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CAPITOLO I
L’ATTIVITÀ INVESTIGATIVA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA
SOMMARIO: 1. Le indagini autonome della polizia giudiziaria. – a) il ruolo della polizia
giudiziaria. – b) L’autonomia investigativa della polizia giudiziaria. – 2. Le indagini atipi-
che. – 3. L’ausilio delle tecnologie alle indagini. – a) I Sistemi biometrici. – b) Usi e criticità
delle F.R.T.. – d) Un primo caso giurisprudenziale: le F.R.T. superano il vaglio della High
Court of England and Wales.
1. Le indagini autonome della polizia giudiziaria.
L’attività investigativa è quella funzione espletata dagli organi inquirenti
pubblico ministero e polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari.
Ai sensi dell’art. 326 c.p.p. le indagini preliminari sono volte a reperire quegli
elementi che permettono alla pubblica accusa di operare le determinazioni
inerenti all’esercizio dell’azione penale
1
. Nell’espletamento di tale attività,
1
Il codice di rito, al fine di attuare il dettato costituzionale di cui all’art. 109, distingue tre strutture
atte allo svolgimento delle funzioni di polizia giudiziaria: sezioni, servizi e altri uffici di polizia
giudiziaria. Queste tre strutture si diversificano in base al grado di dipendenza nei confronti dell’au-
torità giudiziaria. La struttura con maggior dipendenza è, ai sensi dell’art. 5 disp. att. c.p.p., quella
delle sezioni di polizia giudiziaria. Tali organi sono costituiti presso gli uffici del pubblico ministero
di primo grado e sono composti da agenti ed ufficiali delle forze dell’ordine (così P. Tonini, Manuale
di procedura penale, Milano, 2020, p. 119). In vista dell’intensità del legame di dipendenza delle
sezioni nei confronti dell’autorità giudiziaria, l’art. 10, c. 3, disp. att. c.p.p. prevede che queste svol-
gano esclusivamente funzioni di polizia giudiziaria. In secondo luogo, vi sono i servizi di polizia
giudiziaria che sono caratterizzati da un minor grado di dipendenza nei confronti dell’autorità giu-
diziaria. I servizi, sono costituiti presso i corpi di appartenenza e sono definiti dall’art. 12 disp. att.
c.p.p. come quegli uffici e quelle unità alle quali «è affidato [..] il compito di svolgere in via priori-
taria e continuativa le funzioni indicate nell'articolo 55» del codice di rito (ossia le funzioni di polizia
giudiziaria). Il minor grado di dipendenza si concretizza nel fatto che il pubblico ministero che dirige
le indagini preliminari, non incarica direttamente un ufficiale di polizia giudiziaria (così come ac-
cade per le sezioni) ma impersonalmente all’ufficio. Infine, l’art. 59, c. 3, c.p.p. dispone, attraverso
il ricorso ad una definizione in negativo di cui all’art. 57, c. 3, c.p.p., che tutti gli organi di polizia
giudiziaria che non appartengono alle sezioni o ai servizi, sono comunque tenuti ad eseguire i com-
piti ad essi affidati dall’autorità giudiziaria. Il differente grado di dipendenza nei confronti dell’au-
torità giudiziaria viene accentuato anche dall’esistenza, o meno, del potere del pubblico ministero
di incidere sulla carriera, la mobilità e le promozioni degli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria,
ex art. 59, c. 3, c.p.p. e artt., 10, c. 2; 14 e 15 disp. att. c.p.p. (v. P. TONINI, Manuale di procedura
penale, cit., pp. 119- 121).
6
il pubblico ministero, ai sensi dell’art. 327 c.p.p., oltre a dirigere le indagini,
dispone direttamente della polizia giudiziaria dando così attuazione al dettato
cristallizzato nell’art. 109 della Costituzione
2
.
a) Il ruolo della polizia giudiziaria.
