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CAPITOLO III
Ipnosi e neuroscienze
L'ipnosi è uno stato di alterazione della coscienza o una tecnica che mira a ridurre
deliberatamente l'intrusione di stimoli esterni, come il dolore, nella consapevolezza,
caratterizzata da un alto grado di autenticità, in quanto vissuta come reale e involontaria.
Nella pratica clinica, l'ipnosi non è autoritaria, passiva e centrata sul terapeuta, ma è un
metodo orientato alle risorse e alla soluzione, in cui l'attenzione è sulle potenzialità del
paziente. Nella maggior parte dei casi, l'induzione dell’ipnosi è stabilita utilizzando
suggerimenti per il rilassamento offerti da una persona adeguatamente formata, o
utilizzando esperienze immaginative che comportano alterazioni della percezione cosciente
e della memoria, e il controllo volontario dell'azione (Faymonville et al., 2003). I
suggerimenti funzionano tramite segnali verbali e non verbali che corrispondono alle
aspettative interne e hanno un potente effetto sui processi somatici mentali e involontari
(Kihlstrom, J.F., 2013).
L’ipnosi è stata descritta come “una procedura durante la quale un operatore sanitario o
un ricercatore suggerisce che un paziente o un soggetto sperimenta cambiamenti nelle
sensazioni, percezioni, pensieri o comportamenti” (Faymonville et al., 2003, p. 464).
Dunque, durante uno stato ipnotico, i processi fisiologici, cognitivi e affettivi così come il
comportamento possono essere modificati.
Molti fenomeni che emergono dallo studio degli stati di alterazione della coscienza come
l’ipnosi pongono numerosi interrogativi alla ricerca neuroscientifica. Già nel 1800, James
Braid coniò il termine “neuro-ipnotismo” per chiarire come l’ipnosi avesse una base
oggettiva e verificabile nell'attività cerebrale, teorizzando una paralisi dei centri nervosi che
presumibilmente risultava dalla fissazione oculare e che induceva uno stato simile al sonno
(Kravis, N. M., 1988). Successivamente, William James sostenne l’idea che l’ipnosi fosse
uno stato simile al sonno (Kihlstrom, J. F., & McConkey, K. M., 1990), mentre Pavlov
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credeva che gli effetti dell’ipnosi riflettessero uno stato di inibizione corticale (Edmonston,
W. E., 1981). Dalle ricerche di questi studiosi, l’ipnosi sembrerebbe basarsi su meccanismi
neurali specifici e distinti da quelli che sottendono altri stati di rilassamento, come il sonno
o la meditazione.
I substrati neurofisiologici dell'ipnosi sono stati oggetto di speculazioni da quando il
fenomeno si è diffuso. Oggi l’ipnosi può essere distinta da altri stati di coscienza come la
normale veglia, il sonno, il rilassamento profondo o la meditazione mediante
l'elettroencefalografia (EEG) e le modalità di imaging (Häuser et al., 2016). Fino a poco
tempo fa, la ricerca è stata orientata alla comprensione dell'ipnosi stessa, comprese le basi
biologiche delle differenze individuali nell'ipnotizzabilità, i cambiamenti dipendenti dallo
stato nell'attività corticale che si verificano con l'induzione dell'ipnosi e i correlati neurali
della risposta a particolari suggestioni ipnotiche. Recentemente, l'ipnosi ha iniziato a essere
impiegata come metodo per manipolare gli stati mentali dei soggetti, sia cognitivi che
affettivi, per fornire informazioni sui substrati neurali dell'esperienza, del pensiero e
dell'azione. Questo uso strumentale dell'ipnosi è particolarmente adatto per identificare i
correlati neurali della percezione e della memoria conscia e inconscia e dell'azione
volontaria e involontaria (Kihlstrom, J. F., 2013).
