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Introduzione
Nell’aprile del 2022 in Ungheria, Viktor Orbán, fautore della costruzione di
una “democrazia illiberale”, veniva rieletto con una maggioranza schiacciante e contro
un’opposizione per la prima volta unita, avviandosi verso un ulteriore mandato; allo
stesso modo, le elezioni presidenziali polacche del 2020 conferivano nuovamente la
carica di Presidente della Repubblica al conservatore Duda e nel 2019, le elezioni
parlamentari confermavano la rinnovata vittoria del partito Diritto e Giustizia, al potere
dal 2015; Viceversa, nel 2021 l’elettorato ceco poneva fine al Governo guidato dal
partito imprenditoriale di Andrej Babis, accusato più volte di conflitto di interessi,
frode, corruzione e coinvolto nello scandalo dei Pandora Papers, sancendo l’ascesa dei
liberal-conservatori di Spolu. In Slovacchia, le forze di centrodestra hanno avuto la
meglio alle elezioni del 2020 e hanno costituito una coalizione formata dai partiti
OL’aNO, Siamo una Famiglia e Per il Popolo, il cui intento principale è stato
allontanare definitivamente l’ex primo ministro Fico dalla competizione politica, la
cui corruzione ed i legami con le organizzazioni mafiose erano ormai stati svelati.
Il significato attribuibile a questi eventi è duplice: da un lato, nel caso
ungherese e polacco, il rinnovato potere di Fidesz e del PiS che, rispettivamente dal
2010 e dal 2015, hanno dato attuazione ad un’agenda politica illiberale, ci fa presagire
che le democrazie di entrambi i paesi versano in uno stato di crisi dal quale non sarà
possibile uscire nel breve periodo; d’altra parte, le vicende ceche e slovacche
costituiscono due esempi, nel gruppo di Visegràd, di regimi politici democratici in
grado di reagire positivamente alle pressioni del populismo, dell’illiberalismo e della
crisi economica, politica e sociale vigente.
L’elaborato qui svolto nasce da una serie di riflessioni fatte su questi eventi e
sulle più recenti trasformazioni che hanno interessato i regimi politici democratici del
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gruppo di Visegràd, membri dell’Unione Europea. L’attenzione si è subito rivolta a
quel fenomeno che gli scienziati politici definiscono come “democratic backsliding”
1
,
processo che implica una regressione nella qualità di regimi democratici un tempo
concepiti come stabili ed efficienti ed in particolare, il passaggio da democrazie
consolidate a dei c.d. regimi ibridi. Si tratta, nei fatti, di un periodo segnato dal
peggioramento della qualità della democrazia, dal venire meno dei pilastri su cui essa
si fonda (stato di diritto, separazione e indipendenza dei poteri, libertà, eguaglianza), i
quali sono manipolati secondo precisi progetti politici da partiti democraticamente
eletti. Quello che più ha stimolato l’interesse nei confronti del tema è proprio
quest’ultimo aspetto, per cui l’obiettivo primario è stato cercare di evidenziare i
meccanismi che risiedono alla base di questa inversione di rotta in nazioni che, in tempi
non troppo lontani, si presentavano come baluardi della lotta ai regimi totalitari e del
consolidamento democratico. Al contempo, lo studio e l’osservazione dei casi ha fatto
emergere un altro assunto di partenza: alcuni regimi democratici, seppur sottoposti a
pressioni e tensioni simili, mostrano un’elevata resilienza democratica.
Da qui, dunque, nasce il principale quesito della ricerca: Perché alcuni regimi
democratici si mostrano più resilienti di altri?