Le funzioni di polizia si possono racchiudere in tre macrocategorie: di po-
lizia amministrativa, diretta a vigilare e controllare soggetti nei casi in cui
non vi sia la lesione o la messa in pericolo di beni o interessi attinenti all’or-
dine e la sicurezza pubblica
3
; di polizia di sicurezza, con riguardo alla pre-
venzione del compimento di reati; infine, di polizia giudiziaria con riferi-
mento alle funzioni post delictum cioè di repressione del reato
4
.
L’art. 55, c. 1 e 2, c.p.p., individua puntualmente i compiti attribuiti alla
polizia giudiziaria dal codificatore del 1988, il quale non ha fatto altro che
riproporre l’art. 219 del previgente codice di rito del 1930, modernizzandolo
così da permetterne l’adattamento alle peculiarità tipiche di un sistema pro-
cedimentale di tipo accusatorio
5
.
All’interno della funzione di polizia giudiziaria, si riconducono varie atti-
vità: di informazione, investigativa, di assicurazione e di natura preventiva.
L’attività d’informazione consiste nell’acquisire e comunicare la notitia
criminis al pubblico ministero, impedendo, mediante la previsione di termini
rigorosi, che la polizia giudiziaria prolunghi arbitrariamente l’attività di in-
dagine.
2
P. TONINI, Manuale di procedura penale, cit., p. 504.
3
G. CASACCIA, sub art. 55 c.p.p., cit., p. 747.
4
A. SCAGLIONE, L’attività ad iniziativa della polizia giudiziaria, Torino, 2000, p. 15. Sul punto
anche A.A. DALIA – M. FERRAIOLI, Manuale di diritto processuale penale, Padova, 2000, III
ed., p. 406.
5
A. SCAGLIONE, L’attività ad iniziativa della polizia giudiziaria, cit., p.15: l’autore usa come
esemplificazione per dimostrare la modernizzazione dell’art. 55 c.p.p. rispetto all’art. 219 del codice
del 1930, il fatto che il primo si riferisca all’assicurazione delle fonti di prova e non più, come il suo
precedente, alle prove, ribadendo il concetto tale per cui la prova si forma solo in dibattimento e non
al di fuori di esso. Si veda anche G. SPANGHER – G.P. VOENA, Libro I: Soggetti, in Profili del
nuovo codice di procedura penale, G. CONSO – V. GREVI, Padova, 1993, III ed., p. 56.
7
L’attività di investigazione, invece, è diretta alla ricerca degli autori di
reato e delle fonti di prova. Nello svolgere tale funzione, la polizia giudiziaria
può compiere sia atti tipici che atipici, a seconda che questi siano previsti dal
legislatore o meno. Nel caso degli atti atipici, questi possono essere espletati
solo rispettando i divieti espressamente previsti dal legislatore ovvero senza
travalicare i limiti connessi alla natura delle funzioni esercitate
6
.
Collegata all’attività di investigazione vi è quella di assicurazione, ossia
quella funzione volta ad assicurare la disponibilità di cose o persone per esi-
genze squisitamente procedimentali. Si può evidenziare la connessione tra le
due attività in oggetto poiché sono entrambe previste dal legislatore che fa
riferimento all’«assicurare le fonti di prova», potendo queste interessare sia
l’attività istruttoria che quella procedimentale
7
.
Infine, vi è una attività c.d. preventiva, volta ad impedire sia la consuma-
zione del reato sia le ulteriori conseguenze dello stesso. Nello svolgere tale
funzione, la polizia giudiziaria si deve limitare a porre in essere tutti quegli
atti previsti e tipizzati dall’ordinamento, di contro si produrrebbe uno svia-
mento delle regole codicistiche tale da comportare l’emanazione di provve-
dimenti abnormi.
b) L’autonomia investigativa della polizia giudiziaria.
