4
Sono state così superate le visioni "apocalittiche" di una società eterodiretta e
manipolata attraverso consumi irrazionali, tipiche dei primi studi su questo argomento,
per approdare ad una concezione più ampia del complesso fenomeno del consumo : esso
ha raggiunto ormai una fase di piena maturità nella nostra società e presenta sempre più
caratteri di "razionalità sociale", giungendo ad essere un vero e proprio sistema
cognitivo.
2
Infatti, dopo una prima fase di sfrenato ed ossessivo “consumismo delle novità”
3
, in cui
i beni avevano soprattutto la funzione di ostentare la posizione sociale di appartenenza,
e una successiva fase di “consumismo della distinzione”, che ha raggiunto il culmine
negli anni Ottanta, in cui prevalevano le funzioni di moda e di integrazione nel sistema
sociale attraverso l’adesione superficiale ed effimera alle sue volubili regole, negli anni
Novanta si registra il passaggio ad un ulteriore fase ancora in via di definizione, a un
“consumismo di qualità”. Il principale merito di tale passaggio è probabilmente da
attribuirsi all’evoluzione del “consumatore” che, divenuto più esperto, pienamente
socializzato al consumo e più maturo, inizia a rifiutare di sottostare ai diktat della
produzione e, diventato ormai “persona”, autonomo e competente, intraprende un
“dialogo” con le imprese e con le merci, in cui egli non è più solo ricettore passivo ma
pieno co-protagonista. Cosciente dei propri bisogni, non più “eterodiretti” e sempre più
complessi, cerca nei prodotti nuove qualità, sia tangibili che intangibili; se da un lato,
infatti, si riscopre l’importanza del tatto, dopo il predominio della vista, anche i
messaggi veicolati dai beni cambiano e sempre più nella loro produzione entra anche il
soggetto.
Gli oggetti diventano polisemici, pronti ad essere caricati di significati diversi da
individuo a individuo : sono oggetti-codice, oggetti incompleti che necessitano della co-
produzione e dell’interpretazione delle persone per svolgere appieno la loro funzione:
più che di consumatori si tratta di “prosumers”, secondo Toffler
4
, derivanti
dall’incontro tra l’attività di produttore e consumatore di senso, più che di oggetti, vista
la completa egemonia del codice e la prevalenza del valore segnico sull’essere reale di
cui parla Baudrillard.
2
Cfr. Douglas-Isherwood, Il mondo delle cose, Il Mulino, Bologna, 1984.
3
Per la suddivisione tra consumismo delle novità della distinzione e della qualità, vedi M. Sorice,
Logiche dell’illogico, introduzione alle teorie del consumo, Seam, Roma 1995.
4
Cfr. A. Toffler, La terza ondata, Sperling & Kupfer, Milano 1987.
5
Ma proprio per questa co-produzione, il compito delle imprese diviene più impegnativo,
in quanto devono tener conto di un nuovo protagonista estremamente complesso,
esigente e sempre più sfuggente (tanto che gli stessi concetti di target e di
segmentazione non riescono più ad assolvere alle loro funzioni).
D’ altra parte già nel 1985 l’ AMA (American Marketing Association) aveva ritenuto
opportuno proporre una nuova definizione del marketing, mettendo in risalto il ruolo dei
bisogni e dei valori dei consumatori. Bisogni e valori più profondi, meno effimeri e
superficiali, che richiedono un rapporto diverso, empatico, con un prodotto che sia
percepito come realmente rispondente al proprio modo d’essere; se è vero che si
continua, infatti, a cercare nei prodotti espressioni e conferme della propria identità
(anche a sé stessi, come avviene per il consumo autoriferito), questa è però più radicata,
anche se variabile: l’individuo è libero di articolare i propri consumi, senza più nessun
vincolo di ruolo o classe (concetti cui subentrano i più flessibili stili di vita) ma cerca
comunque i prodotti più in sintonia con i propri valori, o meglio i più disponibili ad
essere caricati dei suoi significati.
Il marketing, di cui la pubblicità è lo strumento più visibile, non può più limitarsi a
caricare i prodotti dei propri significati, circoscritti alla sfera più superficiale del
prodotto; è necessario, invece, uno sforzo maggiore da parte di chi produce le merci per
poter cogliere quelli che sono i valori, le esigenze e soprattutto i desideri non ancora
espressi apertamente dalle persone.
