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1.2 I GAME STUDIES
Considerati alcuni apporti significativi sul tema del gioco nel capitolo
precedente, un breve cenno ai Game Studies, una disciplina che ha avuto un
forte impulso negli ultimi vent'anni in concomitanza con la diffusione dei
videogiochi.
Nel marzo del 2001 all’ IT University di Copenaghen si tiene la conferenza
C omput e r Game and Di gi t al St udi e s che costituisce il prologo alla creazione
di un campo di ricerca tra i più trasversali. Soltanto quattro mesi dopo, nel
luglio dello stesso anno, viene pubblicata per la prima volta la rivista no-
profit “Game studies” in cui si sottolinea l'esigenza di dare vita a un ambito
di indagine specifico relativo al computer game. Alla pubblicazione del
primo numero della rivista si fa risalire l'esordio dei Game Studies stessi.
A dare un'impronta diversa agli studi sul gioco, come sottolineano Maresa
Bertolo e Ilaria Mariani nel libro Game De si gn, sono state le ricerche degli
antropologi Johan Huizinga e Roger Caillos, di cui abbiamo già trattato che
hanno esaminato il gioco in senso ampio. Le loro analisi, insieme alle
numerose pubblicazioni dedicate allo studio del gioco degli anni Ottanta,
fanno da apripista ai Game Studies, disciplina scientifica in continua
evoluzione.
Bartolo e Mariani mettono in evidenza una definizione dell'attività ludica di
Bernard Suits che identificano come riferimento fondamentale per questi
studi: “Giocare a un gioco è lo sforzo volontario di superare ostacoli non
necessari”.
Nell'ambito di questa disciplina, esistono due schieramenti in qualche modo
contrapposti: i ludologi e i narratologi.
Per i primi la narrazione distrugge l'interazione che rappresenta la
caratteristica peculiare dei videogiochi, elemento fondamentale
dell'esperienza ludica digitale.
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L'interattività è infatti intesa come la capacità del giocatore di modificare la
propria esperienza ed è ciò che rende questo media unico rispetto a tutti gli
altri mezzi di espressione. Essa apre la strada all’interattività poichè permette
all'utente di giocare nuovamente per intraprendere strade differenti,
modificare strategie, scoprire dettagli non considerati, migliorare i propri
risultati e, complessivamente, acquisire capacità diverse.
I narratologi prediligono gli aspetti legati alla narrazione. Alcuni videogiochi
recenti limitano però l'interazione e la giocabilità a vantaggio della
simulazione.Essi,attingendoalletecnichedelcinemae,grazieall'evoluzione
tecnologica, presentano scenografie spettacolari con grande realismo nei
personaggi e negli sfondi ricchi di particolari. Tutto ciò si ottiene attraverso
le cut-scene, sequenze animate non interattive che sospendono il gioco; esse
hanno una duplice funzione: esplicativa (introducono dialoghi fra i
personaggi, prefigurano altri eventi, inseriscono dettagli nuovi…) e di
gratificazione nei confronti del giocatore.
Insieme al Game design, al ruolo dei videogiochi nella società, alla loro
influenza sulle persone e sulle culture, al legame con l'arte, l'interazione
gioco-giocatore è uno degli aspetti indagati da questa recente branca del
sapere.
Un breve cenno a colui che fruisce dell'artefatto ludico, il giocatore, le cui
aspettative sono tenute in considerazione per la progettazione e la riuscita di
un gioco.
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In Game De si gn viene presentata la tassonomia di Richard Bartle, studioso
e game designer, che descrive quattro archetipi di giocatore sintetizzati nella
figura qui di seguito riportata.
Tassonomia dei giocatori di Bartle
Killer (uccisore): sono così definiti sia i giocatori che attaccano per il piacere
diucciderechequellichesiimpongonosuglialtri;l'esplorazioneèfinalizzata
ad individuare modi di uccidere mentre la socializzazione è importante
soltanto per procacciare nuove vittime.
Achiever (collezionista, raccoglitore): il loro principale interesse è agire
all'interno del mondo finzionale; l'esplorazione e la socializzazione
diventano strumenti fondamentali per avanzare nel gioco.