La scoperta di una solida organizzazione dell'attività cerebrale in assenza di stimoli esterni
significativi è un candidato promettente della condizione ipnotica (Damoiseaux et al.,
2006). Le moderne tecniche di imaging cerebrale possono esaminare indirettamente
l'organizzazione funzionale del cervello per individuare i meccanismi che potrebbero essere
importanti per il mantenimento della coscienza. Inoltre, queste tecniche potrebbero essere
in grado di aumentare la sensibilità per rilevare la coscienza residua esaminando i modelli
nell'attività cerebrale del paziente che potrebbero riflettere l'efficacia dell'integrazione delle
informazioni.
Attualmente, la connettività funzionale è stata identificata come “chiave di volta” per gli
studi elettrofisiologici e di neuroimaging. Teorie recenti sui meccanismi neurali sottesi alle
tecniche di ipnosi suggeriscono una disconnessione tra reti cerebrali, ovvero tra la rete
frontale di controllo esecutivo e il sistema attentivo, che risulterebbe in un fallimento del
sistema di feedback tra la corteccia cingolata anteriore (anterior cingulate cortex, ACC) e la
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corteccia prefrontale dorsolaterale (dorsolateral prefrontal cortex, DLPFC) (Jamieson, G.,
2007).
Fino ad oggi, la maggior parte delle ricerche nell’ambito neuroscientifico si è concentrata
su tre punti: (1) i correlati neurali delle differenze individuali nell'ipnotizzabilità; (2) le
alterazioni dell'attività neurale che accompagnano l'induzione dell'ipnosi; e (3) la
predizione della risposta alle tecniche di ipnosi.
III.1 Le differenze individuali nell’ipnotizzabilità
Dall'avvento della ricerca sperimentale sull'ipnosi, la misurazione della reattività all'ipnosi
ha influenzato fondamentalmente la teoria e la ricerca. L'ipnotizzabilità si riferisce alla
“capacità di un individuo di sperimentare alterazioni suggerite a livello fisiologico,
emotivo, cognitivo o comportamentale durante l'ipnosi” (Elkins et al., 2015, p. 381) ed è la
chiave per un'efficace induzione ipnotica (Nash, M. R., & Barnier, A. J., 2012).
I suggerimenti sono tipicamente strutturati come eventi che accadono a una persona,
piuttosto che azioni. L'esperienza che la propria risposta a un suggerimento è al di fuori del
proprio controllo è ampiamente indicato come il classico effetto di suggestione (Acunzo, D.
J., & Terhune, D. B., 2021).
L'ipnotizzabilità è considerata un tratto stabile e può essere misurata in condizioni
standardizzate e attraverso strumenti specifici, come l’Harvard Group Scale of Hypnotic
Susceptibility (Shor, R, & Ome, E. C., 1962), la Stanford Hypnotic Susceptibility Scale,
Forma C (Weitzenhoffert, A., & Hildgard, E., 1959) e l’Hypnotic Induction Profile
(Spiegel, H., & Spigel, D., 1978). Secondo queste misurazioni, la maggior parte delle
persone risponde almeno moderatamente all'ipnosi, mentre una minoranza si mostra
“insensibile” o particolarmente suscettibile (Nash, M. R., & Barnier, A. J., 2012).
La valutazione dell’ipnotizzabilità può migliorare notevolmente la ricerca clinica in quanto
informa sulle caratteristiche dei partecipanti agli studi clinici e fornisce un mezzo per
determinare se l’ipnotizzabilità funge da moderatore significativo degli interventi di ipnosi.
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L'ipnosi consiste in un insieme di procedure che coinvolgono un'induzione, intese a ridurre
al minimo la consapevolezza del proprio ambiente e attività mentale, focalizzare
l'attenzione sulle parole dello sperimentatore e aumentare la reattività ai suggerimenti.
La ricerca sull'ipnosi prevede la somministrazione di un'induzione ipnotica standard, o una
procedura di controllo, a soggetti precedentemente classificati come minimamente,
mediamente o fortemente ipnotizzabili. Tale disegno permette di valutare sia i correlati
dell'ipnotizzabilità (in assenza di induzione ipnotica) sia gli effetti della procedura di
induzione (Kihlstrom, J. F., 2013). Inoltre, un simile disegno sperimentale permette di
affrontare la questione se l'ipnosi sia, in effetti, uno stato alterato di coscienza.
