore sostiene come ai creditori spettasse un potere di indirizzo non disgiunto da compiti
gestori in alcune fasi della procedura. (NOCERA, 2013, p. 28): l’Autore si sofferma su una forma di concordato
stragiudiziale cosiddetto amichevole o individuale in cui la regolamentazione della convenzione con i creditori era rimessa
esclusivamente alla libera autonomia privata. Inoltre, nel codice di commercio del 1865 era stato reso obbligatorio il
tentativo di concordato, lasciando «all’iniziativa individuale, di chi può avervi interesse, il provocare la convocazione per
trattare del concordato, quando si ha probabilità di successo».
11
Per mezzo della L. n. 955/1930 rispetto alla quale la Legge Fallimentare del 1942 sarà in piena sintonia.
12
L. Stanghellini in (MORBIDELLI, 2014, p. 172).
13
Scelta espressa inequivocabilmente nella relazione alla legge fallimentare del ministro guardasigilli il quale dispone
che «la legge fallimentare (…) vuole assicurare una più energica tutela agli interessi generali rispetto a quelli individuali
dei creditori e del debitore».
14
(FABIANI, 2011, p. 25).
10
creditori poi, salvo alcune eccezioni relative principalmente all’esperienza dell’«uso alternativo»
15
dell’amministrazione straordinaria, sono rimaste, immutate, fino ai giorni nostri; dall’altra le modalità
di soddisfazione dei creditori, hanno accolto, attraverso le riforme del biennio 2005-2007
16
, le
cosiddette soluzioni negoziali a carattere stragiudiziale.
Al fine di comprendere la ratio sottostante gli interventi del legislatore, che hanno portato ad
un mutamento radicale dell’ideologia della materia fallimentare, è necessario ripercorrere quelle che
sono state le riforme più significative dal 1942 ai giorni nostri.
1.2 Il Regio Decreto del 1942 e l’emergere delle prime esigenze di conservazione dell’impresa
Il 16 marzo 1942, nel pieno del secondo conflitto mondiale, entra in vigore il R.D. n. 267 vale
a dire la legge fallimentare che nel suo impianto originario disciplinava gli istituti del fallimento, del
concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa.
Premesso che il legislatore è – e sempre sarà – influenzato dal contesto economico, politico e
sociale del momento storico, è presto detto che la struttura della legge fallimentare «non stonava con
l’assetto autoritario»
17
del regime fascista e in particolar modo con il rigore e il dirigismo dell’epoca
i quali fanno sì che il fallito sia connotato da immoralità e stigmatizzazione sociale.
L’imprenditore insolvente doveva essere espunto dal mercato per evitare che potesse in
qualche modo contaminare il tessuto economico. Al pari di un’autopsia
18
che ha luogo nel momento
in cui la patologia
19
ha oramai fatto il suo corso, «la logica darwiniana dell’eliminazione dal mercato
degli individui deboli»
20
prevedeva la liquidazione dei beni dell’imprenditore e la successiva
distribuzione del ricavato ai creditori.
L’architrave portante delle procedure concorsuali della legge fallimentare era composto da:
fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa
21
e amministrazione
controllata
22
.
15
(GAMBINO, 1979, p. 1). Negli anni ’70 e ’80 l’Amministrazione straordinaria finì per essere impiegata in modo
distorto al fine di postergare nel tempo l’inevitabile liquidazione. In particolare fu posto eccessivo focus sulla
conservazione dei livelli occupazionali a discapito delle pretese creditorie.
16
Nello stesso senso (FABIANI, 2011, p. 20; NOCERA, 2013, p. 6).
17
(MORBIDELLI, 2014, p. 178).
18
(PACCHI, 2022a, p. 5): l’Autrice fa riferimento al metodo autoptico intendendo un’autopsia post mortem.
19
(ROCCO, 1910): l’Autore osserva che «il fallimento è un fatto patologico nello svolgimento della economia creditizia:
esso è l’effetto dell’anormale funzionamento del credito».
20
(NAPOLEONI, 1999, p. 107).
21
Procedura di carattere amministrativo, concettualmente affine al fallimento, finalizzata alla tutela dell’interesse
pubblico di cui determinate imprese di grande dimensione si fanno portatrici.
22
Procedura concorsuale attraverso la quale l’imprenditore non ancora insolvente ma in stato di “temporanea difficoltà
ad adempiere alla proprie obbligazioni” e con concrete possibilità di risanamento, chiedeva al Tribunale il controllo della
11
Con particolare riferimento al fallimento si assiste da una parte ad una forte spinta di
eteronomia giudiziale nella misura in cui il Tribunale e il giudice delegato divengono il fulcro univoco
dei poteri in situazioni di insolvenza e dall’altra ad un ridimensionamento del ruolo del ceto
creditorio
23
, ritenuto «incapace di tutelare i propri interessi»
24
, oltremodo accentuato dall’investitura
del curatore a pubblico ufficiale quale esecutore materiale delle istruzioni del giudice delegato. La
ratio del fallimento è chiara e consiste nel tutelare le ragioni dei creditori mediante una liquidazione
coattiva dei beni dell’imprenditore, il cui ricavato è distribuito fra tutti i creditori nel rispetto della
par condicio creditorum
25
.
