2
movimento, se non addirittura coinvolte in un grande ballo collettivo, che
le canzoni del musicista e del suo gruppo suscitavano. Nonostante
l’esorbitante quantità di gente intervenuta, nessuno spiacevole incidente di
ordine pubblico, fatto più unico che raro. In definitiva, una grande festa
che ha accomunato un numero decisamente grande di persone: lo
spettacolo era gratuito, ma centomila spettatori sono davvero una
moltitudine inattesa! Così “a Milano Manu ha suonato, per una folla
enorme […], tenendo in piazza un concerto energico, coloratissimo e
divertentissimo, tutto giocato sul ritmo esaltante dello ska
1
, accompagnato
dalla sua band, Radio Bemba” (Pozzi 2001, p. 8).
La musica di Manu Chao è un’abile ricetta i cui ingredienti vanno dal
rock alla pop music, passando per una lunga e massiccia serie di influenze
di matrice “etnica”, ovvero di quel tipo di musica che si può ascrivere ad
una particolare cultura e viene indicata come l’espressione musicale
peculiare di una certa etnia. Oltretutto, il musicista canta testi scritti in
diverse lingue, rendendo le sue canzoni comprensibili ad un pubblico
vasto, ma nello stesso tempo in un modo ad esso vicino, sicuramente più
che se quei medesimi testi venissero cantati solamente in inglese.
Ora, il suo successo è indubbiamente meritato per la qualità artistica
delle sue produzioni, ma forse ciò non è sufficiente a spiegare un tale
entusiasmo e un tale coinvolgimento da parte dell’audience: “Con i suoi
ritmi latini Manu Chao ha infiammato circa tremila persone già a partire
dalle sei e un quarto, quando sono cominciate le prove della band. […]
Pioggia di applausi, danze sfrenate e cori per due ore di concerto che ha
1
Un veloce ritmo sincopato di origine caraibica, giamaicana in particolare.
3
coinvolto tutta la piazza, totalmente gremita, che ha ballato i più grandi
successi dell’artista franco-spagnolo” (Sacchi 2001, p. 53). Insomma, una
grande festa “fatta di ritmo e allegria, all’insegna della solidarietà e
dell’unione tra i popoli” (ibid.).
Manu Chao è un artista inserito a pieno titolo nel sistema dell’industria
culturale: la sua casa discografica è una delle più grandi del mondo intero
e, grazie anche ad essa, può contare su una promozione e una distribuzione
planetaria dei suoi lavori. Ma è anche implicito che, evidentemente, i suoi
lavori incontrano alcune esigenze specifiche del pubblico e tendono a
soddisfarle. È, questa, una constatazione generale, applicabile ad una
miriade di artisti, della quale lui è un esempio molto evidente, ma non
l’unico; una constatazione che meriterebbe una certa attenzione.
Il “caso” rappresentato da questo artista è un esempio significativo del
fenomeno che è oggetto di studio in questo lavoro. Manu Chao è
riconosciuto come un autore di musica dal forte sapore “etnico”, per cui
sembra che esista un interesse per questo tipo di “coloriture” da parte dei
consumatori di musica, interesse a cui egli risponde, soddisfacendolo.
Oltre a lui, esistono numerosi altri musicisti che propongono operazioni
simili, cioè musica “impregnata di etnicità”; essi, tra alterne fortune, hanno
segnato, forse indelebilmente, una parte dell’industria culturale, ottenendo
una propria collocazione che, al pari del caso di Manu Chao, risponde a tali
esigenze nell’audience.
Ma da dove nascono questo interesse e queste esigenze “etniche”? E
quando sono sorti? Sono recenti oppure esistono da molto tempo e solo in
certi casi raggiungono livelli macroscopici tali da farli sembrare nuovi?
4
Personalmente credo che il genere “musica etnica” si intersechi con
tutta quella serie di fenomeni che vengono riuniti sotto il nome di
“globalizzazione”, e per questo ritengo si tratti di uno stile che oggi vive
un momento particolarmente felice, in quanto “adatto” al momento storico
che stiamo attraversando. Ciò che questo breve studio cercherà di mostrare
è se, come e perché questa intersezione avvenga, partendo dalla
constatazione che oggi la world music, o musica etnica, è uscita dagli
scaffali dei negozi specializzati per entrare in quelli dei media stores
musicali; percorso, questo, che comunque non sarà privo di implicazioni e
cambiamenti di livelli concettuali.
