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INTRODUZIONE
Perché trattare il tema delle esposizioni deteriorate?
L’erogazione del credito, assieme alla raccolta del risparmio tra il pubblico,
rappresenta il cuore dell’attività bancaria.
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Nello svolgimento di tale attività qualsiasi istituto di credito, per quanto monitori
periodicamente le singole esposizioni dei propri debitori, sarà sempre soggetto al rischio che
questi ultimi, per motivazioni di natura sistemica e/o idiosincratica, non siano in grado di
ripagare del tutto o in parte il prestito ricevuto nelle modalità e nelle tempistiche concordate.
Potrebbe anche succedere che una banca, oltre a dover sopportare il rischio di credito nelle sue
diverse componenti (nello specifico, i rischi di esposizione, di insolvenza, di migrazione, di
recupero e di spread), eroghi finanziamenti durante una fase del ciclo economico a lei
sfavorevole oppure adottando politiche creditizie inadeguate per le caratteristiche e i bisogni
della sua potenziale clientela.
Essendo il credito la componente di maggior peso nell’attivo di una banca, detenere
un ammontare elevato di esposizioni deteriorate nel proprio portafoglio impieghi non è esente
da ripercussioni. Innanzitutto, i nuovi finanziamenti concessi sarebbero caratterizzati da minori
volumi, tassi d’interesse più elevati e dalla richiesta di ulteriori garanzie, disincentivando gli
investimenti produttivi da parte di imprese e famiglie.
In secondo luogo, la banca, divenuta meno redditizia, meno solida e dunque più
rischiosa agli occhi dei suoi stakeholder, dovrà raccogliere capitali ad un costo più elevato,
limitare la distribuzione di utili e dividendi, aumentare gli accantonamenti ad hoc per tutelarsi
da potenziali perdite, rafforzare i requisiti di vigilanza prudenziale e sottrarre risorse monetarie,
umane ed IT inizialmente destinate al core business per evitare non solo un progressivo
peggioramento della qualità del credito e degli indici di bilancio, ma anche un aumento dei costi
finanziari ed operativi associati.
Qualora la situazione diventasse ingestibile, il rischio di contagiare il settore bancario
e l’economia reale diventerebbe sempre più concreto, rendendo gli strumenti di politica
monetaria a disposizione delle banche centrali e l’intervento delle autorità di vigilanza e dei
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Come si evince dal d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, art.
10, c. 1.
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governi nazionali per la tenuta del sistema finanziario meno efficaci ed incisivi col passare del
tempo.
È in queste circostanze che emergono nei bilanci le cosiddette non-performing
exposures o NPE, crediti problematici che in sistemi finanziari bancocentrici come quello
italiano sono una realtà consolidata da anni, un’eredità della Grande Recessione e della crisi del
debito sovrano europeo che oggi la pandemia di COVID-19, la guerra in Ucraina e le loro
conseguenze più o meno dirette (in primis un’inflazione crescente e politiche monetarie sempre
più restrittive, oltre che una maggiore incertezza e volatilità sui mercati) stanno aggravando
ulteriormente.
Secondo l’ultimo Market Watch NPL (osservatorio di Banca Ifis che da più di un
decennio studia il fenomeno), lo stock di NPE lordi in pancia alle banche italiane ammonterà
entro la fine del 2022 a circa 61 miliardi di euro. Un quantitativo molto ridotto, se comparato
al picco di 341 miliardi registrato nel terzo trimestre del 2015 (all’epoca pari a più di un quinto
del PIL nazionale e a oltre un terzo di tutte le esposizioni deteriorate comunitarie), ma che va
comunque tenuto sotto stretta osservazione poiché, nonostante la cessione sul mercato
secondario di 35 miliardi di crediti problematici in un’ottica di de-risking, il flusso di nuovi
NPE crescerà di altri 64 miliardi tra la fine del 2022 e del 2024.
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L’obiettivo di questa tesi è presentare i tratti distintivi di una gestione ottimale delle
esposizioni deteriorate nel settore bancario italiano, non solo analizzando le diverse soluzioni
adottate dal mercato negli ultimi anni e i suoi possibili sviluppi futuri, ma osservando anche
come una delle maggiori banche del nostro Paese gestisce quotidianamente le proprie NPE in
un apposito case study.
Nel primo capitolo si analizzeranno le caratteristiche e le definizioni - regolamentari
e non - delle non-performing exposures, delle relative sottoclassi e delle misure di forbearance,
mostrando non solo l’evoluzione, le dimensioni e le potenziali cause del fenomeno, ma anche
le principali evidenze riscontrate dalla letteratura empirica nell’ultimo decennio.
Il secondo capitolo verterà sui più importanti interventi normativi e strategici adottati
negli ultimi anni sia dal Governo e dal Parlamento italiano che dagli organi di decisione politica
comunitari per salvaguardare l’industria bancaria, oltre che sugli approcci gestionali del credito
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Banca Ifis, ‹‹Npl transaction market and servicing industry. Forecast 2022-2024››, 23/09/2022,
URL: https://www.bancaifis.it/app/uploads/2022/09/MW_NPL_Set22_ENG_MASTER_20220920.pdf (accesso
01/11/2022), pagg. 2, 4, 9, 11 e 21.
