9
solitamente tradizionalista e quindi poco incline a cambiare
abitudini
3
.
Una motivazione ancora più grande che spinse i nipponici a gettarsi
anima e corpo prima nella ricostruzione post-bellica, poi nella fase
della grande crescita economica, fu il desiderio di migliorare il loro
status per cancellare l'umiliazione della sconfitta. Il popolo
giapponese era stato per dieci anni, prima e durante la Seconda
Guerra Mondiale, oggetto di una propaganda martellante che aveva
inculcato nella popolazione il mito dell' invincibilità, del popolo
eletto, diretto discendente della Dea del Sole e perciò invulnerabile,
per cui la sconfitta militare rappresentò una doppia tragedia: fece
precipitare il paese nelle terribili condizioni comuni a tutti i paesi
sconfitti in guerra, inoltre gettò la popolazione in una condizione di
perdita di identità. Tutto ciò in cui avevano fermamente creduto per
anni si rivelò falso: la razza superiore, l'invincibilità militare, lo
shintoismo. Il governo militarista giapponese, immediatamente
prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva difatti imposto
lo Shintoismo come unica religione professabile, accompagnando
tale ordine con il messaggio propagandistico che, se tutta la
popolazione si fosse uniformata a tale credo il Giappone avrebbe
sicuramente vinto il nemico in guerra
4
. Occorreva quindi qualcosa
che ricompattasse tutti gli strati sociali e che rappresentasse un
obiettivo valido per far uscire la popolazione dallo stato d'animo di
prostrazione in cui era sprofondata, questo qualcosa fu la crescita
economica
5
. Il governo giapponese lavorò a stretto contatto con i
grandi gruppi industriali nel perseguimento dell'obiettivo della
grande crescita, il manager divenne la figura centrale a cui venne
dato il compito di divulgare all'interno delle fabbriche il concetto di
unica grande famiglia dove ognuno stava lavorando per uno scopo
comune. Negli anni Sessanta furono realizzati cambiamenti
3
A. Gordon, "Postwar Japan as history" Los Angeles, 1993 pag. 454
4
M. Gorbaciov, D. Ikeda, "Le nostre vie si incontrano all'orizzonte" Milano, 2000
pag. 10
5
G.D. Allinson, op. cit. pag. 86
10
sostanziali rispetto ai modelli di organizzazione aziendale introdotti
in Giappone dagli statunitensi nell'immediato dopoguerra, il
modello cosiddetto del "controllo qualità" o "Tailorismo" di stampo
americano fu sostituito con le "attività di lavoro a piccoli gruppi".
Questo nuovo sistema era funzionale a divulgare il messaggio dei
manager: tutti i dipendenti condividevano uno scopo comune. Ogni
piccolo gruppo iniziava e portava a termine un certo tipo di lavoro
diventando così partecipe dei progetti aziendali e non un semplice
anello di una catena alienato dal resto della produzione, come
prevedeva il metodo statunitense
6
.
Anche la scarsa conflittualità delle organizzazioni sindacali contribuì
al raggiungimento degli scopi che i gruppi industriali si erano
prefissati. Fu introdotto inoltre il concetto di aumento dei salari in
proporzione agli incrementi di utili delle imprese che, visti i risultati
esponenziali ottenuti, soddisfecero i sindacati eliminando così un
motivo di tensione
7
. Un altro aspetto che contribuì a rendere basso il
livello di conflittualità dei lavoratori giapponesi consisteva nel fatto
che il livello dei redditi che essi percepivano era fra i più egualitari
del mondo.
Tutte le forze del paese contribuirono in qualche modo alla crescita
economica, o perlomeno non crearono grandi ostacoli; fu anche per
questo motivo che i vari governi giapponesi cercarono sempre di
creare problemi alla penetrazione di capitale straniero. In fin dei
conti, negli anni Sessanta, il Giappone era ancora un paese con molti
punti deboli, che i nipponici cercarono di superare anche grazie alla
coesione sociale e all'equilibrio che fu instaurato fra governo, grandi
gruppi industriali e piccole imprese; la penetrazione di capitale
straniero era vista come una minaccia che poteva alterare questi
equilibri
8
. Le piccole imprese erano sicuramente le più esposte ai
6
A. Gordon, op. cit. pag. 387
7
Ibid. pag. 87
8
U.S. Department of State, "Foreign Relations of the United States (da ora in poi
F.R.U.S.) 1961-1963 vol. 22 Northeast Asia doc. n° 382 pag. 3
11
pericoli che potevano venire dagli investimenti stranieri, ma
l'associazione che le rappresentava costituiva un potente gruppo di
pressione che influenzò notevolmente i governi Ikeda (Primo
Ministro dal luglio 1960 al novembre 1964) e Sato (Primo Ministro
dal novembre 1964 al luglio 1972) a prendere la decisione di
impedire il libero accesso di capitali e prodotti stranieri
9
.
