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§ 3.3. - La natura dell’illecito e la sua influenza sul
concetto di danno
Con il codice civile del 1942, la responsabilità aquiliana viene
emancipata dall’illecito penale (delictum). Il nuovo codice, infatti, fa
riferimento non più ad un fatto illecito unitario, bensì ad una pluralità
di fatti illeciti, frantumando così l’antico modello monistico. In
termini generali, per illecito si intende tutto ciò che è difforme al
diritto.
Dopo diverse interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali (in
particolare ad opera della Consulta), la nozione di illecito andrebbe
considerata come contra iure (non come ‘non iure’). Ciò in ossequio
ai principi fondamentali dello stato di diritto – tra cui quello della
libertà – che inducevano a considerare illeciti solo quei fatti in
contrasto con l’ordinamento.
Diversa è l’interpretazione di una dottrina minoritaria, la quale,
partendo da un’attenta analisi dell’art 1173 c.c., pone l’accento sulla
distinzione tra obbligazioni contrattuali e obbligazioni da fatto
illecito, ritenendo corretto qualificare come dovere la necessità
giuridica di non commettere violazioni della norma tramite
l’attuazione di condotte lesive dell’interesse altrui e giungere così a
definire l’illecito civile quale violazione dei doveri di rispetto della
vita di relazione.
Un concetto strettamente collegato al concetto di illecito è
quello di danno (su cui verterà il capitolo III del presente elaborato);
ciò, sebbene questi non sono tra loro dipendenti, potendo sussistere
un illecito senza conseguenze dannose e viceversa un danno senza
illecito.
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La nozione giuridica di illecito ricomprende la distinzione tra
illecito penale e illecito extra-penale (nella cui categoria il più
importante è l’illecito civile). Difatti, laddove l’illecito penale è
sempre illecito civile, non si può affermare il contrario; infatti la
norma generale e atipica di cui all’art 2043 c.c. può sanzionare
fattispecie non previste dalla legislazione penale.
L’illecito penale, caratterizzando dall’attenta valutazione della
condotta – o del comportamento del reo – è tipizzato: ai sensi dell’art
1 c.p. 1 comma: “Nessuno può essere punito per un fatto che sia
espressamente preveduto dalla legge come reato”.
Per quanto concerne invece l’illecito civile, lo stesso è ampio e
dinamico, poiché, essendosi spostato il baricentro del sistema
dall’autore del fatto al soggetto che subisce un danno ingiusto (e
dunque al danno) si parla di ‘tipicità dinamica’, poiché quanto più
sono i beni, tanto più sono i danni.
Ciò accade in quanto il risultato dipende dal modo in cui si
intrecciano i beni, appartenenti alle sfere giuridiche soggettive dei
singoli, con comportamenti lesivi di tali sfere giuridiche. Si tratta di
ciò che anni fa Francesco Galgano aveva definito come le “mobili
frontiere del danno ingiusto”, con tale espressione ritenendo che
l’area della responsabilità aquiliana è la prima trincea nella quale
fanno prova di sé i nuovi diritti e quindi le nuove epifanie del danno,
a difesa dei diritti soggettivi e dei valori della persona. L’immagine
che oggi ci restituisce la giurisprudenza è piuttosto confusa. Pertanto
sembra più appropriato parlare oggi di confini incerti della
responsabilità civile. Appena meno incerti paiono essere i confini del
40
danno vista la precisa giurisprudenza della Corte di Cassazione
40
per
la quale vige la tripartizione del danno in patrimoniale, biologico (nel
senso di danno non patrimoniale) e morale (in senso oggettivo e
soggettivo). All’atipicità della fattispecie corrisponde una non
predeterminazione dell’interesse concretamente leso, la cui tutela
potrà desumersi da una serie di fattori esterni alla clausola generale
della responsabilità civile
41
. L’illecito è una qualità richiesta dalla
legge per tutti i fatti produttivi di danno risarcibile, è pertanto è
proprio l’illecito che trasforma il danno tout court in danno ingiusto.
§3.4. - Le cause di giustificazione
Perché un fatto possa considerarsi illecito, non deve esistere in
relazione allo stesso una causa di giustificazione prevista
dall’ordinamento.
Invero, affinché un danno possa qualificarsi come ingiusto, è
necessario che il medesimo sia cagionato non iure; alias, non
nell’esercizio di un diritto che sia riconosciuto dall’ordinamento al
danneggiante. Contrariamente, il danno causato secundum ius non è
risarcibile, in forza del principio per cui qui suo iure utitur neminem
laedit.
