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CAPITOLO 2
2. LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA DISABILITA’
2.1. L’adattamento familiare
La disabilità è una condizione che investe tutto il nucleo familiare, spostando
l’equilibrio e ridefinendo le priorità in base al famigliare a cui bisogna somministrare cure e
attenzioni. La famiglia con disabilità si trova ad affrontare delle problematiche aggiuntive:
la mancanza di tempo libero, la cura pratica del figlio, l’attenzione particolare alla salute del
figlio, uno stato di solitudine, la funzione educativa, il rapporto con i servizi, il reperimento
delle informazioni e, dal punto di vista soprattutto emotivo, le paure e il desiderio di cura e
di protezione dei figli. La nascita di un figlio comporta sempre un cambiamento nella vita
dei genitori e un elevato livello di stress e stanchezza che sono determinati dalla necessità di
fornire cure continue al neonato. La gioia e la soddisfazione nel crescere il bambino
compensano però la fatica e gli sforzi dei genitori. Quando nasce un bambino disabile manca
questo naturale appagamento perché, spesso, le soddisfazioni sono minori delle
preoccupazioni. La percezione dello stress e le sue risposte sono molto diverse in relazione
a numerosi fattori personali, ambientali e del contesto intra-familiare; ne consegue, quindi,
una diversa risposta emotiva rispetto a uno stesso esito di disabilità. Alcuni considerano
indispensabile per un buon adattamento che la famiglia attraversi e superi una serie di fasi,
molto simili a quelle evidenziate di fronte alla perdita di una persona cara, dalla fase iniziale
di shock e negazione, alla successiva segnata dall’ ambivalenza e dal senso di colpa, alla fase
finale di accettazione e riorganizzazione (Zanobini, Manetti, & Usai, 2013). Questa
riflessione è nata dall’idea che il trauma emotivo provocato dalla nascita del bambino disabile
sia fonte di ansie, preoccupazioni e sensi di colpa che non si riscontrerebbero con un neonato
normale. Di fronte a questo trauma si pensa che i genitori attivino meccanismi di difesa, come
la negazione dell’evento, che porterebbero a non riconoscere la disabilità e a non accettare la
diagnosi. Al contrario, spesso, il rifiuto del bambino viene invece nascosto dall’eccessivo
coinvolgimento di tutta la vita famigliare, con atteggiamenti di iper-protezione che portano
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solo ad un rallentamento nello sviluppo del bambino stesso. La nascita di un bambino con
una disabilità è un trauma che influisce sulla percezione del corso del tempo. Il futuro diventa
emotivamente angoscioso. Il passato e la gravidanza: sono dolorosi da ricordare. “I genitori
sono prigionieri di un presente che non ha mai fine. Le fantasie sul futuro del vostro bambino
non sono come le fotografie, sottili fette di tempo: sono più simili a una linea temporale in
movimento fatta di desideri, paure e fantasie sotto forma di piccole storie aperte al futuro.
Quando, come mamma, siete rinchiuse nel presente, senza poter immaginare il futuro né
ricordare il passato, venite deprivate dell’intero arco del processo immaginativo. Vi è
preclusa la possibilità di elaborare delle storie sul vostro bambino o sulla vostra maternità,
siete così escluse dallo spazio mentale riservato alla progettazione e alla creatività. Tutto ciò
viene dentro di voi, mentre nel mondo della realtà fisica vi affannate per accettare e gestire
una situazione che mette alla prova tutte le vostre capacità d’amore, di pazienza e di
recupero” (Bruschweiler & Stern,1999, pag. 169). L’autore Palacio Espansa (2016) sostiene
la genitorialità sia caratterizzata da “lutti evolutivi”. L’elaborazione dei lutti infantili a cui il
genitore deve far fronte, comprende la perdita di oggetti realmente persi, come membri della
famiglia; e di oggetti idealizzati, come le rappresentazioni genitoriali a cui non riesce a
rinunciare. Per vivere la genitorialità in maniera costruttiva questi lutti devono venire
elaborati e poi accettati, altrimenti i sentimenti di perdita si presenteranno nella relazione con
il proprio figlio innescando una dinamica che servirà a compensare o nascondere la perdita
non accettata (Nanzer & Palacio Espansa, 2016
17
). Questa elaborazione è ancora più
complicata in presenza di un figlio disabile e, di conseguenza, la famiglia fatica ad evolvere.