La maggior parte degli esponenti politici del partito
liberaldemocratico, degli imprenditori giapponesi e dei burocrati, fra
questi particolarmente importanti erano i funzionari del Ministero
del Commercio Internazionale e dell'Industria (MITI), provenivano
dalle stesse università ed erano in rapporti di amicizia o d'affari,
tutto ciò rese ancor più facile creare una visione comune sul progetto
di crescita economica
10
. Le grandi industrie giapponesi inoltre
facevano valere i propri interessi attraverso diverse organizzazioni
nazionali, fra le quali le quattro più importanti erano: La Federazione
delle Organizzazioni Economiche (Keindanren), la Federazione
Giapponese degli Imprenditori Associati (Nikkeiren), il Comitato
Giapponese per lo Sviluppo Economico (Keizai Doyukai) e la
Camera del Commercio e dell'Industria Giapponese (Nissho). Queste
associazioni erano sicuramente più prestigiose e influenti delle loro
controparti statunitensi, la Camera di Commercio e l'Associazione
Nazionale degli Industriali
11
.
Per dare un idea della portata dell'impresa compiuta dal Giappone,
basti pensare al fatto che questo paese, uscito gravemente colpito dal
conflitto mondiale e dopo aver subito sette anni di occupazione da
parte degli statunitensi, riuscì nei venti anni che vanno dal 1955 al
1974 a diventare la seconda potenza economica mondiale, con un
9
A. Gordon, op. cit. pag. 153
10
G.D. Allinson, op. cit. pag. 90
11
I.M. Destler, H. Sato, P. Clapp, H. Fukui, "Managing an alliance: the politics of
U.S.-Japanese relations" Washington, 1976 pag. 52
12
tasso medio di crescita economica del 9,5%
12
! Tutto ciò fu possibile
grazie a una serie di fattori:
• La coesione sociale e la determinazione del popolo giapponese
• La crescita generale dell'economia mondiale
• Il libero accesso al mercato americano, senza richiesta di
reciprocità
• L'accesso a brevetti e licenze statunitensi
• L'opportunità di destinare pochissime risorse alle forze armate
13
.
Il Giappone divenne negli anni Sessanta il più grande produttore
mondiale di navi, il secondo per quanto riguarda l'elettronica e il
terzo per l'acciaio, la sua produzione superò tutti i paesi dell'Europa
Occidentale
14
. Se prendiamo come esempio la produzione del
Giappone nel 1955 e nel 1970, vediamo che per quanto riguarda
l'acciaio si passò da 9,41 milioni di tonnellate a 93,32, per le navi dai
0,5 iniziali si raggiunsero i 12,65 milioni di tonnellate mentre per le
automobili dagli iniziali 20.000 pezzi la produzione arrivò nel 1970 a
3.178.000
15
!
Per quanto riguarda l'occupazione militare statunitense occorre
comunque affermare che essa non ostacolò la ripresa economica del
Giappone nell'immediato dopoguerra. L'intenzione degli Stati Uniti
era quella di instaurare una forte alleanza con Tokyo, a tal fine il
progressivo miglioramento economico di questo paese era visto
come precondizione per la condivisione di maggiori responsabilità in
Asia, per cui un fattore positivo e da sostenere
16
. Gli Stati Uniti,
12
W.J. Barnds, "Japan and the United States: Challenges and opportunities", New
York, 1979 pag. 86
13
M. Yahuda, "The international politics of the Asia-Pacific, 1945-1995 New York,
1995 pag. 233
14
U.S. Department of State, "National Archives and Records Administration" (da
ora in poi N.A.R.A.) ,documento redatto dalla Sezione Estremo Oriente del
Dipartimento di Stato il 9/11/1967 decl. il 17/7/1992 pag. 2
15
W.G. Beasley, "Storia del Giappone moderno" Torino, 1975 pag. 372
16
J. Halliday, "Storia del Giappone contemporaneo" Torino, 1979 pag. 483
13
inoltre, rappresentarono per il Giappone il mercato più importante
per le proprie esportazioni, aspetto che portò gli statunitensi a
diventare, alla fine degli anni Sessanta, i maggiori critici delle
pratiche commerciali giapponesi
17
. A partire dal 1964 inoltre Tokyo
iniziò ad accrescere la sua autostima i suoi successi economici
iniziarono a essere accompagnati anche da riconoscimenti
internazionali, specialmente dopo l'acclamata organizzazione dei
giochi olimpici del 1964
18
.
