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Introduzione
Nel corso del Cinquecento, in particolare nella seconda metà del secolo, in Inghilterra si
gettarono le basi per la nascita dell’Impero britannico. Diversi furono i fattori che vi
contribuirono, a partire dalle esplorazioni nel Nuovo Mondo sino alla sconfitta
dell’Armada spagnola di Filippo II, e lo scopo di questa tesi è proprio approfondire le
varie tappe, gli elementi e gli ostacoli che l’Inghilterra dovette affrontare per raggiungere
quel ruolo di predominio ed egemonia che ricoprirà nei secoli successivi.
Nel primo capitolo verrà approfondita la figura della regina Elisabetta I, ultima sovrana
della dinastia Tudor e protagonista di questa fase, dalla sua ascesa al trono fino agli ultimi
giorni di regno, analizzandone l’operato per quanto riguarda sia la politica interna sia
estera e il modo in cui contrastò i suoi nemici, vertendo poi il discorso sulle molteplici
rappresentazioni e gli epiteti con cui i poeti dell’età elisabettiana erano soliti celebrarla.
Il secondo capitolo passa in rassegna alcuni dei più famosi viaggi che gli esploratori
inglesi realizzarono nel corso del Cinquecento, che si spinsero oltre i limiti delle
«Colonne d’Ercole», in acque e territori allora poco conosciuti o ignoti. L’espansionismo
marittimo e commerciale sono caratteristici di quest’epoca, durante la quale avverranno i
primi tentativi di insediare colonie in Nord America, che fungeranno da terreni di prova
per la colonizzazione dei secoli successivi. Uno sguardo sarà dedicato alla propaganda
inglese e alla letteratura di viaggio, diffusi tra la cultura rinascimentale inglese.
Il terzo capitolo è incentrato sulla figura di Sir Francis Drake, dapprima navigatore e
corsaro e poi comandante della Royal Navy britannica, approfondendo la sua vita, le sue
origini, i suoi viaggi più importanti, tra cui la famosa circumnavigazione del globo e lo
scontro navale con l’Invicibile Armada, e cercando di delinearne un ritratto adeguato. Si
è scelto di approfondire la figura di Drake, dato il ruolo significativo ricoperto
nell’espansionismo inglese, il continuo rapporto con la regina, seppur con alti e bassi, e
l’influenza esercitata sulla popolazione britannica, come simbolo di coscienza nazionale.
6
I. Il regno di Elisabetta I (1558-1603)
1. I timori degli inglesi e i primi anni di regno
Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, ottenne il trono d’Inghilterra nel 1558.
Di fede protestante, il suo insediamento sul trono venne visto dai sudditi inglesi come una
liberazione dal clima di terrore e inquietudine, che aveva caratterizzato il regno della
sorella, Maria I. In quanto donna dovette fare i conti con una società androcentrica che
non riteneva le donne capaci di comandare, ma ella era determinata a governare
direttamente il paese; si ricordi una delle sue più celebri frasi:
“I know I have the body but of a weak and feeble woman; but I have the heart and stomach of a
king, and a king of England too
1
.”
La prima questione che Elisabetta affrontò fu quella religiosa, che richiedeva estrema
cautela. Da una parte, l’Inghilterra era circondata dalla fede cattolica delle grandi potenze
europee, tra tutti Filippo II, che estendeva la propria influenza su un vastissimo impero,
che oltre alla Spagna e alla Fiandre comprendeva territori da poco scoperti nelle
Americhe. Dall’altra, Elisabetta, se avesse esteso la sua religione ai sudditi, avrebbe
rischiato la scomunica del papa, una ribellione interna, la guerra in Irlanda e forse un
tentativo di conquista da parte della Francia. La politica di Elisabetta fu caratterizzata da
«un’istintiva cautela», che nei momenti di crisi si alternava a periodi di silenzio, di
prevaricazione o esitazione. Ella desiderava ripristinare la supremazia regia e l’uniformità
protestante del regno di Edoardo e, dato che l’Inghilterra si trovava a camminare in un
campo minato, la regina preferì adottare una soluzione di compromesso. Nel 1559 fu
emanato l’Act of Supremacy, che nominava Elisabetta Supreme Governor della Chiesa
inglese e non Supreme Head, cosa che placava coloro che ritenevano che tale ruolo
potesse essere ricoperto solo da Cristo e che una donna non potesse governare la chiesa.