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distressed riscontrabili nella maggioranza degli istituti di credito, valutandone sia le
motivazioni sottostanti che la loro efficacia.
Nel terzo capitolo si osserveranno gli strumenti a disposizione degli operatori bancari
e le controparti con cui dialogare, competere e/o collaborare nella gestione del credito non-
performing: a titolo di esempio, si passerà dalla securitization al ricorso alle Real Estate Owned
Companies o REOCO, dalla cogestione in partnership con servicer specializzati all’utilizzo di
software e piattaforme ad hoc, dal ricorso a dei Fondi di Investimento Alternativi (FIA) al
coinvolgimento di aziende, università e liberi professionisti per lo studio di un fenomeno in
continua e rapida evoluzione.
Il quarto ed ultimo capitolo darà al lettore la possibilità di vedere da vicino in che
modo il Gruppo Bancario Banca Popolare di Sondrio ha gestito negli ultimi sedici anni le
proprie NPE, a quali controparti ha fatto affidamento e le principali caratteristiche quali- e
quantitative del proprio portafoglio di creditinon-performing, per poi concludere con
l’interpretazione dei risultati ottenuti in tale ambito prima dalla sezione “Gestione credito
anomalo” e poi dalla propria NPE Unit.
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CAPITOLO 1
L’universo NPE.
1.1 Cosa si intende per esposizione non-performing?
Una volta compresa la pericolosità intrinseca di queste esposizioni, è necessario
definire in maniera univoca e il più oggettivamente possibile in quali circostanze un credito sia
classificabile come deteriorato o meno e quando rischia di esserlo.
Un concetto, quello di credito non-performing, che nell’ultimo ventennio gli operatori
del settore hanno indicato attraverso numerose denominazioni come “esposizione o attività
finanziaria deteriorata”, “credito o esposizione in default”, “distressed loan”, “non-performing
loan” (noto altrimenti come “NPL”) e, in tempi più recenti, “NPE”. È importante puntualizzare
che l’utilizzo di questi termini come sinonimi nella prassi bancaria, nel dibattito politico e nel
linguaggio colloquiale non solo non sia sempre corretto, ma sia anche scoraggiato dai
supervisor comunitari nell’ambito dell’attività di vigilanza, come dimostra ad esempio
l’accostamento tra NPL ed NPE. Sebbene in passato l’insieme dei crediti deteriorati venisse
identificato come NPL ed il suo utilizzo intercambiabile con NPE fosse ancora presente nel
2017 nelle linee guida della BCE così come nella letteratura anglosassone e tedesca sul tema,
secondo gli Implementing Technical Standards (o ITS) sulle segnalazioni di vigilanza
(esposizioni oggetto di concessioni ed esposizioni deteriorate) emanati dalla European Banking
Authority (EBA), i primi sono una componente dei secondi insieme ai titoli di debito e alle voci
fuori bilancio deteriorati.
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Di conseguenza, in questa sede si preferirà dove possibile l’utilizzo
del termine NPE, più onnicomprensivo, a quello di NPL.
Per comprendere a fondo cosa si intende per esposizione deteriorata, di seguito
verranno riportate le principali definizioni adottate a livello globale, comunitario e nazionale
nel corso degli ultimi vent’anni.
Il Fondo Monetario Internazionale è stata una delle prime istituzioni internazionali
a chiarire il concetto all’interno della prima versione ufficiale della Financial Soundness
Indicators Compilation Guide, identificando i non-performing loans con queste parole:
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Banca Centrale Europea, ‹‹Linee guida per le banche sui crediti deteriorati (NPL)››, 20/03/2017,
URL: https://www.bankingsupervision.europa.eu/ecb/pub/pdf/guidance_on_npl.it.pdf (accesso 01/11/2022),
pagg. 7, 53 e 108.
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‹‹(…) loans (and other assets) should be classified as NPL when payments of principal
and interest are past due by three months (90 days) or more, or interest payments equal to three
months (90 days) interest or more have been capitalized (reinvested into the principal amount),
refinanced, or rolled over (that is, payment has been delayed by agreement). (…) In addition,
NPLs should also include those loans with payments less than 90-days past due that are
recognized as nonperforming under national supervisory guidance - that is, evidence exists to
classify a loan as nonperforming even in the absence of a 90 day past due payment, such as
when the debtor files for bankruptcy. (…)››.
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Da notare come questa definizione non solo sia rimasta sostanzialmente invariata nelle
successive versioni del documento (la più recente è del 2019) e permetta una prima
comparazione transnazionale tra diverse NPE, ma soprattutto racchiuda al suo interno due
caratteristiche proprie delle esposizioni deteriorate adottate nella classificazione della qualità
creditizia in numerosi Paesi, cioè:
1. i pagamenti della quota capitale e/o interessi del prestito sono scaduti da novanta giorni
o più;
2. anche qualora non siano trascorsi tre mesi di ritardo dalla data prevista per il pagamento,
il debitore accusa una situazione di “difficoltà finanziaria ben definita” tale da
precludergli l’adempimento delle proprie obbligazioni creditizie secondo le modalità e
le tempistiche concordate contrattualmente.
