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Introduzione
Nel corso degli anni si è assistito a molteplici progetti di innovazione scolastica da
parte del MIUR, i quali hanno avuto come obiettivo quello di inserire le nuove
tecnologie nella scuola italiana. Tuttavia, con l’andare del tempo, si capì che non era
sufficiente: infatti, solo successivamente si è compreso che la mera introduzione di
strumenti digitali non era sufficiente per garantire agli allievi ed insegnanti il
raggiungimento delle competenze digitali necessarie. <<Sappiamo che sono le
metodologie, non le tecnologie che fanno la differenza nell’apprendimento.>> (Clark
et al. 2006; Hattie 2009, citato in Calvani, 2013, p.576). La risposta della scuola in
merito all’introduzione delle TIC, inizialmente, non è stata del tutto positiva, in quanto
si è notato negli insegnanti un atteggiamento di chiusura verso il “non noto” e di
timore, poiché si è pensato che questa novità potesse rubare la scena alla
professionalità docente. Di recente, si è cominciato ad accogliere le tecnologie in
classe e ad integrarle ad ogni disciplina, dando la possibilità alla scuola di restare al
passo con il “mondo fuori”, ampliando gli stili cognitivi dei docenti ed incrementando
la motivazione degli studenti (Gardner, 1983, citato in Mosa, 2009). Questo percorso
di ricerca intende analizzare il cammino dell’innovazione scolastica, con uno sguardo
approfondito alle buone pratiche che il docente dovrebbe attuare per integrare le nuove
tecnologie nella didattica, con particolare riferimento al periodo legato alla pandemia
Covid-19, che ha causato la chiusura forzata di tutte le scuole e l’implementazione
della didattica a distanza. A tal proposito, attraverso la conduzione di interviste
individuali, la ricerca ha lo scopo di raccogliere le opinioni di insegnanti di scuola
primaria sulla nuova modalità di erogazione della didattica integrata e resa possibile
dalle nuove tecnologie, indagando sia l’ambito delle competenze digitali e la
progettazione del corpo docente, sia la sfera relazionale e la risposta dei bambini.
Nella prima parte, saranno esposti i presupposti teorici a sostegno del progetto di
ricerca. In particolare, nel primo capitolo, dopo un breve excursus sulla nascita e lo
sviluppo delle tecnologie didattiche nell’ambiente scolastico, si illustreranno le
principali teorie di insegnamento-apprendimento a sostegno delle nuove tecnologie:
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dal comportamentismo radicale di Watson al neocomportamentismo di Skinner, dal
mastery learning di Bloom alla tassonomia degli obiettivi di Gagnè, dal precursore del
cognitivismo Neisser alle mappe concettuali di Novak, dai costruttivisti Papert e
Jonassen alla teoria delle intelligenze multiple di Gardner, fino ad arrivare
all’apprendimento multimediale di Mayer.
Nel secondo capitolo si indagheranno le competenze digitali degli insegnanti italiani e
la professionalità docente: si partirà con l’analizzare le resistenze più comuni dei
docenti in merito all’utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica, per poi passare alla
riforma Buona Scuola, di cui fa parte il Piano Nazionale Scuola Digitale, e illustrarne
le principali iniziative a sostegno della digitalizzazione nelle scuole italiane. Inoltre, si
procederà con l’evidenziare il valore della formazione continua dei docenti, con
riferimento ai quadri nazionali e internazionali per lo sviluppo delle competenze
digitali: infine, si porrà l’attenzione sui benefici di una efficace programmazione in
team, soprattutto durante il lockdown causato dalla pandemia Covid19.
Nel terzo capitolo, il focus sarà centrato sulla progettazione, sulle strategie didattiche e
gli ambienti di apprendimento che favoriscono l’integrazione delle nuove tecnologie.
Sarà presentato l’esempio operativo della didattica a distanza, sperimentato durante il
lockdown di Marzo 2020: in particolare, si analizzeranno le pratiche attuate dagli
insegnanti e la risposta da parte degli alunni in merito a questa nuova modalità
d’insegnamento, che ha visto l’integrazione obbligata delle tecnologie digitali nel
processo d’insegnamento-apprendimento. Di seguito, sarà predisposta una
presentazione dei principali strumenti e piattaforme e-learning usati durante la DaD.
Nella seconda parte, si esporrà il progetto di ricerca: nel quarto capitolo, infatti, si
spiegherà l’obiettivo dell’indagine, che si configura nel verificare se e come sia
cambiata la pratica didattica durante la DaD e come gli insegnanti hanno saputo
rispondere all’introduzione improvvisa delle tecnologie digitali, in base alle proprie
competenze ed esperienze. Sarà descritto il contesto di ricerca e il metodo, quindi i
partecipanti, gli strumenti usati, le modalità di somministrazione e i quesiti con le
relative ipotesi, supportate dallo studio e dalle riflessioni della scrivente.