La musica etnica si globalizza, al pari del pianeta? Oltretutto, ritengo
curioso che questo genere sia definito “world music”, cioè “musica del
mondo”: forse si può già immaginare che sia questo lo stile in grado di
“tessere la trama” della musica mondiale? World-as-a-whole, dunque
world-music-as-a-whole?
Prima di procedere, sono necessarie alcune precisazioni.
Anzitutto, per quel che riguarda la musica etnica, il termine è quello che
viene usato nell’industria culturale per la classificazione di un genere
musicale e che si può facilmente verificare entrando in un negozio di
dischi: esiste sempre una dicitura “musica etnica” (o “world music”) sotto
la quale vengono catalogate certe produzioni musicali. Non si tratta dunque
del termine adottato dall’etnologia e dall’antropologia, né quello di cui si
fa uso in musicologia. Se un rivenditore di dischi usi questo termine
correttamente o meno, non è certo dato a questo lavoro di risolverlo; del
resto, visto che si vuole esplorare un settore del sistema della produzione
5
culturale, è naturale adottarne alcune definizioni. Tuttavia, pure queste
classificazioni possono essere problematiche, anche perché a volte sono
mutevoli: ad esempio, può capitare che certi artisti transitino dallo scaffale
della world music a quello della pop music semplicemente in
concomitanza col successo commerciale
2
. Ad ogni modo, vorrei che fosse
chiaro che la “musica etnica” che concerne questo lavoro è quella della
produzione culturale: in questo sistema esiste un settore chiamato così ed è
quello che si è voluto indagare.
Questo è un lavoro di matrice sociologica. Quindi, della globalizzazione
saranno considerati gli aspetti che attengono soprattutto alla
comunicazione, alla produzione culturale, al problema dell’identità e a
quello dell’etnicità, il tutto rivisto in ambito musicale. Per sintetizzare, la
globalizzazione di cui si intende parlare è più che altro quella culturale. Il
versante della globalizzazione che sarà oggetto di interesse non sarà quello
economico, né quello politico. Le questioni che riguardano questi aspetti
sono fra le più importanti, se non le più importanti, per comprendere il
fenomeno della globalizzazione nel suo complesso, e anche per questo
saranno comunque trattate nel primo capitolo, ma esulano da quello che
sarà il percorso che intendo seguire. Certamente il discorso ha le sue forti
relazioni con l’economia (si sta dopotutto parlando di produzione
culturale) e con la politica (i significati che vengono veicolati con la
musica hanno anche una matrice politica) e gli aspetti politico-sociali in
genere che si riscontrano nel contesto della globalizzazione, ma sono
2
Ad esempio, Enya è passibile di una classificazione plurima: i suoi album a volte
si trovano nella world music, a volte nella new age, a volte nel pop.
6
relazioni che sarebbero troppo vaste da esplorare per le intenzioni che
questo lavoro si propone.
Ecco quindi un’altra precisazione: l’oggetto di studio si è rivelato un
nodo per tante e tali implicazioni che il discuterle tutte avrebbe ingigantito
enormemente la questione. Data la natura di questo studio, tralasciare
molte di queste connessioni risulterà più che mai doveroso. Da qui anche
una delle difficoltà incontrate nello svolgimento: cercare di offrire un
quadro del problema senza ingigantirlo ma nello stesso tempo senza
banalizzarlo. Nel complesso, l’oggetto di studio si è mostrato un punto
d’incontro di numerose discipline e il “tenerle a bada” sarà a volte
problematico; tuttavia, proprio per questo motivo mi sembra possa risultare
di un certo interesse.
La globalizzazione è per sua natura mutevole e multiforme e ciò crea un
certo isomorfismo con l’analisi di cui è generalmente oggetto: gli studi in
proposito sono, parallelamente, anch’essi mutevoli. Andando a
considerare, quindi, le relazioni tra la musica etnica e la globalizzazione,
vorrei che venisse sempre tenuto presente il fatto che i risultati proposti
sono passibili di una certa transitorietà e frammentarietà, ma nello stesso
tempo credo alla validità “di nicchia”, per lo meno temporale, degli stessi.