Nel tentativo di dare una risposta ad esso, la ricerca fa riferimento ad un’area
geografica ben precisa, il cui andamento politico è ormai tema prevalente nel dibattito
pubblico: l’Europa Centro-Orientale. Essa presenta una netta dicotomia tra democrazia
e autocrazia e sembra essere costantemente sottoposta ad impulsi divergenti: da un lato
il progresso democratico, dall’altro l’arrestarsi di quest’ultimo e quindi,
l’illiberalismo. In particolare, ai fini della stesura è stato utile concentrarsi sui quattro
paesi sopracitati poiché l’analisi delle loro vicende storiche, politiche e sociali
permette di esplicitare le dimensioni concrete di questa dicotomia. È stato costruito
uno studio comparato e qualitativo con l’obiettivo di mettere a confronto queste
differenti esperienze nazionali, i loro percorsi verso la democrazia e, parallelamente,
verso l’autocrazia. Per farlo, è stato necessario analizzare i singoli casi nazionali
1
Cfr. B. Stanley (2019), Backsliding Away? The Quality of Democracy in Central and Eastern
Europe, in Journal of Contemporary European Research, 15(4), pp. 343-353,
DOI:10.30950/jcer.v15i4.1122
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soprattutto in quelle dimensioni che ci permettono di definire come tale un regime
politico democratico. Esse sono:
Stato di Diritto
Governo nazionale democratico
Elezioni libere e competitive
Società civile attiva e libera
Media indipendenti
Apparato giudiziario indipendente
In particolare, per ciascun caso il focus è stato rivolto: ad una dimensione
storica, legata ai processi di consolidamento democratico conseguenti alla
dissoluzione dell’Unione Sovietica, i quali hanno permesso di comprendere se vi
fossero o meno, già a quel tempo, i presupposti per l’instaurazione di uno stabile
regime democratico o viceversa, per una democrazia precaria. In questo contesto,
l’analisi storica può essere concepita come un esercizio di Process-Tracing
2
,
metodologia centrale nelle scienze sociali, la quale permette di andare oltre la semplice
correlazione tra variabili e i risultati che il loro agire produce. L’obiettivo del Process-
Tracing è quello di identificare meccanismi causali, intesi come costituiti da più
elementi, la cui interazione produce un certo risultato. In particolare, facciamo
riferimento a quella tecnica definita come “Theory-Building Process-Tracing", la
quale partendo dallo studio del materiale empirico raccolto, permette di capire in che
modo una serie di variabili producano un certo risultato evidenziandone il meccanismo
causale, sul quale è possibile fondare delle conclusioni teoriche. In questo caso
l’analisi di fattori prettamente storici è di supporto alla ricerca, in quanto permette di
comprendere le radici e le implicazioni di specifiche vicende politiche tra cui, per
esempio, l’ascesa di partiti etno-populisti come Fidesz e Diritto e Giustizia e il loro
reiterato successo elettorale. Successivamente, l’attenzione è stata rivolta al contesto
politico contemporaneo, all’analisi dei suoi principali protagonisti e alle agende
politiche da loro attuate, ai sistemi partitici vigenti, leggi elettorali e rapporti
intercorrenti tra maggioranza e opposizione. Estrema importanza è stata data all’analisi
2
Cfr. D. Beach, R. Pedersen., Rasmus, (2013), Process-Tracing Methods: Foundations and
Guidelines, 2nd edition, University of Michigan Press, DOI: 10.3998/mpub.10072208.
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del contorno istituzionale di ciascuno Stato e al ruolo svolto, in particolare, dalle Corti
Costituzionali, dal Parlamento in ambito legislativo e di controllo sull’esecutivo, dai
singoli apparati giudiziari e dalle opposizioni. Infine, sono stati valutati i risvolti di
questi differenti progetti politici in termini non solo istituzionali, ma anche economici
e sociali, approfondendo il tema dei diritti civili e politici e analizzando l’attivismo
delle rispettive società civili.
Ai fini della valutazione è stato utile il confronto tra i valori che tali paesi
hanno assunto rispetto agli indici che permettono di misurare la qualità della
democrazia ed il suo funzionamento: il “Freedom House Index”, il “Worldwide Press
Freedom Index”, “The Human Development Index”, “The Worldwide Governance
Indicators” e il BTI cioè l’indice di “Trasformazione Bertelsmann”, il quale misura lo
stato di sviluppo dei processi di mutamento politico ed economico nei Pvs e nei paesi
in transizione nel globo. Trattandosi di una ricerca comparativa e prettamente
qualitativa, non consiste esclusivamente nella raccolta di dati statistici, oggettivi,
rigorosi e formali inerenti a tali contesti nazionali, ma vuole valutare come le diverse
variabili, di carattere istituzionale, politico, sociale ed economico, analizzate in modo
flessibile, abbiano agito favorendo o contrastando il processo di regressione
democratica. Rispetto alle fonti usate ai fini della ricerca, la maggioranza di esse è
costituita da lavori, opere, articoli in lingua inglese, i quali sono stati rielaborati
criticamente. Si fa riferimento a studi condotti a livello internazionale sul tema, così
come a quelli di autori interni ai paesi analizzati, rispettivamente pubblicati soprattutto
all’interno delle più importanti riviste di scienza politica.
La ricerca dunque vede una struttura precisa: ogni caso è stato analizzato
singolarmente in ognuna delle dimensioni citate; successivamente, i dati e le
informazioni raccolte si configurano come base della comparazione effettuata tra i
quattro paesi interessati al fine di evidenziarne analogie e differenze e di dare risposta
a quell’ampio quesito iniziale, successivamente diramatosi in 3 domande principali:
Perché, pur trattandosi della medesima area geografica e di tradizioni storiche e
culturali simili, l’Ungheria e la Polonia sono divenute esempio di autocrazia, a
differenza invece dei vicini Repubblica Ceca e Slovacchia? Quali sono gli “ancoraggi”
che permettono a questi ultimi paesi di resistere alle odierne minacce alla democrazia?
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È possibile pensare a delle strade alternative anche per paesi che versano in uno stato
di crisi democratica e quali sono le prospettive future per questi paesi e per l’UE?