Per imparare a tollerare il carico emotivo dell’obbligo di accudimento, ma anche per poter
servirsi dei propri sentimenti per vivere in maniera positiva l’esperienza, è indispensabile
l’elaborazione dei proprio vissuti emotivi. Tutti i genitori sono alle prese soprattutto nei primi
momenti, con angoscia e sensi di colpa. La presenza di una malattia amplifica ancora di più
queste emozioni già così complesse, tanto da sconvolgere il tessuto familiare rompendo gli
schemi già costruiti come un fulmine a ciel sereno. Il ruolo paterno in questi casi è, spesso,
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Palacio Espansa, P., & Nanzer, N. (2016). Manuale di psicoterapia centrata sulla genitorialità. Milano:
Raffaello Cortina Editore. In V. Gilbert, Affrontare la diagnosi di un figlio: una sfida evolutiva per la famiglia,
(p.45) Journal of Psychosocial System.
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caratterizzato da una scarsa presenza dovuta sia a fattori economici, sia a fattori relazionali.
Il suo compito diventa prevalentemente quello di provvedere economicamente a tutta la
famiglia lasciando la mamma a occuparsi quasi totalmente al figlio. La presenza di disabilità
in famiglia spesso comporta, se ci sono altri fratelli, un vissuto di sofferenza anche per questi
ultimi in quanto si pretenderà inconsciamente da loro di “dare meno problemi possibili”. Per
quanto il nuovo assetto familiare possa apparire funzionale per rispondere all’emergenza
della comunicazione della disabilità, la nuova organizzazione porta a rotture e
incomprensioni ingestibili se protratta per tutto l’arco della vita, perché i membri non
sperimentano mai una vita serena e normale. L’idea di un impatto necessariamente negativo
della disabilità sulla vita delle famiglie ha finito per dominato la letteratura e la ricerca
sull’argomento fino alla fine anni ‘80, sottolineando le emozioni di dolore, lutto e tristezza
cronica. I figli disabili possono essere in molti modi anche fonte di soddisfazione per i loro
genitori: un primo motivo di gratificazione è l’esistenza stessa del figlio e l’esperienza
genitoriale in sé; altri elementi di soddisfazione sono sicuramente i piccoli ma grandi
traguardi educativi raggiunti dal figlio, proprio in relazione all’impegno richiesto.
L’esperienza legata alla disabilità di un figlio può avere sicuramente anche contributi positivi
sulla famiglia con una sensazione di cambiamento personale, quasi di una rinascita. È
importante sottolineare come l’arrivo di un figlio disabile rivoluzioni le attività abituali dei
membri della famiglia: i ritmi delle routine quotidiane, i ritmi lavorativi dei membri, lo spazio
dedicato a momenti ricreativi e di relax. Tali limitazioni sono collegate alle richieste di tempo
e cura che ciascun componente della famiglia dedica alla persona con disabilità. Una
variabile importante da evidenziare è, naturalmente, la situazione del bambino, legata alla
natura e alla gravità della disabilità, allo stato di salute, all’eventuale presenza di
comportamenti problematici e alla loro frequenza, oltre che a tutto ciò che definisce la
problematica. I genitori di bambini con disturbi dello spettro autistico hanno sicuramente
problematiche quotidiane più complicate non solo di quelli con bambini a sviluppo tipico,
ma anche in presenza di altre condizioni più lievi e gestibili, come la sindrome di Down. Le
caratteristiche personali che gli individui coinvolti mettono in gioco di fronte alla nascita del
figlio disabile, rappresentano un’altra variabile, oltre alla presenza di una rete di supporto
intra-familiare. Il supporto sociale e comunitario diventa fondamentale, sia dal lato di un
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sostegno psicologico, sia in forma più materiale con i servizi e la possibilità di rivolgersi a