Non essendo la letteratura sulla globalizzazione esigua, né lontana
dall’essere riconosciuta come parte integrante e importante del pensiero
sociologico odierno, non è stato certamente con spirito enciclopedico che
ci si è accostati ad uno dei settori del fenomeno in esame. Proprio per
questo si è cercato di limitare la trattazione agli aspetti più specifici del
problema, indicando un quadro generale per contestualizzare il tutto (anche
7
perché la contestualizzazione costituisce un elemento portante della
questione) e per approfondire il quale occorre rivolgersi agli autori ormai
classici di studi sulla globalizzazione. Contemporaneamente sono state
indicate le implicazioni che esso comporta, “saccheggiando” differenti
approcci con spirito compiutamente postmoderno, ovvero assumendo tutti
gli elementi che fanno al caso in questione senza sentire la necessità di
adottare l’intero modello scientifico delle discipline di volta in volta
considerate. Per certi versi, isomorfismo anche in questo caso: una
“metodologia postmoderna” (patchwork
3
) per un fenomeno che col
postmoderno ha molto da spartire, come si vedrà nelle pagine che
seguiranno.
Continuando a parlare di globalizzazione, potrebbe essere utile
precisare anche che non si vuole considerare se e come la musica etnica si
relazioni con la spaccatura di opinioni, nei riguardi della globalizzazione,
che si riscontra nel mondo occidentale. Forse un certo rapporto è intuibile
comunque, come anche magari la mia opinione personale in proposito, e
può darsi che entrambi emergano nascostamente anche fra le righe che
seguono. Tuttavia, l’intenzione di questo lavoro è analitica, non di sicuro
orientata ad una presa di posizione sulla globalizzazione, né
all’esplicitazione della possibile relazione prima espressa. Del resto, lo
stesso musicista citato all’inizio affermava: “la musica è la mia strada, però
lungo il percorso mi hanno messo uno zaino sulle spalle, trasformandomi
3
Cioè di quel “mito che nemmeno troppo nascostamente il postmoderno coltiva, il
mito del patchwork, del collage: la possibilità di comporre i frammenti del passato
senza scegliere tra di essi, la possibilità di conciliare gli opposti. Questo proprio per
la negazione di un valore assoluto di tutti i miti del passato, per la precisa non
volontà di scegliere tra le passate ideologie” (Bovone 1990, p. 5).
8
in un simbolo politico. Non posso scaricarlo, sarebbe da codardi”, però “io
cerco di separare le idee dalla musica: le prime preferisco diffonderle
quando parlo e incontro la gente” (Laffranchi 2001, p. 3)
4
.
Un altro problema che è stato affrontato è quello che riguarda le
definizioni: ad esempio, parlando di cultura sembra tuttora necessario
ripercorrere la “storia” delle accezioni del termine stesso, proprio perché il
concetto si presta a molte ambiguità. Lo stesso è avvenuto anche in altri
casi: la globalizzazione è stata qui presentata come un insieme di fenomeni
ognuno attinente ad un certo settore disciplinare, e quindi non come un
concetto unitario (arduo e probabilmente scorretto modo di procedere,
anche se i vari dizionari della lingua italiana si sforzano di offrirne una
spiegazione più o meno univoca).
Per quello che riguarda invece l’interesse personale che è stato
chiamato in causa, posso dire che la conoscenza della musica e del “come
funziona” il settore musicale e discografico è stata sicuramente da una
parte una “molla” per stimolare questa ricerca, dall’altra uno strumento che
ha permesso di capire alcune questioni “tecniche” riguardanti la musica
stessa e poi quella etnica in particolare. La competenza personale e
l’interesse sono stati a volte necessari per la compilazione, dal momento
che non sempre la letteratura “classica”, sociologica e non, o quella sulla
globalizzazione, sono state un supporto sufficiente. Come ricordato prima,
4
Questo perché, per ritornare al concerto in Piazza del Duomo, “con treccine e
capigliature rasta, tatuaggi, orecchini e vestiti coloratissimi (dalle magliette del
movimento zapatista a parei a macchie che ricordavano quelle viste durante il
leggendario raduno di Woodstock), tanti erano i giovani che in Manu Chao
riconoscono il leader del movimento che combatte pacificamente la
globalizzazione” (Sacchi 2001, p. 53).
9
di globalizzazione si è scritto tanto, ma probabilmente c’è ancora un certo
spazio disponibile nel posto che compete a questo lavoro.
Per tutti questi motivi mi sono accinto alla stesura di ciò che segue.
Dapprima sarà offerta una panoramica sulla globalizzazione e le sue varie
manifestazioni, in particolare sulla comunicazione, sulla scorta degli autori
“classici”, per evidenziare i concetti che poi saranno usati
nell’osservazione più specifica. Successivamente, una veduta sulla
sociologia della cultura, anche qui tesa a fornire gli strumenti d’analisi,
trattando di cultura pop, di identità culturale di produzione culturale, di
sottoculture e controculture.
