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PREMESSA. LETTERATURA COME STORIOGRAFIA?
Ciò che è una favola nel caso particolare, in generale è verità
1
La tesi, che qui trova la sua prima frase, necessita di una premessa teorica, quasi
concettuale, per poter inquadrare e, filosoficamente, giustificare il lavoro di analisi e
ricerca che verrà svolto nei capitoli successivi.
Per poterlo fare, ancora nulla, o pochissimo, diremo in questa premessa dell'argomento
centrale della tesi ma andremo piuttosto a scavare le basi epistemologiche che
costituiscono e costruiscono la metodologia di studio attraverso cui esso sarà indagato.
Ciò a cui si vuole dare una giustificazione in questa premessa non è tanto l’oggetto di
studio, l’argomento storico affrontato, quanto il modo con cui esso è studiato, la
prospettiva obliqua dell’indagine. Sarà, infatti, uno sguardo, apparentemente, non
convenzionale e comune.
In cosa consiste questo metodo, dunque?
Si tratta di prendere un determinato momento storico, un fatto, un periodo,
chiamiamolo per convenzione un oggetto storico, e approcciarsi al suo studio
storiografico non (solo) attraverso il consueto corpus documentale e scientifico a cui lo
storico è tenuto, ma utilizzando la lettura di un’opera di narrativa, un romanzo o un testo
poetico.
Si badi bene, non ci stiamo riferendo alla diaristica, che da molto è entrata nel canone
degli studi storici
2
, ma, più radicalmente, ai testi di pura narrativa, di invenzione, di
assoluta creatività. Testi in cui l’elemento soggettivo è totalmente predominante rispetto
all’elemento oggettivo e fattuale dell’indagine storico-scientifica.
Può dunque un romanzo contribuire allo studio di un oggetto storico? E quali nuove
prospettive, quali nuovi contenuti, può portare all’indagine in aggiunta alla pratica
scientifica dello storico?
Nelle pagine di questa premessa non arriveremo certo a una risposta a queste domande,
non si esaurirà la dinamica conflittuale del rapporto fra Letteratura e Storiografia ma si
cercherà, attraverso la lettura di alcuni significativi contributi critici, di inquadrare nel
modo più chiaro possibile il contesto di riferimento e gli esiti delle riflessioni più recenti.
Ovviamente, il lettore avrà già colto che chi scrive intende affrontare lo studio di un
determinato oggetto storico a partire da un’opera di narrativa e che quindi,
filosoficamente, la personale preferenza dell’autore nel rimbalzo fra Storiografia e
Letteratura muove verso quest’ultima. Tuttavia, nelle pagine di questa premessa, e grazie
1
Multatuli, Max Havelaar ovvero le aste del caffè della Società di Commercio Olandese, Milano, Iperborea,
2001, p. 308.
2
Si veda a tal proposito due esempi: Patrizia Gabrielli, Se verrà la guerra chi ci salverà?, Bologna, Il
Mulino, 2021 e Giovanni De Luna, La Resistenza perfetta, Milano, Feltrinelli, 2015. Interessanti esempi di
studio della Seconda Guerra Mondiale in Italia tramite l’utilizzo della diaristica.
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soprattutto al lavoro di Emanuele Zinato
3
, vorremmo dimostrare che tale dialettica può
configurarsi non come un drastico aut aut ma come una positiva simbiosi di contributi.
Per iniziare questa analisi è doveroso partire dall’incipit di un articolo che sarà
fondamentale nella nostra riflessione e che ben inquadra la complessità e la difficoltà
dell’indagine sul rapporto Letteratura e Storiografia.
Siamo nel 1966, per i tipi di Giulio Einaudi Editore esce il nono volume di una rivista
diretta da Elio Vittorini e Italo Calvino, Il Menabò, punto di riferimento, ancora attuale,
sulla letteratura contemporanea negli anni ‘60.
La Treccani ne dà una sintetica descrizione che riportiamo: “Il programma de “Il
Menabò” consisteva in un’opera di messa a punto e di chiarificazione dei problemi relativi
all’attività artistica quali erano stati posti dall’acceso dibattito letterario degli anni
Cinquanta, e in un’azione di ricerca, di esplorazione e di verifica di nuovi terreni di
sperimentazione espressiva”.
Il numero 9 de Il Menabò
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, il volume che prenderemo in esame, fu pensato da Vittorini,
ma curato, per la morte di questi, da Hans Magnus Enzensberger, autore poliedrico di
narrativa, saggistica e, soprattutto, poesia.
