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CAPITOLO 2
L’IMPATTO AMBIENTALE DEL TRASPORTO AEREO
Nel presente capitolo viene analizzato l’impatto ambientale del trasporto aereo. L’esposizione è
suddivisa in tre momenti principali: una prima parte sulla situazione sino al 2019; una seconda in
cui si tratta della situazione nel periodo pandemico e di come questo abbia modificato
radicalmente lo scenario ipotizzato in precedenza; e una terza parte sulle prospettive future alla
luce del mutato scenario post-pandemia.
1. La situazione attuale
La grande crescita del trasporto aereo negli ultimi anni ha portato sicuramente innegabili benefici
economici e sociali da un lato (Rodrigo, 2020), e dall’altro un forte impatto ambientale. L’aviazione
è, infatti, uno dei settori dove è maggiore lo “scontro e la necessità di conciliare le esigenze
economiche e quelle ambientali” (McManners, 2016, p.2), dove “il dilemma tra il continuare a
raccogliere i benefici economici e limitare l’impatto ambientale entro dei limiti ritenuti sicuri è
molto difficile” (Walker e Cook, 2009).
Il maggiore impatto ambientale del trasporto aereo è principalmente la produzione di anidride
carbonica (CO
2
), un gas normalmente presente nell’atmosfera, senza il quale la vita sul nostro
pianeta non sarebbe possibile” (www.enac.gov.it, 2018).
In natura si trova principalmente in quattro tipologie di stoccaggio: atmosfera (sotto forma di gas),
oceano (come carbonato), negli ecosistemi terrestri (biomasse e terreno) e come combustile
fossile sotto forma di petrolio, stato solido e gas nella geosfera (Becken e Mackey, 2017). Il suo
ciclo naturale ne permette il riassorbimento nell’atmosfera, ma un suo aumento eccessivo
comporta l’innalzamento della temperatura e conseguenze che non siamo del tutto in grado di
prevedere. Questo avviene a causa delle due principali fonti di emissioni antropogeniche: il
bruciare combustili fossili per la produzione di energia e l’esaurimento delle scorte di carbonio da
biomassa.
Già oggi la temperatura è 0,85° maggiore dei livelli pre-industriali (il primo anno di riferimento è il
1850 [www.enac.gov.it, 2018]).
Ad oggi l’aviazione rimane l’unico tra i settori del trasporto ad essere stato oggetto di analisi
dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) per il suo contributo al cambiamento
climatico (Dessens et al, 2014). Nel 1999 l’IPCC ha, infatti, stilato il primo rapporto sugli effetti
dell’aviazione sull’atmosfera “Aviation and the Global Atmosphere”, misurando non solo gli effetti
della CO
2
, ma tenendo anche in considerazione altri elementi inquinanti che contribuiscono da
fattore di moltiplicazione in associazione all’anidride carbonica (se ad alta quota il fattore più
inquinante è la CO
2
, a bassa quota, invece, i maggiori responsabili dell'inquinamento sono gli ossidi
di azoto, il cui effetto sull'ambiente si aggiunge a quello sul rumore [www.enac.gov.it, 2018]) e
denunciando la mancanza di agenti climatici non-CO
2
dalle misure intraprese dai governi.
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Peter et al (2016) analizzano la crescita degli ultimi quarant’anni, con dati dal 1970, riscontrando
che il numero di aeromobili presenti nella flotta commerciale mondiale in quell’anno fosse 3.700,
diventando 9.100 nel 1990, e il numero più che raddoppia vent’anni dopo, nel 2010, arrivando a
21.000 (www.boeing.com, 2014; www.airbus.com, 2014).
Anche l’indice RPK (Revenue Passenger Kilometer), uno degli indicatori più utilizzati nel settore,
che misura il numero di passeggeri trasportato per ogni km volato (www.aviationcoaching.com,
2017) rivela un aumento di passeggeri di nove volte superiore nel 2010 rispetto al livello iniziale
del 1970 (da 500miliardi a 4.500 miliardi) (www.airbus.com, 2014).
Notevoli miglioramenti si sono avuti negli ultimi 20 anni (periodo dal 1999 al 2019) non solo
analizzando l’RPK (+45%), ma anche il load factor (tasso di riempimento), cresciuto del 13%, o il
numero medio di posti disponibili su ogni volo (+18) (www.airbus.com, 2021) (Fig.1).