L’autorità del Prayer Book, testo che conteneva la dottrina protestante, di Edoardo VI del
1552 venne ristabilita con l’Act of Uniformity e venne esteso a tutto il clero inglese
1
“Io so di avere il corpo debole e fragile di una donna, ma ho il cuore e il fegato di un re, di un
re d’Inghilterra” Elisabetta tenne questo discorso alle truppe inglesi stanziate a Tilbury nel 1588,
che erano in attesa di scontrarsi con l’Armada spagnola.
7
l’obbligo di utilizzo del Book of Common Prayer. In questo modo, il compromesso
religioso della sovrana dava vita ad una chiesa stabile e globale, che momentaneamente
allontanava il timore di una guerra religiosa dall’Inghilterra. Tuttavia, questa sensazione
di ritrovata pace era molto precaria
2
.
L’Europa del secondo Cinquecento era teatro di scontro tra i protestanti e i cattolici. Le
guerre «si combattevano per il possesso delle anime come quello delle terre e dei tributi
3
».
Tra il 1561 e il 1562 si era tenuta l’ultima seduta del Concilio di Trento, dal quale la
Chiesa ne usciva notevolmente rafforzata, ma soprattutto compatta e determinata a
combattere il protestantesimo e ad affermare la propria autorità in campo sociale e politico
oltre che spirituale
4
. La paura nei sudditi inglesi crebbe ancor di più quando nel 1559
terminava la guerra tra la Spagna e la Francia, due delle più grandi potenze cattoliche
europee, con la pace di Cateau-Cambrésis (1559) – la stessa Inghilterra si ritrovò priva di
Calais -, che lasciava al re francese, Enrico II, campo libero per dedicarsi ad una crociata
cattolica contro le chiese calviniste in Francia e in Scozia.
Nel 1552 i protestanti scozzesi si erano riuniti nella Band of the Lords of Congregation,
un’alleanza volta alla difesa della loro fede e della sua diffusione. Questi erano pronti ad
imbracciare le armi nel caso in cui la loro fede fosse stata messa in pericolo. La Scozia
era alla stregua di una provincia francese: Maria di Guisa, di stirpe francese, infatti, alla
morte del marito Giacomo V, ne assunse la reggenza per conto della figlia Maria Stuarda,
che era stata promessa in sposa al delfino di Francia, Francesco II. Gli inglesi, dal canto
loro, temevano una conquista francese della Scozia, in quanto avrebbe significato
ritrovarsi i nemici davanti alla porta di casa. Ma la morte improvvisa di Enrico II (1559)
allontanò momentaneamente il pericolo di una crociata cattolica contro gli inglesi, mentre
in Francia si aprì la strada allo scoppio della guerra civile.