Solo così sarà possibile creare un prodotto che si offra a tali consumatori con evidenza e
chiarezza, che sia disponibile ad essere da loro semantizzato, che si faccia portatore dei
loro messaggi e che, così facendo, li induca all’acquisto.
In questo processo il marketing ha il compito di caratterizzare tale oggetto con qualità in
sintonia con quelle dei possibili acquirenti; perciò è necessario proporre un’immagine
precisa e coerente del prodotto, supportata da un uso perfettamente integrato di tutti gli
elementi del marketing mix, capace di stabilire un rapporto emotivo, profondo e
specifico con quel preciso consumatore.
6
E' per queste ragioni che appare sempre più necessario giungere ad una comprensione
completa e profonda dell'universo del consumo, ormai riconosciuto come un vero e
proprio linguaggio
5
, di cui gli oggetti costituiscono i “testi”, e di cui è essenziale
comprendere le regole di combinazione, nuove "grammatiche" della comunicazione
sociale; esse, frutto dell'interazione quotidiana, sono il nuovo strumento di orientamento
e di guida per l'individuo contemporaneo.
5
Cfr. R. Paltrinieri, Il consumo come linguaggio, Angeli , Milano 1998.
7
CAPITOLO 1
L’evoluzione del consumo
1.1) Introduzione
Sia che si faccia risalire la nascita del consumo alla cosiddetta rivoluzione commerciale
del XV secolo, come propone Chandra Mukerji
6
, o, più tradizionalmente, alla
rivoluzione industriale del XVIII secolo, in cui nasce la produzione in serie di oggetti
standardizzati, è comunque con l'avvento della cosiddetta società postindustriale
7
che il
consumo si afferma pienamente come sfera di produzione ed interazione simbolica e
l'uso simbolico degli oggetti e dei beni di consumo diventa un potente mezzo di
comprensione dei processi e dei mutamenti culturali, nonché di partecipazione alla
stessa complessità sociale.
Sorta negli anni Cinquanta negli Stati Uniti, in concomitanza della forte terziarizzazione
e della progressiva egemonia del settore informativo, la società postindustriale è
caratterizzata soprattutto da modifiche economiche, politiche e culturali e da nuovi
gruppi e forme di aggregazione sociale, nonché da nuovi valori socialmente condivisi.
8
Tali cambiamenti si riflettono sulle strutture sociali centrali, tra cui i gruppi primari e la
famiglia; come sostiene Secondulfo è proprio nei mutamenti strutturali e valoriali della
famiglia (calo di nuzialità e di natalità, aumento del lavoro femminile) che si può
trovare un forte indicatore, nonché una delle cause, della progressiva centralità del
consumo e dell'individualizzazione del rapporto con la produzione e col consumo,
sempre più autonomo e diversificato, in seguito all'ottimizzazione del rapporto tra i
componenti/percettori di reddito. Parallelamente sono sempre più delegate all'esterno le
6
Secondo questa studiosa è proprio nel periodo rinascimentale che si sono formati a livello internazionale
quei modelli culturali di utilizzo dei beni che influenzano i nostri attuali comportamenti di consumo.Cfr.
C. Mukerji, From graven images:pattern of modern materialism,N.Y., Columbia University Press, 1983,
in V.Codeluppi, Consumo e comunicazione,Angeli,Milano 1992.
7
Cfr. D. Secondulfo, la danza delle cose, Angeli, Milano 1994.
8
Inglehart parla di valori postmaterialisti, ossia bisogni sociali e di autorealizazione.Cfr R. Inglehart,La
rivoluzione silenziosa, Princeton 1977,in D.Secondulfo,op.cit.
8
D. Secondulfo, op. Cit.
8
funzioni di riproduzione e di integrazione del quotidiano e ciò stimola un mercato di
"servizi alla persona", contribuendo ad una "genesi autopoietica del settore terziario"
9
.
Ulteriori effetti di stravolgimenti della società postindustriale si hanno sui singoli
individui: essi, sempre più isolati sia fisicamente che psicologicamente, in una società di
massa regolata da logiche contrattuali e da rapporti comunicativi emotivamente neutri,
dovuti anche all'espansione dell'informatica (si pensi alle chat lines su Internet che in
alcuni casi sostituiscono totalmente rapporti interpersonali), trovano nel consumo
l'unico mezzo di integrazione e partecipazione alla società in cui vivono.