Obiettivo del volume era indagare la letteratura contemporanea tedesca attraverso la
proposizione di testi di autori ritenuti significativi e rappresentativi.
Hans Magnus Enzensberger apre il numero con un lungo intervento che dà il titolo al
volume: “Letteratura come Storiografia” e che inizia così:
Letteratura come Storiografia: è un punto di vista così comune, così vecchio e tuttavia così oscuro e
inesplorato che, presumibilmente, susciterà più difficoltà di quante ne potrà risolvere. Si presenta qui un
labirinto di concetto e di metodo
5
.
Da questo “labirinto di concetto e di metodo” anche noi vogliamo prendere avvio e
cercare di percorrere i passi di una riflessione che, probabilmente, non troverà mai piena
conclusione.
Enzensberger nel confrontare Letteratura e Storiografia parte da un esempio concreto,
ovvero la comparazione fra un brano dello scrittore Alfred Döblin (1878-1957) e uno
dello storico Golo Mann (1909-1994) entrambi ambientati nella Berlino weimariana del
1929.
La conclusione di Enzensberger è senza appello:
Il racconto dello storico è singolarmente privo di umanità. Fa l’effetto di una cosa morta, come un
paesaggio di De Chirico. La storia viene esibita senza il suo soggetto: le persone
6
.
3
Emanuele Zinato, Letteratura come Storiografia? Mappe e figure della mutazione italiana, Macerata,
Quodlibet, 2015.
4
Hans Magnus Enzensberger, "Letteratura come Storiografia", in Il Menabò, n. 9, 1966, Torino, Giulio
Einaudi Editore.
5
Enzensberger, Il Menabò, pag. 7.
6
Enzensberger, Il Menabò, pag. 8.
9
Mentre il giudizio sul testo del romanziere è opposto:
Per contro, Döblin, mostra un primo piano che è tutto un brulicare. La collettività si dissolve in una
molteplicità di soggetti che ti scivolano vicino, vengono captati singolarmente come da una cinepresa e poi
restituiti al movimento dell’insieme
7
.
Tale giudizio si radicalizza nei quattro punti che Enzensberger evidenzia per analizzare
le differenze fra l’approccio letterario e quello storiografico: a) prospettiva soggettiva
versus prospettiva oggettiva, b) differenza di scala fra i due approcci, c) uso di una lingua
diversa e d) capacità rappresentativa opposta a capacità di comprensione.
Senza voler entrare nei dettagli di questi singoli punti, ciò che interessa è l’esito
radicale a cui giunge Enzensberger, ovvero che da parte dello storico vi sia “un interesse
privo di interesse
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” e che dunque:
Inevitabilmente chi sfugge a ogni prospettiva soggettiva diventa schiavo di una prospettiva oggettiva,
cioè quella del potere, il che oggi significa gli anonimi rapporti di potere. A essa è condannato lo storico
futuro dal metodo che si è prefissato, dalle fonte a cui attinge, dalle persone che utilizza, e dalle impostazioni
che lui ha dato
9
.
Ecco che per Enzensberger vi è una sorta di condanna dello storico, presente e futuro,
all’oggettività, alla prospettiva storico-scientifica che decolora ogni interesse e trasforma
la narrazione storica in un prodotto asettico composto di anonimi rapporti di potere. Il
vero oggetto di studio della Storiografia, dice Enzensberger, ovvero gli esseri umani, le
loro vite, le loro erlebnisse, le loro emozioni, sono così dimenticate, ignorate e perdute.
Solo la letteratura, nella sua capacità di penetrare la quotidianità dei vissuti,
rappresentarla attraverso un linguaggio mutevole e camaleontico, narrare mimeticamente
le passioni, le storie (con la s minuscola) della moltitudine delle genti del tempo, ecco,
solo la letteratura ha il valore, sembra dirci Enzensberger, di una macchina del tempo che
fa rivivere la Storia (con la S maiuscola). La Storiografia è incapace di questo viaggio
appesantita, com’è, da regole, precetti, norme, liturgie tributate all’altare dell’oggettività.
Il discorso di Enzensberger appare rigoroso (e a tratti affascinante), ma tuttavia sembra
presentare una falla, un’esasperazione retorica che rischia di far crollare tutto il suo
impianto concettuale. L’autore tedesco pare, infatti, affrancarsi totalmente da una
qualunque prospettiva oggettiva, dai dati, archivi e documenti, e quindi da ogni garanzia
di veridicità che possa mettere in discussione, o quanto meno bilanciare, la singola voce
del romanziere con l’insieme fattuale degli accadimenti.