Il successo che i prodotti giapponesi ottennero sul mercato
statunitense non fu dovuto solo alla loro ottima qualità, anche alcune
operazioni di dumping
19
contribuirono alla conquista del mercato
americano. Nel settore delle televisioni, ad esempio, le economie di
scala dovute alle grandissime produzioni delle maggiori case
giapponesi (Sony, Toshiba, Sharp, Matsushita, Hitachi)
permettevano costi molto bassi. Ciò consentiva di vendere con
grandissimi margini di guadagno in Giappone, fattore che
permetteva di ovviare alle vendite sotto costo decise per il mercato
statunitense. Questa operazione di dumping causò il calo del 50% di
addetti statunitensi nel comparto industriale televisivo fra il 1966 e il
1970 e la chiusura di molte case produttrici americane. La
conseguente diminuzione di concorrenza permise ai giapponesi di
conquistare notevoli fette di mercato e di poter successivamente
aumentare i prezzi di vendita
20
.
Altri dati interessanti che possono dare un'idea degli straordinari
risultati dell'economia giapponese durante gli anni Sessanta e
Settanta sono quelli relativi al consumo pro-capite. Alla fine del 1800
questi erano circa il 30% di quelli statunitensi, per diminuire alla fine
17
A. Gordon, op. cit. pag. 91
18
New York University Press, "American Foreign Relations - 1971", Dichiarazione
rilasciata da U. Alexis Johnson prima della Conferenza sul Commercio
Internazionale tenutasi a Los Angeles il 18/10/'71, New York, 1976 pag. 370
19
vendita sotto costo
20
P. Choate, "Agents of influence: How Japan's lobbysts in the United States
manipulate America's political and economic System", New York, 1990 pag. 82
14
della Seconda Guerra Mondiale al 14%. Alla fine degli anni Settanta
raggiunsero la cifra record del 62%
21
.
I successi economici del Giappone furono quasi sempre valutati in
modo sostanzialmente positivo dall'Amministrazione Johnson, ma
non si può dire la stessa cosa per gli organi di stampa statunitensi e
per i membri repubblicani del Congresso. La crescente produttività
del Giappone era vista, non solo come una delle cause della
diminuzione delle vendite di prodotti statunitensi all'estero, ma
anche come una minaccia per i posti di lavoro degli americani
22
. Nel
1964 uno studio condotto dal Dipartimento di Stato sottolineò come
il successo economico del Giappone stesse contribuendo a rafforzare
il fronte dei paesi a economia capitalista, rendendo al tempo stesso
non solo meno inevitabile il diffondersi del comunismo in Asia, ma
anche meno desiderabile
23
.
Un aspetto che contribuì non poco alla crescita economica del
Giappone fu la stabilità politica. Dall'inizio degli anni Cinquanta alla
metà degli anni Settanta, il partito Liberaldemocratico
24
mantenne
costantemente la maggioranza assoluta dei seggi nelle due camere
del parlamento nipponico, naturalmente anche i vari premier che si
avvicendarono in tali anni furono tutti esponenti dello stesso LDP.
Anche a livello locale la scena era dominata dai conservatori, per cui
non c'era angolo del paese dove la forza politica di maggioranza non
potesse perseguire con continuità il suo obiettivo prioritario, la
crescita economica
25
.
Gli elevati stipendi che i giapponesi percepivano e la loro marcata
propensione al risparmio furono altri importanti fattori che
contribuirono alla crescita economica, i redditi alti creavano nuovi
21
A. Gordon, op. cit. pag. 262
22
W.J. Barnds, op. cit. pag. 273
23
U.S. Department of State "N.A.R.A." documento redatto dal Dipartimento di
Stato il 26/6/1964 decl. il 29/5/1991 pag. 3
24
Da ora in poi LDP
25
G.D. Allinson, op. cit. pag. 89
15
consumi, mentre il risparmio favoriva nuovi investimenti
26
. Le
imprese poi potevano accedere facilmente ai prestiti elargiti dagli
istituti bancari, grazie alle garanzie che l'esecutivo stesso forniva
loro
27
.