L’art. 327 c.p.p. stabilisce un rapporto di subordinazione tra i due organi
inquirenti. Tuttavia, il codice opera una distinzione tra «attività a iniziativa
del pubblico ministero» e «attività a iniziativa della polizia giudiziaria». Que-
sta suddivisione non è indice, in alcun modo, della volontà del legislatore
penale di creare una fase autonoma attribuita alla polizia giudiziaria ed una
attribuita al pubblico ministero, ma vuole solo evidenziare la differente
6
G. CASACCIA, sub art. 55 c.p.p., A. GIARDA – G. SPANGHER (a cura di), in Codice di proce-
dura penale commentato, Tomo I, Milano, 2017, p. 749.
7
A. SCAGLIONE, L’attività ad iniziativa della polizia giudiziaria, cit., p. 17.
8
regolamentazione delle due tipologie di atti sotto vari aspetti, come i poteri
coercitivi su cose e persone nonché la tutela del diritto di difesa.
Un primo indice di autonomia dell’attività di polizia giudiziaria, prima
dell’intervento del pubblico ministero, lo si può carpire già dall’art. 55 c. 1
c.p.p. che prevede una serie di attività «svolte di propria iniziativa».
L’art. 348 c.p.p. individua un margine di autonomia della polizia giudizia-
ria nella quale viene distinto se il pubblico ministero abbia assunto o meno
la direzione delle indagini
8
.
La norma in esame, al c.1, nella sua formulazione originaria fissava come
regola per l’autonomia investigativa della polizia giudiziaria il «fino a
quando il pubblico ministero non avesse impartito le direttive per le indagini,
la polizia giudiziaria avrebbe dovuto raccogliere ogni elemento utile alla ri-
costruzione del fatto ed alla individuazione del colpevole». Proprio l’impiego
del termine «fino a quando», a causa della sua genericità, aveva portato ad
una divisione dottrinale in due fazioni
9
.
Un primo filone reputava che la comunicazione della notizia criminis co-
stituisse il momento di cesura tra l’attività di indagine autonoma e l’attività
d’indagine guidata dal pubblico ministero; tesi corroborata dall’esigenza che
l’attività di polizia giudiziaria non si affrancasse per troppo tempo dal con-
trollo del pubblico ministero.
Un secondo orientamento, invece, dichiarava il contrario, cioè che la po-
lizia giudiziaria avrebbe potuto svolgere qualsiasi attività di indagine anche
nel lasso di tempo intercorrente tra la comunicazione della notizia di reato e
le direttive impartite dal pubblico ministero.
Con l’intervento del d.l. n 306/1992 è stato il legislatore a fornire una so-
luzione a questo dibattito, inserendo nei c. 1 e 3 dell’art. 348 il termine
8
E. APRILE – P. SILVESTRI, Le indagini preliminari e l’archiviazione, Milano, 2011 p. 178.
9
P. P. PAULESU, sub art. 348 c.p.p., A. GIARDA – G. SPANGHER (a cura di), in Codice di
procedura penale commentato, Tomo II, Milano, 2017, p. 394.
9
«anche»
10
ed indicando, quindi, come la polizia giudiziaria potesse compiere
attività di indagine in autonomia perfino nel momento intercorrente tra la co-
municazione della notizia di reato e l’assunzione della direzione delle inda-
gini da parte del pubblico ministero. Tuttavia, l’impiego del termine di cui
sopra aveva suscitato non poche perplessità: si riteneva che l’estensore pe-
nale avesse voluto porre l’accento sulla centralità dell’attività di indagine
della polizia giudiziaria a discapito di quella del pubblico ministero. Tale
opinione è stata smentita dalla stessa dottrina quando ha compreso come la
previsione di attività di indagini parallele della polizia giudiziaria non era
volta a giustificare lo svolgimento, da parte di quest’ultima, di attività con-
trarie alle direttive fornite dal pubblico ministero
11
. Infine, ad eliminare ogni
dubbio relativamente alla possibilità della polizia giudiziaria di operare atti-
vità d’indagine autonoma dopo l’impartizione delle direttive da parte del
pubblico ministero, è intervenuto la l. 26.3.2001 nota anche come «Pacchetto
sicurezza». Gli art. 7 e 8 della l. 128/2001 hanno modificato rispettivamente
gli articoli 327 e 348 c.3 c.p.p. in modo da stabilire esplicitamente come la
polizia giudiziaria possa continuare a svolgere detta attività autonomamente,
anche dopo l’assunzione della direzione delle indagini da parte del pubblico
ministero, a patto che quest’ultimo sia prontamente informato e che gli atti
investigativi della polizia giudiziaria non siano contrari alle sue direttive
12
.