Il rischio della prospettiva presentata da Enzensberger ne Il Menabò sta nell’aver
spinto la valorizzazione delle soggettività all’estremo cadendo in una deriva iper-
relativistica, in cui tutte le voci si equivalgono e, dunque, nessuna voce racconta
realmente qualcosa. Una cacofonia di racconti individuali da cui non emerge nulla, se non
frastuono.
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Enzensberger, Il Menabò, pag. 8.
8
Enzensberger, Il Menabò, pag. 9.
9
Enzensberger, Il Menabò, pag. 9.
10
La proposta di Enzensberger, tuttavia, nonostante questa falla, resta valida e
interessante. Come cercare allora di evitare il sacrificio dello storico sull’altare della pura
oggettività, recuperando le esperienze vissute?
Una soluzione la propone Emanuele Zinato nel suo Letteratura come Storiografia?
Mappe e figure della mutazione italiana, edito da Quodlibet nel 2015, in cui il punto di
domanda aggiunto nel titolo, rispetto a quello di Enzensberger, apre uno spazio di
possibilità dialettica, un territorio su cui questa tesi si vorrebbe appoggiare.
La soluzione del rapporto fra Letteratura e Storiografia non è in un’affermazione
assertiva ma in una domanda, in un luogo fluido di incertezza che accoglie, confronta e,
infine, accetta.
Emanuele Zinato è professore di Letteratura italiana contemporanea all’Università
degli Studi di Padova. Ha curato l’opera completa, con apparato critico-filologico, degli
scritti di Paolo Volponi e nel 2015 ha pubblicato per Quodlibet il saggio Letteratura come
storiografia? Mappe e figure della mutazione italiana che apertamente si rifà alla
riflessione di Enzensberger e del numero 9 de Il Menabò.
Zinato raccoglie alcuni saggi, usciti in un ampio arco di tempo, accomunati dallo studio
del rapporto fra letteratura e storia italiana entro un arco temporale che comprende il
secondo Novecento e la prima decade del XXI secolo. Nel volume, Zinato riprende l’idea
di letteratura come forma simbolica in grado di rappresentare le esperienze inaccessibili
alla storiografia.
Il libro è diviso in due parti: la prima sezione affronta l’eredità di due laboratori del
secondo Novecento (le riviste Officina e Il Menabò), la seconda parte invece analizza
alcuni autori del Novecento (Parise, Fortini, Primo Levi, Volponi, Morante, Sciascia) e
quattro scrittori degli anni Zero (Affinati, De Signoribus, Di Ruscio, Sarchi).
Zinato, con il punto interrogativo del titolo, ritorna sulla questione del rapporto fra
scritture d’invenzione e scritture veridiche, fra opere e mondo. Nelle pagine dei saggi, e
in particolare dell’introduzione (scritta a posteriori), emerge l’ipotesi che la letteratura
possa ambire a essere una forma paradossale di storiografia.
Citando Zinato:
Forse la letteratura può essere considerata come quella forma paradossale di storiografia e di
ricostruzione che si prende la libertà di riconfigurare, manipolare, rovesciare, vanificare i dati ufficiali e
che custodisce «nella penombra delle opere» sia la voce dei vincitori che le «tracce dei
dimenticati»: proprio in quanto discorso pluralistico e irriducibile all’unità. E come “ginnastica della
coscienza”, “simulazione di esperienze”, “esercizio delle facoltà svincolato da costrizioni esterne e quindi
relativamente libero”, ci è ancora necessaria in un’epoca in cui la rapidità liquida e
ipercinetica della mutazione abbaglia, colonizza e intorpidisce la coscienza
10
.
Procediamo però con ordine.
Sempre nell’Introduzione, Zinato spiega che gli autori indagati nei saggi del volume
hanno in comune “l’idea di letteratura come forma simbolica che, nella modernità, ha
10
Zinato, Letteratura come Storiografia?
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avuto la possibilità di accedere a sfere dell’esistenza e dell’esperienza cui la storiografia
non ha accesso
11
”.
In Zinato, a differenza di Enzensberger, il rapporto fra Storiografia e Letteratura resta
aperto, irrisolto e forse irrisolvibile. In fondo la domanda del titolo, dice Zinato, “vuole
alludere alla più ampia questione dei rapporti fra scritture d’invenzione e scritture
veridiche
12
”.
