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Improvvisamente tutto ciò che fin da piccoli si è abituati a dare per
scontato per rapportarsi con l’esterno, la possibilità di parola almeno
“parlata”, mi è venuto meno. E’ stato come scoprire l’esistenza della
“quarta dimensione”, come vedere ciò che in precedenza mai si era
nemmeno immaginato: come aveva potuto costruirsi un’esistenza
felice? Come aveva trovato un lavoro di segretaria e anche la stima dei
colleghi? Come era riuscita a stringere amicizia, anche con udenti?
Come aveva scoperto l’equilibrio interiore se riusciva a capire ma non
a farsi capire in modo chiaro, se non riusciva ad esprimersi e a
comunicare facilmente le sue idee?
Ricordo bene le prime estati passate in Inghilterra o in Irlanda, ospite
di famiglie, quando ancora non conoscevo la lingua straniera nella
quale venivo catapultata; ricordo anche la mortificazione provata dal
fatto che ero obbligata a censurare il mio desiderio di chiacchierare
molto, come ero abituata a fare a casa, perché non avevo la capacità di
esprimermi con facilità, creatività e coerenza.
Da qui è nata la mia curiosità per il mondo dei sordi, da qui il
desiderio di osservazione e di scoperta.
3
Da qui il mio desiderio di informarmi attraverso non solo libri, ma
anche esperienze dirette con i ragazzi non udenti. I libri, infatti,
quattro anni fa mi sembravano troppo complicati, complicati per me
che ancora non sapevo nulla di Linguistica, Lingua Italiana dei Segni
(indicata come LIS) e di apprendimento del linguaggio. Non assorbivo
nulla da testi che davano per scontate molte conoscenze e non mi
bastava un apprendimento mnemonico.
Seguendo il consiglio della ragazza di cui ho parlato mi sono iscritta
ad un corso di LIS, alla Cooperativa D.I.R.E, oggi A.L.B.A., ed ho
cercato sempre di mettere in discussione le mie convinzioni, il mio
scetticismo e l’abitudine a pensare che sono i sordi a doversi far
capire: sono entrata nella loro realtà, in una dimensione nella quale
loro dettano le regole, i ritmi e i mezzi per comunicare, e ai quali io
ero tenuta ad adeguarmi.
Modificando opportunamente il mio piano di studi universitari ho
potuto crearmi un supporto adatto, tale da permettermi di affrontare la
letteratura relativa con maggior cognizione di causa e senza difficoltà.
Più cerco di chiarirmi le idee su questa realtà più mi trovo davanti testi
complicati da analizzare perché tecnici e talvolta discordanti gli uni
dagli altri nel presentare scuole di pensiero opposte, o evidenziando
4
un aspetto dello studio invece di un altro. A rimetterci sono, non
soltanto le persone alle quali tali testi sono dedicati, ma anche chi,
come me (senza una fondata opinione e senza preconcetti) si affaccia
a questo microcosmo carico di complessità ma anche di opportunità
non colte, di ambizione e di desiderio di veder modificata la situazione
attuale.
Le persone «audiolese» che ho conosciuto in questi anni non si
stancano mai di ripetermi di non prendere per “oro colato” le parole di
chi, più esperto di me, scrive testi o tiene conferenze; mi hanno
insegnato che è sempre importante accertarsi di persona, per quanto
possibile, di quanto viene pubblicato, registrato e annotato, perché
spesso i problemi vengono amplificati o ne viene sminuita l’entità.