D'altra parte è proprio grazie alle nuove abilità richieste e socializzate dalla stessa
"società dell'informazione della comunicazione", ossia la manipolazione di simboli e
segni comunicativi, che gli individui raggiungono la competenza necessaria per gestire
un tale uso sociale di oggetti di consumo. Trasformando i beni allo stato di segni e di
simboli, secondo il processo di " riduzione segnica" di cui parla Secondulfo
10
:
"Gli oggetti divengono socialmente importanti, assurgono a vita sociale, sempre meno
per le loro caratteristiche materiali o funzionali e sempre più per le caratteristiche
segniche o simboliche che ad essi vengono attribuite man mano che all'interno del
sistema sociale si sviluppano codici e linguaggi atti a utilizzarne il supporto materiale
per i propri processi di significazione e di circolazione.”
Attraverso tale processo, specie per chi dispone delle competenze necessarie, il
consumo diviene l'area privilegiata di integrazione-controllo nell'odierno assetto sociale.
Tramite l'uso dei beni, o meglio delle loro modalità d'uso (la "fruizione"), gli individui
possono comunicare agli altri, e anche a sé stessi, qualcosa sulla propria identità.
In seguito alla crisi delle tradizionali strutture di riferimento e di socializzazione (il
lavoro, la Chiesa, le istituzioni) si cerca infatti di trovare un'identità attraverso i beni
che si sceglie di consumare, ma tale identità sarà proprio per questo effimera ed
instabile, vista l'"iperscelta" tipica della società postindustriale e l'obsolescenza sempre
più rapida degli oggetti stessi, che vengono caricati di significati stabiliti dal mondo
della produzione (tramite il marketing, la pubblicità etc.) alla stessa velocità con cui
sono "desemantizzati" e sostituiti da altri beni; in questo processo il “consumatore" non
può far altro che adeguarsi e aderire ai messaggi veicolati da tali merci semantizzate
pronto ad abbandonarle secondo il ritmo vorticoso della produzione, incarnando alla
9
Ibidem.
10
Ibidem.
9
perfezione l'immagine di "individuo narcisista" di cui parla Lasch
11
, degenerazione
patologica dell'isolamento individualizzante caratteristico della società postindustriale.
A causa, dunque, dell'importanza crescente assunta dal consumo nell'ambito della
società quale dimensione principale di comunicazione e di espressione dell'individuo e
della società stessa, esso ha costituito man mano un soggetto sempre più importante e
complesso per la sociologia.
È fondamentale per comprendere la attuale portata di tale fenomeno un'analisi delle
diverse interpretazioni che la disciplina sociologica, e altre ad essa affini (come la
antropologia, la psicologia etc.) ne hanno dato, nel corso degli anni, ad opera di diversi
pensatori, fino ad giungere alle attuali considerazioni, convergenti nel definire il
consumo come un vero e proprio linguaggio e come tale da comprendere e decifrare.
11
Cfr. C. Lasch, La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 1981.
10
1.2) Il consumo nella prima analisi sociologica
I primi riferimenti alla capacità di mediazione simbolica delle relazioni sociali
attribuibile ai beni di consumo sono, dunque, riscontrabili nelle opere di Marx
12
:
fondamentale è infatti la sua distinzione tra un valore d'uso, ossia la capacità intrinseca
di un oggetto di soddisfare una necessità, secondo il codice dell' “utilitas”, e un valore
di scambio: quest'ultimo, marcando il passaggio del bene dallo statuto di oggetto a
quello di merce, "oggetto sensibilmente sovrasensibile", ne costituisce la forma sociale
ed astratta, attivando così un processo di socializzazione dominato da un codice delle
equivalenze in cui ciò che si manifesta è il rapporto sociale tra produttori e lavoro,
trasportato però in oggetti estranei e diversi dai soggetti interessati.
Tutto ciò ci introduce al tema del feticismo della merce e, soprattutto, alla prima
formulazione di una immaterialità dei beni risiedente nel loro valore di scambio, in
opposizione alla concretezza del valore d'uso.
Ma se la visione di Marx appare strettamente legata a temi prettamente economico-
materialisti, è con Max Weber
13
che si può ritrovare il primo riferimento allo stile di
consumo, legato alla tematica degli stili di vita e della differenziazione dei ceti, in cui i
beni segnalano "la quantità d'onore sociale" e la conformità, o meno, alle "regole di
condotta della vita".