Nel quinto e ultimo capitolo, si presenteranno i risultati della ricerca attraverso la
trascrizione di alcuni stralci di interviste ritenute più significativi, comparandole con le
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ipotesi fornite: infine, la discussione dei dati permetterà di tracciare l’atteggiamento e
l’opinione comune del campione di ricerca selezionato in relazione alla nuova
modalità d’insegnamento, delineando gli eventuali vantaggi e svantaggi.
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1. Dalle principali teorie dell’insegnamento – apprendimento alle
tecnologie didattiche
1.1 Cenni storici sulla nascita delle tecnologie didattiche
Viviamo in una società in cui le tecnologie dell’informazione e comunicazione sono
diventate fruibili e di uso comune a tutti: davanti a questa realtà, chi apprende dà per
scontato l’uso delle tecnologie che usa normalmente nella vita quotidiana e, nello
stesso modo, anche chi insegna è portato a fare altrettanto.
Alla luce di ciò, le domande che possiamo porci sono molteplici: è opportuno che a
scuola si utilizzino le tecnologie digitali? I bambini non sono già troppo esposti al
mondo digitale? Le nuove tecnologie possono supportare in modo adeguato il processo
d’insegnamento-apprendimento?
L’insieme di queste domande offre uno spunto per ripercorrere la nascita delle
tecnologie digitali e i principali modelli teorici del processo d’insegnamento-
apprendimento che ne sostengono lo sviluppo, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Possiamo per la prima volta parlare di Educational Technology
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negli anni ‘20, quando
Sidney Pressey, professore americano di psicologia, ha inventato la prima teaching
machine
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con cui veniva presentata una prova oggettiva con domande a risposta
multipla e l’allievo, una volta individuata la risposta per lui corretta, aveva la
possibilità di premere il bottone corrispondente ad essa; infine, la macchina valutava
automaticamente l’intero test. Nonostante i limiti che queste macchine per
l’apprendimento potevano esibire, come la scarsa adattabilità ai processi di
apprendimento dell’allievo, va riconosciuto a Pressey il merito di aver introdotto, per
la prima volta nella storia, il concetto di automazione del processo didattico (Midoro,
Dalle tecnologie didattiche ad una pedagogia digitale, 2015).
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Il termine “Educational Technology” è stato introdotto nel 1948, ma divenne di uso comune solo negli anni
Sessanta, quando in Italia nascevano le “Tecnologie didattiche”, locuzione proposta da Rinaldo Sanna.
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Letteralmente “macchina da insegnare”
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Tuttavia, se dovessimo stabilire l’effettiva data di nascita delle tecnologie didattiche,
sicuramente possiamo scegliere il 1954, quando B. F. Skinner, psicologo
comportamentista, pubblicò l’articolo “The science of learning and the art of
teaching”, in cui si evidenzia l’importanza dell’introduzione delle teaching machines
nel processo di apprendimento, aggiungendo una teoria psicologica di supporto, che
verrà illustrata nel paragrafo successivo. La linea comportamentista adottata da
Skinner si sviluppò su due fronti: se da una parte sostiene proposte metodologiche
connesse all’istruzione programmata, dall’altra si dedicò allo sviluppo di mezzi adatti
per gestire il rinforzo dell’apprendimento (Olimpo, 1993). Come afferma Olimpo
(1993), queste due parti cominciarono a convergere a fine anni ‘60, quando le teaching
machines lasciarono il posto all’ istruzione assistita da calcolatore (Computer Assistant
Instruction) e i modelli di progettazione della didattica non furono orientati solamente
all’istruzione programmata, bensì ad << […] una visione sistemica (che implica cioè
un tutto organizzato) e sistematica (che prevede cioè procedure logiche organizzate in
fasi) dell’istruzione e delle tecnologie didattiche […] >> (p. 27).
Al contrario, gli anni ’60 sono caratterizzati da una corrente di pensiero contrapposta
al comportamentismo, che non si soffermava sull’osservazione dei comportamenti
dell’individuo, al contrario mirava a studiare la mente dell’uomo, e quindi i processi
cognitivi che permettono di risolvere determinate situazioni problematiche. Questa
nuova corrente, che prende il nome di cognitivismo, si è fatta portatrice di un nuovo
approccio per spiegare l’apprendimento, cioè quello di studiare i meccanismi
dell’elaborazione delle informazioni da parte dell’individuo. In particolare, i
ricercatori Newell e Simon sono stati i primi a fornire la prova che la mente poteva
essere studiata e, a tal proposito, hanno inventato un programma che lo stesso Simon
ha definito capace di ragionare in modo non numerico (Russell & Norving,
1998). Newell e Simon hanno dimostrato che la mente si può rappresentare attraverso
metodi scientifici, ed è per questo che sono considerati tra i principali sostenitori
dell’Intelligenza Artificiale
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(I.A.).