Il Ministero del Commercio Internazionale e dell'Industria
28
ebbe un
ruolo importantissimo nella "crescita ad alta velocità" , questo organo
dell'esecutivo era sempre assegnato a un personaggio di primo piano
del LDP, inoltre i funzionari ai vertici avevano spesso legami diretti
con le grandi industrie giapponesi, cosicché le richieste di
quest'ultime si tramutavano spesso in atti politici senza dover
aspettare i tempi lunghi dell'iter parlamentare. In più di una
occasione, la vita politica giapponese del dopoguerra fu
caratterizzata dal fatto che alcuni provvedimenti voluti dal Primo
Ministro in carica non ebbero seguito a causa dei veti posti dal MITI.
Questo ministero controllava l'accesso del capitale straniero e dava
l'approvazione tecnologica ai nuovi prodotti, inoltre decideva le
priorità in campo produttivo stanziando allo stesso tempo
sovvenzioni alle imprese che se ne occupavano
29
. Il Giappone è stato
il primo paese capitalista a istituzionalizzare la pianificazione
dell'economia, questo comportamento divenne famoso negli Stati
Uniti come la politica industriale ufficiale del Giappone
30
, o della priorità
al prodotto interno lordo, una impostazione così rigida da renderla
simile all'economia di un paese in guerra
31
. Le tattiche con cui furono
perseguite le strategie economiche ricordavano difatti anche nei
termini usati la realtà militare, ad esempio gli stretti controlli che
l'esecutivo giapponese esercitava sul sistema bancario, erano
paragonati alle "scorte fatte dalle navi da guerra ai convogli
marittimi", per non parlare poi delle direttive date a tutti i cittadini di
26
Ibid. pag. 110
27
W.J. Barnds, op. cit. pag. 88
28
Da ora in poi MITI
29
G.D. Allinson, op. cit. pag. 93
30
A. Gordon, op. cit. pag. 114
31
Ibid. pag. 171
16
sostenere le esportazioni e di risparmiare piuttosto che di
consumare
32
.
Il MITI non era comunque l'unico ministero coinvolto nelle decisioni
di politica economica, c'erano anche il Ministero degli Affari Esteri
(MFA), quello delle Finanze (MOF) e quello dell'Agricoltura e della
Pesca (MAFF), spesso in contrasto fra loro. Il MITI era legato alle
grandi industrie e le sue decisioni ebbero quasi sempre il
sopravvento sugli altri, il MOF era interessato a limitare il bilancio di
spesa, il MAFF chiaramente difendeva le posizioni delle compagnie
dedite alla pesca e degli agricoltori, con i quali aveva instaurato uno
stretto rapporto che emergeva con evidenza durante le elezioni
locali, mentre il MFA era fra tutti quello nella posizione di maggior
debolezza visto che non aveva un rapporto diretto con nessun
gruppo produttivo
33
.
I risultati dell'economia nipponica raggiunsero ben presto
proporzioni talmente vaste che le esportazioni iniziarono a toccare
quasi tutti i mercati mondiali. Anche gli Stati Uniti furono investiti
da questo fenomeno. Nel 1964 il Giappone divenne subito dopo il
Canada, il secondo partner commerciale di Washington. Fra il 1958 e
il 1962 gli Stati Uniti esportarono in Giappone merci per un valore
complessivo di 6,2 miliardi di dollari, mentre dallo stesso paese ne
importarono 5,2 miliardi. La conclusione che i vertici del
Dipartimento di Stato trassero da questi dati fu che, nonostante
alcuni settori produttivi statunitensi soffrissero per la concorrenza
dei giapponesi, i benefici che derivavano dall'intero volume degli
scambi erano largamente superiori. Moltissimi consumatori
americani potevano accedere ai prodotti a basso costo e di altissima
qualità giapponesi e questo fatto non poteva essere trascurato, inoltre
a giudizio dell'Amministrazione Johnson il "Paese del Sol Levante"
stava giocando un importante ruolo come esportatore di capitali e
tecnologia nei paesi del Sud-Est Asiatico. Quest'ultimo aspetto era
considerato di grande importanza per gli statunitensi, i quali erano
32
K.B. Pyle, "The japanese question" Washington, 1992 pag. 42
33
M. Yahuda, op. cit. pag. 233
17
convinti che il Giappone potesse in futuro giocare un ruolo ancora
più importante in quest'area geografica
34
.