L’esercizio del diritto, peraltro, ha efficacia scriminante solo se
contenuto nei limiti consentiti. Parimenti, non può ritenersi ingiusto
il danno arrecato nell’adempimento di un dovere imposto da una
norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità ex
40
Cfr. Sentenze della III sez. civile della Cass del maggio 2003, nn.8827
e 8828.
41
ZENO-ZENCOVICH , ALPA G., Responsabilità Civile, XXXIX, 1998, pag.
385.
41
Art. 51, primo comma, c.p.
42
. L’ingiustizia è inoltre esclusa dall’art
2044 c.c. per quanto riguarda il danno arrecato per legittima difesa,
in quanto, a fronte dell’illegittima aggressione alla persona e/o ai
beni di un consociato, l’interesse dell’aggredito prevale sull’interesse
dell’aggressore. Perché operi tale scriminante è necessario che
ricorrano i presupposti della legittima difesa, per la cui trattazione si
rinvia al diritto penale sostanziale. Da non confondere con la
fattispecie della legittima difesa è stato di necessità, altra causa di
giustificazione. Difatti, diversamente da quel che accade in ipotesi di
legittima difesa, in caso di stato di necessità il danno viene arrecato
ad un terzo innocente. Di conseguenza, in caso di stato di necessità,
il danneggiante deve al danneggiato, non l’integrale ristoro del
pregiudizio sofferto, bensì, un’indennità, la cui misura è rimessa
all’equo apprezzamento del giudice. A tal proposito, non bisogna
dimenticare che l’indennizzo si differenzia dal risarcimento proprio
in virtù della sua finalità che non è quella di reintegrare la sfera
giuridica del danneggiato, o di punire il danneggiante, o ancora di
prevenire futuri illeciti; essa consiste invece nella realizzazione di un
equilibrio tra la sfera giuridica del danneggiante e quella del
danneggiato. Inoltre, mentre l’indennizzo opera una compensazione
del danno solo per equivalente, il risarcimento può avere luogo anche
in forma specifica (aspetto che verrà analizzato nel capitolo III).
Se la situazione di pericolo è stata causata - dolosamente o
colposamente - da un terzo, il danneggiato può proporre sia l’azione
risarcitoria nei confronti del terzo che quella indennitaria nei
confronti del danneggiante, con l’unico limite costituito
42
Si pensi, a titolo esemplificativo, al danno cagionato dal testimone
giudiziario che deponga il vero.
42
dall’integrale ristoro del danno sofferto. L’autore del danno, dopo
aver corrisposto l’indennità al danneggiato, potrà agire in rivalsa nei
confronti del terzo che ha creato la situazione di pericolo.
Le suddette ipotesi – esercizio di un diritto, adempimento di un
dovere, legittima difesa ecc. – prendono il nome di ‘cause di
giustificazione’ (ovvero ‘cause di esclusione dell’antigiuridicità), in
quanto, escludono, appunto, l’ingiustizia del danno e l’antigiuridicità
della condotta, giustificando un comportamento pregiudizievole che,
diversamente, sarebbe fonte di responsabilità per il suo autore.
Quanto allo stato di necessità, si discute se costituisca pur esso una
causa di esclusione dell’antigiuridicità dell’atto, ovvero una semplice
esimente da responsabilità per un atto che rimane comunque
illecito
43
.
§ 3.5. - L’imputabilità del fatto al danneggiante
Per poter imputare il fatto ad un soggetto è necessario che questi
abbia la capacità di intendere e di volere. Conseguentemente, non
risponderà di tale responsabilità colui la cui incapacità non sia
determinata da fatto doloso o colposo dello stesso.
In tal senso dispone l’art 2046 c.c., il quale sancisce che: <<
Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso, chi non aveva la
capacità di intendere o di volere al momento in cui lo ho commesso,
a meno che lo stato di necessità non derivi da sua colpa >>.
43
TORRENTE, A., SCHLESINGER, P., Manuale di diritto privato, Milano, 2013,
pag. 867.
43
Pertanto, ai fini della responsabilità extracontrattuale, la
circostanza che il danneggiante abbia (o meno) la capacità di agire
non ha alcuna rilevanza.