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Il Politecnico di Milano, nel suo Osservatorio Artificial Intelligence 2018, definisce Intelligenza Artificiale:<<
[…] quel ramo della computer science che studia lo sviluppo di sistemi hardware e software dotati di capacità
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Nel corso degli anni ’80, si può assistere ad un cambiamento del piano filosofico e
della ricerca tecnologica, che porta ad abbandonare dunque il cognitivismo, accusato
di non aver << […] del tutto rinunciato ad alcune componenti meccanicistiche proprie
del comportamentismo>> (Calvani A. , 1998, p. 48) per abbracciare la corrente
costruttivista. Il costruttivismo pone l’individuo al centro del processo formativo, in
cui la conoscenza è strettamente legata all’esperienza concreta e alla condivisione e
negoziazione di significati espressi da una comunità di individui.
Come afferma Calvani (1998), il costruttivismo si coalizza con le nuove tecnologie,
concentrandosi sulle strutture che regolano il processo di apprendimento, intendendo
le tecnologie come mezzo per predisporre nuove modalità d’insegnamento-
apprendimento e come strumento per alleggerire il carico di studio; inoltre, questa
corrente si basa sulla metacognizione e sul superamento della tradizionale visione
della classe-scuola, aprendole allo scenario globale.
Se negli anni ’60 sono stati introdotti i primi calcolatori nelle scuole, durante la
corrente costruttivista assistiamo alla diffusione dei personal computer nelle scuole
italiane. All’interno delle scuole vengono organizzati i primi corsi di alfabetizzazione
informatica per docenti: nonostante ciò, la presenza di questi software all’interno
dell’ambiente scolastico rimane limitata a causa degli elevati costi d’acquisto.
In Italia, dal 1985 al 1995, sotto la spinta del PNI1 e PNI2
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, si è assistito ad una
crescita del coinvolgimento delle nuove tecnologie, con l’attuazione percorsi di
formazione per docenti al fine di sviluppare competenze informatiche da poter inserire
all’interno dei curricoli scolastici. In particolare, nei primi anni ’90, il PNI2 è
concentrato sulle buone pratiche di applicazione dei nuovi strumenti tecnologici, in
tipiche dell’essere umano (interazione con l’ambiente, apprendimento e adattamento, ragionamento e
pianificazione), in grado di perseguire autonomamente una finalità definita prendendo delle decisioni che, fino a
quel momento, erano solitamente affidate agli esseri umani.>>. (www.tosilab.it/intelligenza-artificiale-design-ai-
design/).
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Per PNI, ovvero Piano Nazionale Informatica, s’intende una sperimentazione didattica delle nuove tecnologie
attivata nelle scuole secondarie di secondo grado italiane. La prima sperimentazione del 1985 (PNI1), ha previsto
la formazione di docenti di matematica e fisica nei licei, mentre la seconda, intorno al 1995 (PNI2), si è estesa
anche a docenti di altre discipline.
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modo tale da poterli integrare correttamente all’interno nella progettazione didattica
(Chiappini & Manca, 2006).
Pochi anni dopo, dal 1997 al 2000, viene lanciato il Programma di Sviluppo delle
Tecnologie Didattiche (PSTD), iniziativa che ha promosso la multimedialità tra
insegnanti e studenti. Infatti, questo progetto si è diviso in due parti: la prima parte ha
riguardato la formazione degli insegnanti e la conseguente creazione, all’interno delle
scuole, di postazioni multimediali, mentre la seconda era finalizzata alla creazione di
laboratori multimediali per gli studenti (Mosa, 2009).
L’ingresso nel nuovo millennio ha portato con sé la diffusione della rete Internet e
delle tecnologie didattiche in tutti i sistemi scolastici, con cui è stato possibile avviare
corsi di formazione a distanza per i docenti, ma soprattutto, come afferma Moricca
(2016), ha permesso di vedere nel computer uno strumento di collaborazione per la
costruzione delle conoscenze e condivisione dei propri contenuti e, espandendosi
quest’ultimo aspetto della tecnologia, si è ritenuto conseguentemente necessario
formare gli utenti all’ uso consapevole della rete.
Nel 2007 è stato ideato il Piano Nazionale Scuola Digitale, che aveva come obiettivo
principale quello di modificare gli ambienti di apprendimento e promuovere
l’innovazione digitale nella scuola attraverso quattro iniziative: Piano LIM, Cl@sse
2.0, Scuol@ 2.0, Editoria Digitale Scolastica. Su questo progetto, il Ministro
dell’Istruzione ha richiesto un giudizio da parte di numerosi osservatori facenti parte
dell’organizzazione internazionale OCSE
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(Calvani A. , 2013).
L’insieme di queste innovazioni didattiche hanno portato ad un importante
cambiamento nei curricoli scolastici: infatti, nelle Indicazioni nazionali per i Piani di
Studio Personalizzati nella scuola Primaria del 2004, si può notare l’introduzione di
“Tecnologia e Informatica” come nuova disciplina. Nelle indicazioni nazionali per il
curricolo del 2007 (MIUR, 2007), su cui sono basate quelle attuali, troviamo un
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L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) è stata istituita nel 1960 a Parigi e ha
come obiettivo principale la promozione del benessere economico e sociale dei cittadini. Le rivelazioni OCSE-
PISA costituiscono la più estesa indagine comparativa internazionale in campo educativo e le prove sostenute
dagli studenti servono per accertare delle competenze fondamentali relative ad alcune discipline.