A partire dalla metà degli anni Sessanta però la bilancia commerciale
fra i due paesi iniziò a pendere a favore del Giappone.
La stampa statunitense diede risalto a questo fenomeno. Già nella
prima metà degli anni Sessanta, in concomitanza con il primo
incontro del Comitato economico Giappone-Stati Uniti avvenuto a
Hakone, il "Washington Post" fece apparire una vignetta con la
scritta "one way" riferendosi all'andamento degli scambi commerciali
fra Tokyo e Washington
35
.
Le critiche che giungevano dagli Stati Uniti per ciò che riguardava le
scelte economiche giapponesi, provocarono del risentimento nel
suscettibile carattere dei nipponici, che iniziarono a chiedere di
sganciarsi da una alleanza giudicata troppo stretta con gli americani
e ad avvicinarsi a Pechino
36
.
Gli uomini d'affari giapponesi esercitarono forti pressioni sulle
istituzioni politiche del loro paese affinché venisse riconosciuta la
Repubblica Popolare Cinese
37
, Pechino rappresentava un mercato
talmente vasto da poter risolvere in un sol colpo tutti i problemi per
la collocazione delle merci nipponiche, oltre a poter garantire quegli
approvvigionamenti di materie prime fondamentali per un paese
come il Giappone, che ne era quasi totalmente privo
38
. Le necessità
34
U.S. Department of State "N.A.R.A." Documento redatto dal Dipartimento di
Stato il 26/6/1964 decl. il 29/5/1991 pag. 11
35
U.S. Department of State "N.A.R.A." Memorandum dell'incontro avvenuto a
Washington fra il 1° Ministro giapponese Sato e D. Rusk del 7/7/1966 decl. il
27/10/1994 pag. 2
36
U.S. Department of State "N.A.R.A." Report speciale della C.I.A redatto il
1/5/1964 decl; il 5/4/1976 pag. 4
37
Da ora in poi RPC
38
U.S. Department of State "N.A.R.A." Report speciale della C.I.A redatto il
1/5/1964 decl; il 5/4/1976 pag. 3
18
dei grandi gruppi industriali e delle banche riuscirono però solo in
parte a far breccia negli organi decisionali nipponici. Questo
rapporto, in genere così integrato da essere una delle principali cause
della grande crescita economica giapponese, si scontrò così con la
necessità di adempiere agli obblighi imposti dall'alleanza con
Washington
39
. Negli anni Sessanta non esistevano ancora rapporti
diplomatici fra la RPC e gli Stati Uniti e gli unici rapporti esistenti fra
questi due paesi erano rappresentati da reciproche minacce, per cui il
Giappone che aveva in Washington il suo maggior alleato, non
poteva spingersi troppo lontano nei suoi sforzi per instaurare scambi
commerciali con la RPC. Esisteva comunque anche all'interno del
partito liberaldemocratico, che deteneva saldamente la maggioranza
assoluta dei seggi nella Dieta giapponese, una corrente favorevole a
rapporti con la RPC e Matsumara Kenzo ne era il leader
40
. Nel 1962
fu firmato il primo accordo commerciale fra il Giappone e la RPC,
noto con il nome di L-T Agreement che regolò il commercio fra i due
paesi per i successivi cinque anni. Nel 1963 l'accordo iniziò a dare i
primi frutti aumentando il volume degli scambi del 60%, cosa che
non mancò di suscitare una certa ansia negli statunitensi i quali
prevedevano ulteriori crescite dei traffici fra i due paesi per gli anni
successivi
41
. Nonostante la firma del L-T Agreement, il Primo
Ministro Ikeda Hayato non era intenzionato a rompere l'alleanza con
gli Stati Uniti, egli pensò bene di non partecipare alle fasi salienti
dell'accordo, che fu sì gestito da membri del suo partito ma non del
suo governo, e rilasciò immediatamente dopo la firma del L-T
Agreement delle dichiarazioni nelle quali ribadì l'importanza
39
Wakamiya Yoshibumi, "The postwar conservative view of Asia: How the
political right has delayed Japan's coming to terms with its history of aggression in
Asia" Tokyo, 1995 pag. 168
40
Ibid. pag. 143
41
U.S. Department of State "N.A.R.A." Report speciale della C.I.A redatto il
1/5/1964 decl; il 5/4/1976 pag. 4
19
primaria del rapporto fra Giappone e Stati Uniti, specialmente in
materia di commercio e finanza
42
.
