2
L’assenza di una solida base produttiva, la carenza di un’adeguata dotazione
infrastrutturale e la presenza di una difficile “situazione ambientale”- insieme ad altre
problematiche socio-economiche che contribuiscono a creare quella che alcuni autori
hanno definito la “scatola delle diseconomie esterne” - hanno reso negli ultimi decenni
la Calabria un luogo privilegiato di afflusso di risorse finanziarie pubbliche. Le
numerose forme assunte dall’intervento pubblico, però, non solo non sono riuscite ad
attivare un processo di sviluppo endogeno, ma anzi hanno esasperato, cronicizzato, la
condizione di sostanziale “dipendenza” della Calabria
1
. L’assenza di una crescita
produttiva non ha colmato quello che è il gap - rispetto ad altre economie regionali -
più sintomatico del debole sviluppo economico: lo squilibrio sul mercato del lavoro,
significativamente più ampio di quello esistente sul mercato nazionale, ed anche più
elevato di quello osservabile nel Mezzogiorno, il quale in altre aree sembra avviato
ormai su un sentiero stabile di sviluppo capace di assorbire in parte gli eccessi di
offerta di lavoro esistenti
2
.
Questa situazione dell’economia e del mercato del lavoro calabrese non sembra
manifestarsi in modo omogeneo sul territorio. Come altri studi hanno messo in
evidenza in relazione all’intera ripartizione meridionale
3
, le economie delle regioni del
Sud sono fortemente connotate in senso locale. Sebbene nel caso calabrese la variabile
territoriale non sembra esercitare quell’effetto che pare assumere in altri contesti, le
differenziazioni territoriali sembrano comunque un aspetto essenziale per estendere e
qualificare ulteriormente il quadro descrittivo e interpretativo disponibile.
L’analisi dello “stato” del mercato del lavoro calabrese, a diversi livelli di
disaggregazione territoriale - entro il contesto meridionale - , è stato di conseguenza
lo scopo principale di questo lavoro.
1
Vedi Pugliese A., (1993), “Disoccupazione e problematiche dello sviluppo calabrese”, in Inchiesta, Gennaio-
Marzo; Pugliese A., (1985), Calabria: i caratteri di un’economia dipendente, Angeli, e Cersosimo D., (a cura di),
(1996), Una politica economica per la Calabria: valori, strutture attori, Rubbettino Editore.
2
Vedi Trigilia C. e Diamanti I., (1992), Il mosaico del mezzogiorno, Fondazione Agnelli; Bottazzi M., (1990), “I
Sud dei Sud. I divari interni al Mezzogiorno e il rovesciamento delle gerarchie spaziali”, in Meridiana, n. 10;
Wolleb E. e Wolleb G., (1990), Divari regionali e sviluppo economico, Il Mulino; Marino D. e
Timpano F., (1997), Descrizione delle caratteristiche strutturali dell’economia meridionale. Rapporto
topico (analisi desk).
3
ibidem
3
In linea con una serie di contributi
4
che negli ultimi anni hanno spostato l’attenzione
dalla domanda e dalla variabile salariale verso l’offerta nella comprensione della
disoccupazione - in particolare, della disoccupazione meridionale - , l’angolatura
analitica adottata è stata centrata soprattutto sulle caratteristiche qualitative
dell’offerta, non trascurando comunque le caratteristiche della domanda.
Lo svolgimento del lavoro ha avuto, dunque, il seguente percorso: il primo capitolo è
stato utile ad inquadrare la disoccupazione calabrese nel contesto meridionale. Nella
prima parte l’analisi si è orientata sulla disoccupazione nel Mezzogiorno, osservata
comparativamente con la disoccupazione centrosettentrionale, cogliendone così la sua
“unicità” a livello nazionale. I dati esaminati hanno mostrato in modo visibile la
macrosegmentazione territoriale che connota il mercato italiano: la disoccupazione nel
Mezzogiorno è apparsa di dimensioni quantitative sensibilmente superiori a quella
centrosettentrionale e ha mostrato una dinamica secondo cui tale divario tra le due
ripartizioni tende ad allargarsi. Anche relativamente alla dimensione qualitativa, le
“due disoccupazioni” sono apparse radicalmente divergenti: la disoccupazione
meridionale è parsa maggiormente segnata dalla giovane età, dalla prevalenza del
sesso femminile, dall’assoluta inesperienza del mondo del lavoro, dalla lunga
permanenza sul mercato del lavoro e da un atteggiamento verso il lavoro cercato in cui
si è osservata una diffusa propensione all’elevata rigidità sia territoriale che salariale.
