CAPITOLO I
I LIBRI PROIBITI: LA CENSURA ALL’EPOCA DELLA
CONTRORIFORMA
1.1 La nascita della censura libraria
Oggi, la libertà di opinione è ritenuta un diritto fondamentale, pertanto
tendiamo ad attribuire alla censura un valore negativo e spesso questa concezione
moderna viene proiettata su epoche precedenti.
Tuttavia nell’Europa della prima età moderna la censura veniva vista come una
“condizione normale”, anzi era giudicata in modo positivo soprattutto dagli
intellettuali, poiché essa poteva significare «la necessaria correzione morale di un
autore caduto in errore».
1
La censura fu sperimentata dal cristianesimo fin dall’inizio: con la formazione
del canone del Nuovo Testamento certi libri vennero approvati e altri respinti; per
esempio, nel concilio di Nicea del 325, si condannò Ario, poiché con la sua opera,
la Thaleia, aveva messo in dubbio determinati valori religiosi.
2
Fu soprattutto nel corso dell’età moderna che in Europa nacque un sistema di
controllo sulla produzione e sulla circolazione del libro a stampa. Letterati e
pensatori intravedevano in questo nuovo strumento di trasmissione del sapere la
possibilità di raggiungere con i loro scritti un grande numero di persone,
cambiando le condizioni e le abitudini intellettuali. Ma con il dilagare della riforma
protestante e la nascita di nuove teorie scientifiche, politiche e filosofiche ritenute
pericolose per le basi del potere si percepirono i rischi e si avvertì l’esigenza di
controllare e limitare questa nuova arte tipografica.
3
In realtà le straordinarie potenzialità del libro, la sua capacità di propagarsi con
1
H. Wolf, Storia dell’Indice: il Vaticano e i libri proibiti, Roma, Donzelli, 2006, cit., p. 10.
2
Ibidem.
3
D. Pattini, P . Rambaldi, Index librorum prohibitorum. Note storiche attorno a una collezione, Roma,
Aracne, 2012, p. 15.
7
grande facilità in qualsiasi ambito della popolazione europea come nuovo
strumento di comunicazione di massa, avevano iniziato a suscitare qualche
inquietudine, ancora prima della diffusione delle tesi luterane. La pericolosità della
stampa indusse paesi come Venezia, divenuta alla fine del XV secolo uno dei più
grandi centri editoriali europei, o i principali centri di potere, come le città
tedesche, a emanare poco efficaci disposizioni con lo scopo di controllare l’attività
editoriale.
4
Con la bolla Inter multiplices, emanata il 17 novembre 1487, papa Innocenzo
VIII definiva la stampa utile, perché moltiplicava i buoni libri, ma, allo stesso
tempo, deleteria quando diffondeva delle dottrine pericolose e perverse con una
capacità di penetrazione sconosciuta fino a quel momento. Di conseguenza, con la
suddetta bolla si stabilì l’istituto dell’imprimatur, cioè un permesso di stampa
rilasciato dopo un attento esame e l'approvazione del testo da parte dei vescovi.
5
L’imprimatur, per l'intento di portare la cultura dentro una prospettiva di
ortodossia, provocò molte rivalità con le autorità statali, che si servivano di propri
sistemi di controllo del libro, come il privilegio e la licenza di stampa: Venezia, ad
esempio, sostenne che l’imprimatur non era una licenza di stampa, ma
semplicemente un’attestazione della consonanza del libro con la religione
cattolica.
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Successivamente con Alessandro VI si stabilirono i princìpi della censura
preventiva, estesi poi a tutta la cristianità con la bolla Inter sollicitudines emanata nel
1515 da Innocenzo X.
7
Seguì la bolla di Leone X Exsurge Domine del 15 giugno del
1520 con cui Lutero venne scomunicato e i suoi scritti vietati. Ma sia le idee
luterane che la stampa dei libri continuarono a diffondersi in maniera
incontrollata. Così Paolo III con la bolla Licet Ab initio del 1542 fondò la Santa
Romana Inquisizione Universale con il compito di combattere l’eresia e di vigilare
4
M. Infelise, I libri proibiti: da Gutenberg all’Encyclopedie, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 5-6.
5
V . Frajese, Nascita dell’Indice. La censura ecclesiastica dal Rinascimento alla Controriforma, Brescia,
Morcelliana, 2006, p. 18.