La capacita di rimanere obbligato al risarcimento dei danni
cagionati dal proprio fatto illecito – c.d. capacità ‘delittuale’ –
dipende dalla mera circostanza che il danneggiante, nel momento in
cui ha commesso il fatto, abbia la capacità di intendere e di volere,
per tale intendendosi quel minimo di attitudine a comprendere il
disvalore sociale della propria condotta e ad autodeterminarsi
consapevolmente.
Anche il minore, dunque, pur non avendo la capacità c.d. di
agire (cioè di porre in essere negozi giuridici), ha la capacità di
obbligarsi ex delicto, se – per età, sviluppo intellettivo ecc. – è in
grado di valutare tutta una serie di circostanze nelle quali si trova ad
agire e, conseguentemente, di tutti i rischi della propria condotta.
Alla stessa stregua del minore, anche l’interdetto, l’inabilitato,
il beneficiario dell’amministrazione di sostegno rispondono del fatto
illecito dagli stessi compiuto, se le loro condizioni (di salute, lucidità,
ecc.) sono tali da non privarli, con riferimento a quella determinata
condotta, della sufficiente capacità di intendere e di volere.
In tali ipotesi, l’accertamento della c.d. capacità ‘delittuale’ del
danneggiante andrà effettuata dal giudice in concreto. Quest’ultimo,
cioè, dovrà valutare, caso per caso, età, sviluppo intellettivo e
volitivo, maturità del soggetto ecc.; salvo che le modalità dell’azione
e/o l’età del soggetto siano già di per sé sole tali da autorizzare una
conclusione in un senso o nell’altro.
44
Beninteso che, la sussistenza di un’incapacità di intendere o di
volere al momento della commissione del fatto non vale ad escludere
l’imputabilità del danneggiante – e, conseguentemente, non vale ad
esonerarlo da responsabilità – se l’incapacità stessa è determinata da
fatto, doloso o colposo, del danneggiante medesimo.
È, questa l’ipotesi di actiones liberae in causa: l’azione – non
libera – che ha provocato l’evento dannoso deve farsi risalire
all’azione – libera – che l’ha preceduta, la quale costituisce la causa
vera, anche se indiretta, dell’evento dannoso. Si pensi, ad esempio, a
chi nonostante l’assunzione di bevande alcoliche, si mette al volante,
provocando un sinistro stradale.
Se il danno è provocato da una persona incapace, il danneggiato
potrà pretendere il risarcimento dal soggetto tenuto alla sorveglianza
dell’incapace stesso. Si tratta di una delle fattispecie legali di
responsabilità per fatto altrui.
Ancora, nel caso in cui non vi sia alcuna persona tenuta alla
sorveglianza dell’incapace, ovvero questa dia la prova di non aver
potuto impedire il fatto, ovvero ancora la persona tenuta alla
sorveglianza non sia in grado di risarcire il danno, il danneggiato può
chiedere al giudice la condanna dell’incapace al pagamento di
un’equa indennità, da stabilirsi tenendo conto, come recita il secondo
comma dell’art. 2047 c.c., << delle condizioni economiche delle parti
>>.
Queste ultime condizioneranno sia l’an che il quantum del
risarcimento. Ciò si spiega poiché, in tal caso, sebbene nessuno possa
essere ritenuto giuridicamente responsabile per il pregiudizio
arrecato, il legislatore intende garantire l’interesse del danneggiato
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ad essere risarcito del pregiudizio subito ogni volta che ciò non
comprometta la posizione patrimoniale dell’incapace.
§ 3.6. - L’elemento soggettivo: il dolo o la colpa
A norma dell’art 2043, perché vi sia responsabilità
extracontrattuale, è necessario che il comportamento del
danneggiante sia doloso o, perlomeno, colposo. Le definizioni di
questi due elementi sono quelle che ci dà il codice penale.
Il dolo consiste nell’intenzionalità della condotta, ovvero nella
consapevolezza che la stessa può determinare l’evento dannoso. Il
dolo può essere diretto o eventuale. Nel primo caso, l’autore che pone
in essere la condotta, lo fa proprio al fine di produrre l’evento
dannoso. Nel caso di dolo eventuale, invece, è sufficiente che
l’autore, pur non agendo al fine specifico di realizzare l’evento
dannoso, si sia rappresentato il suo verificarsi come possibile
conseguenza della sua condotta e ne abbia accettato il relativo
rischio.
