4
INTRODUZIONE
Il rapporto tra fratelli in situazioni di disabilità è terreno di ricerca da poco scoperto ed
approfondito. Ad oggi, per identificare i fratelli e le sorelle di persone disabili viene
utilizzato il termine Siblings (Farinella, 2015) che sottolinea l’identità e l’unicità di
queste persone e del loro vissuto. La relazione tra i siblings e i loro fratelli permea tutta
la vita sia del fratello a sviluppo tipico, sia del fratello disabile, poiché la relazione di
fratellanza è più lunga rispetto a quella con i genitori ed è anche quella vissuta in
maniera più intensa a livello emotivo. Nella tesi redatta di seguito, il primo capitolo
descrive le prime scoperte e ipotesi effettuate sull’autismo, partendo dall’analisi della
descrizione fornita da Leo Kanner di alcuni casi da lui esaminati con riferimento anche
alle prime ipotesi di altri studiosi sulla patologia autistica; nel primo capitolo vengono
anche enunciati i criteri diagnostici per il disturbo dello spettro autistico secondo il
DSM 5, vengono esplicitati i modelli interpretativi della teoria della mente e la
spiegazione della presenza di eventuali carenze di essa riscontrati nella patologia
autistica. Nel secondo capitolo viene data una definizione di famiglia come sistema
sulla base delle principali teorie; essa viene successivamente inquadrata nel suo
funzionamento ed adattamento a situazioni di disabilità. Nel terzo capitolo viene
affrontato il tema della relazione fraterna e dei suoi sviluppi in situazioni di disabilità e
nello specifico nel caso in cui uno dei fratelli sia affetto da autismo; viene anche
descritto il ruolo dello psicologo clinico in quanto operatore di supporto nei trattamenti
rivolti al singolo soggetto autistico, nei trattamenti rivolti alla famiglia e in particolare ai
genitori fino ad arrivare alla strutturazione degli interventi specifici per i siblings di
soggetti autistici ma anche di soggetti con tutti i tipi di disabilità.
5
CAPITOLO 1– LE PRIME OSSERVAZIONI E IPOTESI STORICHE
SULL’AUTISMO
1.1- Ipotesi storiche
L’interesse ai problemi mentali infantili affonda le sue radici già nell’antichità, epoca in
cui venivano descritti i comportamenti dei bambini considerati “selvaggi” (Candland,
1995
1
; Wolff, 2004
2
; in Volkmar, Mc Partland, 2014). Con l’avvento dell’Illuminismo
si fece luce sull’importanza della natura e del contesto culturale nello sviluppo dei
bambini (Hunt, 1961
3
; in Volkmar, Mc Partland, 2014), mentre nell’Ottocento si ebbe il
momento di maggiore sviluppo delle conoscenze psichiatriche infantili attraverso
l’introduzione dei concetti di dementia praecox (Bleuler, 1911
4
; in Volkmar, Mc
Partland, 2014) e di disturbo maniaco- depressivo (Kraepelin, 1921
5
; in Volkmar, Mc
Partland, 2014) che vennero poi estesi anche alle patologie dei bambini creando quindi
un ponte tra le patologie psichiatriche infantili ed adulte (Volkmar, Mc Partland, 2014).