Fig. 1 I miglioramenti occorsi negli ultimi 20 anni
Fonte: www.airbus.com (2021, p.6)
Tale crescita ha, ovviamente, comportato un conseguente aumento nelle emissioni di CO
2
dovute
all’utilizzo di combustili fossili: il 75% di emissioni in più tra il 1990 e il 2012 è dovuto al traffico
internazionale (www.unfccc.int, 2014) (dato che rappresenta più del doppio della media di crescita
di altri settori economici (www.transportenvironment.org, 2016) e il 32% tra il 2013 e il 2018
(+70% rispetto alle previsioni ICAO). Lee et al (2020) indicano una crescita a fattore 6.8 tra il 1960
e il 2018 e l’EASA (www.easa.europa.eu, 2022) rileva un’accelerazione nella produzione di
emissioni, tanto che la metà delle emissioni tra il 1940 e il 2019 è avvenuta tra il 2000 e oggi. Nello
stesso periodo “le emissioni del settore sono cresciute, attestandosi su una media del +2% annuo”
(www.sdgs.un.org, 2021, p.9), aumentando a circa il 4% annuo nel periodo 2010-2018
(www.ipcc.ch, 2022).
Sia i costruttori sia le compagnie aeree hanno cercato di risolvere il problema lavorando
sull’efficienza per ridurre le emissioni di CO
2
, “gestendo il load factor di cargo e passeggeri,
modificando i piani di volo e lavorando sul comportamento dei piloti” (Becken & Shuker, 2019,
p.3), ma soprattutto sul consumo di carburante. Rutherford & Zeinali (2009) calcolano un
miglioramento del 51% tra il 1960 e il 2008, mentre Ryerson e Kim (2013) indicano una
25
diminuzione per kilometro passeggero pari al 70%, dovuta agli avanzamenti tecnologici dei motori
e all’entrata sul mercato del B737 e dell’A380.
Questi passi in avanti non sono, però, sufficienti. “Non è tanto il volume delle emissioni che
preoccupa, ma la percentuale di crescita” (Rodrigo, 2020), infatti l’aumento delle emissioni a
partire dagli anni sessanta e il volume di passeggeri per kilometri volati (5% annuo) non possono
essere compensanti dai miglioramenti in efficienza energetica (Ryerson e Kim,2013). Questa
ultima si attesta su un 1,5% annuo, quota che sale al 2,3% se si guarda alla sola efficienza nell’uso
del carburante (www.aviationbenefits.org, 2019; Rodrigo, 2020).
1.1 Quanto incidono le emissioni?
Tra tutti i settori economici i trasporti risultano essere uno dei maggiori utilizzatori di energia ed
emissioni.
Nel turismo, “responsabile di circa l’8% delle emissioni” (www.sustainabletravel.org, 2022), la
carbon footprint dei trasporti (di cui sicuramente il trasporto aereo rappresenta la quota
principale) arriva a sfiorare il 50% (Fig.2).
Fig.2 I settori di attività che contribuiscono alla carbon footprint del turismo
Fonte: www.sustainabletravel.org (2022, n.d.)
In Europa i trasporti sono responsabili di un quarto delle emissioni di gas a effetto serra
(www.eur-lex.europa.eu, 2019), mentre, secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC sul cambiamento
climatico (www.ipcc.ch, 2022) a livello globale “il 23% dell’energia connessa al consumo di CO
2
deriva dal settore dei trasporti” (leggermente in calo rispetto al 24% del 2018) (Fig. 3) e “di questa
il 12% direttamente dall’aviazione” (www.sdgs.un.org, 2021, p.45; www.ipcc.ch, 2022, p.10-4)
(Fig.3).