III.2 I correlati elettrofisiologici dell’ipnosi
Storicamente, l'approccio più popolare per comprendere i substrati neurali dell'ipnosi è
stato quello di esaminare i cambiamenti nello spettro EEG che si verificano quando l'ipnosi
è indotta e i correlati elettrofisiologici dell'ipnotizzabilità.
I primi studi che hanno applicato la tecnica EEG agli stati ipnotici hanno osservato
un’attività delle onde alfa, eta e theta significativamente più alta nell'area cerebrale
parietale destra. Coloro che risultavano più fortemente ipnotizzabili hanno mostrato un
maggiore potere nella frequenza theta nella regione parietale (Hinterberger et al., 2011).
Inoltre, più alte ampiezze theta (4–6 Hz) sono state rilevate maggiormente nelle regioni
frontali laterali e posteriori a destra, mentre ampiezze alfa più piccole (8,25–10 Hz) sono
emerse nella corteccia frontale bilaterale (De Pascalis et al., 1998). L'involontarietà vissuta
con l’ipnosi potrebbe dunque comportare un'inibizione delle aree frontali, con una
conseguente compromissione del funzionamento esecutivo che qui ha sede (Farvolden, P.,
& Woody, E. Z., 2004).
Una maggiore suggestionabilità ipnotica individuale è associata a una variabilità
significativamente inferiore nel contenuto informativo delle frequenze theta, alfa e beta,
accompagnata da una connettività funzionale significativamente più elevata nelle regioni
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parietale e parieto-occipitale per frequenze theta e alfa (Keshmiri et al., 2020). Tuttavia, va
considerato che un’induzione all’ipnosi di solito consiste in diverse fasi e istruzioni, dove le
esperienze soggettive potrebbero essere molto diverse. Pertanto, ci si potrebbe aspettare che
ogni istruzione che guida il cliente in un diverso stato di coscienza, consapevolezza o
cognizione possa anche essere correlata con specifici schemi di attivazione (Hinterberger et
al., 2011).
In effetti, maggiori ampiezze delle onde alfa e l’attività delle onde beta riscontrate nella
corteccia somatosensoriale potrebbero indicare uno stato di rilassamento, associato alla
condizione di occhi chiusi. Nell’area frontale, invece, la diminuzione nell’ampiezza delle
onde eta e gamma potrebbe essere interpretata come uno stato di rilassamento mentale
profondo. L'ampia diminuzione diffusa delle onde gamma e contemporaneamente un
aumento nella frequenza gamma nelle aree occipitale e temporale sembrano essere
indicativi dello stato ipnotico (Hinterberger et al., 2011). Infatti, l'attivazione gamma
iniziale nell’area frontotemporale destra scomparirebbe durante gli stati ipnotici e
tornerebbe dopo la fine della seduta, mentre l'aumento osservato delle onde gamma a
livello temporale e frontale prevalentemente sinistro dopo l'apertura degli occhi potrebbe
essere associato a una maggiore consapevolezza combinata con il rilassamento.
I segnali EEG possono distinguere il sonno da una condizione ipnotica non solo nei
soggetti sani, ma anche nei pazienti psichiatrici (Lee et al., 2007). Questi risultati
potrebbero suggerire che l'ipnosi non è semplicemente il risultato di uno scambio
psicologico sociale, ma rappresenta piuttosto un cambiamento psicofisiologico nelle reti
neurali.
III.3 I correlati neurali e gli studi di neuroimaging nell’ipnosi
La coscienza è spesso considerata come un epifenomeno che deriva dal modo in cui le
informazioni vengono elaborate nel cervello. Sebbene l'aspetto dell'esperienza soggettiva
sfugga ancora a una spiegazione dettagliata, è possibile ottenere un’idea del substrato
neurale della coscienza utilizzando la moderna tecnologia di imaging cerebrale.