Leo Kanner fu il primo studioso nel Novecento ad osservare e descrivere in maniera
sistematica in un articolo del 1943 undici casi di bambini con svariate problematiche
relazionali (otto bambini e tre bambine di cui tre erano soggetti non verbali e gli altri
otto erano soggetti verbali) tutti accomunati da punti fermi che delineavano le prime
forme di autismo a quel tempo. L’autore precisava che l’articolo redatto era solo un
resoconto temporaneo (Kanner, 1943) poiché i soggetti sarebbero stati seguiti nel corso
del loro sviluppo monitorando l’evoluzione dei sintomi e delle abilità. I punti che
accomunavano i soggetti da lui citati nella loro condizione patologica riguardavano vari
ambiti: primariamente l’incapacità dei soggetti di relazionarsi con le persone ma anche
con le situazioni, sin dai primi mesi di vita (Kanner, 1943). Infatti i bambini esaminati
dall’autore erano considerati come soggetti incapaci di creare contatti affettivi sin dalla
nascita poiché mancanti della naturale tendenza ad instaurare rapporti sociali con gli
altri (Kanner, 1943). Infatti la predisposizione alla socialità è innata già nei bambini di
poche settimane che dimostrano la presenza di tale tendenza attraverso, ad esempio, il
1
D. C. Candland , Feral children and clever animals: Reflections on human nature, New York, Oxford
University Press, 1995
2
S. Wolff, The history of autism, European Child & Adolescent Psychiatry, vol. 13, 2004, pp. 201-208
3
J.M. Hunt, Intelligence and experience, New York, Ronald, 1961
4
E. Bleuler, Dementia praecox oder Gruppe der Schizoprenien, New York, International UniversityPress,
1911, Trad. It. Dementia praecox o il gruppo delle schizofrenie, Roma, NIS, 1985
5
E. Kraepelin, Manic- depressive insanity and paranoia, Edinburgh, Livingston, 1921
6
sorriso sociale (Gesell, Thompson, 1934
6
; in Volkmar, Mc Partland, 2014). Kanner
arrivò alla conclusione che i soggetti da lui esaminati mancavano di tale predisposizione
basandosi proprio sugli studi dello sviluppo della socialità nella prima infanzia (Gesell,
Thompson, 1934
7
; in Volkmar, Mc Partland, 2014). Dagli studi sugli undici bambini
osservati, Kanner sosteneva che essi erano affetti da una sindrome che li spingeva ad
isolarsi e che rendeva loro difficoltoso adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente esterno
(Kanner, 1943). Questo si evidenziava per esempio nella difficoltà di questi bambini
nell’essere nutriti, mostrata con il rifiuto del cibo che risultava essere la prima forma di
intrusione proveniente dall’esterno, vissuta come situazione terrificante che minava il
loro equilibrio (Kanner, 1943). I soggetti autistici presentati erano connotati inoltre da
una solitudine autistica (Kanner, 1943) che li spingeva ad ignorare la presenza degli
altri e di tutte le situazioni che potevano accadere intorno a loro. In più di un caso
descritto, i bambini sembravano ignorare la presenza di altri bambini o dei genitori
stessi specie se erano impegnati nelle loro attività le quali assorbivano completamente la
loro attenzione tanto da chiudersi come in un guscio da cui non volevano uscire e, se
obbligati a farlo, mostravano tutto il loro disappunto (Kanner, 1943). Altra
caratteristica descritta dall’autore riscontrabile già nel periodo neonatale era l’incapacità
dei bambini di assumere una posizione anticipatoria (Kanner, 1943) quando stavano per
essere presi in braccio dalla madre. Infatti, tutti i bambini descritti da Kanner non erano
in grado di assumere posizioni anticipatorie fino ai due/tre anni, abilità che in soggetti
normali viene sviluppata intorno ai quattro mesi (Kanner, 1943). Lo sviluppo del
linguaggio in tutti i soggetti era ritardato nel tempo (Kanner, 1943): tre dei soggetti
esaminati rimanevano a lungo senza parlare, mentre gli altri otto usavano il linguaggio
non con scopo comunicativo ma ripetendo solo ciò che sentivano dire; passava poi un
lungo periodo, che non rientrava nelle tempistiche normali, prima che questi soggetti
riuscissero ad usare le parole apprese per creare frasi di senso compiuto che servissero
per comunicare con gli altri (Kanner, 1943). Altre difficoltà linguistiche riscontrate
erano l’uso delle preposizioni, l’assenza della formazione spontanea di frasi, ecolalia
(Kanner, 1943): vi erano evidenti inversioni pronominali e anche l’intonazione era
inespressiva, impersonale. Per esempio, per chiedere un bicchiere di latte, il bambino
diceva alla madre"adesso ti do un bicchiere di latte" (Kanner, 1943). L’inversione dei
6
A. Gesell, H. Thompson, Infant behaviuor: Its genesis and growth, New York, McGraw-Hill, 1934
7
ibidem
7
pronomi rimaneva fino al sesto anno di età: da qui, se correttamente seguiti, i soggetti
imparavano a parlare di sé in prima persona. Tuttavia nel periodo di transizione a volte
usavano ancora la terza persona come riferimento a sé stessi (Kanner, 1943). Altro
elemento vissuto come intrusivo dai soggetti descritti da Kanner erano i rumori forti e
gli oggetti in movimento (Kanner, 1943): aspirapolvere, acqua corrente, tricicli ecc.
