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ABSTRACT
Secondo le stime fornite dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle
tossicodipendenze, il 28,9% degli adulti di età compresa fra i 15 e i 64 anni ha
assunto sostanze illecite almeno una volta nella vita. Tra i dati ritroviamo, inoltre,
non solo che tra le richieste di trattamento della tossicodipendenza il 26% riguarda
i consumatori di oppiacei, ma anche che la popolazione maschile rappresenta la
fascia più colpita, indipendentemente dalla sostanza presa in esame.
La tossicodipendenza è un fenomeno altamente complesso che necessita di essere
approfondito all’interno di una cornice che sia trasversale a più discipline che
possono riguardare ad esempio la psicologia, la psichiatria, la sociologia, la
genetica, la neuroscienza del comportamento o la farmacologia. Attraverso questo
lavoro di tesi si è scelto di focalizzare l’attenzione sul luogo che può essere
considerato principe nel trattamento della tossicodipendenza ovvero la comunità
terapeutica. All’interno delle comunità terapeutiche non solo è possibile integrare
diversi approcci e diverse conoscenze attraverso un lavoro di equipe svolto da
professionisti differenti, ma è possibile per i residenti sperimentare l’importanza di
utilizzare il gruppo nel proprio percorso di recupero.
Il lavoro di gruppo svolto quotidianamente all’interno della comunità terapeutica
sarà oggetto di interesse di questa ricerca che si configura come un’indagine volta
ad esplorare l’esperienza gruppale vissuta dagli utenti della Comunità Terapeutica
“Il Calabrone” di Collebeato (BS) all’interno di tre gruppi specifici quali: il gruppo
di psicoterapia, il gruppo casa e la plenaria.
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INTRODUZIONE
Spesso quando si discute di tossicodipendenza e di recupero si è in presenza di una
certa incertezza data dalla complessità che caratterizza la dipendenza e il suo
trattamento.
Alla base del disturbo da uso di sostanze, è possibile osservare un intenso disagio
acuto e cronico che può essere percepito in maniera differente a seconda delle
situazioni e delle persone; ciò che invece sembra accomunare i pazienti dipendenti
è l’incapacità di prendersi cura di se stessi e di non riuscire ad anticipare,
cognitivamente ed emotivamente, le conseguenze pericolose delle proprie scelte,
utilizzando la sostanza come tentativo per ridimensionare il proprio disagio (Albasi,
2009). All’interno del DSM-IV-TR vengono distinti i criteri diagnostici per
l’intossicazione da sostanze, l’abuso da sostanze, l’astinenza da sostanze e la
dipendenza da sostanze; quest’ultima viene definita come “una modalità patologica
d’uso della sostanza che conduce alla menomazione o a disagio clinicamente
significativi, come manifestato da tre (o più) delle condizioni seguenti, che
ricorrono in qualunque momento dello stesso periodo di 12 mesi” (American
Psychiatric Association, 2000 cit. in Albasi, 2009):
1. Tolleranza, definita come:
a) Il bisogno di aumentare la dose della sostanza per raggiungere l’effetto
desiderato o l’intossicamento;
b) Un effetto diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità della
sostanza;
2. Astinenza:
a) Comparsa della sindrome di astinenza per la sostanza che causa disagio
clinicamente significativo o compromissione del funzionamento
sociale, lavorativo o in altre aree importanti, a seguito della cessazione
dell’assunzione della sostanza;
b) La sostanza viene assunta per attenuare o evitare i sintomi
dell’astinenza;
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3. Rispetto a quanto previsto dal soggetto, la sostanza viene assunta per periodi
più lunghi e in quantità maggiori;
4. Persistente desiderio o tentativi di ridurre o controllare l’uso della sostanza;
5. Una grande quantità del proprio tempo viene speso per procurarsi la
sostanza, assumerla o per riprendersi dal suo effetto;
6. A causa dell’uso della sostanza il soggetto va incontro a interruzioni o
riduzioni di importanti attività sociali, lavorative o ricreative;
7. Nonostante il riconoscimento della presenza di una problematica, di natura
fisica o psicologica, verosimilmente dipeso della sostanza, il soggetto
persiste nell’uso.