Le famiglie dei Guisa, capi dei cattolici intransigenti, dei Borbone, esponenti degli
ugonotti, e dei Montmorency-Chatillon, il cui membro di spicco era l’ammiraglio
Coligny, di fede protestante, diedero luogo ad una violenta e sanguinosa faida tra nobili,
che si combatteva per il controllo di Francesco II, da poco eletto re, e del suo «corpo
politico», la Francia. Un posto nel vacillante scacchiere europeo era occupato dai Paesi
2
S. BRIGDEN, Alle origini dell’Inghilterra Moderna. L’età dei Tudor (1485-1603), Il mulino,
2003, pp. 287-292
3
Ibid., p. 293
4
C. CAPRA, Storia Moderna. Firenze, Le MONNIER, 2007, p. 113
8
Bassi, dove la fede protestante degli olandesi era in contrasto con quella cattolica del re,
Filippo II. Oltre che a libertà religiose, gli olandesi rivendicavano diritti costituzionali. Il
governo dei Paesi Bassi era stato affidato da Filippo a sua sorella Margherita, alla quale
egli aveva affiancato il cardinale di Granvelle. Nella sua lotta all’ortodossia il cardinale
non aveva mostrato rispetto verso le tradizionali autonomie cittadine e verso le
prerogative degli Stati provinciali, rafforzando, invece, l’Inquisizione. Il malcontento dei
cittadini fu, inoltre, alimentato ancor più dalla crisi economica che colpì le principali città
e soprattutto Anversa, a causa del trasferimento del fondaco inglese e alla chiusura dei
porti nel Mar Baltico, dovuta alla guerra tra Svezia e Danimarca
5
. Per anni gli inglesi
avevano temuto la conquista dei Paesi Bassi da parte della Francia, ma ora la minaccia
era rappresentata dalla dominazione spagnola, in quanto la sicurezza e i commerci
dell’Inghilterra dipendevano fortemente da quelle delle province fiamminghe
6
.
A far più paura al governo inglese erano i nemici interni e le alleanze che avrebbero potuto
stringere con i nemici al di fuori dei confini. Da una parte, i lord gaelici in Irlanda,
cattolici, guidati da O’Neill, i quali si erano schierati con la Francia, quando questa fu in
guerra contro l’Inghilterra durante il regno di Edoardo, erano decisi a difendere la
religione dei loro padri; dall’altra Maria Stuarda, cugina di Elisabetta e regina di Scozia,
punto cardine delle cospirazioni cattoliche che tramavano di insediarla sul trono inglese
per riportare il regno sotto lo stendardo di Roma. Quest’ultimo timore era alimentato dalla
condizione virginale di Elisabetta, dal suo stato nubile e della mancata designazione di
un erede
7
.
La guerra tra Francia e Inghilterra scoppiò quando i Guisa minacciarono la religione dei
protestanti scozzesi. L’intenzione della nobile famiglia era quella di estendere l’influenza
della Francia e di Roma alla Scozia attraverso il giogo che esercitavano su di essa di Maria
Stuarda. Sentendosi minacciati, i lord protestanti scozzesi chiesero aiuto ai vicini inglesi.
Sebbene all’inizio Elisabetta fosse contraria all’idea di dover intraprendere avventure
militari e conflitti in nome della religione, decise di rispondere alla chiamata di aiuto, ma
«non accettando nessuna rivendicazione religiosa e rivoluzionaria dei lord
8
». Stretta
l’alleanza con il trattato di Berwick, nel febbraio del 1560, l’Inghilterra garantiva il suo
5
Ibid., p. 128
6
S. BRIGDEN, op.cit., p. 295
7
Ibid., pp. 296-297
8
Ibid., p. 299
9
appoggio ai protestanti scozzesi. Nel giro di pochi mesi la guerra si concluse con il trattato
di Edimburgo del 1560, che assicurò l’allontanamento delle truppe francesi dalla Scozia
e il rovesciamento della «vecchia religione» da parte dei lord. La vittoria ottenuta sembrò
aprire le porte per un’alleanza tra Scozia e Inghilterra, ma il ritorno di Maria in patria, in
seguito alla morte di Francesco II, la compromise; ella si rifiutò di ratificare il trattato. Le
speranze di pace degli inglesi «erano riposte nella prospettiva che le due regine regnassero
in pace». Molti del Consiglio di Elisabetta che sostenevano che la sicurezza della regina
e dell’Inghilterra stessa dipendesse dalla sicurezza dei protestanti europei, poiché la loro
sconfitta avrebbe significato lasciare il regno alla mercé dei nemici. Gli ugonotti, messi
alle strette, chiesero aiuto ad Elisabetta ed in cambio offrivano il porto di Le Havre come
rimpiazzo alla persa Calais; pertanto, la regina decise di rischiare ed intervenire. La
spedizione si rivelò un fallimento - le truppe inglesi nel 1563, costrette alla ritirata,
portarono con sé la peste – e ciò andò a consolidare la sfiducia della regina nelle avventure
militare oltre i confini
9
.