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Fig. 3 Le emissioni di CO
2
per settore nel 2018
Fonte: www.sdgs.un.org (2021, p.8)
“I voli partiti dall’Europa a 27 e dai Paesi dell’EFTA (European Free Trade Association che
comprende Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera [www.efta.int, 2022]) nel 2018 hanno
rappresentato da soli il 16% delle emissioni globali per il trasporto aereo e nel 2019 erano il 5,9%
delle emissioni di questi Paesi (+1,8% rispetto al 1990) e il 18,3% di tutto il settore dei trasporti”
(www.easa.europa.eu, 2022a). Ciò ha reso l’aviazione il principale settore fonte di inquinamento
dopo il trasporto su strada. Quindi le emissioni di anidride carbonica e gas serra prodotte dal
trasporto aereo rappresentano circa il 3% delle emissioni di gas serra dell’Unione Europea
(www.ec.europa.eu, 2021) e ENAC (www.enac.gov.it, 2018) ha stimato che per ogni kg di
carburante consumato sono immessi nell’atmosfera 3,16kg di CO
2
.
Il dato che più colpisce è l’impatto percentuale delle emissioni di CO
2
del trasporto aereo sulla
totalità delle emissioni globali. Gli studiosi offrono risultati diversi, ma tutti indicano l’aviazione
come produttore di una quota tra il 2% e il 3% delle emissioni globali da carburanti fossili
(www.ipcc.ch, 2015; www.globalcarbonproject.org, 2018; www.iea.org, 2019; Abate et al, 2020;
Amankwah-Amoah, 2020; Goessling e Humpe, 2020). Questo classifica il settore dell’aviazione
come quello con la maggiore crescita di emissioni di gas serra nei trasporti (Schäfer et al, 2009).
Inoltre, il contributo dato dall’aviazione al cambio climatico dovuto alle forze di origine antropica
(modifiche dovute alle attività umane) varia tra il 3,5% e il 5% (Fahey e Lee, 2016; Rodrigo, 2020;
Goessling e Humpe, 2021; Sun et al, 2022), una quota “significativamente maggiore del
riscaldamento dovuto alla sola CO
2
“ (Fahey e Lee, 2016).
1.2 Come sono distribuite
Andando ad analizzare più approfonditamente alcuni dati relativi ai maggiori produttori di
emissioni, si riscontra una tendenza nei viaggi internazionali, nei Paesi più industrializzati, e, in
questi, tra le fasce della popolazione con più disponibilità economiche.
27
1.2.1 Distribuzione commerciale
Dal 1990 il tasso di crescita delle emissioni è raddoppiato, dovuto anche alla grande offerta di low
cost, e la maggior parte di queste deriva dai voli internazionali (www.ec.europa.eu, 2021).
Analizzando “tutte le operazioni commerciali, compreso il movimento dei passeggeri, il trasporto
merci e il trasporto dedicato” il trasporto internazionale è responsabile per circa il 60%, mentre il
restante 40% è dovuto ai voli domestici (Graver et al, 2019, p.9; Goessling, 2020).
Si stima che nel 2018 il consumo globale di carburante (jet fuel) sia stato di 320 mega tonnellate e
conseguente emissione di un gigatone di CO
2
, di cui l’88% nell’aviazione commerciale, il 4% in
quella privata e un ipotetico 8% per i voli militari, di cui non si hanno dati consolidati (Goessling,
2020). Per l’aviazione commerciale si può operare un’ulteriore distinzione, con l’81% delle
emissioni ascrivibile al trasporto passeggeri e il 19% al cargo (Graver et al, 2019, ICCT, 2019).
“Un piccolo numero di tratte è responsabile della maggior parte delle emissioni. La Top 5 produce
lo 0,4% di CO
2
, mentre la top 400 arriva al 10,4%, con una distanza media percorsa di 2.150km e
178kg di emissioni (Becken e Shuker, 2019) (Fig.4).
Fig. 4 Le 400 tratte più inquinanti
Fonte: Becken e Shuker (2019, p.6)
1.2.2 Distribuzione geografica
Tra i Paesi più inquinanti gli Stati Uniti sono i primi, producendo più CO
2
per capita
degli altri Paesi
nella top 10 (Goessling, 2020) con il 24% di emissioni (di cui il 67% da voli domestici), seguiti da
Australia, Norvegia, Nuova Zelanda e Canada (Graver et al, 2019) (Fig.5).