E’ però evidente come ancora nelle opere di Weber, così come in quelle di Simmel,
14
la
trattazione degli stili di vita in relazione agli oggetti consumati, pur cogliendone la
centralità della componente comunicativa, sottolineando anche l'importanza delle
modalità di fruizione e di combinazione, resti limitata ad un'ottica legata ad un sistema
di stratificazione sociale tipico di una società fortemente ascrittiva e rigidamente
organizzata, dove i ceti sociali, così come le istituzioni principali, potevano ancora
fungere da elementi di identificazione forte e duratura per l'individuo.
12
K. Marx, Il capitale. Critica dell'economia politica,Newton Compton, Roma 1970. Ed. or. Amburgo
1867,in V.Codeluppi,op.cit.
13
M. Weber, Economia e società , Milano, Edizioni di Comunità, 1961; ed. or. 1922.
14
Cr. G. Simmel, Fashion, in American Journal of Sociology, 1957,p. 541-558. Citato in S. Vergati, Stili
di vita e gruppi sociali, Euroma, 1996,pagg. 31 e seguenti.
11
Lo stesso discorso vale per l'analisi di Veblen sulla "classe agiata" e sul "consumo
vistoso"
15
; a lui va il merito di aver individuato per primo una seconda funzione segnica
svolta dagli oggetti, ancor più immateriale e codificata socialmente: quella di status
symbol, funzionante secondo il codice della identificazione-distinzione, capace cioè di
comunicare le differenze di status nel sistema sociale ma anche le somiglianze, dunque
l'appartenenza ad un determinato gruppo.
La funzione comunicativa degli oggetti è dunque sempre più evidente, ma sempre legata
ad una stratificazione sociale definita in termini di potere di prestigio.
Sarà la sociologia francese più recente, con i contributi di Baudrillard e di Bourdieu, (e,
in Italia, di Alberoni), ad offrire un'interpretazione del consumo e dei beni più ampia e
più adeguata ad una società in cui la mobilità sociale diviene sempre più vasta e le
tradizionali strutture organizzative ed identificatorie perdono gradualmente la loro forza
e la loro centralità.
Il consumo si afferma sempre più come un agire di tipo comunicativo, fondato
sull'aspetto di "cultura materiale" dei beni di consumo
16
, e si amplia il concetto di "stile
di vita"; esso è visto come il luogo simbolico in cui vengono messi in atto e sintetizzati
comportamenti fondati sulla condivisione di significati, base dell'auto ed
eteroidentificazione di gruppi definibili più come aggregazioni di comportamenti di
consumi, che come pre-ordinati compartimenti gerarchici di auto-organizzazione
sociale.
Con Alberoni "il significato degli oggetti si stacca dall'unica mediazione simbolica delle
differenze sociali per entrare a pieno titolo nelle strutture di comunicazione sociale,
come area di mediazione simbolica generale"
17
. Gli oggetti, in tale ottica, assurgono allo
status di medium tra uomini, gruppi e stili di vita, come simboli i sistemi di valori e di
comportamenti esplicitati attraverso il consumo: l'uso o meno di determinati beni è
indice di adesione, o rifiuto, a modelli di comportamento ed a stili di vita che si
collegano a specifici gruppi sociali.
15
Cfr. T. Veblen, La teoria della classe agiata, Einaudi, Torino 1949, (ed. or. 1899).
16
Cfr. D.Secondulfo, Stili di vita e comunicazione sociale. Il ruolo degli oggetti e dei beni di consumo, in
"sociologia e ricerca sociale"n°.44/1994.
17
Cfr. F. Alberoni, Consumi e società, il Mulino 1964, in Secondulfo, stili di vita e comunicazione
sociale ,op.cit.,p. 39.
12
Lo stile di vita e lo stile di consumo formano un complesso inscindibile che ha la
funzione di veicolare un intero "progetto di esistenza" dell'individuo, presentato e
comunicato attraverso l'orchestrazione di comportamenti convergenti e coordinati, di
cui i consumi costituiscono una parte fondamentale.