Paradossalmente, è emerso come quelle caratteristiche che consentono di parlare
rigidità dell’offerta - salario minimo di riserva, disponibilità al trasferimento - siano
più diffuse nell’offerta di lavoro meridionale - il cui eccesso sul relativo mercato
indurrebbe a pensare che essa manifesti maggiore elasticità - piuttosto che in quella
centrosettentrionale.
4
Vedi, per es., Accornero A. e Carmignani F., (1986), I paradossi della disoccupazione, Il Mulino;
Becchi Collidà A., (1993), “Quali politiche per l’occupazione nel Mezzogiorno?”, in Politiche del
lavoro, n. 22-23; Borzaga C., (1989), “Disoccupazione mercati del lavoro regionali e mobilità
territoriale: la recente esperienza italiana”, in Rassegna di statistica del lavoro, n. 3; Brunello G.,
(1992), “Un modello generazionale del mercato del lavoro italiano”, in Politica economica, n. 1,
Aprile. Bruni M., (1994), “Tendenze e caratteristiche della disoccupazione in Italia”, in Ministero del
lavoro e della Previdenza sociale, Rapporto ‘93-’94 e Latella F., (1994), Mercati ed istituzioni nel
Mezzogiorno, Angeli.
4
Queste evidenze hanno rafforzato l’ipotesi di un’offerta di lavoro meridionale
essenzialmente dicotomica: un’offerta, che, stilizzando la realtà, può essere suddivisa
in due “modelli”: un modello “ricco” e un modello “povero”. Il primo modello sembra
proprio catturare quella fascia dell’offerta “rigida”, che contribuisce attivamente alla
propria lunga permanenza nello stato di disoccupazione, che è caratterizzata da una
solida copertura familiare, da un livello d’istruzione medio-elevato e da un’elevata
sensibilità verso i posti di lavoro maggiormente garantiti, ed alla quale può essere
dunque associato il cosiddetto fenomeno del “wait unemployment”. Il secondo
modello, invece, approssima la configurazione di quell’offerta considerata “passiva”
rispetto alle condizioni poste dalla domanda. E’ un’area dell’offerta dotata di mezzi
economici, sociali, e culturali troppo scarsi per poter “resistere”, “attendere” a lungo
sul mercato, e per poter competere per i posti di lavoro più qualificati e retribuiti e che,
di conseguenza, abbassa le soglie qualitative minime di accettazione di un lavoro.
Nonostante l’evidenza abbia mostrato la consistenza del segmento di offerta che
soddisfa le condizioni tipiche del primo “modello”, il ruolo esercitato dalla limitatezza
della domanda di lavoro nella determinazione degli ampi squilibri esistenti su mercato
meridionale, come del resto altri studi hanno mostrato
5
, fa supporre che sia questo il
fattore esplicativo su cui prioritariamente concentrare l’attenzione. Questa
rappresentazione della disoccupazione meridionale ha consentito, pertanto, di disporre
di uno schema interpretativo utile per “scendere” nella realtà calabrese, esaminata nel
secondo capitolo.
In tale capitolo - suddiviso in tre sezioni - , l’analisi è stata interamente dedicata
al mercato del lavoro calabrese: si è passati, quindi, da una dimensione macroregionale
a una dimensione regionale. L’interesse è stato indirizzato verso tutti gli aggregati
componenti il mercato, con maggiore riguardo, ovviamente, verso la disoccupazione.
5
Vedi D’Antonio M., (a cura di), (1992), Lavoro e disoccupazione nel Mezzogiorno, Edizioni della
Fondazione Giovanni Agnelli.
5
La prima sezione è stata dedicata all’esame del profilo quantitativo e qualitativo delle
forze di lavoro e alla loro evoluzione nell’arco dell’ultimo quindicennio in relazione
anche alla dinamica della popolazione nello stesso periodo. Un risultato è spiccato su
tutti gli altri: in un contesto di continua crescita della popolazione - dettata da saldi
migratori moderatamente negativi e da saldi naturali positivi, sebbene decrescenti - ,
negli anni ‘80 e ‘90 le forze di lavoro vedono sensibilmente crescere in termini
assoluti e relativi la loro componente maggiormente istruita, soprattutto la componente
femminile. Scolarizzazione e partecipazione crescente delle donne al mercato del
lavoro regionale sono i due fenomeni più rilevanti osservati in relazione a tale
aggregato.