Il concordato preventivo
26
nasce come procedura esecutiva finalizzata alla prevenzione del
fallimento, attraverso il quale il debitore insolvente «onesto ma sfortunato»
27
aveva la possibilità di
preservare la propria impresa e raggiungere un accordo con i propri creditori. L’unica condizione, a
dir poco ostativa, era la previsione del soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati e in misura
non inferiore al 40% dei creditori chirografari
28
.
La “cassetta degli attrezzi” che la legge fallimentare metteva a disposizione in situazione di
insolvenza rispondeva ad una logica essenzialmente liquidatoria come si evince dalle condizioni di
applicabilità eccessivamente restrittive
29
per le procedure con finalità alternative, come la
conservazione dell’impresa nel concordato preventivo, che di fatto rappresentava «un esito possibile
ma non lo scopo del procedimento»
30
, perseguibile, inoltre, solo per potestà dell’autorità giudiziaria.
L’esigenza di conservazione dell’impresa come veicolo per la tutela di interessi alternativi a
quelli dei creditori era stata avvertita ma non realmente perseguita anche per il fatto che la
gestione dell’impresa e dell’amministrazione dei suoi beni a tutela degli interessi dei creditori per un periodo non
superiore a due anni.
23
I creditori non esercitavano alcuna influenza e in particolare i loro pareri erano vincolanti solo in caso di esercizio
provvisorio dell’impresa del fallito.
24
(VELLA, 2015, p. 6)
25
Art. 2741, comma 1, c.c.
26
Procedura che ruota attorno ad un accordo fra debitore e creditori che, previa omologazione del Tribunale, permette al
debitore di godere dei benefici dell’esdebitazione.
27
(CANDIAN, 1937, p. 1). Il debitore era ammesso alla procedura di concordato preventivo qualora rispettasse
determinati requisiti in termini di meritevolezza come ( i ) iscrizione nel registro delle imprese da almeno due anni con
regolare tenuta della contabilità; ( ii ) assenza, nei cinque anni precedenti, di dichiarazione di fallimento o ammissione al
concordato preventivo; ( iii ) assenza di condanne per bancarotta o per delitti contro il patrimonio, la fede pubblica,
l’economia, l’industria e il commercio.
28
Iniziarono ad essere utilizzati ai fini di conservare il valore economico dell’impresa e il complesso aziendale dei
concordati stragiudiziali che tuttavia a causa dell’assenza di un’apposita regolamentazione risultavano essere più rischiosi
delle procedure concorsuali sia in termini di responsabilità civile e penale, sia di esposizione alle azioni esecutive e
revocatorie; di converso assicuravano maggiore rapidità e consentivano una maggiore riservatezza della crisi, evitando
inoltre i controlli giudiziali sulla gestione.
29
Il riferimento è alle condizioni di soddisfacimento dei creditori nel concordato preventivo e alle condizioni di
approvazione della proposta del debitore nell’amministrazione controllata ossia la maggioranza dei creditori che
rappresentasse anche la maggioranza dei crediti.
30
(FABIANI, 2014, p. 15).
12
dissoluzione delle imprese generava una serie di singoli asset che tuttavia si presentavano
«assolutamente mobili e facilmente assorbibili dal mercato»
31
per opera di un sistema di imprese
ancorato alla concezione statica e materiale dei fattori produttivi.
A cavallo tra gli anni ’70 e ’80 i cambiamenti della realtà economica e una situazione generale
di crisi misero in discussione i principi e gli strumenti di risoluzione della crisi d’impresa definiti dal
legislatore del 1942; lo smembramento dei complessi produttivi aveva ripercussioni catastrofiche sia
a livello economico che a livello occupazionale, tanto più se l’impresa in crisi era di interesse per
l’economia nazionale.
Tutto ad un tratto, a fianco della tutela del credito, finalità principe della legge fallimentare,
emerse così la necessità di conservazione dell’organismo produttivo.
Gli interventi legislativi che in quegli anni si susseguono
32
, pur essendo esclusivamente rivolti
al salvataggio di grandi imprese, hanno il merito di perseguire, per la prima volta, finalità alternative
alla tutela degli interessi del ceto creditorio come la conservazione dei valori dell’impresa e in
particolar modo i livelli occupazionali, le relazioni commerciali, l’avviamento, la posizione di
mercato e gli interessi pubblici che altrimenti sarebbero andati persi.
Tuttavia il perseguimento del risanamento si convertì nell’ingiustificato salvataggio di
imprese in difetto di concrete prospettive di risanamento con conseguente depauperamento della
massa attiva fallimentare prima e pregiudizio delle ragioni dei creditori poi
33
.
Si rese così necessaria una riforma organica al fine di riallineare e coordinare le discipline
vigenti in materia fallimentare.
31
(FIMMANÒ, 2004, p. 1).