Ma è con le opere di Baudrillard e di Bourdieu
18
che, grazie anche ai contributi dello
strutturalismo e della linguistica, si afferma l'idea del consumo e degli oggetti come
sistema della comunicazione sociale attraverso gli stili di vita, sul modello del sistema
della comunicazione verbale: i beni formano un sistema integrato di segni, altamente
flessibile e capace di mediare significati non più legati alla sola sfera della
stratificazione sociale, ma ad ogni ambito relativo all'azione sociale.
I beni, dunque, vengono visti come un sistema di segni ed è solo in tale sistema che , in
base ai rapporti che li legano gli uni agli altri, essi acquistano il loro valore, cioè che il
segno assume un significato determinato dal codice specifico di tale sistema ; il
significato non è dunque fisso e prestabilito, bensì nasce nella stessa interazione sociale.
Ciò vuol dire che il sistema di oggetti è, come afferma Secondulfo, un " medium sociale
generalizzato, in grado di mediare simbolicamente qualsiasi significato socialmente
attribuito"
19
.
Il significato non è riscontrabile nei singoli beni, ma è il risultato della loro interazione:
dunque non basta esibire la maggiore quantità di beni possibile, ma sono necessari un
coordinamento ed una coerenza interna dei beni e di consumi esibiti per poter
comunicare la propria auto ed eteroidentificazione in un gruppo sociale; ciò avviene
attraverso l'adesione ad uno stile, o "gusto" come è definito da Bourdieu, vero e proprio
sub-codice che guida la combinazione di beni, consumi e valori. Ma anche in questa
interpretazione "sistemica" e sicuramente più ampia del consumo e degli stili di vita, il
riferimento principale è comunque ad un certo tipo di stratificazione sociale che
presenta ancora elementi di consistenza e persistenza non più riscontrabili nella società
attuale.
18
Cfr.J. Baudrillard Per una critica dell'economia politica del segno,Mazzotta, Milano 1979; e Il sistema
degli oggetti Bompiani, Milano 1982. E Bourdieu P..La distinzione. Critica sociale del gusto,Il Mulino,
Bologna 1979; entrambi citati in Secondulfo, la danza delle cose,op. cit.
19
Secondulfo Stili di vita e comunicazione sociale,op. cit.,p. 40.
13
Infatti anche gli stili di vita così come proposti da Bourdieu, in quanto elementi
costitutivi di gruppi sociali attraverso meccanismi di identificazione più che di
differenziazione e gerarchizzazione, con capacità aggregative e distintive in grado di
tagliare trasversalmente le strutture di differenziazione fondate sulle caratteristiche
socio economiche di tipo strutturare tradizionali, si sono dimostrati inadeguati per
un'analisi della "società postindustriale" e sono stati oggetto di ulteriori elaborazioni.
1.3) Gli stili di vita e la stratificazione sociale
Conseguentemente alla frammentazione sociale e alla perdita di punti di riferimento e di
ancoraggio della propria identità, nonché in seguito alla sempre più vasta "iperscelta"
offerta dal mercato, non sembra più possibile pretendere di classificare i diversi
componenti della società in base criteri univocamente ed oggettivamente determinati,
quali il reddito o la professione, ma nemmeno secondo criteri più ampi, quali il “gusto”
o la condivisione di alcuni consumi.
Infatti, vista la possibilità di pluralizzazione di ruoli ed ambiti sociali a cui partecipare,
l'individuo non è più definibile in termini rigidamente schematici poiché, come afferma
Vergati "l’ipercomplessità sistematica e l'aumento di autonomia dei singoli sottosistemi
allentano i vincoli strutturali, consentendo all'attore sociale ampi margini di autonomia
e di discrezionalità nelle proprie scelte esistenziali, anche in parziale a autonomia dalla
sua appartenenza sociale"
20
.
Si è perciò cercato un modo per comprendere e, per quanto possibile, definire la nuova
complessità sociale, attraverso il concetto degli stili di vita, intesi però in modo molto
più flessibile ed indeterminato rispetto al passato ; essi infatti, sempre più indipendenti
da referenti normativi strutturali, e "attraversati" da individui occupati nella ricerca di
un'espressione individuale per la costruzione di un'immagine del sé scevra da vincoli
ascrittivi, sono definiti da Fabris come "insieme di persone che, per loro libera scelta,
20
In S. Vergati,Stili di vita e gruppi sociali,op.cit.,,pag. 87.