6
F. Barbierato, Libro e censure, Milano, Sylvestre Bonnard, 2002, p. 114.
7
M. Infelise, I libri proibiti, cit., p. 8.
8
sul libro. Al suo vertice stava il cardinale Gian Pietro Carafa, il futuro papa Paolo
IV , colui che nel 1559 pubblicò il primo Indice dei libri proibiti.
8
In questi stessi anni Venezia avviò una politica editoriale con la procedura per
la preventiva licenza di stampa affidata al consiglio dei Dieci. La Repubblica entrò
in conflitto con Roma soprattutto tra il 1530 e il 1540, quando si intensificò
l’attività repressiva della Chiesa; gli inquisitori locali erano ostacolati da librai ed
editori, che non volevano vedere pregiudicata la loro attività a causa delle
proibizioni ecclesiastiche. Quando nel 1596 uscì l'Indice di Clemente VIII,
Venezia ottenne dal papa un concordato che consentiva nel territorio di S. Marco
un’attenuazione delle disposizioni romane.
In questo caso tutto si risolse con un accordo, ma ciò non avvenne nel 1606, in
cui le tensioni culminarono in un nuovo conflitto: il governo di Venezia arrestò
due preti responsabili di reati comuni e come risposta il nuovo papa Paolo V ,
sostenitore di una linea politica più rigida, emanò un interdetto nei confronti della
Repubblica di Venezia che aprì una violenta discussione sulle prerogative del
potere civile e religioso.
9
1.2 Gli organi di controllo: il Sant'Uffizio e la Congregazione dell'Indice
L’Inquisizione nacque nel medioevo come tribunale ecclesiastico volto a
reprimere l’eresia. Quando, con l’editto di Teodosio del 381, il cristianesimo
assurse a religione di Stato, gli eretici divennero nemici dell’ordine sociale. Non
bisognava soltanto reprimerli, ma anche ricercarli; pertanto papa Lucio III ordinò
ad ogni diocesi di istituire un’inquisizione episcopale.
Con il passare del tempo le competenze dei tribunali si allargarono: oltre alla
funzione originaria, iniziarono ad occuparsi di bestemmia, bigamia e stregoneria.
8
H. Wolf, Storia dell’Indice, cit., pp. 19-20.
9
D. Pattini, P . Rambaldi, Index librorum prohibitorum, cit., pp. 21-22.
Per una lettura più approfondita sulla questione dell'Interdetto del 1606 vedi G. Cozzi, Paolo Sarpi
tra Venezia e l'Europa, Torino, Einaudi, 1979; Id., Venezia nei secoli XVI e XVII, in G. Cozzi, M.
Knapton, G. Scarabello (a cura di), La Repubblica di Venezia nell'età moderna, Torino, Utet, 1992.
9
Con la riforma luterana si rese necessario un coordinamento centralizzato del
sistema repressivo
10
e così nel 1542 papa Paolo III istituì l’Inquisizione romana o
congregazione del Sant'Uffizio, dal 1588 la prima delle 15 inquisizioni romane.
Questa congregazione era composta da sei cardinali incaricati di combattere
l’eresia, controllare la stampa e istituire processi nei propri tribunali,
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ma le sue
prerogative si allargarono ben presto alla perquisizione di biblioteche e librerie,
monasteri e perfino case private, giungendo al rogo dei libri proibiti.
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Già un
anno dopo la sua istituzione, essa emanò un editto che vietava la vendita, la lettura
e il possesso dei libri giudicati erronei e pericolosi, in quanto diffusori di eresia; i
librai, per vendere la loro merce, dovevano ottenere l’autorizzazione presentando
un indice al Sant'Uffizio pena la scomunica e una multa di mille ducati.