Il codice individua implicitamente due forme di attività connotata dall’au-
tonomia: l’attività autonoma stricto sensu e l’attività parallela. La prima si
ha nel lasso di tempo intercorrente tra la comunicazione della notitia criminis
e l’intervento del pubblico ministero. La seconda, invece, consiste in
quell’autonomia investigativa strategica e strumentale della polizia, la quale
10
Art. 348, c. 1 e 3, c.p.p., «Assicurazione delle fonti di prova», così come modificato dal d.l.
n.306/1992.
11
P. P. PAULESU, sub art. 348 c.p.p., A. GIARDA – G. SPANGHER (a cura di), in Codice di
procedura penale commentato, cit., p. 394.
12
Art. 348, c. 1 e 3, c.p.p., «Assicurazione delle fonti di prova», così come modificato dal d.l.
n.306/1992.
10
si rende necessaria a causa delle risultanze emerse durante l’attuazione delle
direttive del pubblico ministero
13
.
2. Le indagini atipiche.
All’interno dell’attività ad iniziativa della polizia giudiziaria, così come
individuata dall’ordito dell’art. 348 c.p.p., possiamo identificarne due tipolo-
gie distinte: una libera nelle forme e nelle modalità di svolgimento, in quanto
non disciplinata dalla legge (art. 348 c. 2, lett. a e b, c.p.p.); l’altra caratteriz-
zata dal compimento di atti rigidamente tipizzati dal codice di procedura pe-
nale (art. 348 c. 2, lett. c, c.p.p.)
14
. Il punto di discrimine tra le predette attività
è la presenza ovvero la mancanza di una disciplina codicistica che stabilisca
le modalità per il loro espletamento o che comunque ne indichi i limiti
15
.
Le prassi investigative a forma libera possono essere così suddivise: inda-
gini atipiche in senso stretto, costituenti una categoria aperta che racchiude
un’indefinita serie di attività investigative il cui an e quomodo non è in alcun
modo tipizzato dal legislatore; una seconda tipologia individuata dall’art. 354
c.p.p., il quale fa riferimento ai c.d. rilievi ed accertamenti urgenti e prende
il nome di indagini relativamente atipiche. Nonostante i rilievi ed
13
P. P. PAULESU, sub art. 348 c.p.p., cit., p 397.
14
A. SCAGLIONE, L’attività ad iniziativa della polizia giudiziaria, cit., p. 69; A p. 73, l’autore
evidenzia la differente documentazione dell’attività espletata. Nello specifico sottolinea come nel
caso in cui il pubblico ministero non abbia assunto ancora la direzione delle indagini, la descrizione
dell’attività dovrà essere redatta sotto forma di verbale ai sensi dell’art. 357 c.2, lett. f, c.p.p.. Nel
caso in cui, invece, il pubblico ministero abbia già assunto la direzione delle indagini, la forma
prevista dal codice di rito all’art. 357 c. 1 e dalla disp. att. c.p.p. all’art. 115 c. 1 è quella della
annotazione «secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini».
15
P. FELICIONI, Ispezioni e perquisizioni, Milano, 2012, pp. 307-308. L’autrice individua l’esi-
stenza sia di limiti espliciti (quindi creati ad hoc per tutti quegli atti positivizzati in una norma) sia
impliciti (valevoli per gli atti tipici ed atipici) che permette di impedire che l’attività di polizia giu-
diziaria, connotata dal carattere di ausiliaretà rispetto a quella del pubblico ministero, incida in modo
irreparabile sulle strategie processuali della pubblica accusa. Inoltre, si veda anche G.