Dopo questa prima parte, interviene il cambio di prospettiva che si
realizza nel passaggio da musica popolare, esaminata grazie al lavoro degli
autori classici (soprattutto degli etnomusicologi), a musica etnica come
realtà da inserirsi nell’industria culturale (“l’uscita dal villaggio”). Il piano
concettuale che si delinea permette quindi la trattazione vera e propria dei
rapporti tra world music e globalizzazione, cercando di vedere la musica
etnica alla luce di alcune tra le varie dialettiche evidenziate nella prima
parte. Da qui nascono alcuni concetti come continuum etno-musicale,
ibridazione etno-musicale, patchwork etno-musicale, glocal musicale.
In ogni caso, è bene ricordare che si è voluto parlare di musica etnica
come settore dell’industria culturale, ma le varie manifestazioni di questo
genere sono comunque operazioni artistiche, per cui, per un certo verso,
possono essere viste anche indipendentemente dai rapporti che hanno con
il sistema della produzione culturale. Da questo punto di vista, tali
manifestazioni possono a volte sembrare “bizzarre”, perché appunto prive
10
di un contesto che dia loro senso (penso ad esempio agli ibridi etno-
musicali). Ricontestualizzare tutto ciò può costituire un’ottima occasione
per recuperare quel grande apporto artistico e comunicativo della musica
etnica nel mondo che spesso, almeno nella percezione da parte del
pubblico, è stato messo in ombra dalla “bizzarria” di certi prodotti
musicali.
L’ibridazione è uno di questi fenomeni, che nel giusto contesto sono
carichi di significati importanti. Per usare le parole di Stuart Hall (1991, p.
38-39, trad. mia), “Sono rimaste delle musiche che non hanno mai
ascoltato qualche altro tipo di musica? Tutte le musiche moderne più
‘esplosive’ sono crossover. L’estetica della musica popolare moderna è
l’estetica dell’ibrido, l’estetica del crossover, l’estetica della diaspora,
l’estetica della creolizzazione”.
11
Capitolo 1
IL “MONDO COME UN TUTTO”
1. Tela e cornice
Nel momento in cui ci si accinge a studiare un fenomeno come è quello
della globalizzazione è opportuno, per non dire necessario, considerare il
carattere “evolutivo” del fenomeno: i confini concettuali e le definizioni
del problema sono per loro natura flessibili, mutevoli e in continua
evoluzione. Il motivo dell’incertezza dei margini ermeneutici sta
fondamentalmente nell’adattamento all’oggetto in esame, anch’esso in
continua (e rapida) evoluzione; sarebbe errato pensare al world-as-a-whole
come ad una struttura ormai compiuta e definita, anche se può sembrare
che sia già stato detto tutto o perlomeno a sufficienza, così come sarebbe
errato pensare di utilizzare modelli concettuali univoci e unidirezionali
volti allo studio del fenomeno. Il rischio è quello di irrigidirsi in un “letto
12
di Procuste” metafisico, incapace di pensare la realtà in quanto tale ed
impegnato ad adattarla ai propri schemi.
Per quel che riguarda il tema che questo lavoro si propone di
sviluppare, sarà necessario che vengano riassunte e, un po’ drasticamente,
schematizzate sia le cornici all’interno delle quali agiscono le dialettiche
globali, sia le dialettiche stesse, che non saranno in seguito riprese in
esame.
Saranno anzitutto richiamate le definizioni ormai acquisite, e sarò qui
debitore agli autori che per primi hanno saputo focalizzare con una certa
chiarezza i processi in atto nel mondo che cambia e diventa “globale”, in
modo da tracciare le linee che permetteranno di individuare il contesto in
cui si inserisce il tema portante del lavoro in questione, cioè i rapporti tra la
musica etnica e la globalizzazione. Del resto, e sia detto per inciso,
pensando al sistema-mondo in un’ottica postmoderna, è possibile un
interscambio tra i poli del sostanziale e del contingente: la cornice in cui i
vari fenomeni sono inseriti diviene la loro caratteristica essenziale, al di là
del soggetto che risulta dipinto sulla tela.
In seguito si prenderà in considerazione in modo più specifico la
comunicazione, che costituisce uno dei “traini” del sistema-mondo e della
postmodernità, oltre che, nelle problematiche qui trattate, uno dei “ponti”
tra processo globale e musica etnica.