L’autore descriveva anche casi di paura di stetoscopi ed otoscopi (Kanner, 1943). Di
fatto però, sembrava che non fosse il rumore in quanto tale a spaventare i bambini, ma il
fatto che tale rumore rompeva la loro solitudine della quale sembrava avessero necessità
per mantenere il loro equilibrio (Kanner, 1943). Le attività spontanee erano quasi
inesistenti e le azioni erano connotate da ripetitività e monotonia; i soggetti ripetevano
sempre la stessa sequenza di azioni in maniera ossessiva, senza interruzioni e il cambio
di abitudini oppure la presenza di nuovi oggetti in casa che potevano modificare in
qualche modo la routine generava in loro sentimenti di disperazione ed angoscia
(Kanner, 1943); inoltre Kanner sottolineava la tendenza dei soggetti autistici da lui
osservati a mantenere una condizione di immutabilità che si esplicitava in concreto con
la resistenza al cambiamento (Kanner, 1943). La tendenza all’immutabilità si
manifestava nei soggetti autistici attraverso gesti particolari come ad esempio il
dondolarsi o agitare le mani (Kanner, 1943). La relazione con gli oggetti era molto
stretta e particolare: Kanner descriveva una buona relazione di essi con gli oggetti, ma
solo se quest’ultimi venivano mantenuti esattamente nella posizione originaria (Kanner,
1943). La relazione con le persone era invece diversa rispetto a quella intrattenuta con
gli oggetti (Kanner, 1943): la presenza altrui non era notata e sembrava che con il
passare del tempo essa venisse inglobata nella cornice dell’ambiente tanto da
considerare le persone al pari di una scrivania o una libreria (Kanner, 1943). Se l’adulto
cercava di attirare l’attenzione del bambino interrompendo le sue attività, portandogli
via ad esempio un oggetto con la mano o usando il piede per scansarlo da lui, egli
reagiva arrabbiandosi non con la persona bensì con il piede o la mano che aveva cercato
di interrompere la sua attività; tutto questo avveniva senza che il soggetto guardasse
direttamente in viso l’adulto (Kanner, 1943). Se veniva inserito in un gruppo di
bambini, il bambino giocava fuori dal gruppo, da solo, non facendo caso, almeno in
apparenza, alla presenza dei coetanei. Non vi era da parte del bambino nessun contatto
con gli altri attorno a lui, né visivo, né verbale (Kanner, 1943). Prima della descrizione
8
fornita da Kanner nel suo articolo, vi furono altri autori che osservarono soggetti affetti
da autismo infantile. Un primo caso era già stato descritto da Haslam nel 1809, il quale
scrisse di un bambino con sintomatologia riconducibile all’autismo frequentante il
Bethelem Asylum (Vaillant, 1962
8
; in Bettelheim, 1967) e nel 1921 era stato descritto
un altro caso di un bambino di quattro anni ricoverato al Johns Hopkins Hospital (Darr e
Worden, 1951
9
; in Bettelheim, 1967). Kanner, in una successiva pubblicazione a quella
del 1943 (Kanner, 1951
10
; in Bettelheim, 1967) forniva un quadro più esauriente
rispetto a quanto già da lui descritto in precedenza confermando il quadro sintomatico di
ritiro dei soggetti autistici da ogni contatto umano e da una ossessività nel compiere le
loro attività le quali avevano lo scopo di mantenere integra la loro identità e che si
estendeva anche all’ambiente di appartenenza e alle persone che ne facevano parte
(Kanner, 1951
11
; in Bettelheim, 1967). Kanner rilevò anche la distinzione tra
schizofrenia ed autismo; fino a quel momento infatti, l’autismo era stato considerato un
sintomo secondario della schizofrenia (Bleuler, 1911
12
; in Bettelheim, 1967): Kanner
sottolineava la differenza tra il soggetto schizofrenico che si ritirava dalla realtà e il
soggetto autistico che nella realtà non “era mai entrato sin dall’inizio della sua vita”
(Kanner, 1943), giungendo così ad un “compromesso” (Kanner, 1943) tra sé e la realtà
esterna per mantenere integra la propria identità proprio attraverso il distacco dal mondo
(Kanner, 1943). Questa identificazione tra schizofrenia e autismo si è protratta per molti
anni dopo le descrizioni di Kanner dei suoi pazienti anche per il fatto che egli stesso
usava il termine autismo per descrivere la condizione sintomatologica dei bambini da
lui osservati (Volkmar, Mc Partland, 2014); infatti nella descrizione della schizofrenia
era stato usato per molto tempo il termine “pensiero autistico” (Volkmar, Mc Partland,
2014). Grazie poi a successivi studi (Kolvin, 1972
13
; Rutter, 1972
14
; in Volkmar, Mc
Partland, 2014) vennero chiarite le differenze tra schizofrenia ed autismo.