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Durante la normale veglia, la corteccia cerebrale è sottoposta a influenze sia eccitatorie che
inibitorie, mediate in parte da proiezioni colinergiche e noradrenergiche del tronco
cerebrale. Durante l'attenzione, la vigilanza e l'eccitazione, alcuni meccanismi inibitori
aumentano, mentre si pensa che questi meccanismi diminuiscano durante il sonno a onde
lente. Anche nella condizione di ipnosi, molti studi hanno evidenziato una de-attivazione di
diverse aree cerebrali (Guldenmund et al., 2012).
Quando non è coinvolto in un compito che richiede attenzione, il cervello umano passa a
una “modalità di riposo” di attività che si ritiene supporti prevalentemente uno stato di
consapevolezza interiore (Vanhaudenhuyse et al., 2011). È possibile indagare questi
modelli di attività spontanea, denominati reti dello stato di riposo (resting state networks,
RSNs), attraverso le immagini di risonanza magnetica funzionale (functional magnetic
resonance imaging, fMRI) in stato di riposo e la tomografia a emissione di positroni
(positron emission tomography, PET), che mostra la dinamica del consumo di glucosio e
ossigeno, nonché misure indirette del flusso sanguigno cerebrale regionale (regional
cerebral blood flow, rCBF) allo stato di riposo, ovvero la condizione di sdraiato immobile
con gli occhi chiusi mentre si è rilassati per un certo tempo, ma non addormentati, e senza
eseguire alcun particolare compito. Tra questi modelli di attività spontanea, denominati reti
dello stato di riposo (resting state networks, RSNs), sono state rilevate onde di attività
spontanea nelle cortecce uditiva, visiva e sensomotoria, nonché in una rete lungo la linea
mediana del cervello, che ha mostrato significative disattivazioni indotte da attività nelle
scansioni PET e fMRI (Shulman et al., 1997). Questa rete è stata denominata default mode
network (DMN) poiché si ritiene che la sua presenza rifletta uno stato predefinito di attività
cerebrale vitale per il funzionamento del cervello e, possibilmente, la coscienza. Se il
normale funzionamento di questa rete corrisponde effettivamente al mantenimento di un
normale livello di coscienza, allora l'integrità del DMN potrebbe agire da biomarcatore per
il “livello di coscienza”.
Il DMN è tra le reti più robuste trovate attraverso le analisi di fMRI in stato di riposo, la cui
connettività aumenta fino all'età adulta ed è correlata con la maturazione cognitiva
intrinseca (Srinivasan, R., 1999). Esso comprende la corteccia cingolata posteriore
(posterior cingulate cortex, PCC)/precuneo, la corteccia cingolata anteriore (anterior
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cingulate cortex, ACC)/mediale, la corteccia temporoparietale (Mason et al., 2007) e altre
strutture cerebrali della linea mediana, inclusa la corteccia prefrontale mediale (medial
prefrontal cortex, mPFC), che vengono attivate e diventano altamente interconnesse
durante il riposo e si disattivano all'aumentare dell'impegno del compito (Greicius et al.,
2009). Inoltre, sia i ritmi alfa EEG allo stato di riposo quando gli occhi sono chiusi, sia i
ritmi beta, sono fortemente associati al segnale dipendente dal livello di ossigeno nel
sangue (blood oxygen level dependent, BOLD) nel DMN (Jann et al., 2010).
Dunque, se l'attività nel DMN diminuisce quando il cervello è coinvolto in compiti
cognitivi che richiedono attenzione (Raichle et al., 2001) e ritorna alla sua presenza
prominente quando non viene eseguito alcun compito del genere, è probabile essa rifletta
processi importanti per la consapevolezza cosciente del sé; di conseguenza, l'integrità del
DMN dovrebbe diminuire significativamente non solo negli stati alterati di coscienza come
l’ipnosi, ma anche (e in modo differente) durante il sonno e l'anestesia (Guldenmund et al.,
2012).
Gli stati ipnotici sono risultati associati a livelli più elevati di rCBF nelle regioni cingolate
anteriori e nelle aree corticali occipitali (Faymonville et al., 2003), mentre possono ridurre
l’rCBF nelle regioni del DMN, in particolare il PCC/precuneo (Guldenmund et al., 2012).