E’ proprio a causa di questo bisogno di certezze e di confronto diretto
che, dopo un’attenta lettura di un testo
1
nel quale era presentato un
metodo sperimentale di acquisizione del linguaggio da parte di ragazzi
sordi mediante la scrittura, mi sono armata di coraggio ed ho
intrapreso il percorso che a Padova era già stato fatto e che qui a
Torino si accingeva a diventare oggetto di corsi e seminari per
preparare nuovi operatori ed insegnanti. Dopo aver frequentato alcuni
seminari e conferenze, ho cominciato ad applicare il metodo ideato
1
Bruna Radelli “Nicola vuole le virgole. Introduzione alla Logogenia” Decibel, Padova 1998
5
dalla prof. Radelli, che è stato chiamato Logogenia. E tutto questo non
tanto per verificarne l’utilità poiché non ne sarei stata in grado, quanto
per confrontare le mie esperienze con quelle raccolte nel testo dal
quale ho preso spunto, ed anche per conoscere la realtà del Convitto di
Torino dopo aver “sbirciato”, grazie al testo, quella dell’ITCG
(Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri per Sordi) A.
Magarotto di Padova.
La «Logogenia» sembra essere un metodo fin troppo vicino e simile
alla «Logopedia», ma in realtà è ben altra cosa. Mentre la seconda,
infatti, si occupa delle patologie e della rieducazione del linguaggio
sfruttando tutti i canali comunicativi (in entrata e in uscita), la prima
ha come scopo ultimo, ed unico, quello di riattivare le capacità innate
del bambino sordo ad acquisire il linguaggio, fornendogli una serie di
stimoli linguistici ai quali un sordo, evidentemente, non è sottoposto.
Stimoli che, infatti, sono presentati solo in forma grafica, ovvero
mediante la scrittura.
Ho svolto questa ricerca presso il Convitto Statale per Sordi di Torino;
l’aspetto più interessante (anche dopo l’attenta lettura del testo da cui
ho preso spunto e già precedentemente citato) è stata la reazione
dimostrata dai ragazzi nei confronti di un metodo nuovo e non sempre
6
facile: si è trattato di un approccio basato per alcuni sulla diffidenza,
per altri sul gioco, ma mai sulla spontaneità ed immediatezza,
elementi invece che mi sembrava aver colto nella ricerca della prof.ssa
Bruna Radelli.
Nell’applicazione di questo metodo, mi sono trovata di fronte non solo
a grossi problemi di disponibilità degli spazi nei quali predisporre gli
incontri con i ragazzi, protagonisti della ricerca, e di organizzazione
degli orari, ma anche di applicazione, costanza ed impegno da parte
degli studenti stessi.
Non bisogna, infatti, dimenticare che nella mia ricerca si tratta di
giovani più impegnati dei loro coetanei udenti: seguire le lezioni a
scuola costituisce per loro uno sforzo di concentrazione notevole, cui
si aggiungono gli incontri settimanali con la logopedista ed
eventualmente con lo psicologo, oltre all’indispensabile doposcuola e
alle normali attività sportive e ricreative. A tutta questa serie di attività
i ragazzi avrebbero dovuto affiancare, ulteriormente, gli appuntamenti
da ma pianificati.
Non è stato un compito semplice, ma è tale aspetto del lavoro da me
svolto, per un intero anno scolastico, che mi propongo di presentare.
Cerco, infatti, di offrire un quadro il più chiaro possibile dei problemi
e della situazione scolastica, familiare, logopedica e linguistica di
7
ognuno dei “miei” ragazzi, e di quanto tutto ciò influisca sulla loro
disponibilità nei miei confronti, e quindi sul successo
dell’applicazione del metodo che presento.
La condivisione quotidiana di esercizi sintattici ed errori relativi, delle
conseguenti discussioni e spiegazioni, l’uso assai limitato della LIS
(come prescrive la Logogenia), mi ha fatto riflettere su quanto sia
importante seguire i ritmi del ragazzo sordo col quale si sta lavorando.
E’ necessario incuriosirlo e attirarlo verso quello che dovrebbe essere
un apprendimento spontaneo della lingua scritta che, per lui, altro non
è che la trasposizione in simboli grafici di ben più semplici (per un
non udente che li conosce) «segni manuali», e non di «gesti» (i primi
sono lo strumento unico ed indispensabile della LIS, i secondi invece
semplici movimenti delle mani e del corpo che accompagnano
generalmente le parole di tutti noi).