TRANCHINA, Le attività della polizia giudiziaria nel procedimento per le indagini preliminari, in
G. DI CHIARA – A. GALATI – V. PATANÈ – D. SIRACUSANO – F. SIRACUSANO – G.
TRACHINA – E. ZAPPALÀ, Diritto processuale penale, Milano, 2018, pp. 466-468; E. APRILE
– P. SILVESTRI, Le indagini preliminari e l’archiviazione, cit., p. 218.
11
accertamenti urgenti siano previsti dal codificatore penale, la normativa in-
dividua solo i soggetti e le condizioni del potere e non anche i limiti e le
modalità di intervento di detta attività
16
. Il terzo genere di attività a forma
libera prende il nome di indagini atipiche in senso lato. Le stesse sono carat-
terizzate dalla necessità di un intervento specialistico e dal tentativo di una
tipizzazione da parte del legislatore penale; un tentativo che spesso si è con-
cluso con l’individuazione di una scarna descrizione ovvero di una mera no-
menclatura attribuita all’atto di indagine.
Orbene, se da un lato le indagini atipiche si caratterizzano per il contenuto
negativo, da un altro lato si contraddistinguono anche per un contenuto posi-
tivo. Si pensi alle prassi investigative atipiche in quanto atti aventi un conte-
nuto tecnico-scientifico volto non ad ampliare le capacità percettive degli
operatori – c.d. sense-enhancing technology - bensì ad attribuire a quest’ul-
timi delle facoltà estranee alla natura umana – c.d. sense-replacing techno-
logy –
17
. Il carattere tecnologico dei suddetti atti da solo non è idoneo a defi-
nire il contenuto dell’attività a forma libera della polizia giudiziaria, perché
a fondare la loro particolarità concorre anche la rilevanza probatoria. In tal
senso, gli atti di investigazione atipici devono essere in grado di fornire dati
o informazioni utili all’immediata prosecuzione delle indagini, salvo che
questi non risultino essere irripetibili. Infatti, rispetto a tali atti il legislatore
disciplina le modalità di acquisizione così da permettere all’atto stesso di
confluire nel fascicolo del dibattimento. Quest’ultimo punto, tuttavia, pone
in evidenza come, a causa dell’abuso della tecnologia nella fase preproces-
suale, si sia determinato uno spostamento del baricentro del processo dal di-
battimento alle indagini preliminari, comportando non poche problematiche
circa la salvaguardia dei diritti e delle libertà dell’indagato
18
.
16
A. SCALFATI, Premessa, in Le indagini atipiche, Torino, 2014, I ed., pp. XV-XVI.
17
G. DI PAOLO, Tecnologie del controllo e prova penale. L’esperienza statunitense e spunti per la
comparazione, Padova, 2008, p.18.
18
S. MARCOLINI, Le indagini atipiche a contenuto tecnologico nel processo penale: una proposta,
in Cass. pen., 2015, 2, p. 8.
12
Proprio per il fatto che le attività d’indagine atipiche comprimono ineso-
rabilmente i diritti e le libertà dell’indagato, ci si è interrogati sulla legittimità
o meno dello svolgimento di suddetti atti.
La dottrina maggioritaria si è polarizzata intorno a due possibili soluzioni
della vexata quaestio. Un primo orientamento fonda la propria teoria sul con-
tenuto della Relazione al Progetto preliminare del c.p.p., dove si apprende
che nel disegno del codice di rito, attualmente in vigore, per le indagini val-
gono due principi: l’informalità e l’atipicità degli atti investigativi così da
ottemperare all’esigenze di fluidità e agilità necessarie al corretto espleta-
mento della fase delle indagini preliminari.