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Nonostante avesse prospettive universali, l'Inquisizione si insediò soprattutto
in Italia: gli Stati nazionali europei gestirono in autonomia la repressione,
contrariamente agli Stati della Penisola che dipendevano direttamente da Roma.
Sul suolo italiano, soprattutto nelle città principali, si istituì circa una cinquantina
di tribunali, presieduti da domenicani o francescani, a cui si affiancavano delle sedi
minori, creando una fitta rete di polizia. La Sicilia e la Sardegna erano alle
dipendenze dell’Inquisizione spagnola.
La Congregazione dell’Indice fu istituita nel 1571 da papa Pio V con lo scopo
di allestire un nuovo indice in grado di sostituire quello tridentino del 1564.
Composta da cardinali e consultori, oltre a controllare la stampa, si impegnava a
espurgare libri sospetti, censurando passi ritenuti scandalosi.
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Tra Sant’Uffizio e Congregazione dell’Indice, ciascuna con propri compiti e
propri poteri, non mancarono attriti a causa della sovrapposizione di competenze.
Nel 1596, ad esempio, il Sant’Uffizio sospese la pubblicazione dell’Indice
10
F. Barbierato, Libro e censure, cit., p. 130.
11
D. Pattini, P . Rambaldi, Index librorum prohibitorum, cit., p. 24.
12
F. Barbierato, Libro e censure, cit., pp. 132-133.
13
V . Frajese, Nascita dell’Indice, cit., p. 52.
14
D. Pattini, P . Rambaldi, Index librorum prohibitorum, cit., pp. 24-25.
10
clementino, ideato dai membri della Congregazione dell’Indice, poiché
considerato troppo generoso, spingendo il papa a revisionarlo, recuperando la
severità e la rigidità del primo indice del 1559, frutto del lavoro del Sant’Uffizio.
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Con il passare degli anni il controllo culturale ecclesiastico diminuì e, di
conseguenza, l’equilibrio tra Chiesa e Stati si spezzò in favore di questi ultimi: già
verso il ’600 il clima politico e culturale era cambiato e applicare disposizioni di
proibizione diventava sempre più difficile.
L'espurgazione testuale, pratica affermatasi con l’indice del 1559, permetteva la
circolazione e la lettura di quegli scritti soggetti a censura in alcune parti, ma non
interamente condannabili, attraverso aggiustamenti e eliminazioni di singole
parole e perfino di intere frasi ritenute sconvenienti perché immorali o perché
presentavano in modo negativo la Chiesa.
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Ma, a volte, nei casi più complessi la
semplice eliminazione, di porzioni di testo non bastava, pertanto si attuava una
riscrittura completa affidata a revisori professionisti.
Il risultato era devastante: gli scritti e il pensiero dell’autore venivano
completamente stravolti, senza che il lettore potesse accorgersene, poiché da
nessuna parte veniva dichiarata l’espurgazione, anzi la si trovava mascherata sotto
la formula «edizione diligentemente corretta». Così vennero, ad esempio,
pubblicati il Morgante di Pulci e la Vita Nuova di Dante.
Non era, quindi, raro trovare in opere come il Cortegiano di Castiglione
soppressioni e camuffamenti di porzioni di testo contenenti riferimenti a Roma o
alla Chiesa o frasi pericolose come «guardate bel becco, pare un san Paolo»
trasformate in più prudenti «guardate bel becco, pare un Dante».
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Uno dei casi più famosi, più volte soggetto a operazioni di riscrittura, fu il
Decameron di Boccaccio, espurgato inizialmente da Lodovico Dolce (1541, 1546 e
1552) e da Girolamo Ruscelli (1552,1554,1557), rivisto e corretto dal filologo
Vincenzo Borghini nel 1573 e di nuovo rassettato da Leonardo Salviati nel 1582.
Quest'ultimo stravolse completamente il testo manipolando il pensiero dell’autore
15
F. Barbierato, Libro e censure, cit., p. 134.
16
D. Pattini, P . Rambaldi, Index librorum prohibitorum, cit., pp. 25-26.
17
F. Barbierato, Libro e censure, cit., p. 102.
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