Nella seconda sezione l’aggregato in esame è stato l’occupazione. La composizione
per genere, per fasce di età, per settore economico, per posizione professionale e per
carattere della prestazione - osservate peraltro nell’arco degli anni ‘80 e degli anni ‘90
- sono stati gli elementi che hanno consentito di derivare un quadro dettagliato della
domanda di lavoro regionale. Osservata la modesta rilevanza quantitativa, il risultato
importante è stato la terziarizzazione - prevalentemente in senso pubblico - della
struttura occupazionale regionale. Il settore il cui impatto sull’occupazione ha
acquistato più importanza negli ultimi decenni, diventando la fonte di maggiore
assorbimento delle “nuove” forze di lavoro, è stato il settore dei servizi non destinabili
alla vendita. Il datore di lavoro pubblico ha sempre di più plasmato la struttura
occupazionale regionale, e ha alimentato in modo indiretto anche l’occupazione in
fasce del terziario privato, del settore edilizio, e nel settore commerciale. A tale polo
dell’occupazione regionale non si contrappone - e mai, nell’arco del periodo
esaminato, ne ha dato visibile segno - una significativa incidenza dell’occupazione nel
settore industriale “in senso stretto”: anche in tale comparto, del resto, la presenza
dello Stato ha inciso e incide in misura significativa. Il datore di lavoro privato è
sembrato attivo soprattutto nei settori tradizionali - agricoltura, edilizia - e nelle micro-
imprese del terziario “tradizionale”, non offrendo però una “qualità” della posizione
lavorativa paragonabile a quella offerta dal datore pubblico. La struttura occupazionale
è risultata così caratterizzata essenzialmente dal lavoro dipendente, in una misura non
ritrovabile in altre realtà regionali; una struttura in cui è apparsa netta la divaricazione
6
tra un lavoro dipendente “altamente garantito” - generalmente pubblico o parapubblico
- e un lavoro dipendente “scarsamente garantito”. Il lavoro indipendente è risultato
prevalentemente diffuso nei servizi e nell’agricoltura, ma assolutamente inconsistente
nel settore industriale. All’origine della carenza di un solido tessuto industriale
regionale, - determinante per comprendere i bassi livelli di occupazione degli ultimi
anni - va certamente posto la mancanza di una moderna classe di piccoli e medi
imprenditori.
Nella terza sezione, infine, ci si è concentrati sulla disoccupazione regionale. Si è
sviluppato un profilo molto dettagliato degli aspetti qualitativi dell’offerta regionale:
in primo luogo si sono esaminate le fasce anagrafiche maggiormente interessate alla
questione occupazionale; in secondo luogo, si è indagato nello status socio-culturale
dei disoccupati, per valutarne la capacità di “sostenere” e di superare nel minor tempo
possibile la condizione di disoccupazione; in terzo luogo, si è analizzata l’operatività
sul mercato dell’offerta - quindi, implicitamente, la “funzionalità” del mercato del
lavoro regionale - : la disoccupazione di lunga durata, la condizione dichiarata,
l’attività di ricerca sono alcune delle variabili che hanno consentito di definire il
mercato regionale in tal senso; in quarto luogo, si è “misurato” l’aspetto qualitativo
dell’offerta più rilevante per comprendere quanto e come essa contribuisca attivamente
alla determinazione della disoccupazione regionale: la flessibilità. Da tale analisi, la
disoccupazione calabrese ha denotato, come prima significativa peculiarità, una
complessiva tendenza ad una minore selettività, ad una maggiore disponibilità -
rispetto a quanto osservato nell’intero Mezzogiorno - verso le caratteristiche anche
meno convenienti del lavoro cercato. Secondariamente, rispetto agli schemi
interpretativi proposti nel precedente capitolo, la struttura dell’offerta regionale è
risultata più articolata. E’ emersa, innanzitutto, la centralità delle caratteristiche
socio-culturali nel determinare, nel condizionare, gli orientamenti e le azioni messe in
atto sul mercato dalle persone in cerca di occupazione. L’analisi di tali caratteristiche
ha messo in evidenza la bipartizione dell’offerta - con un’incidenza
approssimativamente simile - tra un’area notevolmente “coperta” e competitiva -
generalmente giovane e di sesso femminile -, ed un’area caratterizzata da un sostegno
familiare meno consistente e da un livello di qualificazione più modesto -
7
generalmente “giovane adulta” o adulta e di sesso maschile. In tali gruppi vanno