2. Il conflitto in Irlanda e la reclusione di Maria Stuarda
Assoggettare l’Irlanda fu un’impresa ardua e molto dispendiosa per gli inglesi.
Nonostante Elisabetta fosse regina d’Irlanda e avesse mostrato interesse a «impegnarsi a
fondo per la riforma di quella terra», non investì né uomini né grandi somme di denaro
per riformare quel «mondo […] popolato da bestie feroci». Il potere in Irlanda era
detenuto da grandi signori feudali e si basava su sistemi di alleanze, stipulate tramite
promesse di protezione o atti di intimidazione. Tramite la pratica del coyne and livery
10
i
grandi signori ricorrevano a grandi eserciti privati e a minacce di violenza per tenere in
soggezione i loro sottoposti e per assicurarsi che questi pagassero i loro affitti. I diversi
governatori inglesi che si erano succeduti in Irlanda dovettero confrontarsi con nemici
che attaccavano nell’ombra che si nascondevano in boschi e grotte, con una nobiltà ostile,
con truppe sedizione e difficili condizioni di vita. I viceré si inserivano all’interno del
sistema di alleanze, rivolgendosi ai signori locali per ottenere appoggio e trovare amici.
Tra il 1556 e il 1564, Thomas Ratcliffe, conte di Sussex, fu alto governatore d’Irlanda.
9
Ibid., pp. 298-300
10
La pratica del coyne and livery era un’usanza dell’Irlanda gaelica che consisteva in
intrattenimento gratuito, che il capoclan o il capofamiglia esigevano dai suoi sottoposti per i
suoi servitori e i suoi seguaci.
10
Egli dovette confrontarsi da una parte, con Shane O’Neill, capo gaelico di Tyrone, la cui
disobbedienza, unita alla riaffermazione della tanistry
11
, minacciavano l’ordine politico e
l’equilibrio politico in Irlanda; dall’altra con rivalità e le continue illazioni diffuse
all’interno della corte inglese dai suoi nemici, che cospiravano contro di lui, tra di loro vi
era Robert Dudley. Ratcliffe trovò appoggio nel conte di Ormond, Thomas Butler, ma
allo stesso tempo dovette vedersela contro i suoi nemici. A partire dagli anni Sessanta sul
territorio irlandese scoppiarono una serie di faide private, alimentate dalle faide interne
alla corte inglese. Mentre i governatori, incaricati di assoggettare l’Irlanda, combattevano
in territorio ostile, i loro nemici cospiravano alle loro spalle. La prima vittima fu il duca
di Sussex: Ormond, suo alleato, cadde in disgrazia e, per riportare l’ordine tra i suoi
sottoposti sediziosi, si era fatto portavoce di una politica di violenza e autorità, cosa che
lo mise in cattiva luce con la regina. Quando Shane O’Neill si consegnò ad Elisabetta nel
1562, sparì anche la sua ultima speranza di salvezza. Il successore di Sussex fu sir
Nicholas Arnold, uno dei clienti di Dudley, nel 1564, la cui avventura, però, durò ben
poco. Quando in Irlanda scoppiò la guerra feudale e i gaelici si ribellarono al dominio
inglese, fu richiamato; non fu in grado di venire a capo delle rivalità tra i vari capi clan.
Fu sostituito da sir Henry Sidney, cognato e cliente di Dudley. Sidney si prefissò
l’obbiettivo di riformare l’Irlanda, ma per realizzare il suo progetto era necessario
abbattere l’ostacolo principale, Shane O’Neill, che nel frattempo si era alleato con gli
scozzesi. Un altro ostacolo con cui Sidney dovette confrontarsi furono i nemici alla corte
inglese, che cospiravano per metterlo in cattiva luce insieme al suo protettore, Dudley.