Siamo giunti alla falla di Enzensberger: spostare tutto il peso della relazione fra
Letteratura e Storiografia sulla prima apre un varco a un iper-soggettivismo che degrada
nella confusione delle voci. Zinato è ben consapevole dell’insidia che si annida nella
perdita della veridicità, infatti, scrive:
L’antico problema del rapporto fra storia e letteratura, è del resto più volte riaffiorato nell’età moderna
e contemporanea: si tratta di una relazione complessa, le cui difficoltà sono segnalate dalla stessa ambiguità
semantica del termine storia (racconto/ricostruzione veridica o frutto dell’immaginazione?)
13
.
Dove trovare la risposta al quesito sul confine fra racconto e costruzione veridica? Fra
immaginazione e fattualità?
Persino la risposta che diede Voltaire nel Dizionario filosofico
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appare ambigua, e
solo apparentemente, semplice: “La storia è il racconto di avvenimenti che vengono
ritenuti veri, la favola, invece, il racconto di avvenimenti che vengono ritenuti non veri”.
Tutto si gioca sulla parola “ritenuti” che rimescola le carte e apre a scenari affatto
conclusivi.
Interessante allora la lettura che ne dà Lidia De Federicis nel suo Letteratura e storia,
uscito per gli Editori Laterza nel 1998. Nel capitolo primo l’autrice scrive:
Risulta che l’interpretazione, per trarre un senso dagli eventi, è l’unico aspetto nel quale può
manifestarsi la soggettività dello storico in campo scientifico. Nella narrazione invece la soggettività ricrea
più liberamente i fatti, soprattutto quando il racconto dello storico è anche il racconto di un testimone che i
fatti li ha visti e vissuti. Qui interviene inoltre l’immaginario
15
.
Vedremo, nell’esempio da noi analizzato nei capitoli successivi di questa tesi come
l’elemento autobiografico e di contemporaneità autoriale ai fatti narrati avrà un peso
essenziale per far dialogare Storiografia e Letteratura.
Continua De Federicis nella sua analisi:
Lo storico e il romanziere possono scambiarsi le parti. Restando però una differenza. Dal romanziere ci
aspettiamo la mescolanza di vero e falso, entrambi riassorbiti nell’artificio e nella finzione dell’opera
letteraria; dallo storico pretendiamo invece il vero. Che non inventi. Che non inventi deliberatamente.
Tuttavia anche nel racconto dello storico la forza della scrittura e delle figurazioni può creare effetti
simbolici, artistici, non documentati
16
.
11
Zinato, Letteratura come Storiografia?
12
Zinato, Letteratura come Storiografia?
13
Zinato, Letteratura come Storiografia?
14
Voltaire, Dizionario filosofico, Milano, Garzanti, 2006.
15
Lidia De Federicis, Letteratura e storia, Bari-Roma, Editori Laterza, 1998.
16
Lidia De Federicis, Letteratura e storia
12
Sia Zinato che De Federicis, appaiono perfettamente consapevoli che il radicalismo di
Enzensberger, seppur filosoficamente intrigante, metta a repentaglio il valore scientifico
e di veridicità della Storiografia, e, al tempo stesso, trasformi la Letteratura in un
incomprensibile mormorio di voci, svuotando entrambe di senso (del loro significato
essenziale).
La soluzione sembra giacere nel punto interrogativo di Emanuele Zinato, che, come
visto, apre spazi, luoghi di un confine indefinito, risacche di una marea che muove,
alternandosi, fra due opposti che hanno ampie zone di sovrapposizione. Fra Letteratura e
Storiografia vi è un limes di ibridazione che si alimenta dallo scambio insolubile fra le
due estremità, immaginazione e fattualità e che ne arricchisce entrambe.
È in questo habitat connettivo e ibrido, territorio in cui l’immaginazione arricchisce
l’indagine fattuale del reale e in cui i fatti del mondo tornano a esistere grazie alla
creatività della soggettività, che si trova la soluzione dinamica al rapporto fra Storiografia
e Letteratura. Su questo confine mutevole mette le fondamenta l’impianto concettuale di
questa tesi.
Torniamo alla domanda da cui eravamo partiti e chiediamoci se sarà lecito utilizzare
un romanzo per indagare un oggetto storico.
Più in dettaglio (e svelando ciò che seguirà) sarà possibile leggere a approfondire il
colonialismo olandese del XIX secolo attraverso la lettura del romanzo di Multatuli (nom
de plume di Eduard Douwes Dekker), Max Havelaar, ovvero le aste del caffè della
Società di Commercio Olandese?