E’ altrettanto importante fornirgli la certezza di essere comunque
“uguale” al soggetto udente: di essere, quindi, una persona intelligente
e piacevole nonostante non sia in grado di leggere il giornale capendo
tutto ciò che gli scorre sotto gli occhi; di essere, in definitiva, un
ragazzo con il quale un udente può stringere amicizia non per
compassione o “buonismo”, ma per piacere e simpatia.
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E’ per tale motivo che quando ci si avvicina agli audiolesi è opportuno
cercare di stabilire, almeno all’inizio, un metodo di comunicazione
che sia loro vantaggioso e di facile comprensione.
Questo approccio è utile per guadagnarne la fiducia e la disponibilità,
soprattutto se non si tratta più di bambini (i più condizionabili), ma di
ragazzi già oltre l’adolescenza, quindi più rigidi e gelosi di tutto il loro
mondo, come, d’altra parte, lo sono anche coetanei udenti.
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2. LA SORDITA’
2.1. DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE
L’ignoranza della legge o una sua arbitraria e personale
applicazione, provoca inevitabilmente disparità di giudizio e gravi
disagi burocratici per il cittadino portatore di deficit sensoriale.
La legge 381 del 26.5.1970 all’art.1 comma 2 afferma: “si considera
sordomuto il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità
congenita o acquisita durante l’età evolutiva che abbia impedito il
normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non
sia di natura psichica o dipendente da cause di guerra, lavoro o di
servizio”
2
Come è facile dedurre questa definizione non è sufficiente per
esplicare il significato complesso e vasto di tale deficit.
Una più approfondita spiegazione non può tralasciare anche le
classificazioni che della sordità vengono fatte, e che permettono di
distinguere in:
7
Umberto Ambrosetti Audiologo Ist. Audiologia, Università di Milano, in un articolo tratto dalla
rivista “Parliamone”, anno 1996 n.8.
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1. sordità prelinguale, riscontrabile fin dalla nascita o insorta prima
dei 18 mesi di vita, o comunque prima
dell’acquisizione spontanea del linguaggio
parlato;
2. sordità perilinguale, acquisita tra i 18 e i 36 mesi di vita, proprio
quando è più evidente la velocità
dell’assorbimento delle abilità verbali, quindi,
dal punto di vista clinico similare a quella
prelinguali;
3. sordità postlinguale, sopravvenuta nell’infanzia avanzata, nella
adolescenza o nell’età adulta, quindi dopo
l’acquisizione spontanea della parola
parlata
3
.
Tranne un caso che tratterò in seguito, quello di una ragazza sordastra,
mi sono occupata solamente di sordità prelinguali, che per norma di
legge devono avere un deficit uditivo bilaterale pari a 65 db sulle
frequenze uditive medie (500, 1000 e 2000 Hz).
3
Per approfondimenti cfr. l’articolo “Stato dell’Arte della Riabilitazione logopedica del bambino
sordo” di O. Schindler, I. Vernero, C. Utari, A. Schindler. Dipartimento di Discipline Medico-
Chirurgiche; Scuola di specializzazione in Foniatria (Dir. Prof. O. Schindler), Università degli
Studi di Torino
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La sordità prelinguale di livello grave, gravissima o totale comporta
molte, spiacevoli, conseguenze (concernenti la difficoltà di
socializzazione e non solamente quella di apprendimento) se si
trascurano specifici e rigorosi procedimenti abilitativi, educativi e si
dimenticano i supporti protesici o, in alcuni e selezionati casi,
l’impianto cocleare.
Affermando ciò mi riferisco agli evidenti scompensi nell’acquisizione
spontanea delle abilità linguistiche verbali, o meglio, vocali; alla
facilità, da parte di un impreparato o frettoloso osservatore esterno, a
ritenere mentalmente minorato una persona con un handicap uditivo;
ad una povertà delle conoscenze generalmente in possesso di un
coetaneo normo-udente; a generiche difficoltà scolastiche.
