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Introduzione
Intorno ai 2 anni i bambini e le bambine cominciano a formare i concetti
riguardanti il genere (riescono ad identificare “i maschi” e “le femmine”) e tra i 3
e i 5 anni iniziano a sviluppare la loro identità di genere, comprendendo in
maniera consapevole cosa voglia dire essere “un maschio” e cosa voglia dire
essere “una femmina”. È solo tra i 5 e i 7 anni che gli stereotipi legati al genere si
consolidano e diventano poi molto difficili da modificare e ancor di più da
sradicare.
1
Ma cosa succede prima dei 2 anni? È molto importante essere
consapevoli degli effetti che questi stereotipi hanno o possono avere sui bambini
2
,
soprattutto quelli molto piccoli. Questo perché spesso i concetti relativi al genere
e all’identità (di genere) sono inconsapevolmente imposti ai bambini ancor prima
della loro nascita, in quanto l’argomento del genere è solitamente dato per
scontato nella vita quotidiana.
Identifichiamo istantaneamente una persona come uomo o come donna, ragazzo o
ragazza, e organizziamo la maggior parte delle nostre occupazioni quotidiane sulla base
di questa distinzione… Una simile impostazione è così comune, così familiare, da
sembrare parte dell’ordine naturale delle cose.
3
Sono proprio queste piccole azioni inconsce e “naturali” che hanno catturato la
mia attenzione e che ho deciso di analizzare nella tesi. L’obiettivo è quello di
fornire una base d’appoggio riguardo i concetti collegati al genere e all’identità di
genere sulla quale poi costruire una ricerca, per analizzare i comportamenti di
coppie in attesa relativi a tali tematiche.
Nel primo capitolo sono presentati un ampio spettro di nozioni base che servono
per fare chiarezza all’interno del confusionario panorama del genere, aiutando
nella comprensione della ricerca. Il genere è infatti una delle principali categorie
organizzatrici della vita sociale di un individuo e pertanto risulta essenziale
riconoscere in primis la differenza tra questo concetto e quello di sesso. Le
riflessioni sul tema presentano poi il genere come un sistema socialmente
1
AINA Olaiya E. & CAMERON PETRONELLA A., Why Does Gender Matter?
Counteracting Stereotypes with Young Children, in «Dimensions of Early Childhood»,
vol. 39, n. 3, 11-20, 2011
2
Tutti i termini maschili usati in questo testo hanno una valenza neutra ed inclusiva.
L’esplicitazione sia della forma maschile che di quella femminile non è stata applicata
perché appesantisce non solo la frase ma il testo stesso.
3
CONNELL Robert W. (2002), Questioni di genere, trad. it. Il Mulino, Bologna 2006, P.
30-31
6
costruito al quale si intrecciano questioni di identità e questioni di potere.
Riconoscendo l’importanza del genere nella vita quotidiana si passa poi all’analisi
di tutti quei fattori che possono alterare e modificare la percezione dello stesso.
L’attribuzione di uno o dell’altro sesso determina il nome dato al bambino, il
modo in cui gli si parla, il colore dei suoi vestiti, i giocattoli che gli verranno
comprati e regalati. Anche dopo che i bambini sono cresciuti il genere continua a
giocare un ruolo di estrema importanza nelle loro vite: gli adulti, maschi e
femmine, hanno differenti acconciature, abbigliamento, lavoro, ruoli familiari,
interazioni, etc. Sono proprio queste differenze tra aspetti maschili e aspetti
femminili ad essere inizialmente analizzate nel secondo capitolo. Vengono poi
presentati i processi di costruzione e di socializzazione al genere che avvengono
sia nel panorama del ristretto contesto familiare, sia nel panorama più ampio della
società attuale.