Il dolo, secondo quanto prevede l’art 2043, non è essenziale
perché l’autore dell’illecito incorra in responsabilità
extracontrattuale, essendo normalmente sufficiente la colpa. In taluni
casi, tuttavia, si ha responsabilità solo se la condotta è
necessariamente dolosa (c.d. illecito essenzialmente doloso). Sono
esempi, gli atti emulativi – che sono tali solo se posti in essere allo
specifico scopo di nuocere o recare molestia ad altri –, lo storno di
dipendenti, la presentazione di una denuncia penale infondata ecc.
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Ciò che è necessario precisare è che, il dolo come presupposto
della responsabilità extracontrattuale non va confuso con il dolo
quale vizio della volontà ex art 1439 ss. c.c.
Infatti, mentre nel primo caso, il termine indica l’intento
psicologico caratterizzante la condotta dell’agente, nel secondo caso
si fa riferimento alla condotta stessa tenuta dall’agente.
Per quanto riguarda la colpa, invece, essa, a norma del primo
comma dell’art 43 c.p., è il difetto della diligenza, della prudenza,
della perizia richieste, ovvero l’inosservanza di leggi, regolamenti,
ordini o discipline. Si tratta, dunque, della non rispondenza della
condotta tenuta dall’agente allo standard di adeguatezza imposto
dall’ordinamento. In particolare, la negligenza consiste nella
mancanza di attenzione richiesta, l’imprudenza consiste nella
mancanza delle necessarie misure di cautela, l’imperizia consiste
nell’inosservanza delle regole tecniche di una determinata attività.
Diligenza, prudenza e perizia si valutano alla luce di un
parametro oggettivo, costituito da quanto è legittimo attendersi, in
quelle determinate circostanze, dal bonus pater familias: cioè
dall’uomo coscienzioso, accorto e preparato (tenendo anche conto
della professionalità richiesta per talune attività). Il giudizio implica
a tal fine l’analisi di tutte le circostanze di fatto verificatesi nel caso
concreto, onde accertare se il danneggiato avrebbe potuto o dovuto
agire diversamente, in base alle regole che vanno osservate dalla
persona normale e attenta.
Invece, l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline
- es. l’inosservanza del codice della strada - costituisce colpa di per
sé.
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Di regola, è irrilevante il grado della colpa: grave, lieve o
lievissima. Così come è irrilevante se l’evento dannoso è stato
cagionato con colpa o con dolo. In sede di responsabilità
extracontrattuale, il danno va integralmente risarcito
indifferentemente se vi sia la colpa o il dolo del danneggiante.
Diversamente dalle ipotesi di responsabilità contrattuale, la
prova del dolo o della colpa del danneggiante deve (di norma) essere
fornita dal danneggiato. Tale prova, peraltro, può anche essere offerta
dal danneggiato a mezzo di presunzioni semplici. Inoltre, nei casi in
cui l’evento dannoso può essere normalmente evitato attraverso una
condotta allineata ai comuni standard di diligenza, il suo mero
verificarsi può far presumere la colpa del danneggiante. Ad esempio,
la caduta del vaso appoggiato sul davanzale della finestra farà
presumere una mancanza di prudenza nella sua sistemazione.
§ 3.7. - Ipotesi peculiari di responsabilità aquiliana.
la responsabilità oggettiva e semi-oggettiva
Lo stesso codice civile, peraltro, prevede non poche ipotesi nelle
quali l’autore risponde dell’evento dannoso anche in assenza di dolo
e di colpa. Si parla in tali casi di responsabilità oggettiva, per tale
intendendosi quel tipo di responsabilità che prescinde sia dal dolo
che dalla colpa. Il soggetto viene cioè considerato responsabile di un
fatto illecito, anche qualora lo stesso non derivi direttamente da un
suo comportamento; in contrasto, dunque, con il principio del nesso
di causalità fra comportamento e danno cagionato.
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In particolare si tratta delle seguenti ipotesi: responsabilità dei
padroni e dei committenti (art 2049 c.c.); responsabilità per rovina di
edifico dovuta a vizio di costruzione (art 2053); la responsabilità per
vizi di costruzione di veicoli senza guida di rotaie.
Ipotesi di responsabilità oggettiva ex delicto si rinvengono, poi,
anche al di fuori del codice: la responsabilità per danni nucleari (art
15 della legge n. 1869 del 1962); la responsabilità per danni da
prodotti difettosi (art 114 codice del consumo).