Altri studi, condotti da Goessling e Humpe (2020) evidenziano come la domanda, e quindi il
traffico e le emissioni, siano aumentati in alcuni Paesi tra il 1990 e il 2017 (Fig.6): più del doppio
negli Stati Uniti (104%), Regno Unito (118%), Svezia (106%), Finlandia (108%), Canada (112%),
Germania (141%), Austria (153%), ma la crescita più significativa, e per certi versi insospettabile, si
ha in Paesi di piccole dimensioni e relativamente poco traffico (tranne qualche eccezione) come
Lussemburgo (336%), Italia and Norvegia (160%), Paesi Bassi (161%), Nuova Zelanda (178%) e
Irlanda. Sono triplicate in Australia (210%) e Spagna (258%), ma la crescita più significativa si è
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registrata in Lussemburgo (336%), Islanda (423%) e Turchia (1.896%), con diminuzioni nei Paesi
dell’Europa orientale o ex-URSS (Bulgaria, Bielorussia, Kazakistan, Lituania, Ucraina e Croazia).
Fig. 5 Paesi più inquinanti per emissione di CO
2
derivata dal trasporto aereo nel 2018
Fonte: Graver et al (2019, nd)
Fig. 6 Aumento della domanda per paese nel periodo 1990-2017
Fonte: Goessling e Humpe (2020, p.6)
1.2.3 Distribuzione sociale
Considerando che “meno del 20% della popolazione mondiale è mai salita su un aereo” (David
Muilenburg ex-CEO di Boeing; Gurdus, 2017, nd), si può facilmente dedurre che una piccola parte
della popolazione sia responsabile di larga parte dell’inquinamento. Ai viaggiatori abituali (1%
della popolazione) si attribuisce più della metà delle emissioni totali dovute al trasporto aereo di
passeggeri (Goessling, 2020; Goessling e Humpe, 2020) (si consideri che nel 2018 negli Stati Uniti
29
più del 12% dei frequent flyers ha effettuato il 68% dei voli, mentre il 53% della popolazione non
ha volato [ICCT, 2019]), numero che aumenta laddove si prendano in considerazione i viaggi con
aerei privati o anche analizzando il tipo “di classe” di prenotazione in cui si viaggia.
Non tutti i passeggeri, infatti, hanno la stessa carbon footprint
4
, chi viaggia in classe premium
produce il doppio delle emissioni di chi è in economy (Baumeister, 2017), chi in business tre volte
di più e in first le emissioni valgono nove volte più che in economy (Bofinger e Strand, 2013).
Per fare un passo in più verso l’essere un viaggiatore sostenibile, ICAO ha sviluppato e reso
disponibile sul proprio sito l’ICAO Carbon Emissions Calculator Background (www.icao.int, 2022),
che permette di stimare le emissioni prodotte dal proprio viaggio in aereo, inserendo solo
aeroporto di origine e arrivo e classe di viaggio.
Un altro strumento utile presente sul sito è l’ICAO Green Meetings Calculator (IGMC)
(www.icao.int, 2022a), indirizzato a chi viaggia per affari. Lo strumento calcola la location migliore
per ridurre l’impronta carbonica, considerando luogo d’origine e numero dei partecipanti.
Goessling (2020) analizza la percentuale di persone che teoricamente hanno potuto volare e la
fascia di reddito dei Paesi in cui vivono, confermando che nei Paesi più ricchi il 100% ha potuto
fare almeno un viaggio, nei Paesi con reddito medio-alto il 24,72%, reddito medio-basso il 7,51% e
nei Paesi più poveri solo l’1,63%.
Il primo decile tra chi emette di più è responsabile del 45% della produzione di CO
2
, invece tra il
50% della popolazione che emette di meno, il contributo alla produzione di emissioni è di solo il
13% (Hubacek et al, 2017).
Per Goessling e Lyle (2021) l’1% della popolazione è responsabile della metà delle emissioni
globali, mentre per Chancel e Piketty (2015) l’1% della popolazione di USA, Lussemburgo,
Singapore, Arabia Saudita e Canada produce oltre 200 tonnellate di CO
2
a testa ogni anno; un
numero che appare impari se confrontato con le emissioni medie dei paesi africani, circa 0,1
tonnellata a testa ogni anno (www.data.worldbank.org, 2020).
2. Cosa è successo con la pandemia da COVID-19?
L’avvento della pandemia da COVID-19 ha portato gravi ripercussioni su tutti i settori economici.