Tutti gli argomenti trattati nei primi due capitoli confluiscono nella ricerca
personalmente effettuata e presentata nel terzo ed ultimo capitolo: attraverso lo
strumento dell’intervista interpretativa è stato possibile analizzare le scelte relative
al genere delle coppie in attesa di figli o con bambini entro 18 mesi. Il focus della
ricerca è stato determinato dalla carenza, nel panorama scientifico attuale, di studi
che analizzano i comportamenti di genere dei genitori con bambini molto piccoli,
che influenzano successivamente questi ultimi durante la crescita e lo sviluppo
dell’identità personale. I dati raccolti analizzano percezioni e stereotipi presenti
nelle coppie e mettono in mostra la responsabilità che queste hanno nella
formazione e nell’educazione dei figli riguardo al genere.
La conclusione dell’elaborato propone una visione di insieme ed ha lo scopo di
illustrare se vi siano in atto cambiamenti socio-culturali nel panorama del genere,
che valorizzino le differenze tra i generi senza ridurli ad una dimensione
normativa e binaria.
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Capitolo 1
CONCETTI E INFORMAZIONI GENERALI PER COMPRENDERE
L’ANALISI
1.1 Partendo dalla base: definizione e breve percorso storico-
sociale del sesso e del genere
Nel corso dei secoli i termini “sesso” e “genere” sono stati usati, in modo allusivo
e traslato, per evocare tratti caratteriali o sessuali di ciascun individuo.
Fino al 1970 circa il termine “sesso” era il più utilizzato per riferirsi comunemente
al sesso maschile e a quello femminile, mentre il termine “ruoli sessuali” era il
termine usato per far riferimento all’adozione di definizioni culturali di
mascolinità e femminilità. Il termine “genere” venne introdotto per la prima volta
nel panorama scientifico da Gayle Rubin. Egli descrisse il sex-gender system,
definendolo come un «sistema di relazioni sociali che trasforma la sessualità
biologica in un prodotto dell’attività umana e nel quale i bisogni sessuali così
trasformati trovano soddisfazione»
4
. Introdusse così la differenza semantica tra i
concetti di “sesso” e di “genere”, qualificando il primo come l’insieme delle
caratteristiche fisiche, biologiche, cromosomiche e genetiche dell’individuo. Il
secondo come un “costrutto sociale”, cioè, un processo di costruzione sociale e
culturale sulla base di comportamenti e di caratteristiche associati a donne e
uomini, che spesso finiscono per definire anche ciò che è appropriato o meno per
una femmina o per un maschio.
Sebbene questa sia stata la prima divisione riconosciuta, già nel 1949 Simone de
Beauvoir affermava che «non si nasce donna ma lo si diventa»
5
. Con questa frase
l’autrice introduce un’idea rivoluzionaria per l’epoca, secondo la quale si è
affermata la necessità di superare la visione dicotomica-gerarchica che inquadra il
maschio come “norma” e la femmina come, appunto, “secondo sesso”.
L’utilizzo del termine “genere” sostituito a “sesso” per fare riferimento alla
categoria maschile e femminile è stato lanciato dallo psicologo John Money con
l’adozione del termine “ruoli di genere” per distinguere tra gli organi sessuali e
4
BRAMBILLA Lisa, Divenir donne: l’educazione sociale di genere, ETS, Pisa 2016, P.
83
5
DE BEAUVOIR Simone, Il secondo sesso, EST, Milano 1997, P. 325
8
tutti gli altri aspetti che potessero distinguere una femmina da un maschio. Money
adottò l’uso del termine “genere” per riferirsi alle componenti sia “esterne” del
genere (attualmente chiamate “ruoli di genere”) sia “interne” (attualmente
chiamate “orientamento sessuale).
Nello stesso periodo le femministe americane hanno cominciato ad usare la parola
“genere” per riferirsi all’organizzazione sociale della relazione tra i sessi. Questo
permise innanzitutto di spostare l’attenzione dalla condizione di inferiorità delle
donne allo studio della costruzione sociale dell’appartenenza sessuale che
considerava anche gli uomini. Il termine è stato da loro stesse impiegato con lo
scopo di ribadire da un lato la qualità fondamentalmente sociale delle distinzioni
basate sul sesso, dall’altro il rifiuto del determinismo biologico che quest’ultimo
implicitamente imponeva. Secondo questo nuovo uso il genere sarebbe «una
categoria sociale imposta a un corpo sessuato».