8
G.E. Vaillant, John Haslam on Early Infantile Autism, in American Journal of Psychiatry, 1962, p. 119-
376
9
G.D. Darr, F.C. Worden, Case report Twenty- eight years after an infantile autistic disorder, American
Journal of Orthopsychiatry, 1951, 21, p. 559-569
10
L. Kanner, The conception of wholes and parts in Early Infantile Autism, American Journal of
Psychiatry, 1951, 108, p. 23-26
11
ibidem
12
E. Bleuler, Dementia Praecox order die Gruppe der Schizophrenien, First Eng. Trans., New York:
International UniversityPress,1911
13
I. Kolvin, Infantile autism or infantile psychoses, British Medical Journal, vol. 3, 1972, pp. 753-755
14
M. Rutter, Childhood schizophrenia reconsidered, Journal of Autism and Childhood Schizophrenia,
vol. 2, 1972, pp. 315-337
9
Nell’osservazione dei bambini, Kanner notò anche la presenza di abilità fuori dal
comune specie in ambiti come il calcolo o la memorizzazione di particolari (Kanner,
1943); infatti nel primo caso descritto nel suo articolo, Kanner descriveva le peculiarità
comportamentali e linguistiche di Donald e in particolare sottolineava le apparenti
risposte senza senso date dal bambino a domande di carattere matematico (Kanner,
1943): alla richiesta di calcolare quale fosse il risultato della sottrazione dieci meno due,
Donald rispondeva dicendo che avrebbe “disegnato un esagono” (Kanner, 1943); il
risultato sarebbe stato matematicamente corretto, ma il bambino usava una espressione
linguistica complessa per far comprendere all’altro che conosceva la risposta e che
aveva compreso la domanda, creando un connubio tra una bizzarra espressione del
linguaggio e lo sviluppo di una straordinaria abilità, ossia il calcolo (Kanner, Lesser,
1958
15
; in Bettelheim, 1967). Lo sviluppo di queste abilità particolari non erano
riscontrabili in tutti i soggetti autistici; infatti Kanner, attraverso la somministrazione di
test cognitivi, arrivò alla conclusione che i bambini da lui osservati presentavano una
capacità intellettiva nella norma poiché ottenevano buoni risultati nelle prove di
memoria non verbale (Kanner, 1943) e risultati scadenti invece nelle prove verbali e di
pensiero simbolico (Kanner, 1943). L’autore inoltre ipotizzò che, se trattati
adeguatamente, questi bambini avrebbero potuto ottenere migliori risultati nelle prove
dove erano risultati scadenti, arrivando a raggiungere un livello di funzionamento che si
poteva avvicinare al dato di normalità (Kanner, 1943). Successivamente, dopo numerosi
studi, fu possibile appurare che la variabilità nello sviluppo delle abilità cognitive
rappresenta un dato comune a tutti i soggetti affetti da autismo e che i risultati scadenti
ottenuti nelle prove verbali e di pensiero simbolico erano da ricollegarsi a lacune
cognitive (Volkmar, Mc Partland, 2014) oppure alla presenza di deficit intellettivi
(Goldstein, Naglieri, Ozonoff, 2009
16
; in Volkmar, Mc Partland, 2014). Lo sviluppo
delle abilità particolari nei soggetti autistici erano considerate da Eisenberg come un
tentativo, seppur indiretto, da parte dei genitori, di avere un figlio perfetto nonostante le