Non è in questa mia tesi che voglio approfondire l’argomento sotto un
punto di vista strettamente medico o tecnico degli aspetti prettamente
diagnostici; non ritengo fondamentali ulteriori informazioni di tal
genere per proseguire, apprezzare e valutare correttamente il lavoro
che segue.
Tale ricerca è stata svolta, come già sottolineato, col supporto
specialistico di operatori tecnici specializzati, quali sono le
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logopediste Paola Guglielmino e Donatella Gallo Balma, il
vicedirettore del Convitto ed i suoi collaboratori e gli educatori dello
stesso istituto; io mi sono occupata esclusivamente del rapporto diretto
con i soggetti dello studio ed il loro mondo, ricco di difficoltà,
malintesi ed incomprensioni che derivano in gran parte proprio dalla
loro limitazione acustica.
In precedenza ho usato due semplici termini riguardo ai quali, però,
vorrei dare un’ulteriore, e forse non scontata, spiegazione e
precisazione che li sappia differenziare. Mi riferisco alle parole
riabilitazione ed educazione. Sono entrambe procedure usate con i
disabili, la prima delle quali si riferisce ad un procedimento applicato
ad una singola capacità -ad esempio quella di camminare, o muovere
un arto-, mentre con la seconda si intende un intervento più capillare,
per un numero maggiore di capacità, se non addirittura totale.
Ritengo questa puntualizzazione importante per essere in grado di
comprendere finalmente a fondo l’importante differenza tra
educazione di un sordo prelinguale e riabilitazione di un sordo
postlinguale.
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2.2 GLI AUDIOGRAMMI
Ritengo, ora, opportuno presentare gli esami audiologici
(audiogrammi) di tutti i ragazzi che ho conosciuti nella mia recente
esperienza; presenterò
4
in seguito questi ultimi in modo maggiormente
approfondito e completo.
I suddetti esami sono stati eseguiti in assenza di protesi; ciò significa
che rispecchiano esattamente le condizioni nelle quali il soggetto si è
venuto a trovare fin dalla nascita o, secondo i casi, fin da quando ha
perso l’udito. Questo, ovviamente, gli ha impedito un normale
sviluppo del linguaggio.
L’assenza di uguali esami, registrati con l’ausilio protesico, rende
impossibile la valutazione di un eventuale recupero uditivo. Per
valutare questo fattore sarebbe necessaria una gran massa di dati, quali
ad esempio il tipo di protesi utilizzato, la sua regolazione, modificata
in base ai residui uditivi, e l’ottimizzazione del volume da tenere, per
sfruttare ogni potenzialità acustica rimasta accessibile a tali strumenti
riabilitativi.
Ripeto che non ritengo opportuno da parte mia un approfondimento
nel settore, poiché ho scelto di concentrarmi esclusivamente
sull’aspetto linguistico dell’handicap. Certamente meglio di me gli
4
Nel cap. V
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operatori nel settore saprebbero spiegare sia il funzionamento sia il
vantaggio che deriva da un corretto utilizzo ed un’ottimale
regolazione della protesi.
Gli esami audiologici presentati di seguito presentano tutti una sordità
di tipo grave, che, evidentemente ha messo i ragazzi in seria difficoltà
nell’apprendimento spontaneo della lingua orale.
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SORDITA’ E LINGUAGGIO SCRITTO
Il linguaggio non è un’invenzione culturale
più di quanto non lo sia la posizione eretta.
S. Pinker
Come si desume dal titolo di questa mia ricerca, ho concentrato
l’attenzione sul linguaggio scritto da parte di soggetti audiolesi; questo
in quanto, io come molte persone lontane dalla realtà sorda, non mi
sono posta assolutamente il problema della difficoltà di
apprendimento della scrittura da parte di un non udente fino a quando
non ho avuto la possibilità di lavorare a stretto contatto con i non
udenti, proprio su argomenti di carattere linguistico.
E’ questo l’aspetto che ritengo più interessante della mia esperienza
dell’anno scorso: scoprire che anche persone con un’ottima
“competenza comunicativa non verbale” dimostravano difficoltà a
comporre correttamente una frase per iscritto.