Gli equilibri in Irlanda erano precari e la stessa Elisabetta ne era consapevole; le fazioni
e le rivalità che vi intercorrevano avevano ritardato il processo di riforma di quella terra.
Ancora una volta la più grave minaccia era rappresentata da O’Neill, che aveva ottenuto
la protezione della regina di Scozia e che era in contatto con il capo dei Desmond, vecchio
alleato di Sidney. Proprio a causa di questa alleanza tra scozzesi e irlandesi, Sidney
temeva di perdere l’Irlanda. Quando nel 1569 O’Neill venne assassinato, la tranquillità
sembrò tornare a governare in Irlanda. Nel Munster la violenza adoperata da Desmond
per controllare le sue terre aveva fatto sì che scoppiasse una sollevazione generale.
Elisabetta, dunque, ordinò l’arresto di Desmond. Durante gli anni di prigionia del
11
La Tanistry consisteva in un sistema di trasmissione di titoli, dove all’interno di una tribù il
successore del sovrano o del capoclan veniva eletto dai leader dei clan in assemblea.
11
capoclan, James Fitzmaurice Fitzgerald ne raccolse l’eredità e venne nominato capo della
fazione geraldina di Desmond. Avverso alla dominazione inglese in Irlanda, era
intenzionato a proteggere il proprio paese e le sue terre. Alla sua causa aderirono numerosi
alleati, tra cui lord gaelici che avevano voltato le spalle alla regina. Riuscì, inoltre, a
presentare la propria causa come una guerra santa, come sfida alla fede protestante per
proteggere l’integrità della religione dei padri. La ribellione nel Munster venne debellata
da sir Humphrey Gilbert, nominato colonnello della regione nel 1569, con violenza e
devastazione
12
.
Nel 1569 William Cecil scriveva un memorandum riguardo la situazione inglese,
prevedendo molti pericoli, grandi e imminenti. In Europa per i protestanti non vi era
tregua: i cattolici costituivano una grossa minaccia per la loro fede e i vari successi
ottenuti negli ultimi anni degli anni Sessanta, non fecero altro che rafforzare la loro
posizione. Filippo II, dopo essersi occupato della questione ottomana nel Mediterraneo,
guardava a nord, mentre gli ugonotti in Francia erano sul punto di essere sconfitti dalla
Corona. Nei Paesi Bassi il duca d’Alba, Fernando Alvarez de Toledo y Pimentel,
nominato governatore nel 1567, stava decimando le fila dei ribelli e degli eretici
protestanti. I protestanti inglesi auspicavano ad una grande alleanza volta alla difesa della
loro fede, in questo modo l’Inghilterra avrebbe potuto allontanare i pericoli. Tuttavia, sia
Cecil che Elisabetta erano convinti che l’appoggio avrebbe dovuto essere politico e
segreto, anche perché la regina non si sarebbe mai schierata contro altri sovrani a fianco
dei ribelli. In Scozia la posizione della regina Maria Stuarda era delicata. Il malgoverno
e il suo matrimonio con lord Henry Darnley avevano spinto gli oppositori a stringere un
patto tra nobili. Nel 1567, a seguito della morte misteriosa del marito, venne dichiarata
complice assieme al nuovo compagno, il conte di Bothwell. Maria da sempre costituì un
pericolo per Elisabetta, in quanto era la legittima erede al trono inglese, in caso di una
mancata designazione di un successore. Nel 1566, inoltre, Maria aveva partorito un erede
maschio, mentre Elisabetta ribadiva le sue intenzioni di rimanere nubile e di non avere
figli. Perdipiù, Maria mai aveva smesso di rivendicare il trono inglese. Una volta che,
caduta in disgrazia e deposta, trovò rifugio in Inghilterra, Maria divenne il cuore principali
delle cospirazioni dei nemici di Elisabetta. Ella si presentava come la «figlia prediletta
12
S. BRIGDEN, op.cit., pp. 305-311