13
2. A proposito di sistema-mondo
2.1 La cultura globale
Svincolando la cultura dalla sua accezione nazionale ci si trova di fronte
a una concezione di cultura basata sui processi, dunque una peculiarità
che rende la cultura stessa dinamica e in continua evoluzione. È in
questo senso che si può parlare di globalizzazione della cultura
(Featherstone 1996a)
1
. Inoltre l’autonomia di questo processo si
riscontra nella relativa indipendenza dello stesso da quelli socioculturali
convenzionali (nazionali) soggiacenti; così la forma in cui il mondo
diventa unito è quella globale, con un alto grado di complessità
(Robertson 1996).
Come suggerisce Arjun Appadurai (1996), è possibile individuare flussi
culturali globali, e precisamente: a) ethnoscapes: flussi di persone
(turisti, immigrati, rifugiati, ecc.); b) technoscapes: flussi tecnologici di
corporazioni nazionali, multinazionali, imprese statali; c) finanscapes:
flussi di denaro nei mercati globali; d) mediascapes: flussi di
informazioni prodotte e distribuite dai media; e) ideoscapes: flussi di
immagini associati a movimenti ideologico-politici pro o contro lo
stato, derivanti dalla concezione illuministica del mondo: libertà,
assistenza, diritti, sovranità, rappresentanza, democrazia…
1
Per un’esauriente trattazione dei temi qui brevemente accennati rimando, in
generale, ai lavori curati da questo studioso, lavori che costituiscono, ormai,
“classici” del genere.
14
Il processo si sdoppia quasi immediatamente in due livelli: a) culture
eterogenee che si incorporano in una dominante che sovrasta il pianeta;
b) culture precedentemente isolate che entrano in contatto,
ammassandosi in sistemi incoerenti (Featherstone 1998), per giungere
ad un’attuale e originale forma di sincretismo.
Il problema della cultura (e delle culture) in un contesto globale sarà
comunque ripreso più avanti, anche in virtù delle specificità che
interessano questo lavoro, cioè il nesso tra la cultura, la globalizzazione,
la musica etnica e l’etnicità.
2.2 Il sistema-mondo e la strutturazione unitaria
Posto che il processo di globalizzazione ha le sue origini lontano nel
tempo, consideriamo pure come portanti i fattori che hanno condotto
alla crescita del fenomeno stesso in tempi recenti.
Wallerstein cita, in particolare, sei realtà di natura economica: a)
integrazione di una serie geograficamente vasta di processi produttivi
(economia-mondo capitalista); b) ritmi ciclici di espansione e
contrazione; c) accumulazione senza fine di capitale; d) movimento e
mutamento, con enfasi sulla novità (più che sul progresso); e) sistema
capitalistico polarizzante, con ricompense e forzature nella direzione
dell’assunzione da parte dei soggetti di ruoli fortemente polarizzati; f)
sistema capitalista storico, con ciclo di vita e logica basata sull’auspicio
di un’infinita espansione.
15
Il mondo diventa così unitario e interdipendente a livello economico e il
ruolo che assume la cultura è quello di “sforzo collettivo” per risolvere
contraddizioni, complessità, ambiguità del sistema (Wallerstein 1996).
Inoltre i settori in gioco sono tanto mutuamente relazionati da poter
estendere le considerazioni di Wallerstein: ad esempio, l’industria della
produzione culturale adotta le logiche dell’economia-mondo capitalista,
con ripercussioni sul sistema della cultura tout court.
Per Robertson sono stati significativi l’aumento di organizzazioni e
istituzioni internazionali, le crescenti forme globali di comunicazione,
l’adozione di un tempo unificato, lo sviluppo di competizioni e costi
globali, lo sviluppo di nozioni standard di cittadinanza, diritti e
concezione di genere umano (Robertson 1996, cit. in Featherstone
1996a, p. 14)
2
.
2.3 Centri e periferie
In un mondo senza più frontiere si ristrutturano anche i luoghi del
potere. Incontriamo quindi nuovi centri e nuove periferie; nuovi in
quanto rispecchiano la propria condizione non più sul territorio
nazionale, ma su quello planetario.
Diventano (o rimangono) centri quei luoghi dove si concentrano le
funzioni economiche, oltre alle conoscenze e le informazioni, ovvero il
bene più globalizzato; Saskia Sassen (1997) giudica importante
2
In particolare, Robertson divide l’avvento della globalizzazione in cinque fasi, fin
dal XV secolo, con decollo del fenomeno a partire dal 1870.