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Nel 2008, in un’apposita sezione del System of National Accounts, l’Organizzazione
delle Nazioni Unite, la Commissione Europea, la Banca Mondiale, l’Organizzazione per
la cooperazione e lo sviluppo economico e il già menzionato Fondo Monetario Internazionale
diedero una definizione statistica globale congiunta di NPL, attraverso la quale ribadirono non
solo le medesime peculiarità di queste esposizioni colte in precedenza dal FMI, ma
evidenziarono anche una sua interpretazione flessibile in base alle convenzioni adottate da
ciascun Paese per individuare i crediti non-performing.
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Detto in altre parole, se da un lato tutte
le singole istituzioni sopraccitate perseguivano l’obiettivo comune di una definizione
standardizzata ed univoca di esposizione deteriorata, d’altro canto ogni singola giurisdizione
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Fondo Monetario Internazionale (2006), Financial Soundness Indicators: Compilation Guide, Washington,
D.C., parte I, cap. 4, par. 4.84, pag. 46.
5
Barisitz S., Österreichische Nationalbank, ‹‹Nonperforming loans in CESEE – What Do They Comprise?››,
Focus on European Economic Integration Q4/11, dicembre 2011, URL: https://www.oenb.at/dam/jcr:ba2e567b-
97ab-4240-868c-419a226b9def/feei_2011_q4_studies_1_tcm16-241680.pdf (accesso 02/11/2022), pag. 49.
6
Banca Mondiale, Commissione Europea, FMI, OCSE e ONU (2009), System of National Accounts 2008, New
York, par. 13.66, pag. 266.
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nazionale manteneva i propri metodi più o meno aderenti alle indicazioni internazionali per
identificarle.
Gli effetti collaterali derivanti da questo parallelismo fra definizioni nazionali e
sovranazionali sono molteplici: innanzitutto, gli operatori del settore non sanno a quale delle
due fare affidamento, soprattutto nei casi in cui siano coinvolte controparti estere.
In secondo luogo, all’interno di ogni definizione locale possono presentarsi ulteriori
requisiti rispetto a quelli internazionali citati in precedenza affinché una posizione venga
identificata e classificata come deteriorata o meno. Uno studio condotto in tal senso dal
Financial Sector Advisory Center della Banca mondiale su un campione eterogeneo di ventisei
Paesi emergenti del centro-est Europa e dell’Asia centrale ha dimostrato come non solo un
ritardo nei pagamenti eccedente i novanta giorni, il fallimento del debitore e la riorganizzazione
delle sue finanze fossero criteri comuni a tutte le giurisdizioni analizzate nel definire un credito
come non-performing, ma anche che nell’83% dei casi ulteriori aspetti discriminanti fossero la
presenza di garanzie reali e/o personali, di fattori in grado di ridurre il rischio di credito e di
ristrutturazioni del debito, mentre una situazione di difficoltà finanziaria significativa del
debitore e la violazione dei termini contrattuali erano aspetti valutati dal 92% delle
osservazioni.
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Un terzo aspetto da tenere in debita considerazione è verificare se attraverso le singole
definizioni locali e/o quelle transnazionali si possa rilevare l’esatto ammontare di NPE presenti
all’interno del singolo istituto di credito così come nell’intero settore bancario. Da una loro
sovrastima infatti si rischierebbe di includere erroneamente tra le esposizioni deteriorate
impieghi ancora classificabili come in bonis o performing, generando sia una perdita di fiducia
da parte dei titolari che un’incertezza infondata sui mercati finanziari, mentre sottostimarle in
maniera ingiustificata provocherebbe una reazione opposta.
Infine, una volta individuate correttamente, le NPE nazionali e delle altre giurisdizioni
devono poter essere oggetto di comparazione da parte degli addetti ai lavori. Stephan Barisitz,
Research Economist presso la Banca Nazionale Austriaca, in un suo studio ha evidenziato come
dieci anni fa il confronto transnazionale tra le esposizioni deteriorate di nove Paesi dell’Europa
centro-occidentale (tra cui l’Italia) fosse fortemente limitato da definizioni locali di credito non-
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Per riportare la fonte, viene richiesta la seguente citazione: Hulster, Katia; Salomao-Garcia, Valeria; Letelier,
Raquel. 2014. Loan Classification and Provisioning: Current Practices in 26 ECA Countries. Financial Sector
Advisory Center (FinSAC) working paper series. World Bank Group, Vienna. © World Bank.
URL: https://openknowledge.worldbank.org/handle/10986/21109. License: CC BY 3.0 IGO, pagg. 4-7 e 10-11
(accesso 02/11/2022).