Quello dell’aviazione è un settore spesso colpito da crisi sistemiche, che siano economiche come la
crisi del petrolio nel 1973 (dalla quale si è imparato a migliorare l’efficienza di carburante) (Issawi,
1978, Nygren et al, 2009, Lee e Mo, 2011) o la crisi finanziaria del 2007-2008 (Harvey e Turnbull,
2009), o relative alla sicurezza come gli attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001 (i quali hanno
contributo a numerosi miglioramenti per la sicurezza in volo) (Blunk et al, 2006, Lyon, 2006,
Blalock et al, 2007), o ambientali come l’eruzione del vulcano islandese nel 2010 e il relativo fermo
dei voli in tutta Europa (Mazzocchi et al, 2010).
4
L’impronta carbonica cambia a seconda della classe di viaggio per la dimensione dei sedili e lo spazio dedicato al
passeggero (in business class questo occupa tre sedili di economy) e per il peso consentito al passeggero (es. il numero
di bagagli consentiti in business è due bagagli da 32kg, in economy class è un solo bagaglio da 23kg).
Poiché in media un posto di business class ne occupa tre di economy, si può dire che il load factor in business class è
sempre più basso rispetto alle classi inferiori, e un aereo che viaggia con un load factor minore non efficienta le
proprie emissioni (Bofinger e Strand, 2013).
30
Come tutte le crisi già occorse, anche questa è stata un’occasione per analizzare e mettere in luce
problematiche di lungo corso, spesso mai risolte, che caratterizzano il trasporto aereo globale
(Fahey e Lee, 2016; Goessling, 2020).
Prima della pandemia le prospettive di aumento della domanda nel trasporto aereo indicavano
una crescita tripla tra il 2020 e il 2050 (www.icao.int, 2016; Graver et al, 2019) e le emissioni nel
2020 avevano raggiunto il 70% in più rispetto al 2005 (Amankwah-Amoah, 2020), ma il fermo
obbligatorio di quasi tutti i voli su scala globale tra marzo e maggio 2020, dovuto alle misure
restrittive introdotte per contenere la diffusione della pandemia, ha indotto a una seria riflessione
“sulla crescita, grandezza e distribuzione della crescita, in particolar modo in considerazione degli
impatti sull’ambiente” (Goessling e Humpe, 2020, p.1) laddove si fosse tornati ai volumi pre-
pandemia.
Nel 2020 l’indice RPK, che misura la domanda, è diminuito del 65,9% rispetto al 2019
(www.iata.org, 2021) e il numero di voli tra marzo e maggio si è ridotto dal 50% in alcune parti del
mondo (Abate et al, 2020), sino al 90% in altre (www.joint-research-centre.ec.europa.eu, 2020),
rendendolo di fatto “l’anno peggiore per della storia per l’aviazione” (www.iata.org, 2021).
Nonostante un effetto positivo sul calo delle emissioni, che hanno subito una diminuzione del 10%
(Lyle, 2020; Sun et al, 2022) (Fig. 7) (1,9% in Europa e nei Paesi dell’EFTA [www.easa.europa.eu,
2022]), e il calo del prezzo del petrolio (sceso al livello più basso in due anni il 25 Marzo, circa
15€/ton CO
2
, ma poi tornato a livelli pre-pandemia già a giugno con 22€/ton CO
2
[Van den plas,
2020]), questo terremoto operativo ed economico ha portato alla bancarotta molte compagnie
aeree, non preparate a una crisi di tale portata; non solo quelle di dimensioni ridotte come Level
Europe GmbH o Miami Air International, ma anche nomi importanti come LATAM (Czerny et al,
2021).
Le compagnie cinesi, invece, sono state tra le prime a riprendersi, “grazie anche a fondi
governativi
5
, tornando già a fine luglio al 70-80% dei livelli pre-pandemia per il mercato
domestico” (Czerny et al, 2021, p.7)
Fig. 7 Confronto emissioni tra il 2020 e il 2019
Fonte: Liu et al (2020, p.9)
5
Una disamina sui sussidi alle compagnie aeree si può trovare nel cap.3
31
Molti studiosi vedono nel periodo pandemico un’occasione per operare grandi cambiamenti nel
settore, una migliore integrazione tra modalità di trasporto (Tardivo et al, 2020), un ripensamento
del modello di business (Bauer et al, 2020), un percorso verso l’aviazione sostenibile (Amankwah-
Amoah, 2020; Ioannides and Gyimothy, 2020; Niewiadomski, 2020; Sun et al, 2021) e una
modalità di trasporto green (Sun et al, 2022a), oltre ad azioni per ridurre le emissioni, oggetto di
discussione da decenni, ma che con la pandemia potrebbero essere implementate in maniera
diversa, come il ritiro dalla flotta delle macchine più vecchie operato da alcune compagnie (Dube
et al, 2021).