sottolineate le condizioni socio-economiche e il profilo culturale di due sottogruppi
che ”accentuano” le caratteristiche dei primi: i disoccupati con elevato grado di
istruzione - laurea o frequenza universitaria - e elevata provenienza sociale, e i
disoccupati con bassissimo livello di scolarità e bassa posizione sociale. Abbiamo
visto come gli atteggiamenti verso il lavoro dell’offerta calabrese possono essere
interpretati a partire da questa configurazione socio-culturale. La disoccupazione in
cerca di prima occupazione - che interessa la gran parte della disoccupazione calabrese
- , la “disoccupazione apparente” - che svela, da un altro punto di vista rispetto a
quello esaminato nell’analisi della struttura occupazionale, le rilevanti dimensioni
dell’area del lavoro precario e irregolare in Calabria - , la poco intensa e poco
diversificata attività di ricerca concentrata soprattutto su azioni “tradizionali” destinate
all’accesso alle posizioni lavorative più garantite - e condizionata, comunque, anche
dall’inazione della domanda -, la durata media di ricerca abbastanza lunga, gli
atteggiamenti verso la localizzazione, la remunerazione e il tipo di lavoro desiderato,
sono tutti aspetti che si modulano sul profilo socio-culturale dell’offerta e la cui analisi
ha portato a due affermazioni conclusive di rilievo in relazione alle caratteristiche della
“volontarietà” della disoccupazione regionale:
i), si è dedotto come il segmento che pone più condizioni all’accettazione di un lavoro
è quello dei diplomati, che godono di una buona copertura familiare. Nella misura in
cui la disoccupazione calabrese ha i connotati della disoccupazione volontaria, essa va
ricercata, individuata essenzialmente in tale segmento.
ii) come si è sostenuto in margine al secondo capitolo, in relazione all’articolazione
della “volontarietà”, è possibile sostenere che il disoccupato calabrese, entro il
proprio mercato del lavoro locale, difficilmente rinunzia ad un’opportunità di lavoro,
qualunque siano le sue caratteristiche salariali, ed, in una certa misura, contrattuali.
Infine, nel terzo capitolo, l’analisi è “scesa” da un livello regionale a un livello
subregionali. In altri termini, il mercato del lavoro regionale è stato territorializzato
secondo le diverse unità amministrative provinciali che lo compongono. Sono stati
esaminati i singoli mercati del lavoro, le singole strutture occupazionali, le singole
“disoccupazioni”: il risultato ottenuto a livello regionale è stato ripartito sul territorio
8
al fine di disegnare una mappa della carenza di lavoro in Calabria e poter determinare,
in tal modo, da quale provincia viene - e perchè - il contributo più rilevante alla
disoccupazione regionale, privilegiando sempre il lato dell’offerta, piuttosto che il lato
della domanda.
In relazione alla domanda di lavoro, la polarizzazione della struttura occupazionale
osservata a livello regionale ha trovato differente manifestazione nei diversi contesti
locali: dall’analisi effettuata è stato fin troppo evidente come le province
maggiormente “urbane” corrispondono a quelle province in cui il peso del terziario
pubblico e parapubblico è particolarmente elevato. L’occupazione terziaria garantita -
e generalmente dipendente - è sembrata una connotazione tipica delle province più
grandi della regione. Nelle province più “rurali”, invece, è l’occupazione
nell’agricoltura, nell’edilizia, e nei servizi destinabili alla vendita ad avere maggiore
peso relativo: la precarietà della posizione lavorativa sembra una caratteristica diffusa
soprattutto nelle province più “periferiche”. In nessuna area, inoltre, il comparto
industriale - “in senso stretto” - riveste un ruolo di rilievo. L’asfissia del tessuto
industriale non ha alcuna specificità locale in Calabria. Se in passato, la politica dei
poli di sviluppo, l’intervento diretto dello Stato e la delocalizzazione di impianti da
parte di imprese settentrionali avevano creato i presupposti per l’ industrializzazione di
alcune aree della regione, il fallimento, variamente motivato, di gran parte di queste
esperienze ha determinato una generale “scarnificazione” del paesaggio industriale
regionale. Questo determina il fatto che, laddove la funzione di “spugna” del terziario
pubblico ha una minore rilevanza, la domanda di lavoro ha un’incidenza minima sulla
popolazione - il caso di Crotone -, eccezion fatta per il caso il cui essa sia “drogata” da
una notevole presenza di lavoro precario - il caso di Vibo.