14
adottano modi di comportarsi (in tutti i campi della vita sociale ed individuale) simili,
condividono gli stessi valori ed esprimono opinioni ed atteggiamenti omogenei"
21
.
E’ proprio Fabris che, insieme a Mortara, ha proposto per primo in Italia un tipo di
segmentazione basata su siffatti stili di vita, volta ad identificare gruppi di popolazione
omogenei riguardo a valori, opinioni e comportamenti condivisi, non necessariamente
ricollegabili a livelli di status simile dal punto di vista sociale, né ad una stabile e
consapevole appartenenza a tali gruppi e proprio per questo più adeguati alla analisi di
una società "sfuggente" come la nostra, soprattutto se inseriti in un approccio
microsociologico. Quest’ultimo, infatti, può essere di grande aiuto per le ricerche di
marketing, tese ad individuare gruppi delimitati di popolazione per quanto riguarda
consumi ed esigenze, su cui poter posizionare prodotti e servizi.
Nasce così la classificazione delle "Otto Italie" che ben presto diventeranno "le Dieci
Italie".
22
Tali stili di vita, però, essendo appunto "raggruppamenti intrinsecamente instabili,
individuabili essenzialmente grazie all'uso di potenti lenti statistiche, ed il cui il
collegamento con gli aspetti strutturali della stratificazione tende a sfumare in secondo
piano"
23
, sono caratterizzati da la temporaneità e dalla mutevolezza, estremamente
variabili in quanto luogo sintetico dell'espressione e costruzione di identità , sempre più
in certe e vacillanti, attraverso la partecipazione a modelli di consumo che sono sempre
più parte di percorsi progettuali individuali ed idiosincratici.
Se consideriamo gli ulteriori mutamenti avvenuti nell'ultimo decennio, che
analizzeremo più approfonditamente nel prossimo paragrafo, si comprende come ormai
anche simili "stili di vita" non riescano più a dare ragione della complessità sociale e
tantomeno a fornirne una griglia interpretativa di tipo classificatorio.
Lo stesso Fabris infatti, pur affermando che "tenuto conto del numero limitato
dell'identità disponibili, e dunque dell'elevata probabilità che molti soggetti assumano
identità simili (...) diviene possibile classificare e contare tali individui"
24
, avverte che
gli stili di vita costituiscono un "sistema aperto", in quanto volontariamente scelti,
permeabili, non ordinabili gerarchicamente e mutevoli: essi non possono dunque dare
21
In Fabris,La Pubblicità,teorie e prassi,Angeli,Milano 1990,pag. 441.
22
Cfr Fabris, Mortara,Le otto Italie, Mondadori Milano 1986; e Fabris,La Pubblicità ,op.cit.
23
In Secondulfo,Ditelo con i fiori, op.cit.,pag. 171.
24
In Fabris,La pubblicità,...,op.cit pag. 443.
15
luogo che a generalizzazioni "labili e provvisorie"
25
, dunque di validità limitata nel
tempo, richiedendo un monitoraggio continuo per coglierne i continui cambiamenti.
Se dunque per l'autore gli stili di vita rappresentano ancora "il più sensibile strumento
previsivo delle scelte di consumo e di previsione/individuazione dei segmenti in cui si
divide mercato"
26
, la velocità della dinamica sociale rende sempre più difficile il loro
utilizzo, in quanto volte sembrerebbe necessario seguire ogni singolo individuo nel suo
personale percorso di consumo e di identità, cosa ovviamente impossibile.
Il passaggio successivo delineato da Fabris va nella direzione della "personalizzazione
dei prodotti all'interno degli stili di vita", o mass customization, vale a dire la possibilità
di declinazioni personali della fruizione di prodotti tradizionalmente seriali, con la
nascita del "su misura industriale"
27
.
Ciò s'incontra , tra l'altro, con le nuove esigenze del consumatore, alla ricerca di prodotti
che riflettano il suo stile di vita ma anche, e soprattutto, la sua personalità; prodotti
creati appositamente per lui, che escano dall’anonimato e sappiano rivolgersi
all'individuo in un rapporto reciproco ed unico, soddisfacendo la sua tendenza
l'individualismo, o meglio all'individualità.
25
In Fabris, Consumatore mercato,Sperling&Kupfer,1995.,pag. 90.
26
Ibidem.
27
Ibidem,pag. 195.