reali ed oggettive difficoltà che il bambino presentava (Eisenberg, 1957
17
; in
15
L. Kanner, L.I. Lesser, Early Infantile Autism, in Pediatric Clinics of North America, Philadelphia,
Saunders,Vol. 5, 1958, p. 711-730
16
S. Goldstein, J.A. Naglieri, S. Ozonoff, Assessment of autism spectrum disorders, New York, Guilford,
2009
17
L. Eisenberg, The Fathers of Autistic Children, American Journal of Orthopsychiatry, 27, 1957, p. 715-
724
10
Bettelheim, 1967); Eisenberg scriveva infatti di un “conformismo” (Eisenberg, 1957
18
;
in Bettelheim, 1967) a cui i genitori cercavano di sottoporre un figlio il quale altro non
aveva che queste prodigiose abilità. In questa prospettiva, veniva introdotta l’ipotesi
dell’influenza ambientale e in particolare dei condizionamenti esercitati dai genitori sul
bambino autistico i quali non riuscivano a stimolarlo ed indirizzarlo ad una corretta
apertura verso il mondo (Bettelheim, 1967). Tuttavia lo stesso Kanner ammetteva che
dall’esame dei suoi casi emergeva che i bambini erano tutti figli di genitori benestanti e
provenienti da ceti sociali alti, con un livello di istruzione sopra la media (Kanner,
1943); si fece così strada l’idea che la sindrome autistica si sviluppasse per lo più nelle
famiglie appartenenti ad un ceto medio – alto dove vi erano soprattutto genitori che
fornivano cure parentali scadenti (Bettelheim, 1967). Questa ipotesi fu smentita da studi
successivi che inquadravano l’autismo come una sindrome che può comparire in
bambini appartenenti a tutti i tipi di ceto sociale (Wing, 1980
19
; in Volkmar, Mc
Partland, 2014) e che ha basi genetiche (Rutter, Thupar, 2013
20
; in Volkmar, Mc
Partland, 2014). Oltre a Kanner anche altri autori avevano definito l’autismo come un
disturbo innato. Benda sosteneva che la peculiarità distintiva dell’autismo fosse
l’incapacità di astrazione dei soggetti e quindi un uso non corretto dei simboli, poiché
era proprio l’astrazione il punto focale della capacità intellettiva di una persona;
mancando nel bambino autistico la capacità di astrazione, costui non era in grado di
gestire simboli, parole e linguaggio in genere; per questo motivo non riusciva ad
inserirsi nell’ambiente proprio a causa di questa incapacità (Benda, 1960
21
; in
Bettelheim,1967); ma l’autore sosteneva anche che questi bambini avevano comunque
una vita affettiva e che vivevano le relazioni con gli altri come meglio potevano rispetto
alle loro limitazioni. Altri autori sostenevano che l’autismo fosse una strategia dei
soggetti affetti da tale sindrome per difendersi dalla loro patologia (Bender, 1960
22
,
18
ibidem
19
L. Wing, Childhood autism and social class: A question of selection? The British Journal of Psychiatry.
Vol. 137, 1980, pp. 410-417
20
M. Rutter, A. Thupar, Genetics of autism spectrum disorder. In Volkmar et al., Handbook of autism,
Hoboken, NJ, Wiley, 2013
21
C.E. Benda, Childhood Schizophrenia.Autism and Heller’s Disease, in P.W. Bowmann , H.V. Meutner,
Mental Retardation, New York,Grune, Stratton, 1960, p. 469-492
22
L. Bender, Autism in Children With Mental Deficiency, American Journal of Mental Deficiency, 63,
1960, p. 81-86