6
3. Che prospettive per il futuro?
3.1 Gli scenari
Come già successo in Cina, dove il traffico è ripreso già nei primi mesi dalla fine delle restrizioni,
anche a livello globale si prospetta una ripresa del settore, seppur con tempi più lunghi e maggiori
difficoltà. Bouwer, Saxon e Wittkamp (2021) di McKinsey & Company ed Airbus (www.airbus.com,
2022) (Fig.8) stimano una ripresa del traffico a livelli pre-COVID solo nel 2024, con cambiamenti
dettati dalla digitalizzazione e predominanza dei viaggi leisure su quelli di lavoro – sulla scia di
cambiamenti della società
7
come smartworking e didattica a distanza che stanno cambiando
anche l’approccio alla mobilità. Anche IATA (www.iata.org, 2022) (Fig.9), nonostante la ripresa sia
lenta (nel 2021 si è viaggiato il 53% in meno del 2019) conferma queste proiezioni con circa 4
miliardi di passeggeri attesi nel 2024, +103% rispetto al 2019 e il +111% nel 2025.
Fig. 8 Prospettive di crescita del mercato nel periodo 2023-2025
Fonte: www.airbus.com (2022, p.4)
6
Le azioni intraprese verso la sostenibilità nel trasporto aereo sono discusse più dettagliatamente nel cap. 3
7
Delle ricadute etiche e sociali del trasporto aereo si parlerà nelle conclusioni
32
Fig. 9 Previsioni di crescita passeggeri nel periodo 2021-2025
Fonte: www.iata.org (2022, nd)
Insieme all’aumento della domanda è stato previsto un aumento di emissioni, infatti, la forte
crescita post-pandemia e un ritorno ai livelli pre-COVID implica che “il contributo dell’aviazione al
riscaldamento globale sia stato posticipato di circa 5 anni” (Kloewer et al, 2021, p.5) e che gli sforzi
per il futuro non possono focalizzarsi sulla sola efficienza, in quanto già in passato l’aumento della
domanda ne ha vanificato i benefici.
L’ICAO (www.icao.int, 2020, 2020a) prevede per il 2050 il 300-700% in più di emissioni se non
vengono intraprese misure dalla comunità internazionale per ridurre la carbon footprint, arrivando
a circa 2,6 miliardi di tonnellate di CO
2
, il 22% di tutte le emissioni e 11 volte il volume attuale
(Puempel and Williams, 2016) e con la prospettiva di aumentare sempre di più oltre il 2050
(Klower et al, 2021). Peter et al (2016) stimano una crescita del settore nel 2050 di quattro volte
rispetto al 2005, con un tasso di crescita annuale del 3,5%, e un consumo di energia triplicato (19%
di tutto il settore dei trasporti nel 2050 contro l’11% del 2006). Cames et al (2015) per il 2050
prospettano che le emissioni raggiungeranno il 22% se non verranno intraprese “misure di
mitigazione”.
Goessling et al (2021) analizzano il futuro della domanda di RPK (Revenue Passenger Kilometers -
numero di passeggeri trasportato per ogni km volato) nel 2050 in base ai due scenari ipotizzati da
ICAO. Uno è lo scenario pre-pandemia (previsti 34,2 trilioni di RPK), l’altro è post-COVID19, nel
quale si prevede una ripresa consistente della domanda al 2024 (27,5 trilioni di RPK nel 2050); la
differenza tra i due è di più di 6,6 trilioni di RPK.
Essi studiano anche la distribuzione geografica della domanda, che nel 2050 vede ancora il Nord-
America come il paese trainante con circa 12.400 RPK pro capite, l’Asia-Pacifico in crescita di 2.600
RPK all’anno, diventando, così, il principale centro di emissioni (43%), l’Africa rimane il fanalino di
coda con 290 RPK annui a testa (contro i 1100 RPK del 2018). Nonostante la popolazione africana