Socializer (socializzatore): questi giocatori mettono in secondo piano sia il
sistema di gioco che il mondo finzionale perchè i loro principali interessi
sono la relazione, il dialogo e l'interazione.
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Explorer (esploratore): sono interessati essenzialmente ad esplorare il mondo
di gioco, i suoi meccanismi interni, i luoghi e persino gli eventuali bachi di
sistema; la socializzazione è essenzialmente una fonte di informazioni e
l'accumulo di punti è importante soprattutto al fine di passare ad una nuova
fase esplorativa.
Nel porre l'accento sull’azione ludica, i Game Studies riprendono il concetto
di c e rc hi o magi c o come spazio e momento separato in cui il giocatore sceglie
spontaneamente di entrare e in cui si sperimentano nello stesso tempo regole
e libertà.
Il confine del cerchio magico è comunque labile poiché vi è uno scambio
costante tra realtà ludica e realtà quotidiana. Il modo di essere del soggetto
che gioca e che inevitabilmente appartiene ad una realtà socio-culturale,
infatti, contagia continuamente il gioco stesso.
Il cerchio magico quale cornice di appartenenza che può consentire una comunicazione reciproca
tra il contesto della realtà e quello del gioco
Figura tratta da Game design, Bertolo, Mariani
Gli studiosi di questa disciplina hanno svincolato il tema dei videogiochi dai
tanti pregiudizi dovuti anche a una frammentaria conoscenza degli argomenti
e a riflessioni talvolta del tutto teoriche. Si tratta infatti di giovani
appartenenti a una generazione cresciuta giocando ai videogiochi e pertanto
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formatasi sul campo che può vantare esperienze e conoscenze precise e
dirette.
Una necessità sentita nell'ambito di studi così recenti, è quella di costituire
un vocabolario condiviso, un preciso dizionario contenente le parole più
significative e tecniche riferibili alla disciplina.
A proposito di parole, è interessante l'analisi fatta da Bertolo e Mariani,
relativa all'ambiguità del termine italiano gioco, ambiguità che viene chiarita
dalle parole pl ay e game cui si è accennato nelle pagine precedenti.
La prima definisce il gioco come attività, come atto del giocare. Le autrici in
proposito fanno nuovamente riferimento a Suits che identifica tre precisi
elementi del gioco così inteso:
- l'obiettivo ludico determinato dallo scopo da raggiungere;
- le regole costituite che definiscono ciò che si può fare e non si può fare nel
corso del gioco;
- l'atteggiamento ludico rappresentato dalla volontà di giocare, di impegnarsi
all’ interno delle regole del gioco.
La parola game, invece, si riferisce al gioco come artefatto che le autrici
riconducono alle caratteristiche sintetizzate da Crawford in termini di:
- rappresentazione, poiché il gioco è un sistema formale che riproduce aspetti
del mondo reale;
- interazione, poiché giocatori e gioco interagiscono continuamente;
- conflitto, poiché è proprio dall'interazione che esso deriva;
- sicurezza, determinata dal fatto che il pericolo derivante da un conflitto nel
mondo reale, nell'attività ludica scompare del tutto permettendo al giocatore
di rischiare e di fare errori.
Nel testo già citato, viene proposta ancora la definizione di gioco, inteso
come sistema composto da oggetti, caratterizzato da attributi, dotato di
relazioni interne e di relazioni con l'ambiente.
Il settore dei Game Studies che si occupa dei giochi progettati per incentivare
l’apprendimento, rivolge la sua attenzione anche ai P e rsuasi v e game che
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promuovono esperienze di cittadinanza responsabile.
Le autrici di G ame De si gn presentano alcune schede esemplificative in
proposito; si tratta di proposte molto interessanti. Fra esse citiamo N e i mi e i
panni realizzato nel 2013 dall’UNAR (Ufficio Nazionale
Antidiscriminazioni Razziali). Lo strumento ludico, scelto per le possibilità
di identificazione che permette, induce i suoi fruitori a mettersi nei panni di
un immigrato alle prese coi pregiudizi, le difficoltà linguistiche ed
economiche, i problemi del lavoro e le esigenze della famiglia rimasta in
patria. Essi devono operare le proprie scelte in base ad un piccolo budget. Le
storie sono basate su elementi e statistiche reali e il progetto è stato attuato
con la collaborazione della trasmissione Caterpillar di Rai Radio 2 e
realizzato nell’ambito della campagna di sensibilizzazione contro il
razzismo.