diverse figure professionali. Come è già stato detto, l’impatto con la disabilità è differente
per ciascuno dei membri della famiglia e ogni membro influenza gli altri contribuendo
all’equilibrio generale. La soddisfazione e la coesione coniugale sono fattori che influenzano
l’adattamento e la capacità di riorganizzazione della vita familiare, inoltre i conflitti coniugali
possono essere mitigati e risolti attraverso la condivisione di emozioni negative e intense. È
difficile definire un elenco delle caratteristiche dei bambini e delle mansioni dei genitori;
perché questi aspetti variano in relazione alla tipologia e alla gravità della disabilità, all’età
del figlio, alle sue caratteristiche caratteriali e di personalità oltre che a quelle dei genitori
(Zanobini, Manetti & Usai, 2013). Per esempio, i livelli di autonomia ridotti implicano un
impegno maggiore con i tempi quotidiani di cura che si allungano e tale routine tende a
continuare nel tempo, soprattutto in corrispondenza di ridotte attività motorie in cui anche
l’impegno fisico da parte dei genitori è più elevato. Esistono anche bisogni speciali che
comprendono assistenza notturna, problemi comportamentali e medici, come nel caso di
bambini con spina bifida o con disturbi progressivi e degenerativi, che richiedono ai genitori
continue nuove forme di attenzione. Elevati livelli di stress sono spesso legati alla frequenza
dei comportamenti problema manifestati dai figli. Quando i comportamenti problema e i
sintomi del bambino incrementano lo stress genitoriale può succedere che le reazioni dei
genitori alimentino a loro volta, i problemi che li hanno scatenati, creando un circolo vizioso.
(Rodriguez, Hartley & Bolt, 2019). Viene spesso denunciata una situazione di isolamento
sociale che dipende anche dalla minor disponibilità di tempo per attività ricreative e sociali
e dalle difficoltà pratiche nel partecipare ad esse. È stato comunque dimostrato che esiste
scarsa connessione fra il tempo che si deve dedicare all’accudimento e il livello di
soddisfazione nel compiere il proprio ruolo genitoriale, anzi, è l’esistenza del figlio stesso un
motivo di gratificazione. Un altro elemento di soddisfazione, strettamente connesso alla
situazione di disabilità del figlio, sono i piccoli o grandi traguardi educativi raggiunti: questo
sentimento di gratificazione è vissuto molto più intensamente quando tali apprendimenti
sono, addirittura, conquiste che al momento della diagnosi sembravano impensabili. Spesso
sembra proprio il giudizio negativo o pietistico delle persone esterne al nucleo famigliare ad
avere il maggiore peso negativo per i genitori.
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2.2. Stress da Caregiver
Il termine deriva dall’inglese ed “è composto da due termini care e giver che
significano letteralmente colui che fornisce cura” (Campanile, 2013, pag. 117) è attualmente
utilizzato per definire chi si prende cura di un soggetto non autonomo. Le difficoltà
riscontrate dai caregivers sono molteplici, in quanto il prendersi cura di una persona non
autonoma incide, inevitabilmente, su tutta la propria vita. Il caregiver può realmente aiutare
se soddisfa in primis i propri bisogni prendendosi momenti per sé nell’arco della giornata.
Questo serve a prevenire malattie come il burnout, disturbi del sonno e dell’appetito stress e
depressione che sono definiti insiti nel lavoro di cura (Zoccatelli, 2017). Lo stress è presente
nella vita di ogni persona, ma nel caregiver è sicuramente più elevato in quanto vive la sua
vita in costante alert. La vita sociale è poi fortemente limitata rispetto a quella di prima. Il
dover prendersi cura a tempo pieno di un membro della famiglia può far emergere rancori,
problematiche e incomprensioni latenti o silenti. I primi studi sullo stress nelle famiglie con
figli disabili, condotte prevalentemente negli Stati Uniti, si diffusero dagli anni ottanta.