Nel corso degli anni Sessanta Washington rimase sempre il maggior
partner commerciale di Tokyo, nonostante le spinte che provenivano
da alcuni settori dell'industria giapponese per liberarsi da un
rapporto troppo stretto con gli Stati Uniti al fine di diversificare
maggiormente le relazioni commerciali
43
.
Nel 1965 l'economia giapponese visse un periodo di rallentamento,
ma nei successivi due anni riprese a correre tanto da registrare nel
1967 un tasso di crescita del 12%, mentre il reddito pro-capite dei
giapponesi in quell'anno si attestò sugli 818 dollari l'anno.
Nell'analizzare queste cifre i funzionari del Dipartimento di Stato
americano si soffermarono sul fatto che il dato del reddito era ancora
più o meno la metà di quello che veniva registrato in Francia o in
Germania Occidentale per cui c'erano ancora ampi margini di
progresso. La benevolenza con cui l'Amministrazione Johnson
guardava al Giappone fu veramente singolare, questi era ormai un
paese con un'economia stabile e in continua crescita, viceversa erano
molti i settori economici statunitensi, dall'acciaio alle televisioni al
tessile, che si sentivano minacciati dall'aggressività economica dei
giapponesi. Ancora più singolare è come, nel giro di due soli anni,
con l'avvento di Nixon alla Casa Bianca, tutta questa benevolenza si
trasformasse in risentimento per l'ingratitudine imputata dagli
americani ai giapponesi
44
. I fattori che più contribuirono
all'inasprimento dei rapporti fra Tokyo e Washington durante
l'Amministrazione Nixon furono l'aumento continuo delle
esportazioni dei nipponici verso gli Stati Uniti, che raggiunsero nel
1970 il 30% delle intere esportazioni giapponesi, e le promesse fatte
da Nixon in campagna elettorale, soprattutto per quanto riguarda la
42
Ibid. pag. 5
43
U. S. Department of State, "N.A.R.A." Telegramma dell'Ambasciatore Osborn al
Segretario di Stato Rusk del 5/6/1968 decl. il 10/4/1992
44
U.S. Department of State "N.A.R.A."Documento redatto dalla sezione Estremo
Oriente del Dipartimento di Stato il 9/11/1967 decl. il 17/7/1992 pag. 2
20
limitazione di importazioni di prodotti tessili
45
. I Repubblicani non
misero in discussione l'assioma dell'Amministrazione Johnson, cioè
che la crescita economica del Giappone fosse un bene per tutto il
fronte anticomunista, ma questo doveva avere un limite, Tokyo
doveva sì far bene, ma non così bene da intaccare gli interessi
americani
46
. Il problema era rappresentato dal fatto che lo stesso
Giappone, incalzato dalla concorrenza di altri paesi, specialmente
asiatici, che producevano prodotti di buona qualità e a basso costo,
decise di lanciarsi nella fabbricazione di articoli con alta componente
tecnologica, andando così ad invadere un altro settore di interesse
statunitense
47
.
La grande crescita dell'economia giapponese fu comunque un
processo che presentò anche lati negativi. Il tasso d'inquinamento
presente nelle grandi città come Tokyo e Osaka raggiunse dei livelli
drammatici. Alcune persone che mangiarono del pesce contaminato,
proveniente dalla baia vicino a un importante complesso aziendale
subirono gravi danni al sistema nervoso centrale. Dopo una serie di
processi, l'azienda accusata dai cittadini di essere colpevole
dell'inquinamento fu costretta a risarcire le persone che avevano
subito danni, ma l'aspetto più importante della vicenda fu che avviò
una riflessione sulla reale portata del livello di inquinamento
48
. Alla
fine degli anni Sessanta si costituirono i primi gruppi di ambientalisti
giapponesi, i quali protestarono contro la politica di crescita a ogni
costo voluta dagli esecutivi nipponici. Queste dimostrazioni di
dissenso ebbero effetto, tanto che furono così numerosi i
provvedimenti in materia ambientale presi dalla Dieta giapponese
nel 1970 da soprannominarla "Parlamento-Antinquinamento"
49
.
45
W.G. Beasley, op. cit. pag. 377
46
A. Gordon op. cit. pag. 35
47
H. Kissinger, "Gli anni della Casa Bianca", Milano, 1980 pag. 265
48
G.D. Allinson, op. cit. pag. 112
49
A. Gordon, op. cit. pag. 26