Per quanto concerne la ratio della responsabilità oggettiva, il
legislatore muove dalla constatazione che determinate cose o attività
presentano una loro intrinseca potenzialità dannosa, che non può
essere eliminata neppure adottando ogni ragionevole misura
preventiva e cautelare. Si sceglie, pertanto, di tutelare chi è esposto
ai rischi inevitabilmente indotti da dette attività (o cose), accollandoli
al soggetto che immette detti rischi nella società.
Un’ulteriore ipotesi peculiare di responsabilità
extracontrattuale, parzialmente divergente rispetto alla responsabilità
oggettiva, è costituita dalla responsabilità c.d. semi-oggettiva. Si
tratta delle ipotesi di responsabilità per attività pericolosa (art. 2050
c.c.) e di responsabilità per danno cagionato da cose (artt. 2051-2053
cc). In suddette ipotesi, il fatto che causa l’insorgere della
responsabilità non è antigiuridico; tuttavia, il danno si è verificato in
quanto non sono state rispettate determinate regole comportamentali.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, esempio di attività pericolosa è
la guida di un autoveicolo: quest’ultima di per sé non costituisce un
fatto illecito, ma i danni cagionati dalla stessa a soggetti terzi
obbligano comunque al risarcimento anche se non vi è dolo o colpa
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del guidatore. Inoltre, secondo le considerazioni del legislatore,
un’ulteriore ipotesi di attività pericolosa è costituita dal trattamento
dei dati personali. Per quel che concerne invece l’ipotesi di cui agli
artt. 2051-2053 c.c., esempio di danno cagionato da cose si ha nel
caso di danno cagionato da animali, dei quali risponde il padrone
anche se questi erano fuggiti o smarriti, salvo che provi il caso
fortuito.
§ 3.8. - La responsabilità aggravata
Oltre alle ipotesi di responsabilità oggettiva e semi-oggettiva –
nelle quali la responsabilità risarcitoria viene accollata al
danneggiante a prescindere dal fatto che la sua condotta sia o meno
caratterizzata dal connotato della colpa -, il legislatore prevede tutta
una serie di ipotesi nelle quali la posizione del danneggiato viene più
intensamente tutelata (e quella del danneggiante aggravata) rispetto
a quanto risulterebbe dall’applicazione della regola generale che
vuole che la prova della colpa del danneggiante gravi sul
danneggiato. In tali casi, l’aggravamento della posizione del
danneggiante si realizza, congiuntamente, su due profili distinti: i)
non è il danneggiante a dover fornire la prova della colpa del
danneggiante, ma è quest’ultimo a dover fornire la prova liberatoria
(c.d. presunzione di colpa); ii) la prova liberatoria richiesta al
danneggiante non si riduce, di regola, alla sola dimostrazione che lo
stesso ha operato con diligenza, prudenza e perizia: cioè alla mera
dimostrazione della sua mancanza di colpa; ma, nella maggioranza
dei casi implica la dimostrazione di un fatto estraneo alla condotta
dell’agente idoneo ad interrompere il nesso causale fra detta condotta
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e danno sofferto dalla vittima. Sono ipotesi di responsabilità
aggravata: la responsabilità del sorvegliante dell’incapace, dei
genitori, precettori e maestri di arte (artt. 2047, 2048 c.c.); la
responsabilità per esercizio di attività pericolosa (art. 2050 c.c.); la
responsabilità per danno cagionato da cose in custodia (art. 2051
c.c.); la responsabilità per danno cagionato da animali (art. 2052
c.c.); responsabilità per danno da rovina di edificio (art 2053 c.c.);
responsabilità del conducente per danno da circolazione di veicoli
(art 2054 c.c.).
§ 3.9. - Il nesso causale fra il fatto e l’evento dannoso
(c.d. danno evento)
Altro presupposto che deve necessariamente concorrere perché
si abbia responsabilità extracontrattuale è il nesso di causalità fra
fatto ed evento lesivo.
Difatti, al fine di addossare ad un soggetto l’obbligo risarcitorio,
è necessario verificare che proprio la sua condotta sia causa di
quell’evento.
Tra l’altro, ogni evento lesivo è (normalmente) il risultato di una
pluralità di concause; talché, da un punto di vista naturalistico,
possono ritenersi ‘causa’ di un determinato evento tutte quelle
condotte senza il cui concorso l’evento medesimo non si sarebbe
prodotto (art. 41, co. 1, c.p.); ovverosia, tutte quelle condotte che
costituiscono condicio sine qua non del verificarsi dell’evento. Si
parla in tal senso, della c.d. casualità materiale o di fatto.