L’idea di base comprendeva che tali famiglie dovessero affrontare situazioni più
problematiche e quindi erano soggette a più stress, rispetto alle famiglie in cui erano presenti
solo figli con sviluppo tipico (Zanobini, Manetti, &Usai, 2019). Uno dei questionari utilizzati
per misurare il livello di stress, sia nella versione integrale che nella versione ridotta, è il
QRS (Questionnaire of Resources and Stress)
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che indaga principalmente tre aree
principali: la prima riguarda i problemi dei genitori, la seconda prende in considerazione i
problemi del funzionamento familiare ed infine i problemi che i genitori percepiscono in
relazione al bambino. “Esso è stato ideato per misurare l’impatto di un bambino con ritardo
di sviluppo, in situazione di handicap o affetto da una malattia cronica sugli altri membri
della famiglia. Si propone di misurare sia aspetti negativi che positivi” (Ivi, pag. 17). Altro
questionario utilizzato è lo PSI (Parenting stress index)
19
,
18
Holroyd J. (1974). The questionnaire of resources and stress. An instrument to measure family response to a
handicapped family member. In M. Zanobini, M., Manetti, M. C. Usai, M.C. La famiglia di fronte alla disabilità.
Stress risorse e sostegni. Erickson.
19
Abidin R. R, (1986). Parenting Stress Index (PSI) manual. In M. Zanobini, M., Manetti, M. C. Usai, M.C. La
famiglia di fronte alla disabilità. Stress risorse e sostegni. Erickson.
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Il test, composto da 36 item, consente di misurare il livello di stress legato al ruolo e
alla condizione di genitore (PD = Parental Distress), quello legato alle interazioni genitore-
figlio (P-CDI = Parent-Child Dysfunctional Interactions), e quello legato alle caratteristiche
del figlio (DC = Difficult Child). Gli item rappresentano affermazioni sulle quali i genitori
devono indicare il loro livello di accordo in base ad una scala a 5 punti. I punteggi più alti
indicano maggiori livelli di stress percepito. Il punteggio, per ogni scala, è dato dalla somma
dei punteggi attribuiti a ciascuno dei 12 item che la compongono. La somma dei punteggi
delle 3 scale rappresenta l’indice di stress totale. Queste ricerche però, portano dei risultati
diversi fra loro e rischiano di confermare solamente aspetti già noti, poiché gli item si
focalizzano principalmente su aspetti quotidiani difficili per un genitore con figlio disabile.
Alcuni studi si basano sull’idea che gli individui hanno una fissa quantità di energia e risorse
personali che possono essere allocate tra ruoli sul conflitto di ruolo per cui queste risorse
fisse costringono a compromessi; un impegno per un ruolo necessariamente riduce le risorse
che potrebbero essere assegnate a un altro. Le richieste di risorse limitate creano stress per
l'individuo, che influenza il funzionamento in ogni ruolo (Greenhaus & Parasuraman, 1986)
e possono generare sintomi emotivi avversi per l'individuo (Frone, Russell, & Cooper, 1992).
Le responsabilità del lavoro possono essere viste come un contributo allo stress del caregiver,
soprattutto se l'impiego prevede orari lunghi. Skaff e Pearlin (1992) hanno scoperto che i
caregiver coinvolti in un ruolo lavorativo al di fuori, subivano molto meno stress rispetto ai
caregiver che non lo erano. I caregiver che erano coinvolto in un ruolo lavorativo hanno
riportato una maggiore autostima, più soddisfazione personale e una maggiore capacità di
combattere i timori di inadeguatezza (Twigg & Atkin, 1994). Il lavoro esterno può essere
particolarmente efficace nel ridurre gli esiti dello stress emotivo e aumentare il benessere,
anche se questo lavoro esterno aumenta lo stress fisico (Stull et al., 1994). Scharlach (1994)
in un suo studio ha riferito che la maggior parte dei caregiver ha rilevato che gli aspetti
negativi della combinazione di lavoro e i ruoli di caregiver sono stati superati dagli aspetti
positivi. Un ruolo lavorativo può ridurre lo stress fornendo risorse che compensano la perdita
subita nel ruolo di caregiver. Le risorse perse che contribuirebbero altrimenti allo stress
possono essere compensate dalle risorse acquisite attraverso partecipazione ad altri ruoli.
Lavorare fuori casa può fornire ai caregiver accesso alle risorse sociali come l'interazione