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Introduzione
Le città, in una loro possibile definizione, sono “l'espressione fisica della società” (Col·lectiu
Punt 6, 2019, p. 12): queste vengono progettate sulla base di strutture, forze e relazioni di
potere (economiche, culturali e politiche) che tendono alla società; al contempo, le città
prendono forma in maniera spontanea e quotidiana sulla base di sistemi di valori mutevoli,
modi di vivere e pensare, memorie e desideri della grande massa eterogenea di persone che
abitano gli spazi. Come le città si fondano a partire dagli utenti, al contempo queste plasmano
gli abitanti: il disegno urbano determina fortemente la vita delle persone, influendo nei
tempi, nei corpi e nella qualità delle esperienze, regolando gli usi e creando limiti, tanto
spaziali quanto sociali (Linda McDowell, 1999).
Quando l'urbanistica non è attenta e rispettosa delle differenze, può generare nella forma
urbana gerarchie sociali, separando invece di unire e valorizzare le diversità, e contribuendo
a creare disuguaglianze e conflitti. Osservare la realtà dell’ambiente costruito permette in
questo senso di riconoscere che esistono identità che i modelli urbani ereditati dal passato
non rappresentano e bisogni che spesso non trovano spazio nelle politiche urbane.
Per cercare di invertire queste dinamiche, in questa tesi viene studiata l’urbanistica
femminista
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, ovvero la relazione tra i principi del movimento femminista e la pianificazione
5
Urbanistica di genere (o con prospettiva di genere) o urbanistica femminista: la differenza tra queste due
definizioni risiede nel posizionamento di coloro che applicano questa visione. Mentre la prima si limita ad
applicare l’uso del genere come strumento analitico che permette di rendere visibili le differenze negli usi
degli spazi, dovute al fatto di essere donne o uomini, la seconda definizione si può definire schierata,
“politica”, in quanto si muove con esplicito riferimento all’interno del quadro del movimento femminista
nell’intento non solo di analizzare le implicazioni di questi ruoli nell’urbano, bensì di rimontare all’origine
delle disuguaglianze generate per poterle eliminare. Come dicono chiaramente le fondatrici del Col·lectiu
Punt 6: “Parliamo di "urbanistica femminista", non di "urbanistica di genere", per riflettere la nostra
posizione politica; non vogliamo fermarci all'analisi delle differenze, ma piuttosto sradicare le
disuguaglianze.“ (Col·lectiu Punt 6, 2019, p. 20)
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del territorio. Attraverso lo studio delle metodologie e tecniche affinate dagli studi
femministi in campo geografico e della pianificazione, si intende proporre una revisione
degli spazi urbani applicando una prospettiva di genere intersezionale.
Questa revisione pone l'attenzione sulla vita quotidiana e i bisogni dei soggetti che
tradizionalmente sono stati invisibilizzati dall'urbanistica razionalista (donne, collettivo
LGBTQI+, persone anziane, bambini, persone razzializzate, persone con discapacità
cognitive e motorie, ecc.). Acquisire maggiore consapevolezza di queste voci differenti
rispetto al soggetto definito 'standard' (solitamente uomo, bianco, cisgender, di classe media
e abile) e includere questi soggetti e le loro conoscenze esperienziali nei processi
pianificatori partecipativi, secondo la letteratura femminista sono due azioni che potrebbero
contribuire nel processo di costituzione di una città più inclusiva, attenta alle esigenze di
tutte e tutti.
L’elaborato si compone di tre capitoli: nel primo viene studiata la città delle differenze,
con riferimento all’eterogenea composizione sociale che struttura la città contemporanea e
alla complessità che assumono le nuove identità che si configurano, fenomeni che mettono
in atto l’esigenza non solo di ripensare al concetto di diversità conosciuto, ma anche
all’approccio che le pratiche di pianificazione devono attuare nel risolvere i conflitti e le
disuguaglianze spaziali dettate da tale pluralità sociale.
In tal senso viene introdotta come possibile soluzione teorica e metodologica la prospettiva
di genere intersezionale, visione che verrà approfondita nel secondo capitolo attraverso la
presentazione degli studi femministi che nel tempo hanno introdotto il criterio di genere
nel campo urbano, fornendo una critica costruttiva ai principi che hanno eretto le nostre
città, eredità della pianificazione urbana dei secoli scorsi.
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Infine, il terzo ed ultimo capitolo analizza un paio di casi studio della città di Barcellona:
il Piano dei Quartieri e il programma Proteggiamo le scuole, due progetti nati sotto la
volontà del Comune catalano di incorporare la prospettiva di genere alle politiche di
riqualificazione dello spazio pubblico con il fine di creare una città composta da quartieri
più vivibili ed inclusivi. Lo studio di questi due casi è volto a valutare la contribuzione
della prospettiva di genere nella pianificazione degli spazi pubblici, e si propone esaminare
l’impatto che ha avuto nella riuscita degli stessi. A questo proposito sono state svolte delle
interviste per approfondire i temi trattati e delle osservazioni in loco.