Tuttavia, questa interpretazione non tiene conto del fatto che alcuni atti a
forma libera, soprattutto quelli a contenuto tecnologico-scientifico, possono
avere valenza anche nella fase dibattimentale e non solo ai fini dell’emana-
zione di provvedimenti endoprocedimentali come possono essere quelli ine-
renti all’irrogazione di misure cautelari ovvero ai fini delle determinazioni
inerenti all’esercizio dell’azione penale
19
. Se si dovesse ritenere corretta que-
sta esegesi, si permetterebbe l’ingerenza nelle libertà che la Carta costituzio-
nale ed il diritto comunitario prevedono come fondamentali ed inviolabili.
Tale intromissione sarebbe compiuta non solo ad opera dell’autorità giudi-
ziaria ma anche da parte del pubblico ministero e della polizia giudiziaria per
qualsiasi reato, anche il più bagattellare, e per un lasso di tempo potenzial-
mente indefinito.
Una seconda risposta fornita da quella fazione dottrinale e giurispruden-
ziale conscia dello scenario apocalittico che comporta la prima soluzione, si
fonda sull’estensione analogica dell’art. 189 c.p.p. ai mezzi di ricerca della
prova atipici e alle indagini atipiche
20
. Nonostante tale soluzione possa sem-
brare di primo acchito più garantista, questa illusione viene meno quando si
19
M. NOBILI, Diritti per la fase che “non conta e non pesa”, in Id., Scenari e trasformazioni del
processo penale, Padova 1998, p. 35 ss.; Si veda anche Relazione al Progetto preliminare del codice
di procedura penale, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1988, p. 191-198.
20
In tal senso Cass., Sez. un., 26 giugno 2014, 32697, in C.E.D. Cass., n. 259777.
13
comprende che lo slittamento del controllo giudiziale in una fase ex post
comporta la possibilità, per gli organi inquirenti, di compiere atti illegittimi
e di utilizzarne i risultati per un considerevole periodo di tempo prima che
siano caducati da una declaratoria di inutilizzabilità a seguito del controllo
operato dal giudice decidente
21
.
Infine, nel tentativo di risolvere la questione de qua, sono intervenute an-
che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che attraverso la decisione del
caso «Prisco»
22
ha provato a delineare una terza possibile soluzione. La Corte
nella sua massima autorevolezza ha indicato, mediante l’elaborazione
dell’inedita categoria dei «luoghi riservati», come sia possibile prevedere per
uno stesso atto di indagine forme di protezione differenziate. La decisione in
oggetto è connotata da una forte volontà compromissoria, volta a permettere
l’espletamento degli atti di indagine atipici previa autorizzazione motivata da
parte del magistrato.
In realtà la sentenza «Prisco» risulta essere carente di logicità poiché non
si comprende, in assenza del rispetto della riserva di legge, quale norma o
principio possa disporre la necessità di rispettare la riserva di autorizzazione
motivata dall’autorità giudiziaria. La soluzione che appare essere costituzio-
nalmente più legittima è quella connessa al rispetto della riserva di legge.
Difatti solo la legge potrebbe operare quel bilanciamento tra interessi con-
trapposti che si trovano in una situazione conflittuale nel caso di svolgimento
di atti di indagini atipici, prevedendo i reati per i quali quella modalità inve-
stigativa è possibile e la predeterminazione dei soggetti legittimati ad effet-
tuarla, indicando i regimi sanzionatori che colpiscono l’atto di indagine in
caso di inosservanza delle regole
23
.
21
O. MAZZA, I diritti fondamentali dell’individuo come limite della prova nella fase di ricerca e
in sede di assunzione, in Diritto pen. cont., 2013, 3, p. 8.
22
Cass., Sez. un., 28 marzo 2006, Prisco, in Dir. proc. pen., 2006, p. 1347.
23
S. MARCOLINI, Le indagini atipiche a contenuto tecnologico nel processo penale: una proposta,
cit., p. 16. Di contro altra parte della dottrina e della giurisprudenza risultano essere refrattari
nell’adottare la soluzione proposta dall’autore poiché questa comporterebbe l’inutilizzabilità degli
atti di indagine a forma libera in quanto costituzionalmente illegittimi.