La tesi che è possibile affermare è che: non esistono percorsi lineari né verso
la democrazia né allontanandosi da essa. Tuttavia, attraverso i metodi propri della
ricerca comparata e qualitativa, è possibile stabilire quali siano le caratteristiche di
fenomeni quali il” democratic backsliding” e quali siano i pilastri su cui si fondano le
democrazie resilienti. Il confronto tra questi elementi permette di ritenere che la forza
o resilienza delle democrazie risieda nella presenza di alcuni ancoraggi, fattori che
sono propedeutici ed indispensabili per il consolidamento democratico e per fare in
modo che una democrazia riesca a mantenersi funzionale ed efficiente nel corso del
tempo. Ecco perché, nella stesura dell’elaborato è stato costante il richiamo alla teoria
degli ancoraggi di Leonardo Morlino
3
: essa costituisce il quadro teorico di riferimento
della ricerca. Esistono, dunque, degli ancoraggi che permettono alle democrazie di
resistere alle pressioni dell’autocrazia e dell’illiberalismo e nei casi analizzati, essi
sono rinvenuti principalmente:
Nella presenza di Costituzioni la cui modifica richiede procedimenti
non celeri e basati sulla partecipazione congiunta dei principali attori politici.
Nel ruolo centrale svolto dal Parlamento, dalle opposizioni e dalle
Corti Costituzionali. Si tratta in primo luogo, di una funzione di controllo
democratico volto a garantire il mantenimento di una netta divisione dei poteri
statali e il loro bilanciamento (necessario soprattutto di fronte a partiti che tentano
di eludere il rispetto delle norme che disciplinano il funzionamento dei regimi
democratici). Se tali fattori agiscono in modo ottimale, sarà garantita la presenza
di un potere giudiziario che agisca in modo indipendente e la cui composizione
non sia selezionata a piacimento dalla maggioranza e di un sistema multipartitico
il cui raggio di azione non venga messo in pericolo da un esecutivo dominante.
Nella presenza di una cultura politica democratica ben consolidata e
radicata non solo nei rappresentanti scelti dall’elettorato ma nella società civile
stessa. Se la cultura democratica riesce a sedimentarsi all’interno della società,
3
Cfr. L. Morlino ,(2010), Autorità e legittimità tra consolidamento e crisi, in “Rassegna italiana
di sociologia”, ISSN 0486-0349- 51:4, pp. 571-598.
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allora quest’ultima sarà in grado di agire e partecipare alla tutela della democrazia
vigente o al restauro di quest’ultima. A ciò si lega inevitabilmente, il rispetto e
l’esercizio effettivo delle libertà civili e politiche. Fondamentale importanza hanno
la libertà di informazione e il pluralismo dei media, necessari per preservare il
pensiero critico dei più e nel permettere a tutti gli attori politici di avere una voce,
che se assente, appiattisce il dibattito pubblico ed il confronto su cui ogni regime
politico che possa essere definito democratico dovrebbe fondarsi.
Il primo capitolo è stato incentrato sull’analisi della metodologia che fa da
sfondo alla ricerca, il metodo comparativo e qualitativo, facendo riferimento alla
letteratura scientifica ad esso inerente. Inoltre, viene approfondita la questione inerente
alla possibilità di misurare la qualità dei regimi politici democratici ed il fenomeno del
“democratic backsliding”, presentando i quattro paesi protagonisti dello studio; Il
secondo capitolo affronta il caso ungherese, passando in rassegna i principali eventi
storici che hanno caratterizzato il processo di consolidamento democratico nazionale,
prima e dopo la scissione dell’URSS. Da qui, viene sviluppata un’analisi sull’ascesa
di Fidesz, la figura di Orbán e la realizzazione della sua agenda politica non liberale.
Infine, vengono rilevate le implicazioni di questo progetto politico a livello
istituzionale, politico e sociale, non solo in ambito nazionale ma anche internazionale.
Il terzo capitolo presenta la medesima struttura e si focalizza sullo studio del caso
polacco, analizzandone il processo di transizione democratica sino ad arrivare al
momento di assunzione dei maggiori incarichi governativi da parte del partito Diritto
e Giustizia. Anche in questo contesto, si fa riferimento ad una agenda politica nazional-
conservatrice e agli effetti derivanti dall’attuazione di quest'ultima a livello
istituzionale e sociale. La lettura di entrambi i capitoli permette di iniziare a delineare
analogie e differenze tra questi due casi simili, aprendo la strada per un ulteriore
confronto col caso ceco e slovacco, analizzati nel quarto e quinto capitolo, i quali, al
contrario dei precedenti, vengono definiti come esempi di “resilienza democratica”.
Infine, il sesto viene sviluppato in modo tale da realizzare una comparazione precisa
tra i quattro casi e fare emergere i motivi di fondo del regresso democratico e gli
“ancoraggi” che permettono invece stabilità e persistenza nel tempo: unendo i
principali fattori che si ritengono alla base del regresso democratico polacco e
ungherese, a quelli che permettono al regime politico ceco e slovacco di essere
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concepiti come democrazie consolidate, diventa possibile evidenziare la presenza dei
principali “ancoraggi democratici” di tali Stati ed ipotizzare, al contempo, quali
possano essere gli sviluppi futuri per i nuovi regimi ibridi sorti nel cuore dell’Europa.