Nel trattamento delle tossicodipendenze la letteratura offre importanti contributi
sull’utilizzo delle comunità terapeutiche come strumento d’elezione: l’efficacia e
l’utilità di questo metodo sono note grazie all’ausilio dei gruppi terapeutici che
fanno parte del percorso di recupero. Il presente lavoro di tesi si impegnerà nel
fornire un’immagine delle comunità terapeutiche e dell’utilizzo del gruppo come
strumento utile ai fini della disintossicazione e di un proprio percorso evolutivo. In
particolare, per rappresentare il trattamento residenziale nella cura delle
tossicodipendenze, è stato scelto di condurre un’indagine all’interno della
Comunità Terapeutica “Il Calabrone” di Collebeato (BS) con l’obiettivo di
esplorare l’esperienza gruppale vissuta dai residenti all’interno di tre gruppi
specifici: il gruppo di psicoterapia, il gruppo casa e la plenaria. Il gruppo di
psicoterapia è un gruppo condotto da uno psicoterapeuta esterno al contesto
comunitario e ha l’obiettivo di sviluppare capacità, come ad esempio capacità di
lettura di sé, capacità introspettive e di intervenire sulla propria vita, e
consapevolezze attraverso la condivisione profonda di vissuti e fatiche. Il gruppo
casa viene condotto da un educatore della comunità terapeutica, ed è destinato
all’organizzazione generale della casa e della convivenza; vengono pertanto definiti
gli impegni e le responsabilità di ogni ospite e verificati attraverso i rimandi del
conduttore e degli utenti stessi. Infine, la plenaria è un gruppo di confronto co-
condotto dagli educatori della comunità terapeutica, destinato ad apprendere
modalità mature e funzionali di affronto del conflitto.
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L’idea di sviluppare questa ricerca nasce da un interesse personale verso l’ambito
delle tossicodipendenze e del loro trattamento, interesse che nel tempo si è
trasformato in una vera e propria vocazione; infatti, anche la scelta del contesto in
cui prenderà vita l’indagine non è casuale: dal 2019 collaboro personalmente come
volontaria all’interno della Comunità “Il Calabrone”, dunque, la passione e la
dedizione alla causa si costituiscono come premesse che accompagneranno tutto il
processo di realizzazione del lavoro.
Nello specifico il lavoro si comporrà di tre capitoli che accompagneranno il lettore
nella comprensione delle comunità terapeutiche, della loro funzione e
dell’importanza che assumono nel trattamento delle tossicodipendenze, per poi
presentare l’indagine condotta nella comunità sopraccitata.
Il primo capitolo si interesserà del panorama storico nazionale ed internazionale
delle comunità terapeutiche, della loro nascita, della loro evoluzione nel tempo e di
come siano diventate terapeutiche, con un particolare approfondimento del contesto
italiano, di cui verranno illustrati anche differenti esempi di esperienze comunitarie
che si sono realizzate nel nostro Paese. Sarà importante ricostruire l’evoluzione
progressiva delle comunità terapeutiche per dimostrare come le precedenti
esperienze comunitarie, che si affidarono principalmente alla guida di un leader e
si governavano attraverso regole e valori auto-impartiti, raffiguravano un
fondamentalismo terapeutico precario e autoreferenziale. Sarà la conseguente
consapevolezza dell’importanza della ricerca basata sull’evidenza che permetterà
alle comunità di indirizzarsi verso un sistema costituito da interventi adeguati,
efficaci ed integrati, assenti da ideologie per lo più integraliste.