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1.3 IL GIOCO COME MANIFESTAZIONE DELLA MENTE
SIMULATIVA
Gli apporti e le teorie del gioco esaminati nel capitolo precedente, hanno
messo in rilievo come lo sviluppo mentale del bambino sia essenzialmente
legato all'interazione con l’ambiente.
Il gioco non è appannaggio esclusivo dell'uomo ma è prerogativa di molte
specie animali ma mentre i giochi degli animali sono “immaginativi”, quelli
degli esseri umani sono “simbolici” e fanno pertanto riferimento alla mente
simulativa come precisano Anolli e Mantovani al cui lavoro ci ricolleghiamo
in questo paragrafo.
A partire dalle manifestazioni ludiche del primo periodo di vita, il bambino
dapprima nell'ambito del rapporto con la madre, quindi in base alla relazione
adulto-bambino-oggetto,
si destreggia in giochi sempre più complessi. Tra i 18 e i 24 mesi, egli inizia
a mantenere come costanti due strutture di significato, una referenziale-reale
e una ludica- simbolica per cui sa utilizzare un evento o un oggetto come se
fosse un’ altra cosa. Compare così il gioco simbolico che è una delle prime
manifestazioni della mente simulativa la quale procede in parallelo con la
mente ludica; ad entrambe si devono i progressi sul piano delle conoscenze
e delle loro applicazioni, del linguaggio, dell'affettività, dello sviluppo della
socialità e della creatività.
Attorno ai 3 anni il bambino è in grado di rappresentarsi gli stati mentali dei
suoi simili che egli vive anche come soggetti dotati di modi di pensare e di
agire, di credenze, di intenzioni, di desideri... Ha ormai formulato dentro di
sé una spiegazione degli stati mentali degli altri partendo dal comportamento
manifesto di chi entra in relazione con lui. Gli psicologi definiscono questa
capacità come t e ori a de l l a me nt e al t rui (TOM). Essa si basa sulla facoltà di
riuscire a provare lo stesso stato d'animo emotivo dell'altro ed è determinante
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nella costruzione della mente simulativa.
La simulazione ha una lunga storia ed è stata utilizzata in passato in molti
ambiti, basta pensare alle simulazioni delle battaglie nell'epoca romana, alle
macchine volanti di Leonardo e, nella nostra epoca, alla galleria del vento, al
simulatore di volo e a SHIVA in grado di simulare un terremoto.
La simulazione risponde al bisogno dell'uomo di capire ciò che accade
dandosi spiegazioni circa processi e fenomeni che percepisce nell'ambiente
che lo circonda.
Vi sono diversi metodi per giungere a una spiegazione soddisfacente: i
principali sono la sperimentazione e, appunto, la simulazione.
Il metodo sperimentale richiede un’accurata scelta degli strumenti di
osservazione e di misurazione, un preciso esame delle variabili nonché un
controllo costante e rigoroso sulle operazioni condotte per verificare le
ipotesi teoriche; spesso è necessario che gli esperimenti siano condotti in
laboratorio il cui contesto, per avere validità ecologica, deve essere
rappresentativo di quello reale. Per la sua complessità la sperimentazione ha
dei limiti.
Il secondo percorso praticabile è rappresentato dalla simulazione, “mappa in
partefedeledellarealtà”,checonsistenella“riproduzionedieventiattraverso
l'elaborazione di appositi modelli”. Essa non costituisce una fotocopia del
mondo reale, bensì una riproduzione attendibile di esso che tiene conto di
eventuali ipotetici cambiamenti.
Per meglio capire la simulazione, è bene cercare di comprendere la mente
umana seguendo nuovamente le indicazioni di Anolli e Mantovani rispetto
a due precise ipotesi sul suo funzionamento: la prospettiva computazionale
di Fodor, condivisa dalla psicologia evoluzionistica, e la più recente
prospettiva della mente situata.
La prima prende in esame la mente come sistema chiuso, organizzato in
moduli concepiti come strutture specializzate in grado di elaborare aspetti
settoriali della realtà con modalità fisse. Tali moduli sono innati e ognuno di