Il lavoro di tesi realizzato trae le sue conclusioni sull’applicazione di genere a partire dalla
letteratura studiata, l’analisi di campo effettuata nella città di Barcellona e le interviste
svolte. Le riflessioni finali chiudono il lavoro di ricerca riepilogando una lista di
raccomandazioni generali - che possono essere applicate indipendentemente dalle
caratteristiche del contesto socio-spaziale – utili per indirizzare le amministrazioni nel
lavoro di applicazione della prospettiva di genere nella pianificazione urbana.
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C1. La città delle differenze
Se volessimo disegnare in modo schematico le città in cui viviamo, potremmo rappresentarle
attraverso un gioco di contrasto tra forme piene, le architetture e le volumetrie, di colore
nero, e vuoti bianchi, i luoghi aperti, di circolazione, di scambio, di incontro: gli spazi
pubblici. È proprio in questa seconda dimensione di vuoti apparenti che le città si mostrano
nella loro complessità e danno prova della loro unicità, animandosi e prendendo vita
attraverso la loro unità fondamentale e costitutiva: le persone. Attraverso una pluralità di
azioni individuali, la forza espressiva della collettività, gli esseri umani fungono da
pennellata di colore al bozzetto monocromatico della forma urbana, dotandola di identità e
caratteristiche proprie. Le città, in una loro possibile e parziale definizione, sono
“l’espressione fisica delle società insediate” (Col·lectiu Punt 6, 2019, p. 6). Per comprendere
la morfologia urbana è necessario dunque inquadrare l’assetto sociale, il substrato culturale,
politico ed economico che plasma la realtà geografica, come questo si è evoluto nel tempo e
secondo quali principi e giochi di potere. Allo stesso modo, per poter comprendere e studiare
la società che vive un determinato luogo, valutandone le abitudini, le dinamiche e i
comportamenti individuali e collettivi, è fondamentale tenere in considerazione nell’analisi
anche la morfologia degli spazi abitati e vissuti quotidianamente. La collettività plasma e
carica di significato la città, com’è altrettanto vero l’inverso: la configurazione fisica
dell’urbe, risultato della pianificazione urbana e delle politiche che la muovono, determina
fortemente la vita delle persone, influendo nei tempi, nei corpi e nella qualità delle
esperienze, regola gli usi e gioca un ruolo fondamentale nella fruizione dei luoghi. Citando
la geografa britannica Doreen Massey: <<Non solo lo spazio è socialmente costruito, anche
il sociale è spazialmente costruito>>. (Massey, D.,1984).
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Per questo motivo gli spazi della città dovrebbero sempre essere disegnati in maniera
inclusiva, per essere vissuti in modo collettivo e democratico (J. Borja, Z. Muxì, 2003), al
fine di fornire benessere indiscriminato e una sensazione di rappresentanza alla totale
eterogeneità di persone che li vivono. Per fornire una risposta equa ed efficace ai bisogni dei
diversi attori della città, è necessario in primo luogo prendere consapevolezza e rispettare la
complessità di tutte le soggettive esperienze urbane vissute ed incarnate. Per far ciò gli
urbanisti, quali figure che esercitano la disciplina dell'organizzazione e gestione del
territorio, devono impegnarsi ad acquisire conoscenza dei soggetti plurali e diversi che
abitano lo spazio, dimostrando sensibilità ai contesti (Cancellieri, 2019) ed elaborando nuove
metodologie e tecniche, di analisi e di progetto, che prestino maggiore attenzione ai diversi
modi di vivere, abitare e muoversi di coloro che quotidianamente colorano gli spazi urbani.
1.1 Le vecchie e le nuove differenze: incroci di identità, desideri e tensioni
Incroci di identità
Alla base della comprensione del funzionamento delle città contemporanee vi è la relazione
tra pianificazione urbana e differenze. La città, come scrive Pasqui, “è sempre stata il luogo
delle differenze, del plurale” (Pasqui G., 2018): il luogo dove le diversità co-esistono, dando
vita ad un intreccio complesso di attori, processi e desideri, a differenti scale e livelli, che
continuamente plasmano e donano significato ai luoghi, impregnandoli di memorie e
identità.
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Il famoso sociologo tedesco Louis Wirth già nel 1938 incorporava nella sua definizione
minima della città
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la compresenza di “individui socialmente eterogenei” (Wirth L., 1938),
una condizione di coabitazione tra “mondi sociali” differenti che a ottant’anni di distanza
appare più che mai lampante negli attuali contesti urbani.
Il concetto di diversità - forgiato da più ambiti disciplinari, di studi filosofici, antropologici
e sociologici - emerge infatti come principio cardine al momento di descrivere la società e
la realtà spaziale dove questa si instaura: la coesistenza di molteplici culture, stili di vita e
aspirazioni costituisce di per sé una connotazione della società contemporanea (Porrino C.,
2015) e si concretizza come una caratteristica basilare, ma non ovvia, delle città
contemporanee (Lodetti G., 2020)
7
. Gli insediamenti contemporanei si popolano di una
sempre più eterogenea e plurale composizione sociale, facendo emergere una “topografia
della società contrastata” (Secchi B., 2013), tanto da rendere difficile tracciare in maniera
tradizionale un profilo determinato e statico di coloro che vivono gli spazi.