32
I principali furono: ( i ) L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (D.L. 30 gennaio 1979, n.26
convertito dalla L. 3 aprile 1979, n.95, c.d. Legge Prodi) nella quale il Tribunale, dichiarato lo stato di insolvenza,
nominava uno o più commissari straordinari affidando loro la predisposizione di un piano di risanamento e, se coerente
con l’interesse dei creditori disponeva la continuazione dell’esercizio dell’impresa per un periodo massimo di 4 anni in
una prospettiva di continuità indiretta; ( ii ) la Legge Prodi – bis (D.LGS. 8 luglio 1999, n.270), abrogando il testo della
legge precedente, introduce nella nuova disciplina una fase preliminare diagnostica
32
affidata ai commissari straordinari
al fine di verificare la presenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico, in assenza delle quali
l’impresa sarebbe stata liquidata; ( iii ) il Decreto Marzano (D.L. 23 dicembre 2003, n.347 convertito in
L. 18 febbraio 2004, n.39) che introduce la cosiddetta amministrazione straordinaria speciale sull’onta dell’inidoneità
della disciplina allora vigente a gestire con prontezza la crisi di un’impresa di “grandissime” dimensioni.
33
L’equilibrio fra conservazione dell’organizzazione, valori dell’impresa e tutela dei creditori subisce un disallineamento.
(DI MARZIO, 2011, p. 34) esprime un concetto interessante: nel momento in cui l’impresa esprime un valore la cui
salvaguardia è funzionale alla migliore affermazione dell’interesse dei creditori in sede di liquidazione allora la tutela di
interessi diversi da quelli dei creditori – continuità aziendale – si rivela funzionale alla tutela degli stessi.
13
1.3 La stagione delle riforme infinite
A causa di conflitti con associazioni di categoria
34
principalmente riguardo il tema della
revocatoria fallimentare, il disegno di riforma organica concepito dalla seconda “Commissione
Trevisanato”
35
non vide mai la luce e al suo posto, a partire dal 2005, si susseguirono numerose «leggi
tappabuchi»
36
che in un decennio attuarono una vera e propria «rivoluzione copernicana»
37
della
materia fallimentare.
È il D.L. n. 35/2005 convertito in L. n. 80/2005 il primo intervento legislativo con cui il
legislatore esprime inequivocabilmente il proprio favor verso le soluzioni negoziate della crisi
d’impresa nell’ottica di perseguire la conservazione dell’attività produttiva.
I «bisogni concreti»
38
, cui la riforma tende, sono soddisfatti prima di tutto attraverso la
«demolizione»
39
dell’azione revocatoria: si evince infatti un riconoscimento del valore della going
concern dell’impresa data principalmente dalla previsione di cui all’art. 67, comma 3, lett. d) la quale
esonera dall’azione revocatoria «gli atti, i pagamenti e le garanzie […] purchè posti in essere in
esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria
dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria», e
all’art. 67, comma 3, lett. e) la quale esonera da revocatoria «gli atti, i pagamenti e le garanzie poste
in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonché
dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis».
In secondo piano, ma di fatto solo formalmente, sono introdotti due nuovi strumenti di
composizione della crisi di natura negoziale come gli accordi di ristrutturazione dei debiti
40
e il piano
attestato di risanamento
41
.
34
Abi, Banca d’Italia, Confindustria, Assonime.
35
La composizione pletorica della Commissione condusse a uno stallo legislativo che portò il Governo a designare una
“seconda Commissione Trevisanato” in composizione ristretta, la quale, si rese autrice di un progetto di legge ordinaria
di natura davvero organica e pioniera nei concetti rispetto al tempo in cui è stata redatta: l’abbandono della
stigmatizzazione del fallimento; la sostituzione del termine “fallimento” con “liquidazione concorsuale”; l’anteposizione
topografica delle procedure negoziate rispetto alle procedure liquidatorie; il favoreggiamento verso iniziative finalizzate
all’emersione tempestiva della crisi. Idee che, ben più tardi come si vedrà, diverranno realtà con il Codice della crisi
d’impresa e dell’insolvenza.
36
(GIANESINI, 2016, p. 25).
37
(VELLA, 2015, p. 5).
38
(FABIANI, 2011, p. 35): l’Autore propone una distinzione fra l’ideologia della riforma [a) mutamento ruolo del giudice;
b) rafforzamento dei poteri dei creditori; c) sburocratizzazione della liquidazione] e i bisogni concreti [d)
ridimensionamento dell’istituto della revocatoria; e) ampliamento delle soluzioni negoziate della crisi].
39
(FABIANI, 2011, p. 36).
40
L’Art. 182-bis introduce la possibilità per l’imprenditore di presentare, con le stesse modalità del concordato preventivo
ma in sua alternativa, un accordo di ristrutturazione dei debiti con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti
accompagnato da una relazione redatta da un professionista che attesti l’idoneità dell’accordo a soddisfare regolarmente
i creditori estranei all’accordo.
41
Il piano attestato di risanamento è un piano industriale, economico e finanziario la cui veridicità e fattibilità sono
attestate da un professionista indipendente che consenta sia di recuperare la capacità di soddisfare integralmente e