In relazione all’offerta, invece, la territorializzazione dei dati ottenuti su base regionale
ha consentito di ricavare diversi profili locali dell’offerta. Le cinque province in cui
abbiamo suddiviso il territorio calabrese hanno permesso di derivare cinque “modelli”
di disoccupazione abbastanza differenziati: la disomogeneità - l’elevata variabilità
interprovinciale - ha caratterizzato i risultati di gran parte delle variabili analizzate.
Solo poche variabili - tra cui risaltano la lunghissima durata e la quota di disoccupati
in età superiore ai 34 anni - hanno manifestato una certa omogeneità territoriale: è
9
possibile affermare che la disoccupazione più marginale manca di una precisa
localizzazione. Prescindendo da questo dato, è stato possibile, in primo luogo,
disegnare un mercato del lavoro regionale territorialmente dicotomizzato: da un lato,
tra province meridionali - Vibo e Reggio - in cui più elevato è il livello medio di
istruzione, più attiva è la ricerca e più condizionata è l’accettazione di un lavoro - e
province settentrionali - Catanzaro, Cosenza e Crotone - ; e, dall’altro lato, tra
province “urbane” - Catanzaro, Reggio e, in misura minore, Cosenza - , nelle quali il
grosso peso dei livelli intermedi di istruzione, l’elevata incidenza delle classi medie
dipendenti e la pervasiva presenza, sotto varie forme, dello Stato, orienta verso
determinate scelte i disoccupati - , e province “rurali” - Crotone e Vibo - meno
condizionate dalla presenza dello Stato. In secondo luogo, hanno consentito di
evidenziare le seguenti specificità territoriali:
i) la disoccupazione crotonese - che pesa percentualmente sulle forze di lavoro locali
più che in ogni altro contesto provinciale - si distacca notevolmente dalle altre
“offerte” per un profilo socio-culturale molto modesto, che determina una altissima
flessibilità, in relazione a tutti gli aspetti del lavoro cercato. Conoscendo il livello e la
“qualità” della domanda locale, è’ stato fin troppo evidente appurarne il carattere
essenzialmente keynesiano.
ii) la disoccupazione vibonese e reggina, sebbene diversamente articolate, sono
apparse, invece, come quelle che mostrano indiscutibilmente le più consistenti
garanzie economiche e la maggiore competitività, insieme ad un comportamento sul
mercato che fa ritenere che siano le “offerte” locali più coerenti con il modello della
“disoccupazione d’attesa”.
Nel complesso, infine, i risultati fanno pensare che sono due le variabili che più di
altre consentono di interpretare le dimensioni qualitative e quantitative della
disoccupazione nelle diverse dimensioni territoriali considerate: le caratteristiche
della struttura occupazionale, e la stratificazione sociale e il profilo culturale
dell’offerta. Nei contesti questi due aspetti si mostrano maggiormente carenti, si sono
evidentemente individuati i punti di più acuta crisi occupazionale. Sembra, però,
irrinunciabile, nonostante tale lavoro abbia avuto come uno degli scopi principali
l’analisi dell’offerta, ribadire nuovamente la priorità - come variabile esplicativa -
della domanda di lavoro, soprattutto in relazione all’analisi di un ultimo dato effettuato
10
nel corso delle conclusioni finali, relativo all’offerta calabrese - regionale e
subregionale: si è visto come la probabilità di rifiutare un lavoro è molto bassa in
qualunque contesto geografico. Questo testimonia l’esistenza di una divario tra una
indisponibilità “teorica”, dichiarata, e una indisponibiltà “effettiva”: nel momento in
cui si offrono opportunità lavorative, le “resistenze” dell’offerta si riducono,
soprattutto in un ambiente economicamente depresso come quello calabrese.