All’interno del secondo capitolo verrà approfondito il metodo di lavoro in
comunità: ogni comunità terapeutica dispone di un proprio metodo di lavoro, ciò
che risulta fondamentale è la costante ridefinizione di esso attraverso la ricerca. Il
metodo non è un qualcosa di statico e necessita di continue riflessioni e adattamenti
alle nuove necessità per non incombere nel rischio di una pratica eccessivamente
conservatrice che può non adattarsi alle nuove richieste. In particolare, nel capitolo
verrà trattata l’importanza dell’utilizzo del gruppo con adulti tossicodipendenti
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come ausilio del contesto residenziale e della persona che potrà sperimentare un
apprendimento e una crescita personale in gruppo, fattori terapeutici del gruppo
come ad esempio la possibilità di non sentirsi solo nelle difficoltà o nel dolore, lo
sviluppo di capacità interpersonali e la coesione di gruppo e le possibili tipologie di
gruppo presenti in un contesto comunitario-residenziale. Verranno anche presentati
i gruppi di auto-aiuto e la loro efficacia con l’utenza tossicodipendente riscontrando
che, seppur questa tipologia di gruppo possa non essere adatta a tutti, la
partecipazione ai gruppi di auto-aiuto come parte della riabilitazione è fortemente
raccomandata. Infine, nel capitolo ci si concentrerà sull’utilizzo dell’approccio
narrativo come strumento utile a favorire il cambiamento all’interno dei gruppi di
utenti tossicodipendenti, utile specialmente nel ri-autorizzarsi come persone,
comprendendo ed elaborando una nuova identità di non tossicodipendente, e si
proporrà un affondo sugli operatori presenti nelle comunità terapeutiche e sul lavoro
d’equipe e la sua importanza. L’equipe, infatti, risulta utile come contenitore e
supporto per tutti i membri del gruppo, ma è anche uno strumento indispensabile
all’interno del quale professionisti differenti integrano le proprie capacità e
conoscenze in modo collaborativo al servizio di una lettura completa degli utenti e
delle diverse situazioni.
Infine, il terzo capitolo sarà il capitolo destinato alla ricerca: al suo interno verrà
illustrato l’obiettivo dello studio, ovvero indagare l’esperienza gruppale vissuta da
alcuni degli ospiti della comunità terapeutica all’interno del gruppo di psicoterapia,
del gruppo casa e del gruppo plenaria. Verranno descritti i partecipanti coinvolti e
la metodologia utilizzata per condurre la ricerca; verrà poi presentata la Comunità
Terapeutica “Il Calabrone” e verranno analizzati e discussi i risultati dell’indagine.
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1. LA COMUNITÀ TERAPEUTICA PER TOSSICODIPENDENTI COME
STRUMENTO DI CURA
1.1 Nascita e storia della comunità terapeutica
La comunità terapeutica per persone tossicodipendenti come viene considerata
oggi, ha in realtà subito nel corso del tempo una lunga serie di apporti e
sperimentazioni che ricoprono una storia di ormai quasi un secolo. È opportuno
considerare queste variazioni per comprendere l’evoluzione dello strumento
della residenzialità, strumento che inizialmente fu pensato e predisposto per
persone con problematiche psichiatriche e per adolescenti in difficoltà e solo
più tardi adattato a persone consumatrici di sostanze legali e illegali.
In particolare, ci troviamo alla fine del XIX secolo quando si avvertì l’esigenza
di una revisione degli approcci tradizionali, caratterizzati principalmente da una
custodia repressiva, utilizzati con i minori in difficoltà. Prese piede la pedagogia
funzionale, il cui principio cardine fu quello di adattare l’insegnamento, e più
in generale la scuola, alle esigenze specifiche del bambino e dell’adolescente,
all’interno di una cornice in cui lo sviluppo dei servizi sociali e della sensibilità
verso i disagi psicologici e sociali degli adolescenti, permetteva di considerare
come obiettivo il recupero personale, sociale ed emotivo dei soggetti minori.
La comunità terapeutica divenne dunque un luogo dove i soggetti potevano
apprendere strumenti funzionali e consoni, riconoscere le proprie emozioni e
vivere all’interno di un ambiente definito sano e accogliente, il tutto
accompagnato da una rieducazione delle funzioni individuali, familiari e sociali
che fossero più adeguate (Coletti & Grosso, 2022).
Grazie anche all’influenza del pensiero di Freud, Jung, Reich e Adler, non solo
si è registrato un aumento considerevole delle comunità terapeutiche ma “il
disagio veniva sempre più visto come un prodotto di fattori sociali,
accompagnati da profondi problemi emozionali” (Coletti & Grosso, 2022).
È in realtà frequente che l’origine delle comunità terapeutiche per persone
dipendenti da sostanze stupefacenti venga accostata alla figura di Maxwell
Jones proprio per il suo lavoro rivoluzionario condotto in ambito psichiatrico
(Cortini, Clerici & Carrà, 2013). Poco prima dello scoppio della Seconda