Gli studi PET pre- e post-induzione dell’ipnosi hanno confermato il coinvolgimento di
diverse regioni, quali l’ACC, che sembra regolare la consapevolezza e si mostra sensibile al
conflitto (Jamieson, G., 2007). Tuttavia, è stato dimostrato che un sottoinsieme di compiti
aumenta l'attività in alcune parti della DMN. Questi compiti includono elementi di
introspezione e teoria della mente, supportati dal sistema frontale, e di memoria episodica,
supportata dal sistema temporoparietale (Spreng, R. N., & Grady, C. L., 2010), che sono tra
loro connessi attraverso PCC/precuneo (van Kesteren et al., 2010).
In questo contesto, gli studi di neuroimaging funzionale nell’analgesia ipnotica hanno
rivelato importanti informazioni sulla rappresentazione neurale dell’esperienza di dolore e
sulla natura dell’ipnosi stessa (Jamieson, G., 2007). È stata, infatti, studiata l’efficacia
dell’ipnosi come tecnica per ridurre il dolore, indotto su volontari attraverso una
stimolazione laser sul dorso della mano sinistra, controllando l’intensità degli stimoli
(Faymonville et al., 2006). Le risposte cerebrali al dolore sono state rilevate tramite fMRI.
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Nello stato di veglia, gli stimoli nocicettivi hanno attivato una vasta area corticale, che
includeva la corteccia somatosensoriale, l’insula, la corteccia cingolata mediale e le aree
associative frontoparietali. Nello stato ipnotico, gli stessi stimoli attivavano soltanto la
corteccia somatosensoriale primaria, confermando la differenza nel processamento degli
stimoli nocicettivi indotta dallo stato di ipnosi. Questi risultati suggeriscono che l'ipnosi
può, almeno in alcune persone, causare cambiamenti nell'attività del DMN, che potrebbero
essere una spiegazione per una ridotta percezione del dolore durante l'ipnosi.
L'induzione dell'analgesia attraverso l'ipnosi porterebbe dunque a una diminuzione delle
risposte sia all'esperienza del dolore personale che vicaria. Le attivazioni nell'insula
anteriore destra e nell'amigdala sono state notevolmente ridotte quando i partecipanti hanno
ricevuto stimoli termici dolorosi in seguito all'analgesia ipnotica sulla propria mano, ma
anche quando hanno visto le immagini della mano di altri con dolore. L'analisi della
connettività funzionale ha indicato che questa modulazione ipnotica delle risposte al dolore
era associata al reclutamento differenziale delle regioni prefrontali destre implicate
nell'attenzione selettiva e nel controllo inibitorio. Questi dati forniscono un nuovo supporto
all'idea che l'auto-nocicezione è coinvolta durante l'empatia per il dolore e dimostrano la
possibilità di utilizzare procedure ipnotiche per modulare i processi emotivi e sociali di
livello superiore (Braboszcz et al., 2017).
Nel sonno, stato in cui, come nell’ipnosi, la coscienza è alterata, gli studi EEG hanno
mostrato la presenza di 5 fasi, incluso il sonno REM (rapid eye movement), durante il quale
si pensa che esista un livello di coscienza relativamente alto, poiché è anche il periodo del
sonno in cui si verifica la maggior parte dei sogni. Durante il sonno profondo non REM,
invece, si osserva il livello di coscienza più basso. Se la connettività DMN riflette il livello
di coscienza, ci si aspetterebbe una minore attività DMN durante gli episodi di sonno
profondo non REM rispetto al sonno REM. Studi PET hanno infatti mostrato un calo di
rCBF indotto dal sonno nella corteccia frontale inferiore e media e nel lobulo parietale
inferiore, con attività in PCC/precuneo che differiscono chiaramente tra gli stadi del sonno
(Maquet et al., 2005). Nel sonno profondo non-REM, PCC/precuneo e la mPFC si
disconnettono dal DMN (Sämann et al., 2011), mentre diminuisce anche la connettività
DMN con i sottosistemi DMN nella corteccia temporale. Durante il sonno REM, in cui si