6
Nonostante i notevoli sforzi impiegati nel tentativo di ridefinire la nozione di
“genere”, le femministe non sono riuscite ad impedirne l’uso come sinonimo di
“sesso”. Probabilmente perché la sola attestazione della distinzione tra sfera fisica
(natura, corpo) e sfera sociale (cultura, mente) non è stata sufficiente ad affrontare
questa confusione linguistica. La tendenza a fondere insieme i due termini è
rappresentativa della difficoltà da parte degli individui di immaginare e
rappresentare i corpi fisici come invenzioni sociali, all’interno della relazione
dicotomica natura-cultura.
Un altro equivoco linguistico vede il termine “genere” come sostituto della
vecchia dizione “condizione femminile”. Questi, però, non possono essere
considerati come interscambiabili: in primo luogo perché il concetto di
“condizione femminile” si limitava ad indicare l’esperienza di subordinazione e di
oppressione delle donne rispetto agli uomini e da parte di questi, mentre il
concetto di “genere” pone la questione della costruzione sociale dell’appartenenza
ad un sesso. In secondo luogo, il nuovo vocabolo prevede che la condizione
femminile venga analizzata congiuntamente a quella maschile e non più in
maniera separata, dal momento che le due condizioni si costruiscono e
determinano reciprocamente attraverso una relazione formata da legami, contrasti
6
FAZIO Ida (a cura di), Genere, politica, storia, Viella, Roma 2013, P. 36
9
e adattamenti reciproci.
Poiché entrambi gli equivoci si protraggono tutt’ora nel senso comune e nella
pratica di ricerca, è necessario operare una netta distinzione tra i due termini in
modo da sollevare la confusione concettuale e terminologica che avvolge
entrambi. La separazione netta di questi due concetti vuole precisare la non
coincidenza delle dimensioni biologica/naturale e di identità di genere, indicando
come mascolinità e femminilità non siano l’effetto di una differenza naturale,
quanto un prodotto storicamente e culturalmente determinato e soggetto pertanto
al cambiamento e alle trasformazioni. Purtroppo non esiste una convenzione
universalmente accettata per l’utilizzo di questi vocaboli. Uno schema comune
utilizzato da molti studiosi è quello di utilizzare "sesso" per gli aspetti biologici
(ormoni, cromosomi, genitali, etc.), mentre "genere" per gli aspetti sociali,
culturali e psicologici che distinguono i maschi dalle femmine.
1.1.1 Differenze di sesso o differenze di genere?
È evidente che esistano differenze tra i generi, queste sono talmente radicate al
punto da essere definite come “naturali” e fondanti della nostra specie.
Simultaneamente, la cultura contribuisce ad aumentare il divario, attribuendo ad
entrambi i sessi capacità e abilità differenti, a cui vengono poi fatti aderire ruoli e
comportamenti diversi, spesso contrapposti.
Nel corso del tempo sono state elaborate numerose teorie da svariati studiosi per
provare a spiegare le diversità, soprattutto nell’atteggiamento e nel
comportamento, riscontrate tra donne e uomini. Queste differenze sono biologiche
o sociali? La risposta a questa domanda si è articolata in quattro principali e
divergenti filoni teorici.
Il primo filone è quello delle teorie “classiche”, che connettono maschilità e
femminilità alle caratteristiche ormonali, fisiche e riproduttive. Secondo queste
teorie le differenze tra uomini e donne sono un elemento naturale, originario e
immodificabile, presente in tutte le culture.
Il secondo filone è rappresentato dalle teorie del costruttivismo sociale, che
assumono l’identità di genere come plasmata da modelli culturali e quindi fluida.
Le differenze di comportamento tra donne e uomini si sviluppano pertanto