È importante in questo contesto fare una precisazione: quando si parla di città plurale,
termine ampiamente utilizzato per riferirsi all’attuale condizione urbanistica, il più delle
volte lo si fa con riferimento alla mera co-esistenza di culture ed etnie differenti.
“Confondere la città plurale con la città multietnica è riduttivo, oltre che fuorviante”
(Porrino C., 2015): in realtà il tema della pluralità è molto più ampio e complesso.
6
La sintetica definizione che Wirth dona alla città è legata alla dimensione, alla densità e all’eterogeneità
sociale della stessa (Borelli G., 2012). Nonostante come dica Borelli questa descrizione sia ad oggi
inadeguata a definire il fenomeno urbano, rimane comunque un ottimo riferimento per le successive
teorizzazioni.
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Nonostante la diversità sia diventata una caratteristica del contemporaneo spesso continua a non esser
compresa, così le politiche e le pratiche messe in atto (tra cui quelle urbane) preservano una visione negativa
in merito e risultano poco efficaci nel compito di amministrarla. (Lodetti G., 2020, p. 30)
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Tra i molteplici criteri di differenziazione infatti bisogna considerare non solo l’etnia e
l’appartenenza religiosa, derivanti principalmente da uno dei fenomeni che maggiormente
implementano la diversità nelle città
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: l’immigrazione; ma anche per esempio l’età e la classe
sociale, il reddito, il genere e l’orientamento sessuale, le capacità cognitive e di movimento,
tutte caratteristiche identitarie che subiscono e producono, in maniera differenziata, un
impatto significativo nell’organizzazione dello spazio e nella produzione dei luoghi. Queste
dimensioni identitarie però non sono sufficienti a descrivere l’attuale condizione urbana,
dove la diversificazione dei soggetti si intensifica e si sovrappone: per quanto la città delle
differenze non sia un fenomeno nuovo, e la diversità esista da sempre come fattore naturale
e spontaneo dell’evoluzione umana (Lodetti G., 2020), nella città e nella società
contemporanea si assiste ad una progressiva stratificazione delle differenze, che tesse nuove
interazioni tra individui, gruppi, età, generi, culture, religioni, regole d’uso dei luoghi e stili
di vita.
Per questo motivo non è più possibile ridurre il tema delle differenze a una bidimensionale
contrapposizione di macro-gruppi sociali divisi in base ai propri connotati etnici, culturali,
economici o sociali: la realtà assume una forma molteplice, densa di esperienze soggettive
articolate, formate a partire da un insieme di caratteristiche identitarie che interagiscono tra
loro e che pongono in essere la sfida non solo di ripensare al concetto di diversità, ma anche
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“(…) troppo spesso quando si evocano le differenze urbane si finisce quasi sempre per pensare alle
dinamiche migratorie e alla cosiddetta differenza etnica come principale – a volte unica – differenza
costitutiva, tralasciando il fatto che si intrecciano tra loro in uno specifico contesto molteplici fattori di
identificazione e assi di differenziazione. (… Bisognerebbe) “leggere” la città al plurale, utilizzando,
come prisma per l’analisi, molteplici criteri di differenziazione come l’“etnia”, l’età, la classe sociale, il
genere e le identità sessuali, l’appartenenza religiosa, e, più in generale, i sensi del luogo e gli usi dello
spazio.” (Cancellieri, 2012, p. 65)
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di aggiornare le tradizionali pratiche di pianificazione che si confrontano con una tale
pluralità. (Ibidem, 2020)
Per poter comprendere la complessità di questo fenomeno di stratificazione delle differenze,
ci viene in aiuto il termine hyper diversity - coniato nel manuale sul governo della città iper
diversa (T. Taşan-Kok et al., 2017). Il termine riprende il concetto di super-diversità
introdotto dall’antropologo Steve Vetrovec (Vertovec S., 2007), riferito nello specifico alle
città della Gran Bretagna che all’inizio del millennio vivono un’esperienza di crescente
diversità etnica dovuta alla forte immigrazione, che produce nuovi cittadini e genera una
complessità sociale mai vissuta in precedenza, che pone in essere nuovi bisogni e sfide per
la gestione della diversità.
L’iper diversità fa un passo avanti, svincolandosi dal contesto anglosassone, e ampliando il
concetto di diversità, riconducendola a più variabili, non solo alle riconosciute differenze
etniche, culturali e socioeconomiche, ma anche agli stili di vita, alle attività quotidiane e
all’uso degli spazi della città. (Ibidem, 2017, p. 95).
Questa condizione di iper-diversità detta il passo delle nuove società urbane, che crescono
ogni giorno più complesse, “sfuggenti e difficilmente comprensibili” (Porrino C., 2015, p.
28), non solo per il numero di nuove identità che sorgono, ma anche per le caratteristiche di
complessità e fluidità che queste assumono.
È necessario riconoscere che le persone non corrispondono ad una singola identità, al
contrario: queste appartengono a diverse dimensioni e background che interagiscono tra loro
su numerosi livelli, generando una situazione nella quale le variabili che determinano il
fattore diversità aumentano notevolmente.