La vicenda (semi-autobiografica) di Max Havelaar raccontata da Multatuli può fornire
strumenti per studiare storiograficamente un periodo della storia dei Paesi Bassi? O,
addirittura, può essere in grado di aggiungere nuove prospettive allo studio scientifico,
affiancando un (in)certo qualitativo al quantitativo degli archivi?
Le vite immaginarie di Max Havelaar, del broker Droogstoppel, del giovane idealista
Stern, dell’innamorato Saïdyah, ognuna di essa specchio della voce di Multatuli,
consentono di penetrare il tempo e lo spazio e di muovere fra Amsterdam e Lebak a metà
del 1800 per cogliere cosa era e come funzionasse il colonialismo olandese nelle Indie
orientali, il rigido Cultuurstelsel, la sofferenza degli abitanti di Java e le connivenze fra
l’amministrazione olandese e i reggenti nativi?
O tutto è semplicemente finzione?
Lo stesso Multatuli si pone questa domanda e lo fa, in una sorta di approccio meta-
narrativo.
Nel romanzo di Multatuli vi è una sorta di racconto nel racconto, di meta-fiction. Si
tratta della tragica storia d’amore fra Saïdyah e Adinda che serve come pretesto a
Multatuli per raccontare emotivamente le conseguenze della violenza coloniale olandese.
Il narratore scelto da Multatuli per questo episodio è il giovane idealista tedesco Stern
(una delle tante voci dietro cui si nasconde Multatuli). Dopo aver narrato le drammatiche
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vicende di Saïdyah e Adinda, Stern si ferma e si interroga sul carattere di veridicità di
questo racconto per giungere infine a una confessione al lettore:
Sì, una confessione! Io non so se Saïdyah amasse Adinda, non so se andasse a Batavia, nè se morisse
nel Lampong sotto le baionette olandesi. Non so se suo padre soccombesse in seguito alle frustate inflittegli
per aver lasciato Badur senza passaporto. Non so se Adinda contasse lune facendo dei segni sul catino del
riso…
Non so nulla.
Ma so più di tutte queste cose. So, e posso dimostrarlo, che c’erano molte Adinda e molti Saïdyah, e ciò
che è una favola nel caso particolare, in generale, è verità.
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L’ammissione di Stern circa l’episodio di Adinda e Saïdyah è in realtà la confessione
di Multatuli sul romanzo tutto. Finzione al fine di raccontare la verità.
L’invenzione del caso particolare è lo strumento per poter raccontare, in generale, la
verità dei fatti. Non solo raccontare la verità ma farla leggere, renderla veicolabile. Dice
infatti ancora Stern/Multatuli riferendosi al romanzo Capanna dello zio Tom e alla sua
autrice, Harriet Beecher-Stowe:
Chi avrebbe mai letto quel libro, se essa gli avesse dato la forma di una raccolta di atti processuali? è
colpa sua, è colpa mia se la verità per essere accettata deve spesso farsi prestare le vesti dalla menzogna
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?
La menzogna ancella della verità, la Letteratura veicolo della Storiografia.
Che sia questo lo spazio di confine immaginato da Zinato e che stavamo cercando per
costruire la tesi che segue?
Come dicevamo all’inizio di questa premessa non vi è soluzione al rapporto fra
Letteratura e Storiografia e anche la prospettiva di Multatuli si inserisce in un prisma
infinito di possibili risposte. Tuttavia cercheremo, nelle pagine a seguire, di mettere alla
prova questo spazio ibrido che si gioca fra menzogna e verità, fra favola e storia, fra
immaginazione e veridicità e lo faremo andando costantemente a ricollegare le vicende
narrate da Multatuli ai dati storici, le invenzioni ai fatti accertati, il qualitativo al
quantitativo, in un rimbalzo che, speriamo, possa essere fertile e foriero di nuove
prospettive storiche.
Siamo giunti alla conclusione di questa premessa: le basi concettuali sono presentate,
lo scenario filosofico entro cui la tesi si muoverà esposto, abbiamo lo strumento di
indagine, il nostro immaginario bulino (il Max Havelaar), abbiamo il pezzo di marmo su
cui lavorare (la storia coloniale dei Paesi Bassi), non resta che dare il primo colpo di
martello e scoprire cosa da esso emergerà.
17
Multatuli, Max Havelaar, p. 309.
18
Multatuli, Max Havelaar, p. 308.